Assistente sociale impiegata al Comune di Mesagne, tra i fondatori di Salento Fun Park.
Abstract
È stato bello essere stata testimone di un piccolo tassello di storia locale, allo stesso tempo di rilevanza sia nazionale che internazionale e aver anche potuto valutare in prima persona gli esiti della buona politica e della pessima politica in tema di accoglienza.
Laboratorio della memoria e del volontariato del Terzo Settore
LabTS Laboratorio di cultura politica del Terzo Settore
“Se l’uomo vuole essere soggetto, attore cosciente della sua storia deve analizzare le istituzioni dalle quali dipende, per analizzare le istituzioni che lo attraversano e trovare nell’azione di gruppo una via d’uscita all’atomizzazione burocratica della quale è vittima”. (G. Lapassade) [1]
Si chiude una porta, si apre un portone (1973-1979)
Quando ero una ventenne desiderosa di una seppur minima indipendenza economica per le piccole spese personali, durante il primo anno di università, mi imbattei in un annuncio su un quotidiano locale che sembrava offrire un lavoretto molto semplice. Dovevo soltanto leggere e registrare su nastro magnetico una serie di libri. Considerando che mi piaceva leggere e il compenso orario offerto era davvero interessante, decisi di approfondire.
Chiamando il numero di telefono indicato, fissai un appuntamento e mi recai curiosa di saperne di più. Era la mia prima esperienza di lavoro ed ero ansiosa, arrivai in centro città in orario e trovai facilmente l'appartamento indicato, situato all'interno di un datato complesso residenziale di edilizia popolare circondato da sviluppo edilizio molto più moderno. (...)
Mi trovai di fronte a un uomo alto e robusto, con una nuvola di capelli bianchi e lunghi, che incorniciava il suo grande viso gioviale; aveva un grande naso proprio nel mezzo; dimostrava circa 50 anni e somigliava a Beethoven. Mi guardò dritto negli occhi e io ebbi un momento di smarrimento. I suoi occhi… i suoi occhi erano di un celeste innaturale, mi resi conto che erano spenti. Era cieco!
Mi fece accomodare in una stanza completamente circondata da scaffali pieni di libri e dischi fino al soffitto. Su un grande tavolo c’era un grande registratore a bobine, altoparlanti, mixer, cuffie e altre strumentazioni. Era la prima volta che incontravo ed interagivo con un cieco, ma lui si comportava come se non lo fosse affatto. Si muoveva con disinvoltura nel suo studio e continuava a cercare qualcosa nella libreria alle sue spalle, mentre, contro ogni mia aspettativa, riprendeva la conversazione al telefono interrotta dal mio arrivo e, contemporaneamente, armeggiava con un cacciavite per smontare non so cosa…
Mi spiegò che bisognava leggere e registrare su nastro alcuni saggi, le registrazioni si sarebbero svolte a casa sua, ma non era lui ad averne bisogno; erano necessarie per una ragazza universitaria di Cisternino, per la sua tesi di laurea in Pedagogia. Nonostante l'ottima paga offerta, dopo appena una settimana di registrazioni, la lettura di quei testi, mi venne a noia e di conseguenza la qualità dell'attenzione nella lettura per la registrazione, scemò, forse anche perché ero affascinata da quella nuova conoscenza. Per correttezza, rinunciai all'incarico, ma mi preoccupai di presentare, un'amica che volentieri mi sostituì e portò a termine il mio ex-incarico. Il portafogli rimase vuoto ma io mi arricchii immensamente di umanità varia (…)
Pioniere nel suo campo, fu il primo docente non vedente a voler lasciare la confortevole sfera accademica in città per scegliere il trasferimento in un comune della provincia, distante trenta chilometri dalla sua residenza. Obiettivo ambizioso era promuovere l'inclusione del primo bambino non vedente nella scuola elementare pubblica in provincia di Lecce, sulla scia delle interessanti esperienze di Reggio Emilia e La Spezia… Nel frattempo, io presso l’istituto dei Ciechi, svolsi un periodo di tirocinio che mi avvicinò alle problematiche educative e di formazione professionale per i privi della vista e i semivedenti. Frequentando quell’ambiente ormai da qualche anno, mi sentii pronta a portare le mie ricerche e opinioni nella mia tesi di laurea sperimentale, incentrata proprio sulla integrazione scolastica e lavorativa dei non vedenti. La tesi fu bene accolta e fu anche occasione di dibattito e divulgazione delle esperienze realizzate in prima persona con Antonio.
