Oggi membro della Caritas parrocchiale della S.S. Annunziata di Mesagne.
Abstract
Inizio a scrivere la, “mia”, storia di Mesagne tra gli anni ’80 e gli anni 2000 partendo dal presupposto che c’è bisogno di recuperare la memoria di quello che è accaduto in quegli anni. In tanti è rimasto il ricordo, ma ho bisogno, come tanti mesagnesi, di entrare nel cuore (la memoria) di cioè che è avvenuto.
Laboratorio della memoria e del volontariato del Terzo Settore
LabTS Laboratorio di cultura politica del Terzo Settore
Ai guardiani del “bivio”
Al primo bivio: Fortunato Sconosciuto
Al bivio oggi: Guido Memo, Orazio Maria Valastro, Valeria Pecere e Salvatore Vetrugno
Questo scritto autobiografico nasce nell’ambito del percorso laboratoriale “Memorie e Storie Solidali” promosso dall’associazione LabTS (Laboratorio di cultura politica del Terzo Settore) e realizzato dal dicembre 2023 al maggio 2024, con lo scopo di costruire autobiografie di volontari, operatori sociali e associazioni del Terzo Settore (TS) e un archivio di biografie di cittadini attivi, nonché di mettere insieme un nucleo di persone motivate che si appassionassero al metodo autobiografico per contribuire alla costruzione di un “archivio della memoria”.
Per essere accompagnati alla raccolta di biografie e storie di vita è stato indispensabile il contributo dell’associazione “Le Stelle in Tasca” e del suo presidente, sociologo prof. Orazio Maria Valastro, che da anni si occupano di promuovere lo strumento della narrazione biografica in Sicilia e nel panorama internazionale della ricerca sociale qualitativa. (...)
Questo ciclo di incontri nasce per una sperimentazione di metodi e prassi di ricostruzione della biografia delle organizzazioni di volontariato, allo scopo di non dimenticare che la storia la facciamo noi stessi, per contribuire a capire il cammino svolto assieme, le innovazioni introdotte dalle recenti riforme e quelle ancora da introdurre nel mondo del Terzo Settore.
È stato possibile realizzare il percorso di narrazione biografica anche grazie all’interesse mostrato dal CSV Brindisi-Lecce Volontariato nel Salento a offrire spazi e collaborazione, in un’ottica di continuità nel lavoro di ricerca e archiviazione di conoscenze sul TS, al fine di farla diventare patrimonio a disposizione di tutti e rafforzare quel processo di creazione di una identità collettiva in continuo arricchimento di cui il TS ha bisogno.
Tenendo presente quanto descritto, ci si è dunque prefissi di realizzare un luogo (uno spazio virtuale di archiviazione dei materiali di narrazione e conoscenza e uno spazio materiale di archiviazione degli stessi), in cui possano trovare casa caratteristiche e storie della cittadinanza attiva, del volontariato e del TS.
Il gruppo di volontari, operatori sociali e organizzazioni che ha partecipato al percorso con il proprio contributo attivo di narrazione e di esperienza di volontariato e azioni di cittadinanza attiva, promuove dunque questo luogo virtuale dove incontrare le narrazioni di chi ha svolto un ruolo importante per la propria comunità, che solitamente non è citato nei libri di scuola, “ma è la tua comunità, che positivamente o no ti ha formato; è la narrazione di chi ha promosso azioni collettive volte al superamento di piccole o grandi ingiustizie o disuguaglianze, per il raggiungimento di condizioni di emancipazione, inclusione e armoniosa convivenza”, come precisa Guido Memo, Presidente di LabTS e promotore, con la collaborazione di Valeria Pecere, e Salvatore Vetrugno, del percorso sulla memoria.
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La memoria
Inizio a scrivere la, “mia”, storia di Mesagne tra gli anni ’80 e gli anni 2000 partendo dal presupposto che c’è bisogno di recuperare la memoria di quello che è accaduto in quegli anni. In tanti è rimasto il ricordo, ma ho bisogno, come tanti mesagnesi, di entrare nel cuore (la memoria) di cioè che è avvenuto.
