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Scritture solidali: memorie di cittadinanza attiva / A cura di Valeria Pecere / Vol.22 N.3 2024

La memoria delle storie nella storia

DOI: 10.17613/8rs0f-enq25

Lina Calluso

magma@analisiqualitativa.com

Presidente C.A.M.A. Centro Assistenza Malati Aids OdV-ETS, Presidente L.I.L.A. Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids OdV-ETS, Bari.

 

Abstract

Personalmente, nelle mie storie, che sono solo una minuscola percentuale rispetto alle tante che, in più di trent’anni, abbiamo e ci hanno attraversato, come associazione, parlo dei cambiamenti avvenuti nella vita delle persone che vivono con l’HIV/AIDS, i protagonisti delle storie, infatti, senza il virus HIV avrebbero avuto un’altra vita e questa è la vera certezza che ho!

 

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Laboratorio della memoria e del volontariato del Terzo Settore
LabTS Laboratorio di cultura politica del Terzo Settore

A tutte le persone che ho incontrato

A quelle che mi hanno donato i loro pensieri

A quelle che mi hanno raccontato la vita

Perché, per sempre, le loro storie saranno la mia storia

Lina

Introduzione

L’AIDS non è solo l’epidemia che ha cambiato la vita di molte persone, che ha causato, a oggi, nel mondo 70 milioni di contagiati e oltre 35 milioni di morti, che ha cancellato anni di liberazione sessuale e ridato vigore alla paura del diverso. L’AIDS è anche la malattia che ha indotto clamorosi avanzamenti delle conoscenze scientifiche, la nascita dell’attivismo dei pazienti e, qualche volta, la vittoria della solidarietà sui profitti.

C’è stato un tempo in cui, morivano in Ospedale, al reparto delle malattie infettive, due o tre persone al giorno; c’era un tempo in cui le madri, quasi imploravano che si ponesse fine alla vita dolorosa dei loro figli.

C’era un tempo in cui i malati di AIDS venivano scansati persino dai medici che si rifiutavano di curarli, molti morivano da soli, perché allontanati dai loro familiari. Un tempo in cui non si riusciva a trovare le parole per descrivere il vissuto dei malati e per consolarli.

È stata una vera e propria tragedia che abbiamo dimenticato o siamo tentati a dimenticare, poiché oggi si muore meno, almeno in occidente. Ma l’infezione è presente, perché vivono 37 milioni di persone positive al virus HIV, perché causa ancora morti, perché non calano le nuove infezioni, anzi restano stabili.

Inoltre, l’infezione è presente perché il virus ha lasciato la sua impronta nella società, ha modificato i comportamenti di milioni di giovani, ha posto interrogativi etici, hanno scritto commediografi, filosofi, sceneggiatori. Si sono messe in atto nuove forme di comunicazione.

Ha modificato il modo di condurre le sperimentazioni e anche le relazioni tra i medici infettivologi e i pazienti, diventato meno schematico, meno rigido, racchiuso in uno schema già definito, insomma: più a misura di malato. Inoltre, le multinazionali del farmaco devono fare i conti con le proteste dei malati e, per la prima volta, questi colossi vengono battuti.

La storia dell’AIDS e dei malati si studierà non solo dal punto di vista scientifico, ma per i cambiamenti epocali avvenuti.

Personalmente, nelle mie storie, che sono solo una minuscola percentuale rispetto alle tante che, in più di trent’anni, abbiamo e ci hanno attraversato, come associazione, parlo dei cambiamenti avvenuti nella vita delle persone che vivono con l’HIV/AIDS, i protagonisti delle storie, infatti, senza il virus HIV avrebbero avuto un’altra vita e questa è la vera certezza che ho!

Un raggio di sole nella storia di Gaetano

Gaetano, risiede da molti anni, presso una Casa-famiglia in un paese molto bello della provincia di Bari.

Da noi, in Associazione, Gaetano, è arrivato 25 anni fa, quando di AIDS si moriva nel giro di tre anni dall’infezione determinata dal virus HIV, che tanti morti ha fatto dall’inizio degli anni ’80 al 2000, quando fecero la comparsa nuovi farmaci come gli Inibitori delle proteasi, che portarono l’agognata speranza, nelle persone contagiate o malate, poiché le aspettative di vita delle stesse, da quel momento in poi, divennero di gran lunga maggiori.

Oggi, infatti, con le nuove terapie, anche meno tossiche, l’aspettativa di vita delle persone che vivono con l’infezione da HIV è simile a quella delle persone che non lo hanno contratto.