L’impegno politico
Ci impegnammo molto in attività di militanza politica, erano gli anni “caldi” successivi al ‘68. A Lecce c’era gran fermento per la presenza di frange di picchiatori fascisti che si contrapponevano ai movimenti della sinistra extraparlamentare. In quegli anni, noi giovani urlavamo la nostra rivendicazione di libertà contro ogni autoritarismo e militarismo e noi donne demmo tutto al femminismo. Frequentammo il Partito Socialista per un po’. Sostenemmo la campagna elettorale di Claudio Signorile e del Giudice Maritati, ma le logiche di partito non ci appartenevano, eravamo più interessati alle battaglie per i diritti civili, eravamo non violenti e libertari. Aprimmo per questi motivi, una sede del Partito Radicale nel centro storico (e allora cominciarono i guai seri con mio padre, poliziotto fascista e manesco. Io comunque testarda e ribelle, non rinunciavo alla libertà di agire, di manifestare, anche a costo di “buscarle” ogni giorno. Avevo trovato un mio personale antidoto al dolore…mi astraevo da quella realtà e pensavo ad altro e funzionava!
Ormai alla sede del Partito Radicale eravamo diventati un bel gruppo numeroso, ci impegnammo febbrilmente per la campagna sul divorzio, e poi quella sull’aborto, sull’obiezione di coscienza, la raccolta delle firme su otto referendum costituzionali e quelle contro il nucleare e contro la centrale a carbone di Cerano. Conobbi ogni sede di Comune del Salento, lo girammo in lungo e in largo per ritirare i moduli firmati, per poi portarli in Tribunale per l’autentica delle firme. Mettemmo grande impegno a utilizzare tutti i mezzi di comunicazione e divulgazione a nostra portata, il ciclostile all’Università, le radio libere in città e la TV Tele Lecce Barbano che muovevano i primi passi, i giornali locali, soprattutto “La Tribuna del Salento. …
Inattesa Invasione - 7 Marzo 1991
Il ricordo di quei giorni mi emoziona ancora oggi. Abitavo a Lecce, avevo due figli piccoli, di 3 e 1 anno ed ero incinta di circa 6 mesi, della terza figlia. Ero pendolare, lavoravo a Mesagne, a 50 km. di distanza e come ogni giorno lavorativo, percorrevo la superstrada Lecce-Brindisi-Mesagne.
Quella mattina ero leggermente in ritardo e per di più, c’era molto traffico all’ingresso di Brindisi a causa di incolonnamenti. Appena imboccata la rotatoria notai un serpentone di gente che, affiancando le auto in marcia, proveniva dal centro città di Brindisi, attraversava l’incrocio cosiddetto “della morte” e si incamminava sulla superstrada in direzione di Taranto. C’erano gruppi sparsi di persone malmesse nel vestiario. Vedevo uno sciame di gente, capelli lunghi e arruffati, scarpe non adatte alla marcia, donne incinte, bambini, tanti bambini e adolescenti soli camminavano incolonnati e sorridenti. Sorridenti tutti! Erano strani quei sorrisi sulle loro facce patite! …
Erano diverse centinaia, forse migliaia! Proseguii!!!
In mattinata seppi che tanta di quella gente tenace arrivò e si fermò a Mesagne, tanti altri proseguirono sempre a piedi, verso Latiano e oltre.
Appena arrivata nel mio ufficio al Comune, ai Servizi Sociali, seppi la notizia che era arrivata nel porto di Brindisi una nave con circa 25 mila albanesi fuggiti da fame, miseria e malgoverno. Cominciarono ad arrivare tanti fax della Prefettura e del Tribunale per i Minorenni e noi Assistenti Sociali, avemmo contezza che l’evento che stavamo vivendo era davvero epocale!