Sicuramente bisogna partire dal contestualizzare quegli anni e quindi dovrò, per forza di cose, parlare della Sacra Corona Unita e della devastazione socio-culturale che ha portato con sé. Non è questo però il tema che mi interessa, il taglio con cui voglio parlare di quegli anni è quello di come Mesagne ha risposto a quegli eventi, non per gloriarci di qualcosa ma per cercare di capire gli atti e, ancora più interessante, le motivazioni, consce o inconsce, delle azioni che hanno permesso che la città si ribellasse al potere criminale.
Probabilmente questo potrà servire, principalmente, a chi ha vissuto quegli anni per dare un senso a un periodo della propria vita e del proprio impegno ma potrà servire anche a chi è venuto dopo per prendere consapevolezza che la Mesagne di oggi non è frutto del fato ma frutto del lavoro, del sacrificio e dell’impegno di tanti.
È chiaro che questo sarà solo un punto di vista, perché è la storia che io ho vissuto, è la storia degli eventi che mi hanno visto coinvolto, ed è la storia che ho vissuto con una parte di città, con coloro che erano impegnati nel volontariato, nella cooperazione, nelle scuole, nella politica, nella Chiesa.
Per cercare di renderla, quanto più possibile, non un pezzo di storia, m una storia condivisa, ho chiesto a molti amici, protagonisti tra i tanti, di scrivere la “loro storia”, perché la “storia” di ognuno diventi il più possibile “memoria collettiva”. L’auspicio è che queste pagine possano diventare storia aperta, pagine aperte, e accogliere chi, non interpellato direttamente, si sentirà interpellato dalla sua “storia” e vorrà farla diventare memoria. È un tentativo di “Autobiografia Collettiva”.
Il sogno
Ogni volta che una persona entra in un gruppo, un movimento, in politica ecc. lo fa, tra le altre cose, perché animato da un bisogno, da un suo modo di vedere le cose, da sue sensazioni, in una sola parola lo fa perché ha un “Sogno“, ha un idea delle situazioni esistenti e di come vorrebbe che fossero realmente, capisce che da solo può poco e si unisce ad altri che hanno progetti simili ai suoi e lavora con tutto sé stesso per realizzare questo suo “Sogno” e il “Sogno” collettivo.
Ma non solo, chi è cittadino attivo vuole far realizzare i sogni degli altri o si adopera per farli uscire fuori o per ricostruire quelli infranti.
È un lavoro da non sottovalutare, complesso e non banale, che ha bisogno di mettere in campo alcuni valori-atteggiamenti imprescindibili senza i quali gli obbiettivi non si riescono a raggiungere:
Ascoltare, capire, decidere, accogliere, accompagnare, condividere, avere compassione, collaborare
E ancora
C’è bisogno di giustizia, solidarietà, competenza, attenzione al bene comune, formazione
Tutti noi che abbiamo vissuto quegli anni eravamo, sicuramente, motivati da idee, da progetti, da ideali diversi, ma abbiamo messo insieme il “Sogno” di fare di Mesagne una città libera, non più schiava della criminalità.
È questa la potenza dei “Sogni” che si uniscono, da soli non saremmo mai riusciti a realizzare questa pagina importante della nostra storia recente, unendo le idee, le forze, l’impegno, siamo riusciti a costruire una città molto più vicina al nostro “Sogno”.
Queste pagine vogliono realizzare questo, raccontare come tanti di noi hanno vissuto quei momenti, quali sono stati i “Sogni” che li hanno motivati, quale è stato il filo rosso che ha unito Il sogno di tutti i gruppi, associazioni, scuole, coop., ecc. che hanno “partecipato”.
La mia storia si intreccia con quella di tante persone, associazioni, cooperative, politici ecc., per questo traccio un quadro di questo intreccio virtuoso da quando ho iniziato con l’associazione “Il Samaritano” a quando ho collaborato con “Il Comitato per i Diritti dell’Infanzia” per poi costituire “Il Coordinamento” delle associazioni di volontariato e coop. e insieme dare vita a “Natale nel cuore”, e infine costituire l’associazione degli abitanti del centro storico “Janova”.
Un percorso a più voci dove le vite, le storie, i sogni si intrecciano tra loro e si intrecciano con la realtà, un percorso bellissimo dove, a un certo punto, ti accorgi che non c’è più distinzione tra sogno e reale, tra chi aiuta e chi è aiutato ma è un rincorrere sogni che non si sa più dove nascono e a chi appartengono, sono i… “Sogni in cerca d’Autore”.
