Collaboratore Scientifico dell’Osservatorio dei Processi Comunicativi, fa parte del Comitato Editoriale della rivista elettronica M@GM@. Membro della Commissione Scientifica AICE/ICEC, Direttore Scientifico “Ambiente e Società” e Membro del Comitato di Collegamento di Cattolici per una Civiltà dell’Amore.
Abstract
L’appello a riflettere sul tema proposto in merito all’ambiguità del dono sembra ruotare intorno ad un concetto centrale: “l’atto del donare può essere definito tale se nulla è atteso in cambio del dono”; e questo, seppur vero per definizione, può apparire iperbolico. Oggi, invero, si invoca l’antropologia di Marcel Mauss per affermare che i doni costituiscono la forma più antica dell’economia in quanto “universali”, avendo preceduto il baratto ed il “mercato”. Si afferma, altresì, che secondo il pensiero Maussiano, il dono è sempre una richiesta di fedeltà, in cui l’impegno a ripristinarla è una scelta dell’altro; per cui si ritiene che il dono vincoli e liberi al tempo stesso. Se così è, allora si è in presenza di una dualità che ne sottolinea l’ambiguità, poiché vincolare e liberare sono antitetici. Se poi è vero che al dono è sempre connessa una richiesta di fedeltà, venendo a mancare il requisito del “nulla attendersi in cambio” si può ancora chiamarlo propriamente dono, secondo la definizione data? Interrogativo circolarmente ripetibile anche su altro fronte. D’altro canto, è difficile negare che la “solidarietà organica” in senso Durkheimiano - ossia riferita ai legami tipici delle società industriali e in contrapposizione alla “solidarietà meccanica” che indica i legami vigenti nelle comunità preindustriali - appare oggi in via di scomparsa. Sembra sostituita da un “ossessivo invito al donare” individualmente, che è onnipresente nella nostra società occidentale. Inoltre, “donare è cosa difficile” e il tema dell’ambiguità del dono è un tema antico riscontrabile nella realtà umana. Basti pensare al cavallo di Troia e ciò che accadde per quel “dono”. I Latini, ben informati su quelle vicende, ricorrevano all’immagine: «Con una mano reca una pietra e con l’altra un pane» per esprimere questa ambiguità. Perciò, ci è stata tramandata dalla saggezza popolare, anche l’avvertenza: “Si riempia di sudore la tua offerta, affinché tu sappia a chi stai donando”.
Whisk ferns - Fukami, Gyokuseidō, and Kanga Ishikawa. Seisen Matsuranfu : shokoku bonsai shashin. Mikawa: Gyokuseidō zōhan, 1837.
Introduzione
L’appello a riflettere sul tema proposto in merito all’ambiguità del dono sembra ruotare intorno ad un concetto centrale: “l’atto del donare può essere definito tale se nulla è atteso in cambio del dono”; e questo, seppur vero per definizione, può apparire iperbolico. Oggi, invero, si invoca l’antropologia di Marcel Mauss per affermare che i doni costituiscono la forma più antica dell’economia in quanto “universali”, avendo preceduto il baratto ed il “mercato”. Si afferma, altresì, che secondo il pensiero Maussiano, il dono è sempre una richiesta di fedeltà, in cui l’impegno a ripristinarla è una scelta dell’altro; per cui si ritiene che il dono vincoli e liberi al tempo stesso. Se così è, allora si è in presenza di una dualità che ne sottolinea l’ambiguità, poiché vincolare e liberare sono antitetici. Se poi è vero che al dono è sempre connessa una richiesta di fedeltà, venendo a mancare il requisito del “nulla attendersi in cambio” si può ancora chiamarlo propriamente dono, secondo la definizione data? Interrogativo circolarmente ripetibile anche su altro fronte.
D’altro canto, è difficile negare che la “solidarietà organica” in senso Durkheimiano - ossia riferita ai legami tipici delle società industriali e in contrapposizione alla “solidarietà meccanica” che indica i legami vigenti nelle comunità preindustriali - appare oggi in via di scomparsa. Sembra sostituita da un “ossessivo invito al donare” individualmente, che è onnipresente nella nostra società occidentale. Inoltre, “donare è cosa difficile” e il tema dell’ambiguità del dono è un tema antico riscontrabile nella realtà umana. Basti pensare al cavallo di Troia e ciò che accadde per quel “dono”. I Latini, ben informati su quelle vicende, ricorrevano all’immagine: «Con una mano reca una pietra e con l’altra un pane» per esprimere questa ambiguità. Perciò, ci è stata tramandata dalla saggezza popolare, anche l’avvertenza: “Si riempia di sudore la tua offerta, affinché tu sappia a chi stai donando”.
La tesi secondo cui il dono, lo scambio e il commercio sono gli unici possibili antidoti alla guerra, all’isolamento e alla stagnazione, ossia l’idea che il dono sia la prima forma di alleanza, di solidarietà e di pacificazione sociale, può trovare, specie in un sistema di economie delle nazioni, un’antagonista nell’antitesi riguardante la conquista globale affidata al “Giusto”, che necessariamente implica conflitto. Poiché nessun popolo, nazione o economia vogliono essere conquistati e privati delle loro prerogative, o ancor meno possono accettare di scomparire in quanto tali.
Un metodo per esaminare e fornire un preliminare spaccato esplicativo su un tema siffatto, arduo e complesso, può essere in via propositiva un breve esame da diversi punti di osservazione, non certo esauribile nel presente lavoro; semmai introduttivo ad una potenziale, più ampia ed allargata riflessione. I punti di osservazione prescelti, proposti per una prima analisi sono, in via esemplificativa e non limitativa, i seguenti:
Giuridico (Donazione come “negozio giuridico” tra donante (o donatore) e donatario; implicita liberalità; coinvolgimento reddituale o patrimoniale; assenza di corrispettivo; potenziali obblighi, possibilità di ripensamento e restituzione, nullità).
Istituzionale-globale (i flussi netti di APS-Aiuti ai Paesi in via di Sviluppo- da parte dei Paesi membri del Development Assistance Committee (DAC) dell’OCSE).
Psicologico (Predisposizione personale, processo decisionale e dinamiche. Donazione nella modernità ed evoluzione del donare sino a divenire assistenza per i meno abbienti. Insegnamento Simmeliano su “Il Povero”).
Sociologico (Relazione soggiacente e correlazione con strutturazione sociale; Gruppo; Familismo/Atomismo; Aspetto transattivo.).
Economico (Donazioni e velocità di circolazione del capitale; sua marginalità decrescente; essenzialità in condizioni di sottosviluppo per l’avvio di processi di sviluppo capitalistico).
Religioso, Esoterico, Scientista (Dono come Restituzione, senso dell’Anonimato; Agape, Philia, Philautia; il Dono Sacrificale di sé; Dono della Terra, della Vita e della Scienza; interrogativi sulla gratuità del dono).
Laico (Atto di responsabilità verso la società, gruppo di appartenenza).
Politico (Atto coesivo sgravante le responsabilità dei governanti e gli interventi di sostegno governativi, favorendo il consenso, le classi dominanti e lo status quo).
Altri eventuali Emergenti (AI).
L’intersezione dei diversi punti di osservazione identifica un preliminare spazio illustrativo soggiacente all’atto del donare. Dato il metodo, la discutibile sufficienza e validità del conclusivo spazio esplicativo cui si giunge, le conclusioni sono necessariamente limitate e legate, in qualche modo, alla numerosità e significatività dei punti di osservazione di un’analisi espandibile. Inoltre, senza alcun proposito di relativismo, data la variabilità spazio-temporale delle dinamiche e dei modelli culturali impliciti nei riferimenti, inevitabilmente non uniformi, ogni spiegazione, frutto di una riflessione individuale e di una visione interiore personale, è necessariamente “opinionale”[1], sebbene “libera”, e non vincolata, se non ad una potenziale e più strutturata ricerca sul campo che ne determini e confermi la validità, delimitandone gli ambiti qualitativi ed eventualmente quantitativi. A tale proposito vengono proposti alcuni spunti volti alla messa a punto di un eventuale schema esplicativo dell’Atto del DONARE per effetto della rottura di equilibrio nella «Reciprocità» veicolata da «Vettori» rappresentanti la relazione sociale tra Donante e Donatario. Spunti potenzialmente utili per un possibile modello, prototipo di un Riduzionismo testabile in una auspicabile ricerca attraverso gli strumenti e dati rilevabili dall’Analisi di Reti Sociali.
Ma, l’interrogativo finale, che sorge e persiste sulla natura ambigua di cui il donare sembra rivestirsi, domanda se l’ambiguità non sia piuttosto localizzata nell’Umano, nella sua malizia, nelle sue interpretazioni, nelle sue intenzioni e nei suoi scopi; o anche nelle sue soggezioni, paure, imbarazzi, connessi all’atto del donare. Una possibilità, questa, remota o probabile in una realtà inesplicata ed inesplicabile, quando donare può anche essere il risultato di un atto semplice, in buona fede, innocente, magari motivato da pulsioni ed emozioni avvertite, ma a cui il donante non trova razionali risposte. Proprio mentre il donatario s’interroga sui motivi per meritare d’essere divenuto tale, dimenticando entrambi che non tutta la realtà è sempre e comunque esplicabile, e non sempre e necessariamente a tutto vi può essere risposta umanamente intellegibile! Quel che rimane certo, secondo un approccio Simmeliano, è che l’atto del donare lega donante e donatario in una relazione di reciprocità, il cui equilibrio è retto e al tempo stesso rotto dal dono. Quasi un “entanglement”, dove ciascuno è una sorta di scopo, meta, termine per l’altro: poiché l’Umano non può essere solo oggetto, ma è anche soggetto, ossia persona, in ogni circostanza della sua esistenza!
Generalità sul tema: «donare, un atto divenuto un’ambiguità sociale»
«Donare, un atto divenuto un’ambiguità sociale» è un’affermazione che interroga! Perché se di affermazione si tratta vuol dire che se ne ha già evidenza, ma in passato poteva non essere così (dato il divenuto!), e dunque esistono le prove, da esibire o ricercare. Ove nell’affermazione si percepisca, invece direttamente l’ implicito interrogativo, la nitidezza del sottile contenuto in questa “domanda iniziale” lascia pensare. E subito la riflessione si scioglie in molti rivoli della memoria e dell’esperienze, permea diversi ambiti e sorgono rilievi a cui dare risposte; oppure riscontri sullo stesso tema, rintracciabili persino nella proverbiale saggezza popolare e negli antichi motti Latini.