Ci organizzammo per accogliere, ascoltare, censire i minori non accompagnati che man mano ci venivano segnalati da cittadini, volontari, parrocchie, oltre che dalla Prefettura e dal Tribunale dei Minori. I nostri dirimpettai nel mare adriatico avevano una discreta conoscenza della lingua italiana, appresa attraverso le trasmissioni radiotelevisive italiane che bene si captavano a 40 miglia di distanza dalla nostra costa. Dedicammo tanto tempo per riunire i nuclei familiari e per valutare l’idoneità delle famiglie locali che si proponevano di accogliere e ospitare quell'umanità vagante e speranzosa in un futuro migliore!
Giornate fuori dall’ordinario!
Il carico di emozioni era amplificato dalla mia condizione di gravidanza e dalla necessità di offrire sostegno e protezione umanitaria. Per fronteggiare quell’emergenza non avevamo nulla,
ma ce lo dovemmo far bastare, per giorni e giorni non arrivarono aiuti. Ognuno aggiunse qualche posto a tavola per un po’; con una spontaneità generosa, donò viveri, vestiario e tutto ciò che potette.
Da quel giorno non badai più al termine dell'orario di lavoro. Quando avevo fame come tanti intorno a me, mi fermavo per scrupolo, pensando alla creatura che avevo in grembo, mangiavo qualcosa al volo, telefonavo a casa per avvisare che sarei arrivata tardi e andavo a fare del mio meglio per quella situazione di emergenza.
In quegli anni la Protezione Civile quasi non esisteva, e nemmeno lo Stato fu presente, per diversi giorni. La popolazione della provincia di Brindisi, invece, fu stupenda. Il Sindaco di Brindisi, Marchionna, per primo, invitò tutti i cittadini ad aiutare gli albanesi nei loro bisogni primari. Si innescò così un magnifico clima di spontanea solidarietà. Cittadini qualunque aprirono le case, misero a disposizione le stanze da bagno, rifocillarono gli inaspettati ospiti con quel che avevano. Si raccolsero in poco tempo viveri, vestiario, farmaci e accessori per i neonati e le donne. Si censirono le disponibilità di posti letto nelle scuole in alloggi di villeggiatura, posti letto presso famiglie, presso parrocchie e in ogni spazio utile. In quella frenesia, ho visto tanta disponibilità incondizionata da parte della gente comune verso gli albanesi, considerati nostri “cugini” dirimpettai nel Mare Adriatico.
Ma ho visto anche, purtroppo, la “longa manus” della locale mafia che pur di fronte a tanti bisogni, provò a sfruttare la situazione, cercando manodopera a basso costo, e donne sbandate da avviare alla prostituzione.
Tempo dopo arrivò a Bari un’altra nave ancora più affollata della prima, purtroppo lì successe che il Prefetto ordinò di destinare la permanenza prima dell’identificazione degli albanesi, nello stadio di calcio, circondato dalla Polizia.
Quella scelta fu scellerata, provocò la ribellione degli albanesi alla segregazione; vi furono scontri e disordini e non si ripetette quanto invece, per fortuna ho visto qui.
Alcuni albanesi sono rimasti a Mesagne, si sono integrati perfettamente ed hanno trovato occupazione spesso in agricoltura; alcuni di loro, con il tempo hanno avviato rapporti di commercio e import-export con il paese d’origine e con le loro rimesse di denaro, hanno contribuito al benessere delle loro famiglie in Albania.
È stato bello essere stata testimone di un piccolo tassello di storia locale, allo stesso tempo di rilevanza sia nazionale che internazionale e aver anche potuto valutare in prima persona gli esiti della buona politica e della pessima politica in tema di accoglienza.
Mina Vagante
Questo era Marcella Di Levrano… Una mina vagante!
Marcella conosceva tutte le anime nere che la corteggiavano e la circuivano. Sapeva troppo! Questo il motivo della sentenza di morte pronunciata contro di lei.
Quel terribile giorno del 1990, mi sconvolse la terribile notizia della morte e ancor di più la modalità efferata.
Il popolino ignorante o solo mentalmente pigro, però non si scompose più di tanto, non cercò i motivi, non volle sapere da quali demoni fossero popolate le giornate e le nottate di Marcella, non pretese a gran voce l’arresto dei colpevoli e soprattutto non fu clemente con lei nei giudizi. Ricordo ancora quei mormorii. “Se l’è cercata…” dicevano!