Gli anni difficili: la Sacra Corona Unita
La storia della Sacra Corona Unita inizia negli anni Ottanta, in Puglia, nel carcere di Bari, dove tra 1981e il 1983 nasce la Sacra Corona Unita per mano di un mesagnese Giuseppe Rogoli che per non soccombere al tentativo di colonizzazione da parte della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo e appoggiandosi alla ‘Ndrangheta calabrese crea una organizzazione autonoma imitando il metodo organizzativo dei propri avversari e il 1991 è l’anno in cui l’associazione mafiosa in Puglia raggiunge il suo apice di violenza con 188 omicidi, 269 tentati omicidi, 2949 rapine.
Mesagne non è indenne dall’azione della criminalità anzi è al centro di una turbolenta escalation criminale che costringe la città a ripiegare su sé stessa, sottraendo spazi di partecipazione civile e limitando lo stesso accesso fisico ad alcune zone della città…
Mesagne insieme a Fasano è in quegli anni centro immaginario e roccaforte della SCU nel brindisino. Da qui transitano i tabacchi, lavorati esteri di contrabbando, assieme a notevoli carichi di droga, racket delle estorsioni. Le province salentine sono sconvolte dalle bombe degli estortori, dai delitti feroci e c’è terrore nei cittadini.
Mesagne conta un elevato numero di rapine – alcune clamorose con esito tragico, furti sia in città sia nelle campagne (tra giugno 1991 e lo stesso mese del1994 sono state rubate a Mesagne 1360 autovetture, mentre i furti su auto sono stati 387), spaccio di sostanze stupefacenti ed estorsioni agli esercizi commerciali. La villa comunale sembra essere il luogo preferito dai tossicodipendenti della zona, creando ulteriore allarme sociale nella città, e diventando per i trafficanti una delle “piazze” più importanti del Salento. La cosa ancora più grave è che in città gli affiliati si contano a centinaia e purtroppo si assiste all’uccisione di più di 20 persone.
Il centro storico
A Mesagne già da diversi anni si viveva un momento difficile della vita sociale ed economica. Si veniva da anni bui e a subirne le maggiori conseguenze era stato soprattutto il Centro Storico dove la povertà era ad alti livelli, c’era molta dispersione scolastica e il contrabbando di sigarette era l’unica fonte di sussistenza per molte famiglie. Per completare il quadro (nell’aprile 16 dell’86) si evidenziò un forte degrado strutturale dovuto a una falla nel sistema idrico che portò all’evacuazione di una parte della città antica. Furono notificate ben 67 ordinanze di sgombero di cui 36 destinatari erano nuclei familiari (116 persone) e16 erano esercizi commerciali. Seguì successivamente l’abbandono volontario di molte famiglie e il numero totale delle persone che lasciarono il Centro Storico salì a 250. Chiusero numerose botteghe artigianali, chiusero sedi di partito e di associazioni culturali e ricreative, chiuse una banca, l’esattoria comunale e venne esclusa dal culto la Chiesa matrice. Molte strade furono chiuse al traffico e i palazzi e le case vennero puntellate. Emersero gravi problemi igienico sanitari e di controllo sociale del territorio.
La risposta della città
In questo contesto drammatico ci sono da evidenziare i meriti dell’azione antimafia a cominciare dal ruolo svolto dalle forze dell’ordine e della magistratura. È raro, infatti, nella storia dell’azione antimafia trovare in sede locale una continuità d’impegno da parte delle forze dell’apparato repressivo. In quei dieci anni infatti sono state condotte una serie di operazioni che hanno consentito di mettere sostanzialmente alle corde il gruppo criminale. C’è stata quindi attenzione al fenomeno criminale ma soprattutto c’è stata attenzione alla prevenzione e questo significa un investimento nella qualità dell’azione investigativa…. L’attività delle forze dell’apparato repressivo però non sarebbe stata realmente efficace se non ci fosse stata la volontà dell’intera cittadinanza di costruire consenso attorno all’azione delle forze dell’ordine e della magistratura e ad affiancare a questa una politica di prevenzione fatta di impegno civile, politico e amministrativo.
Il “sogno” di… Marcella
Marcella Di Levrano, nel luglio del 2022, con decreto ministeriale, è stata riconosciuta dallo stato come “vittima innocente di mafia”.
