Vice presidente, coordinatore e referente del servizio "comunicazione e cultura" Associazione Comunità Emmanuel ETS.
Abstract
La “mia storia” di impegno nel sociale è cominciata così e oggi, che sono ormai quasi quarant’anni che vivo con molta gioia – ci tengo a dirlo – questo impegno che avvolge come un grande abbraccio la mia vita personale, di coppia e di relazione, posso dire di aver sperimentato che dietro ogni organizzazione sociale – sia anche la più grande e strutturata – ci sono “persone” che, in un giorno “x” del loro “ordinario quotidiano”, hanno impattato bisogni evidenti, domande – talvolta inespresse, talvolta sussurrate e talvolta anche gridate con tutto il dolore di vite frantumate – e hanno scelto di non restare fermi, di “farsi prossimo”…
Laboratorio della memoria e del volontariato del Terzo Settore
LabTS Laboratorio di cultura politica del Terzo Settore
Mi affascina la storia costruita dagli uomini!
Un Sessantotto vissuto dal sellino di una vespa 50; una rete digitale ante litteram che diventa cyber-attivismo unito alla cittadinanza attiva; le polveri sottili dell’Ilva di Taranto “scoperte” da un gruppo di ragazzi che giocano in un campo di calcio del rione Tamburi; un pattinodromo, frutto di “scelte politiche inutili” che diventa punto di partenza di una corrente musicale giovanile, e un paese di un entroterra del meridione, corrotto e malavitoso, che, piano piano, negli anni e con l’impegno di qualcuno – che poi diventa impegno dei più – si accende di luci di eccellenza.
Allora è proprio vero! Quel «cambia il mondo da dove puoi, comincia da te», che ho sentito nel 1985, quando mi sono avvicinata alla Comunità Emmanuel, e che mi ha accompagnato lungo gli anni, non è solo un’utopia, non è solo un sogno di un qualche “visionario”, è una “eutopia” - “luogo buono” … possibile!
Sì, perché quando il sogno di una persona diventa condiviso da altri… può diventare realtà! Può veramente costruire una storia dalla quale si dipartono altre storie, i “ricordi” di una persona, condivisi, diventano “memoria”, e le memorie, messe insieme, ecco: fanno “storia”! Non storia che arriva da “fonti ufficiali”, ma storia costruita dal basso, storia che si impara direttamente da chi l’ha vissuta!
Mi affascina la storia costruita dagli uomini!
Sono arrivata alla Comunità Emmanuel da lontano
Venivo da un mondo tranquillo e borghese, un mondo lontano dalla povertà, nel quale l’attenzione all’altro si limitava al rispetto ricevuto come principio di educazione familiare e chiuso dentro le mura della mia casa paterna, costruita – certo – con sacrifici, ma bella e lontana dai contesti più poveri del paese in cui abitavo.
La “spinta partecipativa” della mia famiglia alla vita del paese – agricolo, 15mila abitanti, la scuola, la banca e nulla più – a mia memoria, si era limitata a una semplice elezione a consigliere comunale di mio padre, miseramente naufragata con le sue dimissioni dopo pochissimo tempo dall’elezione, perché: «questo mondo della politica, corrotto e maneggione, non è per me!».
Il nostro benessere economico – costruito dai miei con fatica, ma negli anni Ottanta ormai consolidato – si allineava a quanto storicamente stava avvenendo in quegli anni nel resto della nazione: la società povera, prevalentemente agraria, patriarcale, confessionale e classista dell’immediato dopoguerra era scomparsa e si andava consolidando una società più libera, economicamente dinamica e in fase di rapida modernizzazione.
Tuttavia, questa crescita che andava delineando una società civile più ricca e differenziata, caratterizzata da spinte partecipative, dal desiderio di una migliore qualità della vita e anche da un impegno per diventare soggetti attivi di cambiamento, erano lontani anni luce dal luogo in cui vivevo, e da me: in quello sperduto paesino del sud Italia tutto era fermo, me compresa!
Poi, un bel giorno – come succede nelle favole – ho conosciuto un ragazzo, più grande di me. L’ho trovato subito interessante. Anche lui mostrava interesse per me, abbiamo cominciato a frequentarci e ci siamo fidanzati. Lui però viveva a Lecce – a circa 50 chilometri dal paese in cui abitavo – lavorava e, “come se non bastasse”, era impegnato in un’attività di volontariato – … attività di volontariato? E che cosa era questa cosa? – era comunque “qualcosa” che lo assorbiva molto; finivamo per vederci poco, ma il nostro legame diventava sempre più forte: «proviamo a fare qualcosa insieme – ci siamo detti un giorno – potremo vederci così un po’ di più!».