Incontrammo, Gaetano, in ospedale, era in cura, poiché affetto da una grave infezione opportunistica, determinata, appunto, dal virus HIV, che aveva minato il suo sistema immunitario e, quindi, lo esponeva a numerose patologie. Riuscì, però, a farcela, ma non aveva un posto dove vivere, gli era stata riconosciuta l’invalidità, riscuoteva, quindi, la pensione e, fu così, che iniziammo la procedura per inserirlo in una Casa-famiglia.

Gaetano è sempre stato una persona molto sensibile e bisognosa di affetto e questo, purtroppo, gli ha procurato molti guai: ha vissuto spesso per strada e in luoghi di fortuna; è stato sfruttato e malmenato, rischiando spesso la vita, anche perché non sempre si curava adeguatamente.

Solo dal 2010, dieci anni dopo il nostro primo incontro, Gaetano vive sereno.

Lui stesso dice che ha commesso molti errori, ma che, finalmente, ha trovato la pace, vuole essere amato, vorrebbe trovare una donna a cui dare e ricevere amore. Noi continuiamo a sentirlo, perché lui tiene anche all’amicizia, al sorriso altrui. Ha sempre detto che le coordinate che lo aiutano a condurre meglio la vita sono: l’amore, la libertà, la verità.

Oggi, la testimonianza di Gaetano è una storia di AIDS, densa di sofferenza e speranza.

Alla ricerca della felicità per sé stesso e per gli altri, nel modello familiare allargato della Casa-famiglia, dove gli uni si prendono cura degli altri, con competenza e umanità. Finalmente, nella sua lunga vita di solitudine, non è più solo, non ha più paura di sé e degli altri.

Ogni volta che nella struttura succede qualcosa di particolare, mi telefona per parlarmi di cosa è accaduto. Mi comunica i suoi sentimenti: la sua vita ha ancora senso!

La vicenda di Gaetano è molto pesante, quasi inverosimile, però, oggi, la sua vita di relazione fa la differenza: Pino sta compiendo un percorso di riconciliazione con la vita, esteso alle origini familiari e alla considerazione del passato, in cui la parola “perdono” ha una valenza speciale.

Mi viene da pensare che “l’intruso” - il virus HIV – è stata la sua salvezza, poiché nel suo disperato vissuto, fatto di assenze, di dolore e morte, ha trovato il senso del suo essere al mondo, proprio attraverso l’accoglienza in una Casa-famiglia che accoglie anche persone in AIDS conclamato.

L’intruso, a un certo punto, ha smesso di essere causa di malattia per Gaetano ed è diventato non solo parte del suo corpo, ma anche della sua vita e come tale, determinante nel cambiamento della stessa.

Nella nostra vita, dunque, bisogna dare un significato sia alle cose gradevoli che a quelle sgradevoli. Le persone incontrate e conosciute, contagiate dal virus HIV, hanno tutte dato un senso alla malattia.

Quest’ultima nel bene e nel male, li ha accompagnati, perché parte di loro.

La sua presenza ha avuto un peso nelle scelte.

È stata il grillo parlante nelle decisioni da prendere.

1. Nuvola

Una distesa d’azzurro

Viaggia la nuvola tristemente sola

Il vento e la pioggia sciolgono i suoi pensieri,

aggrovigliati intorno al soffio del suo respiro rarefatto.

2. L’elefante davanti al topolino

Paolo ha 31 anni quando avverte una febbricola costante che lo indebolisce, una piccola febbre che lo ghiaccia e lo fa sudare di notte, tanto da doversi svegliare e cambiarsi: il pensiero, allora, va a un tumore.

Dopo vari esami clinici, arriva la risposta: Paolo ha contratto il virus HIV.

La storia di Paolo inizia in una periferia “Bronx” di Bari: Rione Enziteto.

Il quartiere dei tossici, degli operai, delle famiglie povere, di gente seguita dagli assistenti sociali, covo di delinquenti, dove le case sono alveari, poiché gli affitti sono bassi, dove si parla in linea di massima solo in dialetto barese.

In questo quartiere nessuno, o quasi, studia, al massimo si fanno figli, si fanno lavori sottopagati basati sullo sfruttamento, si spaccia, si fanno lavori illegali, si fanno furti e alcune volte si rischia la vita.

Paolo è figlio di genitori ragazzini separati ed ha cercato la sua salvezza attraverso le sue qualità e possibilità (colto, omosessuale, ironico).