Questo ricordo è dedicato a lei e a tutte le ragazze e i ragazzi che hanno avuto la vita e i sogni spezzati dalla droga, dalla delinquenza in genere e da quella organizzata in particolare. Marcella nasce a Mesagne il 18 Aprile 1964 e proprio nei giorni in cui scrivo queste pagine avrebbe compiuto 60 anni.
Scrivo di Marcella, che non ho conosciuto personalmente, ma attraverso i racconti della madre, della sorella e di alcuni suoi amici, perché in questo capitolo che parla della Sacra Corona Unita, ritengo importante parlare di quanto questa organizzazione sia stata disumana, efferata e priva di qualsiasi valore umano e di quanto dolore ha lasciato in singole persone, in tantissime famiglie e nell’intero tessuto sociale.
In questo contesto che parla di sogni c’è necessità di comunicare, come dirò in altre pagine, che la nostra vita, quella di ognuno di noi, è fatta di positivo e negativo e a volte sono alcune circostanze, favorevoli o sfavorevoli o alcune persone che incontriamo, o i luoghi in cui viviamo a determinare il nostro futuro, il nostro destino.
Ho dato spazio a tanti sogni di amici che hanno potuto lavorare per realizzarli, è importante e doveroso parlare di chi per una triste serie di circostanze ha lottato per perseguirli ma se li è visti spezzare, infrangere, da chi, ieri come oggi, non ha nessun rispetto della dignità della persona.
Marcella come tutti noi aveva sogni, tanti si conoscono, alcuni si percepiscono, altri, purtroppo, non li sapremo mai. Il primo sogno, in ordine di tempo, era quello di diventare maestra e quindi di occuparsi ed essere esempio per tante bambine e bambini, quasi una vocazione, perché sin da bambina il suo gioco preferito era fare la maestra delle sue due sorelle, una più grande e una più piccola.
Da tutti viene ricordata come una ragazza solare, alcune amiche d’infanzia la descrivono come una che sin da bambina era “avanti”, era molto intelligente, arrivava sempre prima degli altri e nel suo percorso di studi era la prima della classe. Frequentava l’Azione Cattolica, era piena di vita e sapeva tenere alto l’umore di chi le stava vicino, un'altra sua spiccata caratteristica era di essere attenta alle persone che erano in difficoltà. Marcella amava la musica pop e in particolare Renato Zero di cui aveva un poster sul capezzale del letto.
Era molto estroversa e gioviale, amava far ridere e fare scherzi, tanto che una volta per farne uno alla madre, che era da una vicina di casa, si travestì proprio dal famoso cantante e uscì in strada per andarla a trovare. Vista da dietro somigliava talmente tanto a Renato Zero che un autista alla guida del suo camion, pensando che fosse davvero lui, perse il controllo del mezzo e andò a sbattere contro un palo, con conseguenti bestemmie e invettive.
Finite le scuole medie Marcella continua a coltivare il suo sogno di diventare maestra frequentando l’Istituto Magistrale. Sin qui una vita “normale” anzi una vita che lasciava presupporre grandi soddisfazioni, nonostante diversi e importanti problemi familiari.
Purtroppo, ad attenderla al “bivio” non c’erano le persone giuste e durante il secondo anno delle Magistrali, a soli 15 anni, conobbe la droga e da quel momento la sua vita divenne un inferno, inferno da cui tutta la famiglia fu travolta e purtroppo Marcella non riuscì a uscirne nonostante gli sforzi della madre e delle sorelle.
Per scelta non voglio raccontare la cronaca dei successivi, tristi, 10 anni che hanno contrassegnato la sua esistenza, dico solo che la presenza della droga e dei delinquenti che ha incrociato nel suo percorso l’hanno segnata per sempre, spezzando sul nascere qualsiasi barlume di umanità le si presentasse davanti, voglio parlare ancora e solo dei suoi “Sogni”, i suoi “Sogni spezzati”.