Detto! Fatto! Nel 1985, un convegno che la Comunità Emmanuel, dove lui faceva questo suo – per me sconosciuto – volontariato aveva organizzato, fu l’occasione per avvicinarmi proprio a quella Comunità, che prendeva tanto tempo al mio ragazzo. Nella sala che ospitava i lavori c’erano persone che raccontavano quello che facevano all’interno dell’organizzazione… io le guardavo, capivo poco, non ricordo i loro discorsi, ma ricordo perfettamente che pur essendomi apparse come persone assolutamente “ordinarie”; tuttavia, avevano un “non so che di straordinario” che stava arrivando dritto al mio cuore. Una sorta di vortice di vita e di senso stava girando intorno a me e, senza che me ne rendessi conto, mi stava già coinvolgendo.
La “mia storia” di impegno nel sociale è cominciata così e oggi, che sono ormai quasi quarant’anni che vivo con molta gioia – ci tengo a dirlo – questo impegno che avvolge come un grande abbraccio la mia vita personale, di coppia e di relazione, posso dire di aver sperimentato che dietro ogni organizzazione sociale – sia anche la più grande e strutturata – ci sono “persone” che, in un giorno “x” del loro “ordinario quotidiano”, hanno impattato bisogni evidenti, domande – talvolta inespresse, talvolta sussurrate e talvolta anche gridate con tutto il dolore di vite frantumate – e hanno scelto di non restare fermi, di “farsi prossimo”…
La luce guardò in basso e vide le tenebre.
«Là voglio andare» disse la luce.
La pace guardò in basso e vide la guerra:
«Là voglio andare» disse la pace.
L’amore guardò in basso e vide l’odio:
«Là voglio andare» disse l’amore.
Così apparve la luce
e inondò la terra;
così apparve la pace
e offrì riposo;
così apparve l’amore
e portò la vita. … (G. Pellegrino)
La storia costruita dal basso, a mio modo di vedere, comincia sempre così!
Quattro costanti
Se ripenso alle tante storie di impegno sociale che ho sentito narrate fin dall’anno in cui ho cominciato in maniera più continuativa il mio servizio nella Comunità Emmanuel, ritrovo quattro costanti.
La prima affonda le radici nella certezza che lo “sporcarsi” – spesso letteralmente – “le mani” e il mettersi accanto ai più deboli è la via maestra per contrastare forme di disattenzione, esclusione, sopraffazione e discriminazione; riaffermare la dignità e il valore proprio di ogni essere umano e attivare dinamiche di speranza e di positiva trasformazione individuale e sociale.
La seconda ha a che fare con il risultato, più immediato e visibile, del servizio orientato alla persona: quante vite spezzate ritrovano dignità, sorriso, speranza, grazie a quell’uomo, a quella donna, che “ha scelto di farsi prossimo” di qualche altro uomo o donna che nelle inevitabili difficoltà della vita dimostra chiaramente di non riuscire a farcela da solo.
La terza è stata nutrita dalla consapevolezza, comune a molte organizzazioni sociali, che per affrontare bisogni, spesso assai complessi, sono assolutamente necessarie sinergie e complementarietà, in altre parole è necessario “fare Rete”, perché nella “Rete” ciascuno porta la propria esperienza, la forza di qualcuno compensa la debolezza di altri e lo scambio di conoscenze e di prassi migliora i risultati dell’azione.
La quarta, infine, si lega indissolubilmente a quei “compagni di cammino” che si incontrano per caso sulla via, ma che finendo con il condividere con te gioie e dispiaceri, fatiche e speranze, anni, vita, scelte… si trasformano in fratelli e amici con i quali si tessono insieme legami di affetto vero e sincero e diventano tessere importanti di quel puzzle che è l’esistenza tua propria.
“Costanti delle storie di impegno sociale”, dicevo: le ho respirate e ascoltate tante volte nelle infinite occasioni di informazione, formazione e condivisione che mi sono capitate lungo gli anni, ma le ho veramente apprese, interiorizzate e vissute nella Comunità Emmanuel.
I valori fondativi e fondanti della Comunità Emmanuel mi sono stati trasferiti nel modo più bello ed efficace: non dall’alto di una cattedra, non attraverso noiosissimi trattati di storia sociale, ma attraverso tanti, ma veramente tanti – passatemi l’espressione – “magistrī vitae” che, nella Comunità Emmanuel, in modo semplice – feriale – ne sono stati i testimoni autorevoli e credibili.