Una storia eccezionale, in una vita di un ragazzo come tanti, in questo pessimo quartiere ghetto, di una città, Bari, il cui centro, risulta essere distante: solo un luogo da saccheggiare!

Paolo, però, ha deciso, dopo essersi laureato in lettere, primo atto di contrasto al destino segnato dei giovani del rione Enziteto, di fare un secondo atto: dire al mondo “ho l’HIV!”

Perché davanti al pregiudizio, bisogna alzare la posta: “lo sapranno anche i fantasmi”, disse.

Così Paolo inizia a frequentare il gruppo di Auto-Aiuto della nostra Associazione, gestito solo da altre persone che vivono con l’HIV, e, alle volte, supervisionato da una psicologa.

Il primo giorno Paolo esordisce così: “Mi piacciono i ragazzi, gli uomini, i maschi, lo so da quando avevo sei anni. Non mi sono mai dovuto accettare, sono gli altri che avevano un problema col modo in cui sono fatto”.

Che bel biglietto da visita, questo Paolo, pensano tutti, un valore aggiunto nel gruppo di Auto-Aiuto.

Dopo un po', Paolo non lo si vede più, è malato, la sua storia deve raccontare dei ricoveri, delle cure, dello stare male, ha scoperto di avere l’HIV, quando già “l’intruso” aveva banchettato con i linfociti del suo sistema immunitario. Vive tra il letto di Malattie Infettive del Policlinico di Bari e casa sua ad Enziteto. La madre lo va a trovare per farlo mangiare, cucina lei, perché lui non ci riesce, e porta spesso le orecchiette fresche e le rape. Alcune volte, il giorno prima, prepara “Riso, Patate e Cozze”, riscaldandolo, poi, nel fornetto. Lui mangia molto velocemente e con poco gusto: deve prendere le gocce e la pasticca.

Così si racconta Paolo, quando ha voglia di sentirci.

Un giorno ci parla anche del padre che non vede e non sente da tempo.

La nonna paterna ha detto al figlio, mai padre, che il nipote, sempre figlio, è malato, che è positivo al virus HIV ed ha, ormai, l’AIDS, perché il tempo di attacco con i farmaci è stato troppo lungo.

Il padre lo cerca, prima però gli scrive su WhatsApp: “Ti posso chiamare?”, poi telefona, cerca di riallacciare il rapporto, chiede a Paolo della sua condizione di salute, ma, poi, come spesso succede con un genitore mai stato genitore, il discorso si perde in frasi inutili, scontate, come dette da un estraneo e Paolo ci confessa di aver notato, nel corso della telefonata, che il padre non fosse per nulla devastato dall’idea della morte del figlio.

Dopo questo periodo di cammino sul filo del rasoio, che molte persone che vivono con l’HIV hanno attraversato, Paolo, con la terapia, torna alla vita, quella dove la morte appare distante.

Tutti i giorni prende una pasticca di colore rosa, quello che viene detto antico: il colore delle prime forme di vita. Mi piace pensare che, per ritrovare la vita, ci è voluto proprio il rosa.

Infatti, i farmaci antiretrovirali, impediscono la replicazione del virus HIV, portando la carica virale a zero. Il virus non è più rintracciabile, ma non scompare del tutto, perché se si dovesse sospendere la terapia tornerebbe e replicarsi. Con i farmaci si rintana nei serbatoi nascosti, li chiamano “santuari” a cui è preclusa l’accesso alla cura, come spesso accade alle donne, in alcune culture, a cui è precluso l’ingresso in luoghi dove hanno accesso solo gli uomini.

Il virus HIV è come un vecchio maschilista, che potrebbe effettuare un femminicidio se solo gli dessimo la possibilità.

Le persone affette da infezione da HIV, come Paolo, sono anche figli della medicina, perché sarebbero morti, se non fosse comparsa la “pillola rosa pallido”, che fa nascondere il maschilista e lo fa rintanare.

Un virus che ha paura di una pillola rosa è come un elefante davanti a un topolino!

La vita di Paolo ha attraversato l’inferno, quello di una famiglia senza genitori, di un quartiere in mano alla malavita, di una discriminazione verso le sue scelte sessuali, di pregiudizi verso un tabù, come quello nei confronti di una malattia di cui si conosce tutto, tranne la capacità di non averne più paura da parte della società.

Anche in questa storia l’HIV è riuscito a fare di Paolo quello che è adesso, senza il quale sarebbe stato, sicuramente, un altro.