Per i più era meglio non sapere; esorcizzavano così il male, facendo finta che non ci fosse! Coloro che prima la osservavano solo per sparlare, sprecarono i giudizi su Marcella.
Tutti vedevano quella ragazza tanto bella e molto giovane in giro per il paese; talvolta in orari inconsueti, talvolta con personaggi loschi al suo fianco, ma nessuno immaginava quello che sarebbe successo, non solo a Marcella, ma a una generazione di ragazzi.
Troppo bella era Marcella! Troppo giovane. Troppo ingenua e troppo fragile nella sua dipendenza. Troppo sola! Incapace purtroppo persino di accogliere l’aiuto. Troppi troppo, per quella ragazza e per i tanti giovani che, come lei, ignari percorrevano le stesse strade mefitiche.
Non so se qualcuno ricorda com’era la nostra città negli anni 80-90. Provo a contestualizzare Marcella, i giovani, la droga e Mesagne…
In quegli anni, Mesagne prese il posto di Fasano, conquistando il primato tra le località di spaccio in Puglia.
Qui spadroneggiavano indisturbati individui armati. Ferimenti, furti e scippi erano all’ordine del giorno, droga a fiumi era reperibile ovunque, così come era semplice trovare tutto l’illecito che esiste al mondo: sigarette di contrabbando, merci e auto rubate, armi, prostitute/i, gioco d’azzardo, ecc. erano a disposizione non solo dei locali, ma di chiunque arrivasse a Mesagne.
Assistemmo quasi a un turismo nero. Ed era l’epoca dell’oro rosso…, c’erano tante fabbriche che trasformavano il pomodoro e… molti lucrarono anche su quello con truffe alla comunità europea.
Mentre la microcriminalità si organizzava e diventava quella che ora chiamiamo SCU, Sacra Corona Unita e questa stringeva accordi di collaborazione con le altre mafie, alcuni universitari mesagnesi che avevano una chiara coscienza politica rivoluzionaria, vedendo il marciume avanzare, misero apertamente in discussione le autorità e le regole precostituite nelle scuole, nelle università, nelle fabbriche, nei campi, si batterono per il rinnovamento proponendo alternative, una volta tornati a Mesagne dalle sedi universitarie, si ritrovarono estromessi dal partito, l’unico che fino ad allora, aveva sostenuto un nutrito gruppo di giovani militanti.
Laboratorio della memoria e del volontariato del Terzo Settore
LabTS Laboratorio di cultura politica del Terzo Settore
Nessun adulto significativo di riferimento li sostenne anzi, i dirigenti di partito chiusero la sede giovanile. La contestazione studentesca, le occupazioni delle sedi universitarie, l’esperienza del Centro Sociale Biko di Via Albricci, fortemente stridevano con quello che era la vita di un paese dall’economia prettamente agricola, dove per qualsiasi necessità, anche per ottenere un semplice atto anagrafico, piuttosto che in anagrafe, grande parte dei cittadini delegava la richiesta al sindacato o al partito. Spesso i politici e i sindacalisti gestivano i rapporti con i cittadini “ignoranti” in modo clientelare e affaristico.
In questo contesto la disillusione e il senso di impotenza dei giovani furono leniti dall’eroina regalata (all’inizio). Furono in tantissimi a cadere in trappola! Le inquietudini giovanili, i conflitti generazionali in un momento storico particolare come quello di quegli anni, non vennero letti in chiave sociologica, neppure in chiave politica, né ci si costituì parte civile a tutela della nostra gioventù! Qualche amministratore negò, con veemenza, persino l’evidenza e l’esistenza della mafia!!!
I giovani di allora non sapevano niente delle droghe e moltissimi in breve tempo rimasero vittime della dipendenza. Aumentarono a dismisura i crimini, gli arresti, le malattie infettive e l’HIV. Qualcuno ebbe la possibilità e soprattutto la volontà di scegliere il percorso della comunità terapeutica. Alcuni riuscirono a salvare la propria vita, ma molti, troppi altri, ci hanno lasciato segnando un vuoto generazionale molto doloroso. Una intera generazione di giovani è stata spazzata via, o indebolita irrimediabilmente.