Attraverso i percorsi di cura delle persone accolte ho visto sbocciare sorrisi di speranza; dignità recuperate e restituite; potenzialità scoperte e valorizzate; legami familiari ricostruiti e ritrovati, relazioni sociali favorite e realizzate.
Ho imparato la capacità di “fare Rete” sperimentando direttamente la ricchezza che può produrre l’essere uguali e diversi, il guardare in molti verso la stessa direzione e mettere in campo tutte le potenzialità evidenti e nascoste di cui è portatore ogni singola persona.
Il “cammino insieme” l’ho semplicemente vissuto!
E ora…Voglio raccontare tutto questo!
Attraverso la voce dei miei “magistrī” e dei “protagonisti”, gli accolti della Comunità Emmanuel – alcuni – perché in quasi 45 anni di vita sono stati tanti, veramente tanti!
Nella Comunità Emmanuel
I valori che la Comunità Emmanuel ha scelto come struttura e anima della sua esperienza organizzativa sono: “Cristo povero e servo per amore”; “i poveri nostri creditori e benefattori”; “la volontà del dono di sé”; “il coordinarsi e subordinarsi per il fine, il bene comune, il magis” (Statuto Metagiuridico a cura del Coordinamento Intersettoriale della Comunità Emmanuel, ultima stesura marzo 2007).
Certo, la Comunità è nata da un’esperienza di fede – confessione cristiano-cattolica – ma, se vogliamo declinare queste quattro note costitutive in una forma più – diciamo – “laica”, potremmo sicuramente usare parole come: “servizio”; “poveri”; “gratuità”; “impegno per il bene comune”.
Sono “parole-chiave”, che mi piace mettere insieme perché – come ho già detto – sono comuni a “molte storie” di impegno sociale. Sono anche nella storia della Comunità Emmanuel e, per scriverla, utilizzo un “sistema binario” – servizio-gratuità; poveri-impegno – e la snocciolo attraverso alcune “storie di vita” di coloro che l’hanno realizzata.
…
Padre Mario Marafioti sj: “Forte come il diamante, tenero come una madre”
Padre Mario ha aperto a tutti e… si è trovato “padre di una grande famiglia” e fondatore della Comunità Emmanuel!
Non è più tornato in Aspromonte, se non per brevi periodi, ma ormai la gente che si porta nel cuore non ha né bandiere, né frontiere; per lui questa gente appartiene tutta al grande popolo di Dio!
A me, arrivata alcuni anni dopo la fondazione della Comunità, da subito ha insegnato che bisogna solo accogliere l’altro, con amore fraterno; condividere la sorte di chi è più fragile e solo “mettendo vita con vita”, e poi: non resta che amare «con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente!», come fa lui, questo sacerdote calabrese: “forte come il diamante, tenero come una madre”.
Laura Rossi Berarducci: “Attenta, stimolante, sapiente, accogliente, gioiosa, vivace”
...
Non posso fare a meno di riportare un suo scritto che, a mio modo di vedere, rappresenta la sintesi perfetta di tutto quello che ho raccontato di lei.
«Una lunga fila di volti avanza verso di me.
Volti confusi, smarriti,
volti stremati,
volti con occhi arrossati da notti insonni e da droghe
volti di chi si dice “sembra un Cristo schiodato”,
volti scarniti dall’Aids
volti, rigati di pianto, di madri e di padri,
volti impauriti da una maternità in atto, non voluta, quanto meno insospettata,
volti improvvisamente capaci di riaprirsi alla speranza.
Volti illuminati dallo stupore di un figlio che era perduto
ed è stato ritrovato,
volti di giovani uomini e donne invasi dalla depressione
e imbambolati da farmaci placanti,
che hanno ritrovato il sorriso
e frammezzo ad essi
i volti di un gruppo di uomini e di donne
che hanno scelto di immettersi nella fila
per condividere la fatica e la bellezza dell’esistere
verso una Meta, verso il Santuario della Vita.
Così la lunga fila
avanza, avanza…
Accade pure che qualcuno se ne stacchi,
ma certo un seme
è sceso misteriosamente,
come nessuno saprà mai,
e questo seme
in giorno potrà forse maturare e germogliare.
Questa è la storia della nostra Comunità,
un cammino faticoso e bello (…)
che si fa segno, umilmente,
di una grazia che proviene
dalla bontà degli uomini (…)
e della Grazia dell’Amore di un Dio
che si è fatto Uomo
e ieri, come oggi,
di questa fila ha compassione».