3. Colori

Offuscati da opachi fumi…

Nascoste le pennellate variopinte di secoli

Mirò scompare

I suoi dipinti bruciati non ricordano all’uomo i colori

4. La storia

La speranza e il conforto ritrovato non sono stati sufficienti a far vivere questa giovane donna africana che muore pochi giorni prima dell’8 marzo.

L’8 marzo 2024 è tutto per lei, a lei vanno i nostri pensieri.

Lei ha attraversato una strada impervia, ha rischiato attraverso sabbie bollenti e fredde, attraverso onde e cieli bui, su un mare nero pesto e azzurro profondo.

La speranza di arrivare su una costa salvifica, l’ha portata sino a noi, giovane donna, dolce mamma africana, affettuosa moglie di un uomo con cui avrebbe voluto dare concretezza ai sogni, ai desideri.

Nessuno può capire come può essere bella la salvezza, toccarla con mano, nonostante tutto, nonostante la tristezza dei centri d'accoglienza, hai la certezza di avercela fatta.

Lei, giovane donna, niente poteva farle più paura, neanche la malattia con i suoi dolori, erano lontani dall'Africa senza possibilità: lei, il suo giovane compagno e il suo piccolo, bellissimo bimbo, finalmente dalla parte ricca, sicura, con la certezza di una vita migliore.

Nessuno poteva più impedirle di dare un futuro a suo figlio, che avrebbe cresciuto con l'amore e la protervia di una mamma africana. È venuta, forse già stanca e minata nell'anima e nel corpo, solo alla fine ha capito che, per lei, fosse troppo tardi sperare.

Non si è lamentata, ha affrontato un viaggio impossibile per molti, con la fierezza di una leonessa, portando il suo piccolino sulla riva della parte migliore del mondo, almeno secondo quanto le hanno raccontato. Così è andata incontro al suo doloroso destino, il suo compito di madre si è concluso, in un letto di ospedale, come il suo percorso di vita: il destino ha voluto così, neanche l'opulento occidente, l'Europa considerata ricca, ha potuto strapparla alla morte.

L’8 marzo 2024, è dedicato a questa giovane donna e mamma africana e al suo bambino, che sino all'ultimo suo respiro, ha cercato nei suoi ricordi.

Ci piace pensare che suo figlio avrà un futuro splendido grazie al suo sacrificio, alla forza che ha trovato nell'accompagnarlo sin dove lei voleva che giungesse e ipotecare per lui una vita migliore della sua, come fanno tutte le mamme del mondo.

Ci piace pensare che un giorno qualcuno racconti a suo figlio, quello che lei ha fatto per lui.

Ci piace pensare che lui la ricordi, ricordi il suo amore sconfinato, mentre racconta della nonna ai suoi figli, la nonna mai invecchiata, perché la morte l’ha resa per sempre una giovane donna africana, morta in terra straniera.

Intanto, oggi, il piccolo eed il suo papà guardano l’orizzonte da una casa-famiglia in Sicilia, oltre il quale, per un amaro destino c’è la loro amata Africa.

Così il cerchio si chiude e la speranza ritorna a dare forza alla vita di tutti!

5. Amore di cane

Disteso ai piedi

Con amore paziente

è in attesa.

Sornione sonnecchia felice

Osserva in adorazione chi è indifferente, ma nulla si aspetta

Scopre un gesto di mano

Scodinzola …

Ritorna paziente in attesa.

6. Storia di percorsi difficili

Un giorno si è presentato, dopo una telefonata, Ciro.

È napoletano, ma da qualche mese vive a Bari, in una comunità per senza fissa dimora.

Ciro, però, è un uomo curato, attento alla propria persona, molto gentile, un po' logorroico.

Fa uso di droghe e alcool. Chiede di voler partecipare al gruppo di auto-aiuto. Dopo alcuni incontri con l’operatore che gestisce e segue il percorso di inserimento nel gruppo, Ciro ha la possibilità di entrare.

È un fiume in piena, racconta la sua vita, fatta di camorra, di carcere, di droga e poi di malattia, che, in fondo, gli salva la vita. Per assurdo, ancora una volta, anche in questa storia il virus HIV, cambia la vita a chi ne è contagiato!

Ciro è destinato a diventare un camorrista di punta, anzi se lo fosse diventato, forse, sarebbe già morto, finito, ucciso in un agguato.