La letteratura epica, storica e religiosa ci ha insegnato che sin dai tempi più antichi, gli scambi di visite tra sovrani, re, potestà o dominatori, sono state sempre accompagnate da uno scambio di doni, che talvolta erano pegno solenne con cui si suggellava un accordo, un patto di fedeltà ad un intendimento, ad una promessa. Tipico degli strati più elitari, ma diffuso anche negli strati popolari, il dono era e resta ancora oggi espressione di reciprocità, di una relazione esistente o attesa che impegna, nel tentativo di tenerne viva o di costruirne una mutuamente proficua. E spesso, aldilà delle possibili forme di relazione, costruirla o tenerla viva è intenzionalmente mosso da motivi di interesse e di profitto reciproco, oltre che da buoni sentimenti ed ideali. Sebbene per molti fenomeni reali che si sperimentano (tra cui il piacere del donare, per esempio) si possa individuare un effetto di marginalità crescente all’aumentare delle occasioni in cui essi si manifestano, è difficile dire che ciò accade o diviene piacere stabile, in modo perdurante, solo quando si tratta di dare agli altri; di donare. Di norma, fa piacere anche ricevere dagli altri e salvo casi particolari distanti dalla norma o che hanno semplice valore di gesto di ringraziamento (per es. donazioni caratterizzate da grande distanza sociale tra un donante ricco e potente e un donatario povero e “graziato”), l’esperienza comune suggerisce che tanto più elevato è il valore materiale del dono, tanto più viene apprezzato. L’umano trae soddisfazione nelle occasioni ripetute di piacere, ma la cui intensità è forse variabile, circostanziale e difficilmente relegabile in schemi metrici o predittivi. Perciò, con tutto l’apprezzamento per l’ideale che esprime Bénédicte Salthun-Lassalle (2019), si permetta anche qualche dubbio che: “Dare è l’unico piacere che non si esaurisce. Con la ripetizione, proviamo sempre meno piacere nella stessa situazione piacevole. Tranne quando si tratta di dare agli altri”. Piuttosto che questa citazione, forse è: “DARE, senza aspettarsi nulla in cambio”, che sembra il vero filo conduttore della domanda iniziale alla quale occorre cercare risposte e verifiche. Proprio perché è ancora attuale, nei nostri modi di vivere o di imparare a vivere e comprendere la totale gratuità del gesto del dono.
Come uno spirito critico fa rilevare, in linea con il tema di questo lavoro «Il dono ha senso solo nel disinteresse ed esiste solo nell’attesa di un ritorno. Questo paradosso merita di essere chiarito perché ci rivela “il momento fondante dell’attore sociale alla regola, alla legge, alla giustizia, all’istituzione”. Jacques T. Godbout è uno di coloro che, insieme ad Alain Caillé, ha introdotto nel dibattito sociale la necessità di pensare allo scambio, anche economico, come un atto di donazione che crea legami sociali, al di là delle società tradizionali in cui Marcel Mauss lo aveva cercato e al di là delle transazioni commerciali che svelano i legami tra le parti nel momento stesso in cui li creano»[2]. Non si pretende di risolvere questo paradosso, ammesso sia risolvibile, ma solo di raccogliere l’invito a riflettere su di esso con diversi punti di osservazione e plurimi punti di vista[3].
Peraltro, viene spesso trascurato l’oggetto del dono e le circostanze che possono fare la differenza nell’atto di donazione e solo didatticamente è possibile assumere tale atto come rientrante nelle categorie di capitale economico, capitale sociale o capitale politico, che hanno effetto (sulla) o sono il prodotto della strutturazione o dinamica sociale.[4] Oltre all’oggetto, poi, non possono essere trascurate le intenzioni, perché se è vero che un dono nel senso qui indicato è tale quando non ci si aspetta nulla in cambio, sembra altrettanto vero che in nessun caso il dono avviene senza intenzionalità. È l’intenzione, dunque, che spesso fa la differenza nell’atto del donare e l’intenzionalità presuppone una motivazione che può variare lungo una scala (per es. merito, incentivo, compenso, ringraziamento, invito a relazionarsi, etc. ...) . Viene spesso trascurata anche la storia successiva al dono, da cui si può constatare come l’oggetto del dono viene utilizzato (lungo una scala di possibilità concrete: valorizzato; ignorato; sciupato; sprecato; rammaricato; deprecato; restituito; bestemmiato…). Questo è indicativo del rapporto tra donatore e donatario e della dinamica secondo cui evolve, che non poco coinvolge alla fine la vera gratuità del dono.
Infine, vale la pena far rilevare come lo stesso atto del donare può nel tempo assumere valore consuetudinario e quindi normativo[5] in ambito sociale; per esempio come sostegno per il culto o per i meno abbienti, oppure assumere i connotati di “restituzione del maltolto”. A tale riguardo si parlerà di seguito del criterio di obbligatorietà della decima, dovuta al Tempio e ai Leviti nell’antico mondo giudaico; come pure si parlerà del racconto evangelico di Zaccheo[6] che riesce ad entrare in quella “cruna di un ago”, impedimento alla salvezza del ricco.
L’atto del donare
L’appello a riflettere sul tema proposto in merito all’ambiguità del dono sembra, perciò, ruotare intorno ad un concetto centrale: “l’atto del donare può essere definito tale se nulla è atteso in cambio del dono”; e questo, seppur vero per definizione, può apparire iperbolico. Oggi, invero, si invoca l’antropologia di Marcel Mauss per affermare che i doni costituiscono la forma più antica dell’economia in quanto “universali”, avendo preceduto il baratto ed il “mercato”. Ciò è vero soprattutto se riferito ai doni della terra, che comunque implicano almeno in parte un lavoro, per es. di raccolta o della coltivazione e dell’allevamento, e qualora offerti al vassallo o al “landlord - padrone della Terra” assumevano senso, se non di “rendita”, di ricompensa o di compartecipazione ai frutti, per il territorio messo a disposizione. Si afferma, altresì, che secondo il pensiero Maussiano, il dono è sempre una richiesta di fedeltà, in cui l’impegno a ripristinarla è una scelta dell’altro; per cui si ritiene che il dono vincoli e liberi al tempo stesso. Se così è, allora si è in presenza di una dualità che ne sottolinea l’ambiguità, poiché vincolare e liberare sono antitetici. Se poi è vero che al dono è sempre connessa una richiesta di fedeltà, venendo a mancare il requisito del “nulla attendersi in cambio” si può ancora chiamarlo propriamente dono, secondo la definizione data? Interrogativo circolarmente ripetibile anche su altro fronte.
D’altronde, è difficile negare che la “solidarietà organica” in senso Durkheimiano, ossia riferita ai legami tipici delle società industriali e in contrapposizione alla “solidarietà meccanica”, che indica i legami vigenti nelle comunità preindustriali, appaiono oggi in via di scomparsa entrambe. Sembrano sostituite da un “ossessivo invito al donare individualmente”, che è onnipresente nella nostra società occidentale. Lo si evidenzia non solo attraverso l’esempio di persone che lasciano spiccioli (e talvolta la “spesa quotidiana”) al migrante di turno all’angolo di supermercati, bar o vie del centro cittadino, ma anche attraverso le infinite associazioni caritatevoli e solidaristiche nate quasi ovunque sul territorio, in internet e nei social media; e persino nelle banche al prelievo bancomat. Il tutto somiglia a vere e proprie operazioni di marketing finalizzate a “progetti volontaristici mirati e pubblicizzati “, di assistenza e cooperazione. Progetti che divengono pervasivi in tutto il corpo sociale, al punto di far sorgere ad alcuni osservatori “maliziosi” sospetti di una attività “back office” di tutt’altra natura e finalità rispetto a quelle propagandate. Quella stessa sfiducia e malizia, troppo spesso alimentata dall’evidenza di frantumazione di ogni norma, sostenuta da evidenti trasgressioni, da episodi scandalistici di cronaca e politica, da violazioni di diritti, consumati nell’impunità, che insieme a processi di accentramento e “disuso” del potere, non solo simbolico, hanno condotto alla disaffezione politico-istituzionale, alla sfiducia in ogni autorità e a definire il nostro tempo come la società del controllo totale attraverso i media. Società potenzialmente etero-diretta ed etero-determinata, dove la primitiva solidarietà organica e il consenso normativo per l’agire sociale sembrano scomparsi, o sostituiti o lasciati in balia del relativismo individuale, strumentalizzato e tele-guidato, affetto potenzialmente da irrazionalità, indecisione, smarrimento identitario, errore. Tutto ciò è promotore di stati ansiosi e di vera e propria paura del futuro, con possibile sbocco verso una patologia sociale collettiva, che trasforma ogni “dono” della conoscenza tecno-scientifica in strumento, se non in arma per conflitti di dominio.
Inoltre, donare è e resta “cosa difficile” e il tema dell’ambiguità del dono è un tema antico riscontrabile nella realtà umana. Basti pensare al cavallo di Troia e ciò che accadde per quel “dono”. I Latini, ben informati su quelle vicende, ricorrevano all’immagine: «Con una mano reca una pietra e con l’altra un pane» per esprimere questa ambiguità. Perciò, ci è stata tramandata dalla saggezza popolare, anche l’avvertenza: «Si riempia di sudore la tua offerta, affinché tu sappia a chi stai donando». Inoltre, è sempre molto difficile interpretare i bisogni o i gusti di chi riceverà il dono. Conseguentemente, proprio perché occorre sapere e donare in modo giusto (per es. a chi ha veramente bisogno e non agli oziosi) «Errat si quis existimat facilem rem esse donare» (Erra chi crede essere cosa semplice il donare). Tutto ciò esprime una valenza sociale che ha sempre avuto l’atto del donare anche quando esso è racchiuso in un ambito individuale, amicale, o familiare, nonché è pure spesso implicito nel dono una conformità ai valori, agli usi e ai costumi del gruppo di appartenenza.
C’è chi ritiene che il dono, a differenza del regalo, sia un atto di ossequio ai sentimenti, non alla persona. Il dono è più significativo dell’oggetto, a prescindere dal suo valore economico, perché è qualitativo; mentre il regalo può essere anonimo, nonostante talvolta sia molto costoso. Così dono e regalo si distinguono.
Sentimenti profondi quali la pietas, la philia, l’agape possono muovere al dono non solo verso l’inferiore, ma anche verso il superiore, quale atto sincero di riconoscenza, ringraziamento, ossequio; sentimenti che si trasformano in un movimento spirituale verso l’altro sorretto in ogni caso dalla caritas.