(Laura Rossi Berarducci, in La giornata di Laura, a cura di Myriam Giannico, Co-edizione Emmanuel-Lupo, 2012, pp. 73-80, 137-189).
Laura, “maestra del cuore” per me infinitamente cara, sia questo il mio personalissimo grazie!
...
Maria Catalano: “mite, umile, fedele”
Negli anni in cui il problema delle dipendenze esplode e lunghe file di ragazzi e ragazze cominciano a chiedere aiuto, sostegno e accoglienza al primo Centro Ascolto della Comunità Emmanuel, padre Mario chiede a Maria un’accoglienza più diretta alle ragazze con problemi di dipendenza, e Maria, fedele alla sua scelta di condividere la sua vita con le persone nel bisogno, lascia la sua casa e con un gruppo di ragazze che avevano deciso di intraprendere il cammino terapeutico per liberarsi dalla dipendenza, nel 1985, si trasferisce a Villa degli Ulivi, in una delle campagne tra Lecce e Arnesano (Le), e dà vita al primo Centro di Accoglienza Residenziale per ragazze con problemi di droga. Siamo nel 1985.
Due anni più tardi, la proprietaria di Villa degli Ulivi chiede la restituzione della villa, Maria, con le sue ragazze, si trasferisce ad Arnesano (LE), occupando due ville vicine – Villa Aria Sana e Villa Maria – lì continua a condividere la sua vita con ragazze con problemi di droga e di alcool e comincia ad accogliere anche madri tossicodipendenti con bambini e ragazze con problemi di AIDS o in crisi di astinenza.
Oggi Maria ha 88 anni, sebbene avanti negli anni, vive ancora con le ragazze accolte nel Centro Femminile per le Dipendenze della Comunità Emmanuel. Di enorme spessore umano, rappresenta ancora un “faro” non solo per le accolte – che chiama «le mie figlie» – ma anche per l’équipe multiprofessionale a cui oggi è affidato il Centro.
Enrica Fuortes: “amorevole, ferma, materna, in condivisione vita-con-vita”
Sono trascorsi ventisei anni dalla morte di Enrica Fuortes, responsabile della prima Casa Famiglia e del primo Centro Terapeutico della Comunità Emmanuel. La sua figura e la sua opera continuano a essere ricordate, approfondite, apprezzate e, nonostante siano passati tanti anni, sono tuttora uno dei cardini nella vita della Comunità Emmanuel. (...)
Partendo quasi dal nulla, ha dovuto misurarsi non solo con l’impegno di aprire un Centro per l’accoglienza di persone con problemi di dipendenza, ma anche e soprattutto, con la necessità di avviare un metodo adeguato ai loro bisogni e alle domande del territorio quando – siamo negli anni Ottanta – nessuno possedeva “ricette” per combattere la droga e si procedeva piuttosto per tentativi e approssimazioni. (...)
Villa Marsello ancora oggi è il Centro Base per l’accoglienza di persone con problemi di dipendenza della Comunità Emmanuel. Muore di Aids il 13 novembre 1997, a soli 63 anni.
Al cuore dell’impegno sociale
Nella Comunità Emmanuel – I protagonisti: gli accolti
Per introdurci in questo capitolo, faccio una breve premessa. Il numero delle persone accolte nella Comunità Emmanuel, come si può facilmente immaginare, non si può quantificare, e questo non solo perché in quasi quarantacinque anni di vita gli accolti sono stati veramente tanti, ma anche, e soprattutto, perché nella Comunità quando si pensa alle accoglienze non si pensa a numeri, ma a volti e storie di donne e uomini che per un tempo della loro vita hanno scelto di camminare con noi. A loro certamente la Comunità ha dato, ma altrettanto certamente da loro molto ha anche ricevuto.
Detto questo, è evidente che non potendo riportare in queste pagine molte delle storie di vita che sono state raccolte negli anni negli archivi Emmanuel, ho necessariamente dovuto fare una selezione e, considerato che l’accoglienza Emmanuel abbraccia minori e loro famiglie, disabili fisici e mentali, dipendenti e loro famiglie e migranti, ne ho selezionate solo alcune.