Marcella avrebbe voluto cambiare vita, e come lei tanti, ma lei non ne ha avuto né il tempo, né il modo. Marcella ci è stata ammazzata dalla mafia, ritengo sacrosanto il riconoscimento pur tardivo dello status di vittima innocente di mafia. Come lei, ritengo però vittime innocenti di mafia anche tutti i giovani concittadini morti per colpa delle droghe e di chi, della droga ne aveva fatto il più redditizio business mai visto da queste parti. Ho visto cose davvero orribili in quegli anni!
Non possono esistere giustificazioni sufficienti per gli assassini. Costoro hanno spento ciò che di più sacro c’è al mondo. La vita. Hanno scippato l’amore di una madre a una bimba piccola. Non sono capace di perdonare questo omicidio, né di dimenticarlo.
Non vorrei l’oblio per la breve vita di questa giovane donna, sarebbe giusto invece curarne il ricordo tra chi non l’ha conosciuta, affinché i nuovi giovani comprendano come le mafie seminano terrore, fanno affari e controllano i territori attraverso la sopraffazione e lo sfruttamento dei più fragili.
Intitolare il parco a Marcella potrebbe offrire spunto per parlarne con i figli e i nipoti di diverse generazioni. (...) Ma un ricordo rimanga anche di quanti come lei, non sono più tra noi. Ciao Carmelino, ciao Angelo, ciao Alberto, ciao Antonio, ciao Roberto, ciao Cosimo, ciao Giuseppe, ciao Mario, ciao Alessandro, ciao Luigi, ciao Claudio, ciao Rudy, e… potrei continuare ancora, se cercassi tra i ricordi!
Un sogno lungo un quarto di secolo
Ovvero dalla professione, al volontariato (1979-2009)
Abitavo a Lecce sin dall’infanzia quando, appena conseguito il Diploma di Laurea in Servizio Sociale (1977) fui miracolata da una legge regionale per l’occupazione giovanile (L.R. Puglia 285/77) che mi offrì un incarico a tempo determinato per 8 mesi, come Assistente Sociale comunale (in seguito prorogato, fino all’immissione in ruolo). Scopo di quel progetto era costituire in ogni Comune pugliese, piccole equipe composte da 1 Assistente Sociale, 2 infermieri e 3 collaboratori domestici per avviare un servizio di Assistenza domiciliare agli anziani.
Fu una semplice chiamata diretta dalle liste dei disoccupati iscritti all’ufficio di Collocamento nel mio comune di nascita: Mesagne, a dare un corso diverso da quello che era stata sino ad allora la mia vita.
Mi trasferii, carica di sogni, da Lecce, nel 1979. Ero orgogliosa e felice di non dover dire grazie a nessun personaggio politico per il lavoro ottenuto (come spesso accade nelle assunzioni negli enti locali). …
Con il tempo, anni dopo, sono state assunte altre due Assistenti Sociali e insieme abbiamo con immensi sforzi, costruito un “Sistema” che offriva servizi alla popolazione, come spesso diceva un Assessore, tenendo conto dei bisogni, “dalla culla, alla bara”. Avevamo un efficiente asilo nido, numerose sezioni di scuola materna ben distribuite nei quartieri, due Circoli di scuola primaria e due di primaria di secondo grado, due istituti superiori. Con fondi ministeriali, i nostri sforzi di progettazione furono premiati e in qualche anno riuscimmo ad attrarre risorse per circa un miliardo di lire. Una serie di servizi diventarono operativi con l'assunzione di circa dieci educatrici (che formammo), c’erano una ludoteca, biblioteca per ragazzi, tre centri educativi per l’infanzia dislocati nei quartieri, un centro socio-educativo per adolescenti (Allegra Compagnia), un Centro Sociale, un Informagiovani, un Centro Ascolto e l’assistenza domiciliare agli anziani. Questo fu il nostro modo di combattere la mafia. Offrire servizi alle famiglie, aiutarle a crescere i figli in ambienti pedagogicamente stimolanti, consentire a tutti di sperimentare nuove socialità e partecipazione. Cercammo di non lasciare indietro nessuno. Rimangono alla storia le bellissime esperienze dei Centri Estivi completamente gratuiti per tutti i partecipanti, i carri allegorici per la sfilata di Carnevale, i saggi di fine anno delle attività dei Centri per minori.