Si afferma[7] che J.T. Godbout (2007) è ben consapevole che “se una società funzionasse solo sulla base delle donazioni, scomparirebbe rapidamente dalla mappa”. Ma, supportare il “sistema del dono” per poi confrontarlo meticolosamente nel suo rapporto con il debito e la giustizia, non può essa stessa essere intesa come ambiguità? Certamente l’analisi è corretta quando sostiene che: “Non ci possono essere scambi di mercato sostenibili, né ci può essere redistribuzione della ricchezza senza un fondamento antropologico di fiducia, altruismo o senso del dovere”; ma non vi sono garanzie, né certezze nei comportamenti, né evidenze che: “I moderni paradigmi di scambio non ignorano più questi ingredienti” fiduciari. Tutt’al più questi ingredienti possono essere presenti quando “conviene”, come la realtà insegna. Non a caso due guerre, che non trovano pace, assediano l’Europa e minacciano costantemente il Pianeta. Esse vengono alimentate da sfiducia e doni per l’armamento in barba ad ogni definizione e ogni ecologismo predicato a salvaguardia dell’ambiente; esso stesso da preservare quale “dono” per le generazioni future. Un eventuale: «dono affinché in base alla tua promessa di fedeltà tu faccia la guerra per me!» non va traguardato solo con la lente dell’ambiguità, ma con quella della Morale! Esso non può che produrre, alla lunga, atteggiamenti corruttivi (con “subappalti” verso chi è ancor più misero del donatario), oppure Gandhiani per contrasto. In questi casi, viene smentita la fedeltà e la tesi, sottesa da sottile cosmopolitismo, secondo cui il dono, lo scambio e il commercio sono gli unici possibili antidoti alla guerra, all’isolamento e alla stagnazione. Ossia è smentita l’idea che il dono sia la prima forma di alleanza, di solidarietà e di pacificazione sociale e fa trovare, specie in un sistema di economia delle nazioni, un’antagonista nell’antitesi riguardante la necessità di una conquista globale affidata al “Giusto”, che necessariamente implica conflitto. Poiché nessun popolo, nazione o economia vogliono essere conquistati per realizzare un mondo globale e privati delle loro identità, della loro autodeterminazione e libere prerogative, e ancor meno possono accettare di scomparire in quanto tali. E poi, chi è il “Giusto” cui affidare la conquista globale? Chi lo può scegliere e chi può affidargli un tale mandato, ammesso che il “Giusto” esista e possa convenientemente battersi in nome di tutti?
Per un’analisi sociologica e psicosociale dell’atto del donare potremmo usare, per esempio, i concetti Simmeliani di interazione reciproca e di valore. Tenendo però presente che essi, qui, non sono più riferibili ad una qualità o quantità del dono, ma esprimono soltanto i rapporti di reciprocità che si manifestano nello scambio, nella relazione che si viene a creare. Nella logica Simmeliana sembra in pratica richiamato il valore della reciprocità, dell’«in-pegno» veicolato dal dono, insito nel comportamento umano e manifesto anche come principio di diplomazia. Il valore economico di un dono – pur esistente - non è quindi fondato (almeno non in modo esclusivo), nella sua utilità, intesa come la sua capacità di soddisfare bisogni e desideri, quanto piuttosto nel prezzo (anche immateriale, come il tempo per es.) che si è disposti a pagare, in termini di sacrificio e di rinuncia perché la donazione abbia luogo. È soltanto nello scambio, quindi, che il valore del dono si realizza, poiché lo scambio comporta sempre il sacrificio di qualcosa che potrebbe comunque avere usi alternativi, cioè potrebbe essere consumato direttamente o dato in cambio per una cosa diversa. Siamo quindi in presenza, o meglio, nelle vicinanze, di un concetto di valore del dono in generale che trova il proprio fondamento nel sacrificio. Nella fattispecie, al fine di evitare equivoci, sarebbe forse meglio chiamarlo “significatività del dono” data la capacità, potenziale o effettiva, di creare legami e suscitare desiderio di ricambiare, attivando azioni circolari legate tra loro che si ripetono in modo libero, e talvolta continuo, in funzione della relazione attivata. Naturalmente la significatività delineata sopra, ed espandibile in un potenziale modello da mettere eventualmente a punto altrove[8], diviene solamente un espediente “riduttivo” che fruisce di approssimazione per favorire la possibilità di una analisi ed eventualmente di una metrica. Questa, però, sarebbe naturalmente legata a molti altri parametri situazionali ed ambientali che dipendono dai casi concreti in esame, quali ad esempio lo strato sociale di appartenenza e quello di riferimento del donatario e del donante, il capitale disponibile sia economico che intellettuale o anche politico [rif. P. Bourdieu (1998)], l’ambiente lavoristico ( per es. con obblighi e tratti normativi), familistico (per es. libero ed aperto) , o atomistico (per es. chiuso, introspettivo ed escludente) in cui sono inseriti. E i suddetti parametri situazionali ed ambientali, che sono variabili da caso a caso, possono favorire, ostacolare, limitare o addirittura escludere l’attivazione di una relazione e quindi l’atto stesso del donare.
Se, poi, in analogia a quanto faceva J.L. Moreno (1941) con la sua tecnica del sociogramma, traguardassimo la donazione, ed in particolare le sue “peculiarità” in base ad attributi misurabili, potremmo sostenere che essa sembrerebbe avere qualità vettoriali. Infatti la donazione si svolge lungo una direzione (una retta relazionale che unisce donante e donatario o viceversa). Secondo un approccio economicistico la donazione è caratterizzata da una intensità (per esempio, un valore o un parametro economico connesso ai valori in gioco); un verso (dal donante al donatario); un punto di applicazione (il donante rispetto al suo sistema di riferimento scelto per l’analisi). Si tratta, ovviamente, di un riduzionismo non del tutto accettabile nelle scienze umane poiché ignora una gran parte di elementi immateriali, anche situazionali, non misurabili, che pur esistono e talvolta sono prevalenti nella donazione (ideali, sentimenti, emozioni, significati, memorie, etc.).
Un metodo qualitativo – propedeutico per un qualsiasi eventuale modello analitico - per esaminare e fornire un preliminare spaccato esplicativo su un tema siffatto, arduo e complesso, può essere in via propositiva un breve esame da diversi punti di osservazione, non certo esauribile nel presente lavoro; semmai introduttivo ad una potenziale, più ampia ed allargata riflessione.
Metodologia necessaria all’analisi: approcci riduzionistici integrati da approcci olistici
È noto che in epistemologia il termine riduzionismo - rispetto a qualsiasi scienza - sostiene che gli enti, le metodologie o i concetti di tale scienza, in una eventuale sistematizzazione attraverso un quadro teorico, debbano essere ridotti al minimo sufficiente in grado di spiegare i fatti teorici in questione. Il riduzionismo sostiene che un sistema complesso non sia nient’altro che la somma delle sue parti, per cui si può dar ragione del sistema “riducendone” la considerazione a quella dei singoli costituenti. Il riduzionismo, pur tra molte critiche, ha avuto un ruolo cruciale nello sviluppo della Scienza e ha portato nel tempo a importanti scoperte e progressi di cui oggi usufruiamo. Tuttavia, è importante riconoscere i suoi limiti e le sue implicazioni specie nel caso di un fenomeno sociale “naturale” come l’atto del donare. Per affrontare la complessità dei fenomeni naturali, è necessario integrare, per quanto possibile, il riduzionismo con approcci olistici e interdisciplinari, che tengano conto delle interazioni tra le diverse componenti di un sistema e delle proprietà emergenti che ne possano derivare, all’occasione anche nelle interfacce tra le parti in cui il sistema è stato strumentalmente ridotto.
Un tentativo di studio preliminare con plurimi punti di vista della donazione, rispetto all’ambiguità, potenziale portatrice di aspetti di irriducibilità, non può che condurre a considerare quanti più pensabili approcci multidisciplinari, osservando come si esplica l’atto del donare attraverso i fenomeni e le considerazioni che emergono da ciascuno di essi. Ma, già questa “parcellizzazione”, seppure estesa ed articolata, è limitativa e riduttiva, nel senso che è espandibile e non esaustiva, per cui necessita di un modo “olistico” per reintegrare, per quanto possibile, la frantumazione in parti occorsa per lo studio della complessità. Questo appare l’approccio più opportuno da seguire per lo studio dell’interrogativo avanzato e pertanto viene esemplificativamente proposto nelle forme riportate qui di seguito, tenuto conto che la donazione è un fenomeno sociale concreto ed innegabile, inscritto nelle pulsioni relazionali umane presenti sin dagli albori della civiltà. Così come è innegabile la complessità del fenomeno e la possibile ambiguità di cui si può contingentemente rivestire. In generale le forme, gli aspetti e le variabili caratteristiche del fenomeno, anche situazionali, sono innumerevoli e sarebbe arduo solo enumerarli. Le moderne tecnologie informatiche che hanno pervaso la civiltà umana a livello globale, sono in grado di rilevare e rappresentare reti sociali di ampiezza e potenzialità vastissime, mentre allo stesso tempo hanno sviluppato potenti strumenti di analisi di queste reti sociali utili a indagini on the spot oppure in continuo, come monitoraggio di fenomeni sociali, per valutarne qualitativamente e quantitativamente cause, effetti e loro rilevanza per la vita sociale, politica, economica, finanziaria, industriale, culturale, religiosa, militare, etc. A tal punto che si pone ormai il problema, anche in termini etici, di una “civiltà del controllo totale” inchiodata alla sua realtà sperimentalmente rilevabile (attraverso i big data), immediatamente, senza che spesso non se ne abbia minimamente la percezione o la nozione da parte dei controllati, e talvolta neppure il permesso da parte dei controllanti.
I diversi punti di osservazione e di vista conseguenti
Giuridico (Donazione come “negozio giuridico” tra donante e donatario; implicita liberalità; coinvolgimento reddituale o patrimoniale; assenza di corrispettivo; potenziali obblighi, possibilità di ripensamento e restituzione, nullità).
Accanto alla comune nozione di donazione, quale atto di spontanea liberalità, col quale il donante si spoglia irrevocabilmente della cosa donata in favore del donatario, che l’accetta, si colloca il punto di vista giuridico, che diviene cogente per Legge. Secondo la definizione che ne viene data all’Art. 769 del Codice Civile Italiano «La donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione».