Dopo qualche anno da quel nefasto incontro con la droga, uno sprazzo di luce si presenta nella vita di Marcella, scopre di essere incinta, una gioia immensa, un nuovo motivo di vita, un’occasione di riscatto che la fa allontanare dalle sostanze stupefacenti e dalle pessime amicizie. Finalmente un po’ di serenità per lei e per la famiglia e la possibilità di costruire una vita migliore per sé stessa e per la creatura che porta in grembo. Sono sentimenti profondissimi, molto intimi e lascio ai suoi pensieri la descrizione di quei momenti riportando quello che Marcella scriveva nel suo diario:
“Mio figlio sarà come me, saprà soffrire e nello stesso tempo essere felice, gli insegnerò ad affrontare le cose come ha fatto la sua mamma, ad avere gli stessi ideali, a lottare per amare, e a soffrire, a saper soffrire. Solo in questo modo Io non morirò mai, morirà solo il mio corpo, quello che c’è dentro di me non si distruggerà, se no a che serve nascere???
È per questo che vorrei un figlio!!!”
“Dedicato a lei o a lui.
Io vorrei insegnarti a soffrire, a sbagliare, a pagare e soffrire per il tuo sbaglio e quindi a uscirne fuori più forte! Perché la libertà la si conquista.
giorno per giorno, pagandola prima di averla e continuando a soffrire per tenerla viva. E libertà significa prima di tutto “Vita”. E se piangerai per la vita non ti prenderò in giro!! Forse non ti dirò nulla, ma ti sarò sempre vicino, anche quando la vita stessa ci porterà lontano. Così forse potrò aiutarti anche a essere donna, una donna che riesce a vivere anche senza rancori e inibizioni. Potrò aiutarti a non essere nemica dell’uomo in quanto maschio, e a capire che in ogni uomo, non troverai solo un amante, ma un'altra te.
Sei nata per amore e d’amore voglio che sia piena la tua vita. Il tuo amore deve essere gioia, aggregazione, lotta. Anche verso di me. Chiamandomi pure Stronza o regalandomi un bacio. Chiamandomi per nome oppure mamma. Perché sarai tu a insegnarmi a essere Donna e madre.
Perché tutto avrà senso solo se cresceremo insieme, costruendo a poco a poco un’identità. Nell’autonomia, nel rispetto nell’amore.
La tua Mamma.”
Marcella avrà una bambina e il sogno successivo sarà quello di fare in modo che la figlia non cresca senza un padre, come era stato per lei, cerca l’uomo con cui aveva concepito la bambina ma si trova di fronte a una persona che non ne vuol sapere e viene cacciata a calci subendo pesantemente l’onta di quella umiliazione. Un'altra persona sbagliata a un “bivio”. Presa dallo sconforto e così pesantemente umiliata non resiste e ricade nel tunnel della droga e ancora peggio entra in contatto diretto con gli uomini della criminalità organizzata. Ancora anni bui e momenti terribili ma Marcella non vuole perdere la figlia che ama tantissimo, non può vivere senza di lei, vuole salvarsi e ridare dignità a sé stessa e alla sua creatura, che intanto i servizi sociali avevano dato in affidamento a una delle sorelle.
Con un grande gesto di forza e di coraggio dal Giugno del 1987 inizia a collaborare con le Forze dell’Ordine parlando di tutto ciò che ha visto e delle persone che ha conosciuto.
Nel tempo, nel suo diario, riferendosi, probabilmente, prima ai mafiosi e poi a Dio, scrive:
“Quando sono per strada, vedo tanta gente che soffre, ognuno ha il proprio dolore, e io mi chiedo…xché? Tanta miseria, tanta solitudine, tanto dolore e povertà? Non è la materia che fa la ricchezza, se lo spirito è vuoto, privo del dono di Dio. Quella che è la vera ricchezza…, l’amore!
Pensateci bene.
Marcella”
“Ho paura, paura di tutto, una vita distrutta, una felicità mai vissuta, il pianto, la disperazione, l’impossibilità di fare qualcosa, di lottare contro il buio, il silenzio, c’è un muro, un muro da abbattere, ma le mie mani sono troppo fragili. Aiutami
Marcé”
Il 5 Aprile del 1990, a pochi mesi dalla celebrazione del maxiprocesso contro la Sacra Corona Unita, nel quale sarebbe stata la prima testimone, il suo corpo viene ritrovato senza vita.
Nessuno ha il diritto di spezzare i sogni!
Il “sogno” di… Vincenza
Vincenza è una volontaria che cerca di condividere fratellanza e responsabilità, il suo “Sogno” è quello di lasciare al mondo un futuro “umano”.