La malavita lo allontana, invece, perché drogato e malato, infetto, motivo per cui va isolato, espulso, non affidabile. Lo lasciano in vita solo perché convinti che deve comunque morire: fa solo pena.

Ciro, allora, si ritrova fragile e vulnerabile, solo e con una malattia grave, sia dal punto di vista fisico, che sociale e, quindi, non gli resta che abbandonare il suo territorio, trovare un posto dove nascondersi alla vista di chi lo stigmatizza.

Girovaga per varie regioni, città, paesi, fa qualche lavoretto per comprarsi le sostanze, ma alla fine deve soccombere alle infezioni che l’AIDS gli impone. Minato nel fisico, viene ricoverato.

Dopo un mese, le sue condizioni fisiche migliorano e viene dimesso. Approda a Bari, presso un centro per clochard e tossicodipendenti senza famiglia. Gli operatori del centro gli indicano, per essere sostenuto riguardo alla patologia di cui è affetto, la nostra Associazione.

Ciro, con noi, attraversa momenti di ricadute nella droga e nella disperazione, ma il nostro continuo sostegno, lo portano alla scelta di vita che ha fatto. Sceglie di farsi aiutare e curare dal Ser.D. e da noi che gli indichiamo il percorso che lo ha portato in una casa famiglia dove aiuta e sostiene gli altri ospiti, dove non fa più uso di sostanze, dove è operatore di confronti con studenti, anche nelle scuole.

Ciro è una testimonianza di vita e di rinascita.

Dentro il corpo di Ciro c’è l’HIV, che è stato determinante nel salvarlo dalla malavita, dalla droga, dalla morte prematura: anche lui senza l’HIV avrebbe avuto un’altra vita.

Un’altra storia.

7. Cerchio

Il cerchio appena apparso

racchiude il mondo.

Fossimo arrivati prima

avremmo visto qualcuno fuggire.

Ora tutto è in ordine

pochi rasentano il cerchio

girano e girano

credono di fare strada.

Passo dopo passo

ripetono un cerchio.

8 Ricordi di visite perse: auguri alla gatta… sul tetto che scotta

Lunedì 3 Ottobre 2005 Rosa (grande socia del CAMA LILA) si è sposata: ha deciso con un gesto di grande amore di dimostrare a tutti come sia possibile, in qualsiasi circostanza e condizione, che si può e si deve vivere facendo delle scelte coraggiose; che ogni giorno va vissuto senza lasciare spazio alla passività!

Per lei è chiaro che vegetare non è vivere, soprattutto è essere sé stessi, al di là dei pregiudizi di qualsiasi genere e da qualsiasi parte essi provengano.

Io ho sempre considerato Rosa una “grande” donna, e ho considerato sempre i suoi gesti, spesso additati come “folli” dai ben pensanti, atti di coraggio.

Nel mio album cerebrale la ricordo a una festa di carnevale di alcuni anni fa, vestita da gattina. Io adoro i gatti, sono indipendenti, imprevedibili, vivaci, giocherelloni, coccoloni quando fanno le fusa e aggressivi quando li si vuole relegare a ruolo di cane.

Mai maschera di carnevale è stata così appropriata alla personalità di qualcuno!

Rosa, voglio farti tanti auguri per quest’ultimo atto d’amore e per la lezione di vita che ci hai donato!

Io, in cambio, voglio dedicarti la canzone di Vasco Rossi intitolata “Sally”: sembra scritta per te e, infatti, da quando ti ho conosciuta (quel lontano 1985) ogni volta che l’ascolto, il mio pensiero corre a te, ai tuoi bellissimi occhi azzurri, alla loro trasparenza e freschezza, che ricordano la brezza marina mentre sfiora i capelli in un giorno d’estate, lasciandoci un indimenticabile senso di libertà.

A Costantino

È giunta la notizia, quasi fosse un sogno, sospesa tra incredulità e sorpresa, forse anche perché il mercurio alato che ce l’ha comunicata è voce ormai assente da tempo alle mie orecchie, infatti, ho stentato a riconoscerla.

Mi ha detto: “Costantino è morto, a Londra, solo, nella stanza da bagno…”.

Immediatamente, ho chiesto: “come, perché, cosa ci faceva da solo in terra straniera?”

Nessuno sa nulla di questo addio silenzioso, ci ha lasciato tutti attoniti e ammutoliti.