Questa impostazione permette di fare subito alcune osservazioni. La donazione è vista come “negozio giuridico”, ossia un contratto, che ha implicazione con il patrimonio del donante (o più comunemente: donatore[9]) e quello del donatario (colui che riceve il dono); si correda di una serie di norme e casi particolari che la rende “complessa”. La donazione, per essere validamente realizzata, secondo Legge, necessita di essere formalizzata in un atto pubblico, a pena di nullità: ossia, in assenza di atto pubblico, la donazione si considererà come mai avvenuta.
Per essere riconosciuta come donazione ai sensi di Legge l’accettazione del dono deve essere esplicita e resa nota al donante; ossia come in ogni contratto vi deve essere una accettazione. Nessuno può obbligare altri ad accettare una donazione! (Insomma, tutt’altro che dare alla luce del sole e accettare nell’ombra!)
Affinché una donazione sia valida occorre in particolare: la volontà del donante di spogliarsi, per spirito di liberalità, di un proprio bene senza esigere un corrispettivo e senza esservi obbligato. In pratica l’interesse del donante deve sempre essere non patrimoniale in senso proprio, bensì religioso, affettivo, culturale, etc. … . Inoltre, nel caso di beni, è necessario il trasferimento del bene donato dal patrimonio del donante a colui che egli desidera beneficiare. Qualsiasi bene, mobile o immobile, può essere oggetto di una donazione, purché lo stesso sia presente nel patrimonio del donante e avvenga tale trasferimento.
Le implicazioni fra la parte donante e quella donataria sono certamente di tipo patrimoniale, ma non in modo esclusivo, poiché soggiace una comunicazione (diretta o mediata attraverso il vincolo negoziale) e pertanto è implicita anche una relazione che vincola le due parti in un “contratto”. In pratica è presente il concetto più generale di relazione diadica, con risvolti anche di tipo sociale, psicologico e di natura culturale più in generale.
La necessità di un atto pubblico (tipica delle grandi donazioni) e la formalità dell’intero contesto che le caratterizza giuridicamente, potrebbe far pensare che si tratti di prospettive lontane dai temi da considerare nella fattispecie. In realtà l’Articolo 783 del Codice Civile Italiano considera e consente le donazioni di modico valore, che solitamente hanno per oggetto beni mobili. Lo stesso articolo chiarisce che tale modalità è valida anche se manca l’atto pubblico, purché vi sia stata la “tradizione” e la modicità del dono, valutata anche in rapporto alle condizioni economiche del donante. Ossia chiama in causa un rapporto, un parametro oggettivo (il valore economico del bene) e uno soggettivo (la consistenza del patrimonio del donante). Si tratta di un parametro che riemergerebbe in termini più generali nel seguito, in ogni tentativo di impostare un modello generale di analisi. Vale la pena sottolineare, inoltre, che la “tradizione” non è, in questo caso riferita alla presenza di abitudini, usi e costumi, bensì (dal Latino tradere) sta ad indicare il passaggio, la trasmissione, il dare. Si intende, insomma, la consegna della cosa nelle mani del donatario. Questo atto rende certa ed inequivocabile la volontà del donante, affinché la donazione sia compiuta.
Senza voler entrare nei dettagli giuridici che governano la donazione ex Lege è necessario, però, soffermarsi sulle cause di revoca della donazione (vedasi art. 800 Codice Civile) per illustrare un ulteriore aspetto. Infatti, mentre da un lato si dà per scontata l’inesistenza di un “corrispettivo” nella donazione, dall’altra si stabilisce in modo chiaro ed inequivocabile che l’ingratitudine del donatario è causa di revocazione. Tra i casi di ingratitudine, vengono enumerati in giurisprudenza (giustamente e concordemente anche sotto un profilo etico) i seguenti: diffamazione, se il donatario diffama pubblicamente il donante, danneggiando la sua reputazione e il suo patrimonio morale, ciò costituisce un atto di ingratitudine; comportamento irrispettoso, se il donatario tratta il donante con disprezzo o mancanza di rispetto, dimostrando avversione nei suoi confronti, si configura l’ingratitudine; violazione di obblighi familiari, se il donatario, nonostante la donazione ricevuta, non adempie ai doveri familiari nei confronti del donante (ad esempio, assistenza o cura), ciò può giustificare la revoca.
Dunque, un “corrispettivo immateriale”, foss’anche la semplice e normale gratitudine del donatario verso il donante, per il dono ricevuto, si presuppone necessaria per il compimento della donazione. Questo chiarisce che il requisito dell’assenza di un corrispettivo nella donazione non è del tutto ineccepibile, poiché tale assenza può essere certamente soddisfatta se riferita a obblighi patrimoniali o materiali; ma il termine “corrispettivo” significa correlativo, proporzionato, corrispondente; per lo più, peculiare di qualcosa che si riceve in cambio o in compenso. Le tipiche prestazioni corrispettive, sono quelle che discendono da un contratto che prevede obbligazioni reciproche tra le parti. Ciò implicherebbe che esse dovrebbero essere comunque espresse e richiamate nell’accordo di donazione. Pertanto, in qualche misura, con la presunta assenza di un corrispettivo in generale, che è comunemente data per scontata, quantomeno si inficia la tipologia di donazioni di cui ci si dovrebbe occupare nella fattispecie del presente lavoro, poiché esse dovrebbero essere soltanto quelle in cui “nulla si attende in cambio della donazione”. Così, non solo si apre la domanda circa l’idealità e l’iperbolicità del concetto di una tale “donazione ideale” = “senza nulla a pretendere”, secondo l’interrogativo sull’ambiguità che si sta indagando in questa sede, ma si apre anche la domanda sull’esistenza di un tale corrispettivo nella donazione in generale. Specialmente se il corrispettivo è atteso e dato per scontato, oppure inespresso, sottaciuto o nascosto, volontariamente o involontariamente. In pratica è ragionevole attendersi che il corrispettivo, se di tipo immateriale, ideale, etico, e che sfugge ad una immediata fruibilità, hic et nunc, può creare una crepa o quantomeno una “ambiguità” nello stesso impianto giuridico della donazione? Questo accade sicuramente nei casi di un corrispettivo apparentemente immateriale all’atto del dono, atteso dal donante, ma sottaciuto o non espresso al donatario prima della sua accettazione del dono, ma che cambia sembianze nel tempo ed assume concretezza in seguito, più tardi, molto dopo l’atto donativo (per es. donazioni in cambio di assistenza in vecchiaia).
Nell’atto del donare, così come definito giuridicamente (ma non solo!), emerge quindi il problema di dover considerare opportunamente anche ciò che viene donato ed eventualmente scambiato, e quindi le intenzioni implicite nella donazione, visto che si tratta di atto relazionale duale, con validità estesa lungo la vita del donatore e del beneficiato. Le limitazioni emergenti nell’assunzione di un punto di vista esclusivamente giuridico (patrimoniale, reddituale, economicistico, etc.), sono tanto più evidenti quanto più le risorse oggetto della donazione (o dello scambio donativo eventuale) sono da un lato risorse patrimoniali (beni mobili, immobili, denaro, etc.) e dall’altro beni immateriali, non monetizzabili (sentimenti, status, etica, attenzioni, cura amorevole, assistenza rispettosa e servizievole, etc.). Ciononostante, l’approccio al problema con ogni punto di vista può certamente dare un proprio contributo chiarificativo, se integrato in uno schema quanto più possibile olistico. Ma, l’idea di un’ambiguità intrinseca non sembra necessariamente implicita nello stesso atto donativo, quanto piuttosto nelle intenzioni, nei significati e nelle percezioni, specie se non esplicitate e chiarificate reciprocamente, con sincerità ed equanimità di sentimenti, nell’ambito della relazione che induce a donare da un lato e ad accettare il dono dall’altra.
Istituzionale-globale (analisi dati dei flussi di APS-Aiuti allo Sviluppo OCSE – UE – UN, obiettivi e possibili correlazioni con PIL, frequenze e relative distribuzioni).
Da un punto di vista Istituzionale e Globale si può pensare di ricavare dal WEB qualche dato sulle donazioni in merito ai flussi netti di APS-Aiuti allo Sviluppo, specie da parte dei Paesi membri del Development Assistance Committee (DAC) dell’OCSE- Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. A questo riguardo occorre segnalare che le Fonti che riportano dati sul PIL Mondiale, talvolta non concordano. Si trova, così, che la certezza espressa per il 2022 (Vedi Fig. 1) da qualche fonte può essere messa in dubbio da altre. Prova ne sia VIKIPEDIA[10] che per il 2019, per esempio, ancora oggi, dopo ben 4 anni indica dati che possono essere discordanti. Tenuto conto di questa variabilità, che la rende stima piuttosto che dato, è difficile comprendere come essa possa essere risolta dai sistemi di Intelligenza Artificiale (IA). In ogni caso si può dire che a fronte di una stima di PIL mondiale nel 2022 di 102 trilioni di dollari – sembra ancora valido un obiettivo ONU fissato pari a 0,7% del PIL, che dovrebbe mobilitare risorse pari a circa 700 miliardi di dollari, ossia circa un terzo del PIL italiano stimato per lo stesso anno 2022. Poi ovviamente occorrerebbe vedere che cosa hanno ricevuto in realtà i donatari dai donatori. È evidente che la stima delle donazioni globali rispetto al PIL globale varia nel tempo e dipende da diversi fattori, alcuni contingenti, altri strutturali, altri ancora ambientali, etc.
Fig.1 – Fonte www.visualcapitalist.com.