Nella pratica professionale, mi sono occupata per molti anni, tra l’altro (ma soprattutto), delle problematiche di “Anziani” “Minori” e “Giovani”, oltre alla sequela, sia per l’assegnazione di contributi economici a famiglie indigenti, che per il Tribunale Minorile.
Nonostante tutto il mio impegno, purtroppo anno dopo anno ho constatato che l’utilizzo delle metodologie classiche e delle tecniche professionali convenzionali studiate, non riuscivano a sortire sufficienti miglioramenti sulle condizioni esistenziali dei circa 120 minori portatori di disagio, affidati ai Servizi Sociali comunali dal Tribunale per i Minorenni con provvedimenti limitativi della potestà genitoriale. C’era bisogno di un approccio diverso.
Era mio desiderio e necessità trovare soluzioni maggiormente rispondenti ai bisogni dei ragazzi di Mesagne, ma desideravo anche che allo stesso tempo fossero attrattive, così all’inizio degli anni ‘90 (gli anni bui in cui la Sacra Corona Unita la faceva da padrona in città), proposi al mio (giovane) Assessore ai Servizi Sociali, di metterci in ascolto dei bisogni reali dei ragazzi, organizzando un Convegno interlocutorio che titolammo “Quali politiche per i giovani?”.
Brancolavamo nel buio, cercavamo idee e relatori adatti al tema. Invitammo a parlare di politiche giovanili diverse personalità, tra cui anche un Assessore alle Politiche giovanili di Reggio Emilia, e un docente di Sociologia dell’Università di Lecce, il Prof. Piero Fumarola, conosciuto quando studiavo.
Quest’ultimo proprio in quel periodo collaborava con il Prof. Georges Lapassade, in una ricerca sulla trance e sulle relazioni tra tarantismo e rap/raggamuffin ed era ospite di Fumarola. Fu così che il fato ci mise lo zampino e ci trovammo presente al nostro Convegno a Mesagne, anche il luminare francese.
Fu un incontro determinante, potenziato dall’impatto sulla Città che ebbero anche 40 writers provenienti da tutta la penisola, da me faticosamente selezionati e invitati a venire a graffitare durante il giorno del Convegno, una intera strada che costeggia una scuola materna, una elementare, una superiore e il Palazzetto dello Sport. L’operazione fece scalpore, si creò stupore e interesse tra adolescenti e giovani mentre al Convegno Lapassade descrisse la realtà che vivevano i giovani francesi, molto lontana dalla nostra, lì il rap ed in genere lo stile hip hop, erano diventati emblema della protesta giovanile.
I giovani mesagnesi si dimostrarono immediatamente interessati a questo argomentare e finito il convegno, fecero capannello intorno al ricercatore chiedendogli di approfondire. L’anziano docente, stupito da tanto sincero interesse, fornì copiose indicazioni bibliografiche, ma i giovani affascinati dal suo carisma, insistevano nelle richieste di sua presenza e guida, così il buon Georges si rese disponibile a tenere un seminario fuori programma sull’argomento, a patto che durasse almeno un mese e a patto che ci fosse un congruo numero di presenti/interessati.
Il seminario si tenne presso i locali dell’ex Centro Sociale “BIKO” che il Comune aveva da poco aperto nel centro storico, primo e forse unico esempio di Centro Sociale giovanile in Puglia, nato da un ente locale.
Lapassade nonostante l’età avanzata e le sue precarie condizioni di salute, fece il pendolare da Lecce a Mesagne per tutto un mese e ciò infiammò gli animi, per primo il mio! Da quegli approfondimenti rivoluzionari traemmo spunto per proporre al Comune di aprire un centro socio-educativo per adolescenti (la fascia d’età maggiormente rappresentata tra i minori affidati al Serv. Soc.) Mi rodeva molto che qualcuno, appena 14enne avesse già giurato la sua affiliazione, e fosse sempre più invischiato in attività criminose!
Dalle parole ai fatti.