Ho atteso un po’ di giorni prima di scrivere su questo amico e di comunicare che uno dei nostri, uno della LILA è morto, ancora giovane, senza dir nulla, senza far sentire dove erano le sue speranze, dove alloggiava la sua vita, il suo futuro, il suo presente. Per Costantino ho dovuto aprire tutte le porte del mio cuore, una a una per ricordare.

L’ho incontrato, la prima volta, durante un’assemblea dell’ARCI, invitata a parlare di AIDS, ha sorriso ed ha chiesto se potesse fare il volontario. Era impossibile resistere a quel sorriso, ho risposto: “ma certo puoi dare tanto alla LILA!”

Sorrideva ai malati in ospedale e a domicilio, infatti è stato il primo assistente domiciliare, di una mamma e un bambino sieropositivi, quando ancora l’assistenza non era un servizio strutturato. Il suo sorriso era disarmante, nessuno riusciva a essergli ostile, anche quando, forse, era il caso di reagire ad alcuni suoi comportamenti infantili e discutibili.

Il suo sorriso rendeva tutto accettabile, era quello di un bambino quando viene beccato con le dita nella marmellata e il rimprovero della mamma rimane bloccato all’altezza delle labbra per schiudersi in un altro sorriso di complicità.

Costantino sta sorridendo in una foto bellissima e dolcissima scattata il giorno del mio matrimonio e, mentre richiudo l’album, ricordo anche il giorno che ha visto la mia bambina appena nata e mi disse, per sollevarmi dal dolore, sincero: “è bellissima ed è dolce, ti somiglia.”

Sapeva sempre essere d’aiuto anche solo con una parola o uno sguardo. Ha continuato a sorridere ai bambini malati di AIDS, a Roma, presso una casa alloggio per minori affetti dal virus, dove prestava assistenza. A Roma, infatti, l’ho incontrato l’ultima volta, ero lì per un convegno della LILA, abbiamo mangiato assieme e parlato, parlato del suo nuovo amore di cui era entusiasta, come solo i bambini sanno esserlo delle novità.

Forse, Costantino, era un piccolo Peter Pan, per questo riusciva a farsi voler bene da tutti, e, soprattutto, dai bambini, ed è per questo che era così bravo ad assisterli, a divertirli, era uno di loro, ed è rimasto uno di loro. Mi piace immaginare che sia arrivata Campanellina e sia volato via, sull’isola che non c’è.

E, mentre richiudo l’ultima porta dei ricordi, mentre essi attraversano il mio cuore, lo vedo sulla soglia che mi saluta col suo sorriso indimenticabile: il suo filo di Arianna, quello che ci condurrà spesso da lui.

Per sempre

Lina

(…)

La nostra realtà, come tante che conosciamo, è fatta di persone incontrate, conosciute; di storie di esistenze straordinarie e, quindi, non comuni. Di vite vissute tra sogni, incertezze e trascinate al limite, che hanno toccato il fondo, per poi risalire o scegliere di restarci.

Ho voluto raccontare le storie di risalita, quelle di coraggio: valore importantissimo per il cambiamento.

Il coraggio di essere sé stessi e riscattarsi dai propri errori e le proprie debolezze, di guardarsi allo specchio, il coraggio di scegliere ciò che è giusto fino alla fine. Questo coraggio che aiuta chi aiuta ad andare avanti anche quando le difficoltà sembrano essere un peso insopportabile.

Poi, in ciascuno di noi i valori, come l’attivismo, la solidarietà, il confronto, la consapevolezza e la diversità, l’inclusione e il cambiamento con la crescita prendono forza e potere sulla discriminazione, i pregiudizi, la paura, la solitudine, l’egoismo, l’indifferenza e in quel momento che diventiamo insieme, un fluido scorrere di pensieri e azioni, capace di cambiare tutto.

Grazie a tutti voi per avermi offerto la possibilità di raccontare delle gocce di memoria di questi lunghi anni.

Gocce in un oceano di incontri.

Grazie, per aver risvegliato in me momenti dimenticati, storie di persone, anche di quelle di cui non vi ho raccontato.

Avete aperto il vaso di pandora, avete risvegliato il metabolismo dei ricordi. Per me che sono la memoria storica dell’associazione è un’esplosione infinita da donare a chi, oggi, non conosce l’inizio e neanche il percorso, ma di cui avrà bisogno per ogni obiettivo da raggiungere.

La mia storia e tutte le vostre storie saranno una possibilità, anche se piccola, di raccontare l’umanità ai nostri tempi, sarà uno squarcio luminoso nella brutalità vigliacca dei rapporti umani.

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