Ad esempio rispetto al 2022, ed entro il 2037, si stima che il PIL mondiale possa raddoppiare posizionandosi a circa 206 trilioni di dollari. Ma non è assolutamente detto che anche le donazioni raddoppieranno. Inoltre, per quanto riguarda le donazioni, la percentuale reale, oltre quella fissata come obiettivo rispetto al PIL globale, può variare notevolmente a seconda dei paesi e delle circostanze. Anche la generosità dei paesi sembra variare notevolmente, ma alcuni di quelli che donano di più in termini di aiuti esteri e donazioni umanitarie sono ritenuti: Stati Uniti; Germania; Regno Unito; Paesi Bassi; Svezia. Questi sono solo alcuni esempi, ci sono molti altri paesi, però, che contribuiscono in modo significativo agli aiuti globali. Ma, la stessa generosità di un Paese può variare nel tempo, poiché dipende da molti fattori, tra cui politica, economia, cultura e priorità nazionali. Di seguito è riportato un grafico (Fig. 2) al riguardo per la UE a 27. L’Agenda 2030 definisce specifici obiettivi sia per l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) totale (0,7% del reddito nazionale lordo) e sia per l’APS indirizzato ai Paesi meno sviluppati (tra 0,15% e 0,20%). Si stima che nel 2019, a livello globale, i flussi netti di APS da parte dei Paesi membri del Development Assistance Committee (DAC) dell’OCSE siano stati di circa 147,4 miliardi di dollari, sostanzialmente invariati rispetto al 2018. Tra i Paesi dell’UE a 27, Lussemburgo, Norvegia e Svezia hanno fatto registrare nel 2019 un rapporto APS totale netto su reddito nazionale lordo (RNL) superiore al target dell’Agenda 2030, mentre la maggior parte dei Paesi dell’Unione rimane ancora lontana dal target, (Fig,2). Nel 2019, l’Italia ha fatto registrare, invece, una quota di APS totale sul RNL pari allo 0,22%, con una riduzione di 0,03 punti percentuali rispetto al 2018 e di 0,08 punti rispetto al 2017, anno in cui si è registrato il valore più elevato (0,30%). Una serie temporale di dati recenti al riguardo è riportata in Fig.3. I dati 2019 di PIL dei paesi UE, resi disponibili dal MEF - Ministero Italiano per l’Economia e Finanza, che sono riportati nell’istogramma di Fig.4 seguente, mostrano due gruppi di Paesi donatori. Nel primo, in cui non si nota dallo scatter dei dati alcuna correlazione, sembra vi sia l’obiettivo di raggiungere un valore di APS% tanto più prossimo a 0,7% oppure più alto possibile (ma sono Paesi a popolazione relativamente bassa e quindi con APS abbastanza modesto in valore assoluto). Nel secondo gruppo, invece, appare una evidente correlazione (quasi-lineare; di certo lineare se l’Italia fosse rimasta sul suo massimo storico) tra APS% e PIL.
Fig.2 – Fonte www.istat.it.
Fig. 3 – Fonte www.openpolis.it.
Fig. 4
Dopo aver reperito anche i dati 2019 di PIL pro-capite, sul sito del MEF, che sono riportati nell’istogramma di Fig. 5 seguente, si è proceduto utilizzandoli insieme ai dati di APS in Fig.4, ad una serie di analisi qualitative in merito alle possibili tipologie di correlazione che possono emergere tra i dati delle percentuali (% APS) e (PIL 2019). Si è quindi pensato di ricorrere al PIL pro-capite per evitare l’effetto della numerosità della popolazione di ciascun Paese.
Fig. 5 – Fonte www.rgs.mef.gov.it.
Incrociando i dati dei due grafici precedenti si nota che una eventuale correlazione lineare non spiega il 30% degli scostamenti dei dati dalla funzione lineare trovata come migliore adattamento ai dati stessi.
Fig. 6 – Correlazione lineare con funzione lineare tra %APD e PIL pro-capite.
Mentre invece, se si procede ad un Ordinamento Progressivo secondo il numero dei Paesi UE, lungo una scala da 0 a 30, con passo unitario, si possono avere le frequenze che si registrano per uno stesso valore di (%APS), come ben visibile nel grafico di Fig,7 seguente (per es. il valore 0,1 si registra 8 volte, mentre il valore 0,2 si registra 6 volte, e così via), con la correlazione che resta comunque non molto significativa (essendo R² = 0,7118, ossia non prossimo al massimo valore che è 1).
Fig. 7
Si può così ottenere la seguente tabella che mostra le frequenze, ossia quante volte un certo valore (%APS) si ripete nell’elenco dei dati di partenza, e con esse le frequenze cumulate, che si ottengono (Tab.1) addizionando i dati di frequenze che si susseguono (ossia quella che è nota come funzione di ripartizione delle frequenze di valori di APS% secondo la “variabile” PIL presa qui in considerazione):
Tab. 1
Fig. 8
Ciò permette di tracciare il grafico di Fig. 8 mettendo in relazione (%APS) e Frequenze Cumulate (ossia funzione di ripartizione delle frequenze), ove si nota (a parte il miglioramento della correlazione con R² = 0,8389, che potrebbe essere ritenuta ancora non significativa) la comparsa di un andamento ad “ S “ che è il tipico tratto che caratterizza fenomeni naturali e sociali di crescita soggetta a “saturazione”, descrivibile con particolari tipi di funzioni matematiche (vedasi ad esempio funzioni di Gompertz e funzioni logistiche più in generale). Ciò a voler significare che la donazione delle APS è un fenomeno evolutivo che consegue all’evoluzione crescente della ricchezza mondiale (PIL). Essa, come donazione complessiva, si espande con l’espansione del PIL, ossia cresce con il crescere di esso, ma non in modo lineare, essendo soggetta a fenomeni aleatori così come il PIL che la genera, ed è in ogni caso destinata a stabilizzarsi quando il numero delle donazioni e i loro valori economici crescono oltre un certo limite. Naturalmente le variabili che incidono sul PIL, sulle APS e sul numero stesso delle donazioni, sono aleatorie e pertanto eventuali equilibri che si possono raggiungere sono equilibri “metastabili”, nonostante poi, ad ogni variazione la tendenza alla ri-stabilizzazione possa riprendere e procedere.
Tutto ciò, se è vero come si ipotizza in campo sociale, che quello che accade nel grande gruppo è specchio di ciò che accade nel piccolo gruppo, può far ragionevolmente congetturare che tali osservazioni sono trasferibili alle donazioni dei gruppi, piccoli, medi e grandi, come pure ai singoli individui (ed ai lori rispettivi patrimoni, redditi, o entrambi) che hanno il privilegio, o se si vuole, l’onere, di rivestire un ruolo di donatore. Beninteso, a prescindere dagli scopi per i quali la donazione è effettuata.
Non si può che essere spinti a seguito di queste congetture, a pensare di metter a punto una sorta di modello esplicativo delle donazioni in generale, seppur limitato agli aspetti economicistici soltanto[11]. Tratto distintivo di un riduzionismo moderno che tutto spiega e tutto vuole spiegare attraverso il «denaro», che continua a rivelare, alla stessa stregua del donare, quella stessa ambiguità di elementi duali ed opposti, potendo proprio essere interpretato come coincidentia oppositorum; ossia da un lato come «grazia di Dio», oppure dall’altro come «sterco del Demonio» a seconda dei casi, delle circostanze, dei valori di riferimento.
Per rispondere all’interrogativo se il donare, anche da un punto di vista istituzionale/globale, è divenuta ambiguità sociale, non si ravvisa certo in questa sede la necessità di parlare della Curva di Lorentz e dell’Indice di Gini, che si può calcolare per dare evidenza dell’enigmaticità di APS e sistemi ausiliari connessi. Infatti, la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi è oggi un fatto assodato, ma è anche vero che ciò ha consentito, almeno fino ad un certo punto della storia recente, di liberare dai bisogni primari una grande parte dell’umanità, sebbene non ancora tutta l’umanità dolente. Le donazioni restano “privilegio” dei soli paesi ricchi e più avanzati, mentre invece quelli in via di sviluppo arrancano ancora fidando sull’arrivo delle prossime tranche di aiuti e delle rimesse dei movimenti migratori che questi generano. Ma, se è vero che la mano pigra impoverisce il povero è altrettanto vero che piuttosto di non impoverire il vicino si è scelto, non di rado, di farlo come strumento politico intenzionale a beneficio del proprio sviluppo, della propria influenza politica, e del proprio dominio, costringendo altri a guerre di servizio per la propria sopravvivenza, senza accertare in concreto se vi fossero vie alternative per il bene comune.
Psicologico (Predisposizione personale, processo decisionale e dinamiche. Donazione nella modernità ed evoluzione del donare sino a divenire assistenza per i meno abbienti. Insegnamento Simmeliano su “Il Povero”).
Secondo la psicologia comportamentale
Quello che segue è un tentativo di fornire secondo assunti della psicologia comportamentale un succinto profilo della figura del donatore, cercando di mettere in rilievo, a grosse linee, predisposizione personale, processo decisionale e dinamiche.
Il donatore, sia nel contesto della filantropia che in quello della donazione di organi (che è stata qui volutamente trascurata, poiché aprirebbe un nuovo ampio spazio di discussione su altri fronti), è ritenuta una figura di grande rilevanza. Alcuni aspetti chiave legati al donatore possono essere preliminarmente delineati come segue per ciò che riguarda processo decisionale, conoscenza e informazione, coinvolgimento personale, dinamiche sociali. Aspetti che non esauriscono l’analisi e che appaiono rilevanti nel contesto indagativo sull’ambiguità del donare.
Si ritiene, in generale, che la decisione di donare è spesso influenzata da fattori personali, come l’altruismo, la compassione e la sensibilità sociale. Le persone con una forte predisposizione a preoccuparsi del benessere degli altri sono più inclini a donare. L’empatia, poi, sembra giocare un ruolo cruciale. Essa consente al donatore di comprendere e condividere i sentimenti degli altri, spingendolo a contribuire al bene comune. Anche la moralità personale e le credenze etiche sono fattori che influenzano la decisione di donare. Alcune persone, specie se di stato socio-economico e culturale elevato, possono vedere la filantropia come un dovere morale.
La decisione di donare non è riducibile ad uno “standard” e può essere razionale, emotiva oppure collocarsi in una qualunque zona intermedia tra questi due estremi. Alcuni donatori valutano attentamente le opzioni e scelgono in base a criteri oggettivi, mentre altri agiscono istintivamente o in risposta a eventi specifici.
Conoscenza e informazione giocano un ruolo importante. Per esempio, la consapevolezza delle cause motivazionali delle organizzazioni benefiche che promuovono donazioni può influenzare la decisione. Ovviamente, i donatori informati sono considerati i più propensi a fare scelte consapevoli. Spesso, il coinvolgimento e le esperienze personali (come la malattia di un familiare o un evento significativo) spingono le persone a donare.
Nelle dinamiche sociali hanno un peso la cultura, le norme sociali e le aspettative della comunità; tutti elementi che giocano un ruolo importante. In alcune culture, la filantropia è fortemente incoraggiata e valorizzata. L’influenza dei pari o “ambientale” in generale, possono influenzare le decisioni e le scelte dei donatori, che talvolta possono conformarsi ai comportamenti degli altri. Ad esempio, vedere amici o familiari donare può motivare ulteriori donazioni, senza dimenticare che il riconoscimento sociale ha anch’esso un fattore spesso determinante, visto che si ritiene che alcuni donatori cercano riconoscimento pubblico o gratificazione sociale attraverso le loro donazioni. Ma, donare, per avere riconoscimento sociale fa rilevare la presenza di un corrispettivo, che per quanto immateriale possa essere rimane pur un corrispettivo che lascia ombre di ambiguità sulla donazione compiuta, dando riconoscimento all’affermazione che si tratta dei casi in cui donare è divenuta un’ambiguità sociale.