Aprimmo quel centro. I ragazzi scelsero il nome di “Allegra Compagnia”, lo collocammo in un immobile confiscato alla mafia. Lo attrezzammo e dotammo anche di 4 animatrici/educatrici. Fu inaugurato da Don Luigi Ciotti in pompa magna, alla presenza di tanti cittadini e amministratori. Lo dichiararono Presidio di legalità…
Vietato l’accesso
Nel mentre, l'Amministrazione Comunale continuamente e testardamente negava le autorizzazioni all’accesso dei ragazzi all’impianto sportivo abbandonato, anche se questo luogo era stato sede di allenamento del defunto centro “Allegra Compagnia” e che quindi i ragazzi “sentivano” casa loro. Il motivo del diniego? Nessun ragazzo era iscritto alle associazioni sportive registrate, perché quasi nessuno poteva pagare quote associative alle locali lobbies dello sport, e di conseguenza, purtroppo non erano coperti da assicurazione e quindi non potevano praticare nessuno sport negli impianti comunali e venivano regolarmente mandati via.
L’impianto sportivo di cui parliamo era un ex pattinodromo, costruito a fianco a un Palazzetto dello Sport nei tempi in cui in Regione si elargivano finanziamenti a pioggia per la costruzione di impianti sportivi, salvo poi chiuderli per mancanza di cultori di quello sport e abbandonarli. Il nostro era ormai diventato una discarica di rifiuti, siringhe e oggetti vari lanciati oltre la recinzione. Era un luogo di loschi traffici, periferico e scarsamente illuminato, confinante con la rete ferroviaria BR-TA. Nonostante tutto e tutti, utilizzato abusivamente dagli skaters che imperterriti scavalcavano la recinzione e volteggiavano su una piccola rampa lasciata loro in eredità da uno skater che si era trasferito all’estero, mentre io quasi ogni giorno ricevevo le lamentele del custode della scuola primaria posta di fronte al pattinodromo che mi rimproverava per le invasioni degli skaters sapendo che tra loro c’era mio figlio.
Bollenti spiriti sbarca a Mesagne
Alcuni membri dello Staff di “Bollenti Spiriti” telefonarono alla mia Dirigente dagli uffici della Regione Puglia pochi giorni dopo aver inviato all’Assessorato Politiche Giovanili comunale la formale comunicazione del lancio del Bando “Principi Attivi”. Chiedevano supporto logistico per organizzare la divulgazione del bando in un ambiente consono dove riunire i giovani. Fui felice di ricevere la delega a organizzare quell’incontro che mi rendeva di nuovo operativa in quel settore. Se non ricordo male, svolgemmo quell’incontro in un rovente pomeriggio di luglio, nella nostra Biblioteca Comunale che si rivelò addirittura insufficiente a contenere i presenti, attratti forse dalla locandina con una buffa mascotte e/o dall’abstract del bando che avevo realizzato e divulgato a tutti, proprio tutti i possibili portatori d’interesse, singoli e associazioni.
In quella occasione ebbi modo di conoscere di persona il Responsabile regionale dello staff - Annibale D’Elia - e uno dei suoi collaboratori - Marco Ranieri - che si rivelarono essere fin da subito, i funzionari più giovani, meno burocrati e più empatici che io avessi mai conosciuto in vita mia! Anche il Bando “Principi Attivi” illustrato con parole semplici e chiare arrivò al cuore e al cervello dei tanti presenti che non risparmiarono domande e richieste di interpretazioni autentiche su alcuni aspetti.
Dalla crisi, alla consapevolezza
Vivevo un grande conflitto tra i vari ruoli che comunque rivestivo: ero la madre di un adolescente desideroso di praticare uno sport individuale in autonomia, ero una assistente sociale che si occupava di giovani e di sperimentazione di servizi dedicati ai minori e ai giovani, conoscevo bene le loro aspirazioni e ritenevo necessario dargli una opportunità, proponendo la nascita di un progetto con il coinvolgimento di altri giovani skaters neo-laureati in scienze motorie appena rientrati da Bologna.
Alla prima riunione che organizzai (volutamente in orario extralavorativo ed extrascolastico) - perché volevo essere libera di esprimermi come cittadina e non come l’Assistente Sociale comunale, invitai un mix di portatori di istanze diverse in un bar. Li incitai a provare a dare parole ai loro sogni e a scriverle. L’incontro si rivelò efficace. A questo gruppetto, si unì anche un giovane che produceva musica e che era stato uno dei tutor del centro socio-educativo, in seguito divenuto famosissimo fondatore del gruppo musicale Boom da Bash. C’erano secondo me tutti gli ingredienti giusti per scrivere un bel progetto.