Avrei potuto raccogliere storie di vita in tutti i servizi di accoglienza Emmanuel, ma poiché nell’Organizzazione il numero maggiore di accoglienze è nei servizi per le dipendenze (23 Centri su 6 regioni del territorio nazionale) per il settore Dipendenze la raccolta è “numericamente” più ampia; ho attinto, perciò, a questo settore e ho scelto due storie di vita – che riporto integralmente – i cui protagonisti hanno un nome metaforico che è “Forte” e “Tenera”.
Le storie di vita di “Forte” e “Tenera” si possono considerare un esempio straordinariamente rappresentativo non solo di che cosa può significare per un uomo e per una donna cadere nella “trappola” della dipendenza, ma anche di avere il coraggio di “rompere” con scelte sbagliate e riprendere in mano la propria vita.
Accanto a queste due storie faccio poi una piccola carrellata di altre brevi testimonianze che dicono la fatica – e la gioia – di cammini di recupero che restituiscono respiro e speranza non solo per le persone che fanno il cammino, ma anche per i loro familiari.
(...)
Come se il tempo non fosse passato
«È proprio vero: una persona può immaginare, creare e costruire tante cose belle, ma perché i sogni diventino realtà ci vorranno sempre altre persone… il Terzo Settore lo sa, lo fa, e il sogno di uno può diventare realtà per molti… dall’“io” al “noi!». Si chiudeva così, per me, il primo “Laboratorio di Scrittura Autobiografica” (2020-2021) al quale ho partecipato. Poi – con un salto nel tempo che solo la memoria può fare – gennaio 2024, la proposta di un secondo Laboratorio: “Storia delle Organizzazioni in chiave autobiografica”. Non esito neanche un momento e comunico la mia partecipazione…
Eccomi di nuovo in collegamento online: volti nuovi, ancora sconosciuti, mi salutano e mi sorridono dallo schermo del mio computer e, come per una strana alchimia, tutto riparte, come se il tempo non fosse passato… le vite, le storie, la storia, riprendono a fluire nella mente, vanno diritte al cuore, ti prendono, ti sorprendono… di nuovo!
Se dovessi descrivere che cosa ha rappresentato per me questa seconda esperienza laboratoriale mi dovrei fermare qui, se dovessi tradurre in parole quello che anche il Laboratorio appena concluso ha suscitato in me dico: confidenzialità, spirito di collaborazione, armonia, vicinanza, amicizia… ma, descrivere suggestioni è sempre difficile, sicuramente è riduttivo: è “vita”! Passa tra le tue mani, e tu, alla fine, puoi solo viverla e, guardandoti indietro, semplicemente, dire: «è stato bello!».
Sul piano personale mi piace arrivare così alla fine dell’esperienza di questo secondo laboratorio di scrittura, mi sembra, tuttavia, cosa dovuta aggiungere alcuni grazie.
Il primo grazie va a LabTS e agli organizzatori. Avete voluto, pensato e realizzato l’iniziativa che, come tutte le iniziative, richiede un lavoro, una presenza e un’attenzione che – lo sappiamo bene – continuano anche quando ci si saluta e i computer si spengono. Grazie per tutto il supporto nell’organizzazione e nella gestione del “nostro” “Memorie e Storie Solidali”, soprattutto grazie per aver fatto sentire tutti noi “benvenuti” in questo “ambiente di lavoro” che io ho percepito, da subito, accogliente, “familiare”, e prezioso, sia sul piano personale, sia rispetto all’Organizzazione di cui faccio parte.
Il secondo grazie va alla docenza. Caro prof. Valastro – Orazio per tutti noi – la tua conduzione del Laboratorio, per me, anche questa volta, si è confermata un piacere della mente e dell’anima. Della mente, per gli stimoli che ci hai dato e per le sollecitazioni con le quali ci spingi a metterci in gioco, e per l’anima, perché la tua docenza è sempre una concretissima attestazione di una straordinaria capacità di ascolto e di rispetto nei confronti dei “tuoi discenti”.
Il terzo – ma assolutamente non ultimo – grazie va ai miei compagni di viaggio. Quando ripenso a tutti – e a ognuno – di voi, dai miei ricordi affiora quella poesia di Tagore che dice:
“Dormivo e sognavo
che la vita era gioia.
Mi svegliai e vidi
che la vita era servizio.
Volli servire e vidi
che servire era gioia.
Con voi ho respirato a pieni polmoni “il sogno”, “il servizio”, “la gioia del servizio”; alla fine di questo “respiro pieno” nella mente mi resta il pensiero che in questo laboratorio “siamo riusciti a essere una grande squadra” e, nel cuore, la certezza che la presenza di ognuno di voi e la condivisione delle esperienze ha reso tutto più bello.