In sintesi, il donatore è una figura complessa, guidata da una combinazione di fattori personali, processi decisionali e dinamiche sociali. La sua generosità contribuisce certamente al benessere della società nel suo insieme, ma talvolta (e non bisogna andare troppo indietro nel tempo), abbiamo assistito a stagioni in cui si è nutrito collettivamente almeno il sospetto che donatori, noti filantropi di grande rilievo internazionale, avessero messo in moto un congegno per contribuire soprattutto al loro stesso personale benessere.
Secondo la psicologia sociale
In una prospettiva di psicologia sociale, il comportamento (C) viene visto come una funzione (f) dell’interazione tra la persona (P) e l’ambiente (A), concetto che viene fatto risalire a Kurt Lewin nell’ambito della Psicologia della Gestalt[12], con C=f(P,A) [13]. Si può così interpretare da essa che il Comportamento (C) riguardo al donare può essere assunto come variabile dipendente dalla persona (P) e dall’Ambiente (A), limitandosi per il momento a far coincidere (A) con il gruppo cui (P) appartiene in una determinata situazione. Non a caso sappiamo, e ne dobbiamo tener conto, che in generale “il comportamento è funzione del gruppo”. Una determinata persona, per es. (Pi), in analoghe situazioni, ma in ambienti e gruppi differenti, può reagire con funzione (fi) diverse, e quindi diversi comportamenti. Ma (Pi) può non solo interagire, in una determinata situazione, con altre singole persone (P1), (P2)…(Pi), (Pn-1), (Pn), ma anche con altri Ambienti (A1), (A2) …(Ai),… (An-1), (An), ossia con altri Gruppi. Peraltro si dovrebbe tener conto del verso del vettore d’interazione. Per esempio (Pi)←…, (Pi)→… , o (Pi)↔…: in un verso, nell’altro o in entrambi..
Nel senso stretto di una relazione diadica in cui, per effetto della relazione e della reciprocità che essa suscita (grazie alla quale si può giungere a scambiare messaggi, significati, orientamenti valoriali, attenzioni, risorse, beni materiali ed immateriali,..) in questa ipotesi si dovrebbe tener conto del verso, del contenuto e dell’entità dello scambio, che implica grandezze vettoriali, tali per cui necessariamente emerge una rete di relazioni sociali, come per esempio la seguente, in cui le configurazioni di rete possono essere molteplici e legate al numero di persone e gruppi interagenti, nonché al numero degli orientamenti (verso↔) possibili per ciascuno di essi, all’interno del proprio gruppo e fuori di esso.
Fig. 9
Sebbene si dia per scontata l’esistenza di studi che esplorano la relazione tra le interazioni sociali e la propensione a donare, non si dispone di evidenze sperimentali che indichino - come appare ragionevole supporre - che li dove si ampliano e si intensificano le occasioni di relazioni sociali si ampliano e si intensificano anche le possibilità che una donazione prenda luogo. Ma, se si assumesse per sola ipotesi di studio questa possibilità, dovremmo poi trovare nella realtà che al crescere del numero N dei soggetti interagenti in un gruppo, il numero delle interazioni cresce per la singola persona (Pi) linearmente, ma cresce con il quadrato di N per il gruppo (Ai) di appartenenza[14]. Nei gruppi, poi, l’empatia, la solidarietà, le circostanze possono anche giocare un ruolo tale da favorire la donazione, per effetto di conformismo sociale, ma possono anche indurre minor consapevolezza e autocontrollo in merito alla decisione di una donazione a seconda delle relazioni che sono intrattenute nel gruppo. Non si può pensare però che le innumerevoli possibilità di configurazioni di una rete di relazioni, una volta enumerate e stabilite, possano esaurire il problema e fornire la relazione tra le interazioni sociali e la propensione a donare, contribuendo ad evidenziare l’eventuale ambiguità del donare. Esistono, infatti, altri aspetti e variabili che hanno influenza sulla questione. O addirittura restano indeterminati e indeterminabili; e ciò vale per esempio soprattutto per le donazioni che emergono da attribuzioni inconsce.
Nella Fig.10 seguente si è voluto rappresentare che dipendentemente dalle relazioni intrattenute nel gruppo vi è una parte di donazioni motivate da fattori inconsci, incontrollabili, presumibilmente non del tutto razionali, dove non vi è possibilità di prevedere o congetturare, neppure qualitativamente, comportamenti o intenzioni riguardo alla donazione stessa.
Ove si tratti, di gruppi impostati sulle relazioni formali secondo regole codificate, quali l’autorità, la disciplina, il senso del dovere e fedeltà al gruppo, il rispetto della norma, è ragionevole attendersi occasioni di donazioni più sporadiche, ma più ponderate, più consapevoli, più mirate, sotto la spinta dei valori, comportamenti vigenti ed esperienze pregresse, a causa di un autocontrollo imposto dalle circostanze e regole del gruppo. Nei gruppi impostati sulle relazioni informali, invece, che nascono sulla base di bisogni contingenti delle persone coinvolte, senza ispirarsi a regole o obiettivi organizzativi, si manifestano comportamenti più abituali, più sciolti, istintivi e quasi automatici, non necessariamente ponderati, ma dove la frequenza dell’interazione e l’affiatamento reciproco sono più alti, lasciano più spazio all’empatia e al conformismo; dove per esempio ci si unisce alla donazione decisa dal gruppo semplicemente per non dispiacere all’altro, anche quando personalmente non si è molto propensi a donare o a donare ad una determinata persona o gruppo. Questo suggerisce che vi è anche un legame con il tipo di gruppo che si prende in considerazione e con i comportamenti che in esso si sviluppano per la natura del gruppo stesso. Pertanto, ogni analisi dovrebbe considerare anche e distinguere tra: gruppi primari e secondari; gruppi piccoli o grandi; gruppi permanenti o temporanei; gruppi di appartenenza o di riferimento; etc. In ogni caso, alla fine però, occorrerà riconoscere, come sembra si incominci a delineare, che ove l’ambiguità del dono non è solo legata alla presenza di un corrispettivo, materiale o immateriale, ma anche alle intenzioni che danno luogo al dono, allora sarà difficile distinguere tra corrispettivo e intenzioni individuali - ossia della singola persona (Pi) - e corrispettivo e intenzioni di gruppo - ossia del singolo gruppo (Ai) - .
Fig. 10
Pertanto verrebbe resa ancor più complessa ogni tipo di analisi che intendesse valutare gli aspetti connessi all’intenzionalità della donazione e/o aspetti transazionali sebbene immateriali o puramente ideali.
Resta però aperto e possibile l’utilizzo delle reti sociali (e teoria dei grafi), visto che la tecnologia informatica ha reso possibile disporre di molti dati (i cosiddetti Big Data di cui si parla spesso), sebbene sotto assunzioni necessariamente riduzionistiche e nella consapevolezza di una grande variabilità e aleatorietà dei dati che queste reti possono mettere a disposizione. Al riguardo non si può che rinviare al tentativo su menzionato di mettere a punto un “modello”; argomento che si confida di affrontare altrove, anche sulla base delle considerazioni qui esposte.
In definitiva, passando attraverso una prospettiva di psicologia sociale, la psicologia del dono e la ricerca psicologica suggeriscono che donare può rafforzare le connessioni sociali e migliorare il benessere personale. E può anche non esservi presente nel donare alcuna pretesa in vista di avere le connessioni sociali rafforzate e il benessere personale migliorato. Ma ciò, data la presenza di un effettivo “corrispettivo” (seppur auspicabile e condivisibile, anche in termini di bene comune) chiama comunque in causa le intenzioni della donazione e può suscitare nuovamente l’interrogativo in discussione se di vero dono si tratta o non sia piuttosto il caso di distinguere tra doni realmente possibili e doni ideali, in cui: il requisito “donazione ideale” = “senza nulla a pretendere” porta a divergere verso significati che possono divenire iperbolici.
Donazione nella modernità ed evoluzione del donare sino a divenire assistenza per i meno abbienti - Insegnamento Simmeliano su “Il Povero”
La donazione nella modernità ha subito certamente un processo evolutivo legato da un lato al cresciuto benessere, sostenuto da processi consumistici di produzione e di marketing, che hanno saputo cogliere le occasioni per fare divenire il dono quasi abitudinario in circostanze ben precise. Circostanze oggettive, perlopiù legate a pratiche religiose (battesimo/cresima, matrimonio, compleanni, onomastici, nascite, etc.); oppure istituite ad hoc (festa della mamma, festa del papà, festa della donna e dei fidanzati, dei nonni o festa dei lavoratori…etc.) e non di rado sostenute e pubblicizzate attraverso vere e proprie campagne di marketing. Con questa evoluzione vi è certamente stato un ampliamento e cambiamento di senso nell’atto del donare, sino a divenire in varie forme anche assistenza per i meno abbienti (dai sostegni alla disoccupazione sino al reddito di cittadinanza o assegni/bonus per condizioni di disagio).
Sarebbe improponibile in questa sede tracciare l’evoluzione del concetto di donazione nella modernità e seguire l’evoluzione del donare sino a divenire assistenza per i meno abbienti. Ma al riguardo si può illustrare qualche aspetto, assumendo come traccia le analisi di Georg Simmel nella sua Mitteleuropa del primo novecento, lasciateci nel saggio «Il Povero», pubblicato nel 1906[15].
Un concetto implicito negli schemi di analisi psico-sociali Simmeliane sull’aiuto al povero consiste nel fatto che il povero che viene aiutato è riconosciuto – in concreto, volenti o nolenti - come parte del gruppo di appartenenza che lo aiuta e lo sostiene. Non a caso una delle forme di analisi cui si ricorre per spiegarlo è il binomio diritto/dovere; binomio che nasce normativamente solo in seno ad una data società formata, strutturata, normata, ossia in seno ad un dato gruppo con le sue proprie regole, comportamenti, usanze, tradizioni, storia.