“Sono tornata a vivere al Sud dopo gli studi universitari non per scelta, ma perché ho incredibilmente trovato lavoro prima al Sud che al Nord. Una scelta casuale che, però è rimasta tale per poco. Mi è ‘bastato’ trovare dei colleghi simpatici, degli zii molto accoglienti, un mare e una natura ancora bellissimi, affinché la mia si trasformasse in una scelta convinta in poco tempo. Più è passato il tempo, più è diventato forte il desiderio e il sogno di far diminuire l’evidente divario socio-culturale nonché economico con il Nord dell’Italia. Gli amici di Mesagne mi portavano in giro e mi sembrava incredibile essere in quello che veniva definito il centro del “Far West”. Il centro della SCU era proprio qui! Ancora il castello presentava al suo interno cumuli di sassi e, in alcuni punti, era utilizzato come discarica. Ancora quella zona non si poteva frequentare con tranquillità. Mi feci l’idea che il problema del Sud e della sua arretratezza fosse dovuto alla presenza importante della mafia, che riusciva a gestire facilmente traffici di droga e armi, ottenendo ricchi guadagni, contando sulla connivenza delle persone sfiduciate e impaurite, sempre in cerca di lavoro, spesso sottopagate e sfruttate (vedi problema del caporalato) e di una classe dirigente “addormentata”, ripiegata su sé stessa, o impotente, nella migliore delle ipotesi. La gente sembrava accettare lo status quo con rassegnazione.
Sicuramente si poteva fare qualcosa ed era necessario farlo in gruppo, per farsi coraggio. L’arretratezza tecnologica di un posto, la mancanza di un lavoro ben pagato e dignitoso, non sono un principio primo inevitabile. Sono il frutto di mancanza di cultura e strumenti intellettuali che un sistema mafioso ha tutto l’interesse a mantenere “paralizzato” e poco responsabilizzato al bene comune, invece dell’interesse personale.
Sono cresciuta in una famiglia in cui si respirava nell’aria l’attenzione agli altri e a quello che succedeva nella società. Episodi di condivisione all’interno e all’esterno della famiglia erano normali. In maniera più estemporanea nei miei nonni, più strutturati nei miei zii e genitori e soprattutto in mia madre. Faceva parte di associazioni che si occupavano di favorire il lavoro delle donne e di assistenza in caso di bisogno della famiglia. Quando io ero ancora piccola mia madre diffondeva la recente riforma del diritto di famiglia. Non di rado l’accompagnavo a consegnare dei pacchi e condividere un the con le persone che supportava. Per cui cominciare a fare volontariato in un centro anziani, o ad assistere i bambini dei quartieri popolari con la parrocchia per me è stato naturale.
Mi sembrava l’unica cosa giusta da fare: cercare di ascoltare e aiutare con i mezzi che avevo. Crescendo ho allargato gli orizzonti cercando di capire le cause di tanto divario soprattutto con i paesi del terzo mondo. Ho avuto dei padri spirituali che mi spingevano a uscire dal cliché “lavoruccio, mogliettina e macchinina”. La mia è sempre stata una fede “operativa”. Così dopo aver visto i divari e le condizioni di vita in Africa mi sono dedicata a sostenere il commercio equo e solidale, con forza e convinzione. Perché se c’è un problema si deve cercare di risolverlo o per lo meno si deve cercare di dare un contributo, per quanto possibile. Pagare il giusto prezzo ai produttori di cacao o di caffè, spesso vittime dello sfruttamento da parte delle multinazionali era un modo per creare le basi di una giustizia sociale.
Anche se era una goccia nel mare, valeva la pena versarla. Così con Marco (mio marito) abbiamo cominciato a fare banchetti con i prodotti del commercio equo e solidale e ad andare nelle scuole per parlare di questa realtà, costituendo un’associazione chiamata Runi-Runi che significa uomini in quechua, lingua del Sud America, la cui sede l’abbiamo voluta nel centro storico di Mesagne. Un anno ci chiesero di fare un banchetto del ‘Commercio equo e solidale’ in una casa del centro storico per sostenere l’iniziativa di Natale nel Cuore. Accettammo e con l’aiuto di Valter (figlio giovanissimo di amici) creammo questo angolo vendita in una casa.