La mia illustrazione del bando entusiasmò a tal punto che, sin da quel primo incontro, 5 ragazzi decisero subito di volerci mettere la faccia, compreso mio figlio neomaggiorenne. In poco tempo produssero una discussione vivacissima e competente, tanto da riuscire in circa due mesi, con il mio aiuto, a scrivere il progetto del loro skatepark, il “Salento Fun Park”,il primo parco urbano legato alle street arts. …
Il progetto si classificò terzo in graduatoria su 1563 presentati, di cui 420 finanziati!
Io e i ragazzi eravamo euforici! Vinto il bando, gli Amministratori ancora increduli che cinque ragazzetti potessero gestire in autonomia i soldi della Regione, non potendosene esimere, concessero la location (non senza pregiudizi, lungaggini burocratiche e tantissimi ostacoli reali e fittizi). Il budget a disposizione era davvero esiguo, solo 25.000 euro, ma i ragazzi ebbero la capacità di acquistare tonnellate di ferro, farle trasformare da una azienda locale in rampe da skate disegnate da loro e farsele noleggiare in leasing. Spesero i soldi presto e bene.
Nacque finalmente così il Salento Fun Park, inaugurato il 28.06.2009, gestito dall’ A.S.D “Street Sport Association Fun Club”, circa 25 anni dopo averlo sognato - grazie all’incontro fantastico con Georges Lapassade.
A distanza di qualche anno dal primo finanziamento, il Salento fun Park ha vinto un successivo bando regionale che ha permesso la costruzione e l’allestimento di un capannone prefabbricato per l’uso di servizi al coperto. Un terzo finanziamento, sempre regionale, beneficiario il Comune, ha permesso sia l’installazione di pannelli fotovoltaici che riducono i costi di gestione, sia l’impianto di videosorveglianza e l’acquisto di piccole dotazioni sportive.
La gestione ormai quindicennale del posto rappresenta ancora oggi una buona pratica di attivazione dal basso, di collaborazione tra diverse generazioni di giovani appassionati di Street sport & Arts. … Negli anni, il gestore ha sempre potuto contare sulla collaborazione e sul volontariato spontaneo di alcuni dei circa 400 giovani tesserati affiliati all’ARCI. Il direttivo composto per metà da under 30, in questi 15 anni ha accumulato tanta autonoma esperienza, ha imparato, confrontandosi e alcune volte scontrandosi con gli adulti, a difendere lo spazio faticosamente conquistato.
Ora sanno proporre, discutere e realizzare le loro idee. Sono diventati bravissimi ad autogestire risorse economiche e umane per allestire tantissimi eventi sportivi, concerti musicali e performance culturali e sociali di vario genere, molto spesso gratuiti e comunque mai per profitto. Quegli ex ragazzi attualmente compongono testi, cantano, ballano, hanno fondato un’etichetta musicale indipendente, sono grafici ricercati, dj e vj capaci di sostenere l’Hip Hop Community”, un movimento molto attivo in provincia di Brindisi. Alcuni di questi ragazzi, ormai adulti, attualmente cavalcano le scene internazionali del writing, della break dance es. Omed ha partecipato a molte competizioni mondiali, vincendone tante, gestisce a Mesagne una delle più importanti palestre di breakdance italiane: “Danza in disordine”.
Il Salento Fun Park ha supportato e sponsorizzato molti giovani talenti come il dj Spada, campione mondiale di scratch; ha lanciato nel mondo della grafica, personalità come Bando, Keiro, Panka; e poi ancora bravi esperti della comunicazione, Dj, fotografi, video maker, come mio figlio Omar Eox, oltre che skater, ma anche dj, vj artista creativo di videomapping 3D e modellatore di stampanti 3D.
Per farvi un’idea dello spirito che anima il luogo, visitate questo link e rimarrete informati. Salento Fun Park.
Note
[1] Se avete voglia di conoscerlo un po’, ascoltate questa intervista a Piero Fumarola in memoria di Georges Lapassade Tarantularubra.it, da Lui mi sono lasciata ispirare.