Il povero è per Simmel colui per il quale i suoi mezzi non sono sufficienti per i suoi scopi e la sua figura emerge in relazione agli altri, i quali invece dispongono di tali mezzi. Ma qui non si tratta di “altri” o di “scopi” qualunque, bensì degli scopi dell’individuo in base al suo proprio ceto, che possono mutare al variare del ceto. Un concetto relativo; e quindi, poiché nella visone Simmeliana è impossibile eliminare l’influenza soggettiva nella conoscenza, si tratta perciò anche di un concetto soggettivo. Vengono così concettualizzate tre forme diverse di povertà fondate sul diritto/dovere all’assistenza[16], considerabile come una donazione collettiva da parte della società nei confronti del “povero”:
la prima forma riguarda il diritto soggettivo del povero a ricevere aiuto: unica tra le altre forme che riconosce dignità al povero; sottraendo l’assistenza, prestatagli attraverso il dono, all’arbitrio dipendente dall’accidentalità situazionale (per es. finanziaria, aleatoria, individuale, sociale, etc.); la seconda forma riguarda il dovere del soggetto che lo aiuta; forma che acquista senso solo nel significato che il donatore attribuisce alla sua donazione e pertanto, il povero sparisce come “soggetto autorizzato” a riceverla e come obiettivo di interessi; la terza forma riguarda il dovere di assistenza sociale al fine di migliorare le condizioni del povero.
Resta inteso , però, che il povero non è né lo scopo dell’assistenza, né un mezzo per questa: «Il suo senso è precisamente quello di attenuare certe manifestazioni estreme di differenza sociale, in misura tale che questa possa continuare a reggersi su di essa». La povertà dunque segna soltanto la distanza dal proprio gruppo: «Così il povero sta naturalmente al-di-fuori del gruppo in quanto è un semplice oggetto di misure da parte della collettività, ma questo al-di-fuori è soltanto una forma particolare del di-dentro. … una assistenza al povero da parte della collettività dei benestanti che trova il suo scopo sufficiente nel migliorare la situazione del povero stesso: a ciò corrisponde una pretesa del povero». Il povero viene così ad assumere una sua propria rilevanza sociologica in quanto la distanza sociale obbliga all’assistenza, dando evidenza allo stato di povertà in cui il povero sopravvive come corpus vile che fa emergere il declassamento.
Secondo la visione Simmeliana si potrebbe generalizzare l’ipotesi interpretativa e dire che si può giungere all’assistenza al povero o all’indigente allorquando egli è parte del proprio gruppo di appartenenza, la sua povertà e mancanza di mezzi di sostentamento diviene espressione di distanza dal gruppo, così che può trascinare il gruppo nello stigma sociale e divenire egli stesso nemico attivo del suo ceto e della sua società di appartenenza. Fin quando la povertà resta invisibile essa rimane una sofferenza individuale; ma non appena emerge, diviene socialmente attiva al punto da attivare una donazione collettiva sotto forma di assistenza al povero e all’indigente. Da qui sembrano emerse negli anni ‘60 voci autorevoli a sostenere che: «La povertà può essere eliminata se ai poveri è permesso di dare così come essi ricevono. Essi possono essere pienamente integrati nel tessuto sociale solo se gli è offerta l’opportunità di dare »[17].
L’analisi Simmeliana, però, sebbene elevato esempio di dettagliato approccio psico-sociale ad un fenomeno, rischia oggi di perdere quella validità generale che avrebbe potuto avere a suo tempo nella Mitteleuropa del 1900. Infatti, contrariamente a quanto accadeva allora se contestualizzata alla realtà dell’epoca, oggi non sembra più valida e generalizzabile nel tempo e nello spazio come in origine. In quell’epoca, in una economia di nazioni sovrane, ciascuna con una propria storia ed identità, si potevano ben identificare popoli o parti e strati di essi come “gruppi di appartenenza” per ciascun individuo. Oggi, invece, con il fenomeno della globalizzazione e soprattutto delle migrazioni, specie nelle modalità in cui si svolgono in UE, è ben praticato e visibile anche l’aiuto verso “poveri” che di sicuro non appartengono al gruppo che li sostiene, a meno di non fare ricorso ad un cosmopolitismo ed universalismo, laico o religioso, che alla fine giungono ad esprimersi con argomenti abbastanza “sovrapponibili” in un campo semantico condiviso (per es. «fiori di uno stesso giardino» e «figli di uno stesso Padre», rispettivamente.). Di solito, le radici della condivisione di un tale campo semantico, possono trovare ragioni di esistere nelle passate colonizzazioni da parte delle potenze europee, oppure nello sfruttamento capitalistico tuttora in atto di risorse globali. Risorse che messe sul mercato divengono merce e pertanto lasciano spazio alla visione del libero mercato come il luogo in cui la natura diviene merce[18], ma non più per la soddisfazione del bisogno umano, divenuto obiettivo sottoprodotto in vista dell’obiettivo primario, ossia il profitto. Quasi a perpetuare un «do ut des», ma che rischia di amplificare l’ambiguità del dono nella società di oggi, offrendo spunti di riflessione verso gli attuali processi di esclusione sociale e di sistemi di welfare delle società capitalistiche.
Sociologico (Relazione soggiacente e Correlazione con Strutturazione sociale; Gruppo; Familismo/Atomismo; etc.).
Per un tentativo esplicativo della donazione, si potrebbero ricordare anche i potenziali impieghi dell’analisi transazionale, secondo i lineamenti di E. Berne[19], utilmente impiegata per l’analisi nelle organizzazioni al fine di sviluppare ed integrare in un sistema sociale il gruppo (per es. un’azienda)[20]. Trattandosi però di un’evoluzione in senso relazionale della psicoanalisi freudiana[21] l’analisi transazionale ha radici profonde nella psicoanalisi, piuttosto che altrove. Si è perciò preferito assumere un punto di vista che è apparso più propriamente sociologico, quindi più appropriato a ciò che è da trattare secondo il punto di osservazione riservato al presente paragrafo.
Da un punto di vista sociologico, e della psicologia sociale che lo sostiene, l’intreccio tra donazione e scambio sociale, che influiscono sull’atto del donare, sembra oggi andare oltre i criteri di interazione, sociazione e di reciprocità Simmeliani. Al difuori dei tipi ideali mossi da sentimenti (quali ad esempio. la pietas, la solidarietà, l’affetto, etc.) per spiegare l’atto del donare si potrebbe fare riferimento proprio alle teorie dello scambio sociale e della relazione interpersonale soggiacente[22] implicanti una “transazione”; che può essere transazione di risorse e ricompense nel tentativo di un reciproco soddisfacimento. Sebbene queste impostazioni possano sembrare esse stesse esempi di un riduttivismo economicistico applicato alle scienze sociali, in realtà appaiono fornire un contributo di comprensione concreto.
Se si assume che il dono può essere in molte circostanze interpretato come ricompensa, occorre ricordare che secondo alcune teorie sociologiche “transattive” lo scambio di ricompense con l’ambiente sociale (dove ciascuna persona o gruppo costituisce ambiente per l’altro) stimola la ripetizione del comportamento. Ciò ad esempio può essere di aiuto nello spiegare quella che qui è chiamata circolarità del dono. Le ricompense vengono solitamente ricomprese in due grandi categorie: quella economica e quella sociale, ma tra esse sussistono grandi differenze: lo scambio economico implica solitamente obblighi specifici, mentre quello sociale solitamente comporta obblighi non specificati; lo scambio economico normalmente definisce scadenze temporali precise entro cui gli obblighi devono essere adempiuti; cosa che non accade per la categoria sociale ove non si impongono penalità per inadempimento; gli oggetti di scambio economico sono di norma aperti alla transazione, mentre quelli sociali solitamente non lo sono; ma al riguardo occorre tenere presente che una transazione aperta può cambiare la natura della relazione, ma può anche impedirne la prosecuzione; solitamente gli scambi economici tendono ad essere impersonali e distaccati, mentre quelli sociali sono più coinvolgenti e possono contribuire a creare sentimenti di riconoscenza personale, di gratitudine e di fiducia; in termini di valore lo scambio economico è ben definito, cosa che perlopiù non accade nello scambio sociale; gli scambi economici implicano l’accettazione del sistema giuridico, mentre quelli sociali implicano fiducia; il valore dei benefici economici è facilmente isolabile da chi li arreca, mentre i benefici sociali acquistano o perdono valore dipendentemente da chi li determina.
La teoria che si fonda sullo scambio di risorse fra le parti in relazione (nota come teoria di Foa e Foa - 1974) fa attenzione ad individuare come tali risorse, se scambiate, contribuiscono ai cambiamenti nella relazione, alla sua evoluzione e alle sue dinamiche. Per la verità, l’originaria teoria (di Edna Foa e Uriel Foa del 1974- citata ed ampliata da M.E. Roloff )[23] sembra considerasse solo sei diverse categorie di risorse - cioè amore, status, informazione, denaro, beni e servizi – che si articolano su due diverse dimensioni che vanno dall’Universale al Particolare (sulle ordinate); e dall’Astratto al Concreto (sulle ascisse). Mentre invece, nella figura seguente, se ne sono volute indicare altre due, non perché mancanti, ma al solo scopo di evidenziare che lo Spazio delle Risorse dovrebbe forse essere inteso in modo più complesso. Ossia come uno spazio in cui diverse forme di risorse sono collocabili tra i diversi tipi, in cui quelle evidenziate costituiscono forme quasi-polari, autentiche, e non frammiste ad altre tipologie che si potrebbero invece collocare in modo prossimale ad esse, sullo stesso spazio, ma non in modo esattamente sovrapponibile.
Prima di procedere oltre, vale anche la pena evidenziare che in alcune ricerche[24] il marketing è stato descritto come uno scambio tra due o più unità sociali . In esse è stata utilizzata la teoria dello scambio sviluppata da Foa e Foa per esaminare: (a) la struttura alla base di sei diverse categorie di risorse - cioè amore, status, informazione, denaro, beni e servizi - e (b) le relazioni funzionali tra queste sei categorie di risorse, ovvero i modelli di scambio. Inoltre è stato incorporato nel processo di scambio anche il concetto economico di vincolo delle risorse (ossia la scarsità). I risultati trovati in queste ricerche si sono mostrati sostanzialmente coerenti sia con le relazioni strutturali che funzionali derivate dalla teoria di Foa e Foa. Peraltro, è stato trovato che la scarsità di risorse influisce proprio sul tipo di risorse che un individuo potrebbe fornire in uno scambio. Tutto questo, pur non costituendo una vera e propria verifica sperimentale, supporta ragionevolmente: 1) l’esistenza di un legame, che taluni riscontrano, in aspetti che caratterizzano l’atto del donare, lo scambio sociale e il marketing (o la negoziazione); 2) l’idea secondo cui, allorché l’ammontare detenuto di una certa risorsa concreta (per es. beni o denaro) è percepita come in forte diminuzione e quindi che sta per divenire “scarsa”, nasce un limite nello scambio di quella risorsa.