Durante la manifestazione fui colpita dalle lamentele degli abitanti del centro storico che chiedevano di far finire la manifestazione massimo alle 21 perché dopo avevano bisogno di uscire a “prendere l’acqua” o a sversare i liquidi organici. Non avevano i servizi igienici e si vergognavano a farlo mentre gente non del posto circolava per le strade! Non pensavo che questa situazione fosse presente a Mesagne. Eravamo alle soglie del 2000 e mi sembrava impossibile che esistessero appartamenti dove la gente viveva senza fogna.
Abbiamo così cominciato a conoscere le persone del centro storico, a entrare nelle loro case, vedendo che, in alcuni casi, le situazioni erano veramente non vivibili, insalubri. Così abbiamo cominciato insieme a loro a cercare di capire cosa si potesse fare e come era meglio muoversi per denunciare questa situazione.
Così è nata Janova!
Le donne sono state le prime con cui abbiamo cominciato a confrontarci grazie a Tony Summa e con cui si è creato un rapporto di fiducia e di scambio. Con Anna e le sue figlie e nipoti, Melina, Lina, Pasqualina, Michele eravamo un gruppo. Ci incontravamo ora a casa di una, ora a casa di un’altra, per cercare non solo di risolvere i problemi contingenti relativi alle case, ma anche di riscattare il nome degli abitanti, e soprattutto delle donne, del centro storico. Abbiamo così cominciato a partecipare a iniziative o eventi pubblici in cui loro cucinavano, attività che sanno fare benissimo, offrendo il cibo ai passanti. Ricordo sempre le buonissime pettole e l’abilità di farne tante, come se fosse una passeggiata. Hanno tirato fuori antiche tradizioni come ‘ciciri e tria’ che si usava cucinare per il giorno di san Giuseppe e offrire a chi ne aveva bisogno. Un anno ricordo la tavolata lunghissima sotto il sagrato della Chiesa Madre in cui offrimmo a chi voleva appunto un buonissimo piatto di ‘ciciri e tria’. Partecipò anche Rita Borsellino. Insomma, tante iniziative per cominciare a riscattare le donne del centro storico. In una delle tante riunioni alla figlia di una di loro venne in mente il nome da dare a questa associazione: ‘Janova’, la via nuova. L’intento era appunto quello di permettere a tutti di confrontarsi con la parte per bene, onesta, del centro storico cercando di far cadere il pregiudizio che nel centro storico vivevano solo appartenenti alla SCU.
Sono stati anni molto intensi, di grande collaborazione e apertura, tanto che arrivammo a organizzare un questionario per cercare di conoscere il più possibile le condizioni di vita nel centro storico.
Venimmo a conoscenza di una comunità albanese presente nel quartiere, non tutti sapevano dei diritti che avevano in termini assistenziali, purtroppo ci rendemmo conto che la dispersione scolastica era molto alta. C’erano delle proposte migliorative del centro storico e così su quelle ci concentrammo.
Non so se il fatto che ora il centro storico di Mesagne è vissuto come una bella e interessante meta nella provincia di Brindisi in cui trascorrere un week end, una giornata o anche solo una sera in tranquillità e con la possibilità di approfondimenti culturali può trovare la sua genesi in questa volontà di un gruppo di abitanti di raccontare la loro storia e non quella imposta dalla SCU (Far West) che molti allontanava.
Non so se fare gruppo insieme a loro sia servito a far cadere dei pregiudizi che bloccavano la crescita di questo posto. So solo che in quegli anni e con quelle persone sono stata bene, avevamo un sogno comune, siamo restati insieme umani!”
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Ci ho provato, ho provato a scrivere le memorie di una trentina d’anni della storia di Mesagne, la storia della lotta alla Sacra Corona Unita e del ripristino della legalità e sono andato a scavare nei miei ricordi, mi sono documentato, ho chiesto a tanti compagni di viaggio di scrivere qual è stato il loro impegno, quali sono stati i loro sogni e i valori che li hanno motivati.
Ho provato a “chiudere il sacco” per perdere quanto meno possibile di quel prezioso tesoro. Illuso! Più sono andato avanti e più questo sacco si è aperto e oltre a far uscire la storia, le storie, la memoria collettiva, ha fatto uscire i miei ricordi, i miei sogni, i miei valori e, per la verità, anche molti miei disvalori. Mi ha destabilizzato scoprire che non finisce qui, anzi inizia, ho bisogno di capirne di più, non concludere un percorso ma ripartire da qui, capire quali sono oggi i miei sogni e i valori che voglio vivere.