Fig. 11
Quando si considerano gli altri come partner potenziali allora può nascere una attrazione interpersonale che favorisce lo stabilirsi di sentimenti positivi tra le parti agenti nella relazione. Ma per essere un partner attraente bisogna essere in grado di offrire risorse ed essere disposti a scambiarle. Li dove esistono un gran numero di risorse normalmente appetibili, salvo casi ideali, vi può essere non solo scarso bisogno, ma anche scarso interesse allo scambio. Di conseguenza la relazione non prende luogo e tanto meno la donazione, che ove tentata potrebbe risultare inefficace, fuori luogo o effimera, dipendentemente da aspetti situazionali e dal verso che la caratterizza. In una situazione esattamente rovesciata o con più equilibrio di risorse, la relazione ha più probabilità di attecchire e la donazione può qui funzionare come elemento iniziale che rompe gli indugi. Tutto questo non significa che tutti gli esseri umani sono necessariamente attratti da coloro che possiedono più risorse, in numero e qualità, ma piuttosto da quelli che possiedono le risorse più interessanti e motivanti per loro, tenuto conto di una possibile propensione alla scambio. Ciò non toglie, per esempio, che chi ha uno stato sociale basso (ma talvolta anche alto) potrà – attraverso l’utilizzo della donazione - tentare di relazionarsi con persone importanti, che possono conferire loro prestigio, sostegno, soccorso, permettergli di accedere a maggiori informazioni, aiutarlo nei suoi obiettivi e a migliorare la sua generale situazione di disponibilità di risorse. In tali casi si può ben parlare di ambiguità sociale del donare, non solo perché c’è un ritorno atteso che squalifica l’atto di donazione, ma anche perché l’atto intenzionale di utilizzare strumentalmente la relazione può configurare anche fenomeni di arrampicamento sociale, di abuso, di illecito, (o di corruzione a seconda dei casi) tanto più evidenti quanto più essi sono rivolti verso risorse concrete e universali cui lo scambio mira. Il motore della mobilità sociale, si ritiene invece, almeno in senso ideale, che dovrebbe essere l’impegno, la coltivazione di sé e dei propri talenti ed averi, l’iniziativa (imprenditoriale, manageriale, lavorativa, finanziaria, etc.), lo spirito di servizio agli altri, la credibilità e la presenza di un codice etico nelle proprie azioni e nella propria storia. Il dono, all’opposto, usato come esca per una relazione premiante indirizzata ai propri personali scopi, sebbene presupponga anch’essa abilità (quantomeno di simulazione), aggira tutto ciò e diviene socialmente riprovevole. In un mondo competitivo in ogni circostanza, perseguendo il raggiungimento dei propri obiettivi si può quindi giungere attraverso la strumentalità del dono, ben oltre l’ambiguità, indipendentemente dalla propria appartenenza sociale.
In definitiva, secondo un punto di vista sociologico e tenendo conto di tutto quanto sopra esposto, il dono veicolando reciprocità rompe un equilibrio nella preesistente relazione tra donante e donatario. Cosicché il dono può apparire come vettore di una pulsione relazionale tesa a riequilibrare la relazione e, con il conforto anche dalle definizioni giuridiche in merito alla donazione, una tale pulsione coinvolge i rispettivi stati socio-economici e quindi i patrimoni (o redditi). Ossia si tratta di una pulsione foriera di una possibile attivazione della circolarità del dono, specie all’interno di uno stesso strato socio-economico, familistico o amicale.
La significatività del dono, però, è un parametro soggettivo e quindi pur restando il vettore inalterato in direzione ed intensità , varierebbe come punto di applicazione e quindi verso, costringendo a prendere in considerazione, nella relazione che ne consegue, non solo il punto di vista e gli aspetti che coinvolgono il donante ma anche quelli del donatario.
In via generale, qualora si dovesse caratterizzare la donazione secondo la stratificazione sociale in economie occidentali ci si potrebbe riferire, per esempio, ai già ricordati criteri che P. Bordieu individua come principali criteri di differenziazione sociale, ossia il capitale economico ed il capitale intellettuale. Dovremmo però tener conto che oggi anche il capitale politico (legato a contenuti di scelte politiche ed ideologiche), che egli individuava in passato come variante in economie autocratiche chiuse dell’est, sembra prevalere anche nei sistemi occidentali nostrani. Da qui segue che le peculiarità della donazione si ampliano, variando secondo la differenziazione sociale prodotta da tali criteri.
Economico (Donazioni e velocità di circolazione del capitale; sua marginalità decrescente; essenzialità in condizioni di sottosviluppo per l’avvio di processi di sviluppo capitalistico).
Come ogni altro punto di osservazione, anche quello economico permette di guardare ai fenomeni con diverse angolature, diversi punti di vista, e guardando in lontananza i punti di vista tipici di un punto di osservazione possono mostrare delle sovrapposizioni con quelli di altri punti di osservazione. Di per sé la donazione può apparire un modo per ridistribuire il capitale e farlo circolare per produrre frutto, ma sarebbe semplicistico, pur restando questo un punto di vista possibile.
Nella fattispecie si può iniziare ad osservare la donazione dal punto di vista dell’economia dei grandi aggregati, secondo una semplificazione Keynesiana, ossia il prodotto interno di ogni sistema economico o sue parti componenti (risparmi, investimenti, consumi, tasse, import/export). Come si è avuto modo di vedere in alcune parti precedenti vi è uno stretto legame tra il volume complessivo delle donazioni e il reddito nazionale o PIL di un sistema economico. Questo legame mostra una proporzionalità diretta e fa sì che all’aumentare del reddito nazionale aumenti anche il volume complessivo delle donazioni. Si può quindi dire che la donazione è funzione dell’espansione dell’economia, ma è soggetta ad una saturazione. Ciò significa che al di sopra di un determinato reddito (punto di flesso F in Fig.12 seguente), caratteristico di ciascun sistema economico, all’aumentare del reddito le donazioni pur continuando a crescere mostrano una crescita inferiore in termini percentuali rispetto al reddito stesso. In pratica si giunge ad un punto in cui per successivi ed uguali incrementi di reddito si ottengono incrementi di donazioni via via decrescenti. Al fine di una spiegazione di questo fenomeno, va sottolineato che in un sistema economico ogni incremento di reddito può essere destinato al consumo, al risparmio o all’investimento. Il consumo assorbe tutta la produzione di un certo periodo e permette la sopravvivenza del sistema in quel periodo; e se in eccesso stimola la produzione e quindi l’espansione del sistema; se in difetto contrae l’espansione e lascia inattivo parte del sistema produttivo. L’espansione però può avvenire se vi è sufficiente propensione a risparmiare, affinché vi siano sufficienti risparmi accantonati che consentono gli investimenti necessari tenendo anche conto dell’innovazione tecnologica progressiva, già provata, attesa o in sperimentazione.
Fig. 12
Qualora poi l’espansione fosse eccessiva (o deficitaria) e producesse in eccesso (o in difetto), in una economia aperta e di libero mercato si attiverebbe il canale export (o import) che avrebbe effetti positivi (o negativi) sul reddito stesso. Ma, la tendenza dei sistemi economici a raggiungere un equilibrio presuppone che l’ammontare degli investimenti eguagli l’ammontare dei risparmi. Per cui se le donazioni vengono attinte da quote di reddito destinate al consumo possono svolgere un ruolo di calmierazione o di stimolo al consumo e quindi alla produzione; ma se incidono sulla propensione al risparmio e fanno fortemente diminuire i risparmi si ha una diretta e negativa incidenza sulla crescita e quindi sull’espansione del sistema, che può mettere a repentaglio i suoi risultati o la sua stessa sopravvivenza. Si può quindi ragionevolmente ipotizzare che in un determinato sistema economico deve esistere una compatibilità della donazione con le condizioni economiche date che possono ostacolare o accelerare le donazioni stesse. In definitiva, sebbene le donazioni rappresentino quote modeste rispetto ai grandi aggregati, si potrebbe congetturare che esse sembrano rientrare in una sorta di meccanismo (presumibilmente non intenzionale e non programmabile) di autoregolazione fine a seconda dei tempi e delle circostanze. Una autoprotezione di secondo ordine del sistema economico che può portare benefici se bene usata come strumento addizionale e di completamento, ma non determinante, per politiche economiche espansive/calmierative all’occorrenza. Queste considerazioni, che valgono per un sistema macroeconomico sembrano potersi estendere anche ai sistemi microeconomici, sino a giungere ai sistemi di economia famigliare e individuale, dove un orientamento eccessivo alla donazione può incidere sulle capacità di risparmio, sul tenore di vita o sulla capacità di acquisto di un’azienda, una associazione, una famiglia o un individuo. E ciò sarebbe vero tanto più quanto più è basso il loro reddito.
Tali considerazioni, sebbene appaiano auto-evidenti, potrebbero essere ritenute ancora congetturali e da dimostrare in una eventuale specifica ricerca “sperimentale”. Esse, comunque, potrebbero ugualmente scaturire dalle originarie teorie macroeconomiche quantitative della moneta, che nella loro forma “originaria” sostenevano la tesi che: «il livello generale dei prezzi (P), e quindi il valore della moneta che è espresso dal suo reciproco, dipendono dalla quantità di moneta (M)» [25]. Di conseguenza, in via analogica, a parità di quantità di donazioni (Q) di elevato volume, si mobilita una quantità di moneta necessaria (M) che incide sulla velocità di circolazione della moneta (V); tutti fattori dell’ originaria equazione quantitativa (PV=MQ) cui la teoria monetaria fa riferimento e che sancisce in realtà la necessaria corrispondenza tra il valore complessivo delle vendite di beni ed il volume complessivo dei relativi esborsi monetari.
A quanto pare, sebbene le donazioni mobilitino beni e risorse, richiedano servizi, non sono esse stesse ricomprese in termini di valore nell’ambito del PIL di un sistema economico che le genera, presumibilmente perché non si tratta di nuova ricchezza generata da attività produttiva, ma piuttosto di risorse e beni già presenti e preesistenti nel sistema prima della donazione. Si può così escludere almeno questo fattore che darebbe tratti di ambiguità alle donazioni complessive di un determinato sistema economico, visto le possibili “macchinazioni” che potrebbe ingenerare (e.g. stimolando donazioni per incrementare il PIL). Ciononostante, secondo il punto di vista assunto, per indagare sulla possibile ambiguità dell’atto del donare, che rappresenta la questione di fondo di questo lavoro, occorre considerare che ogni sistema produttivo è un sistema organizzato. In accordo ad un principio organicista e struttural-funzionalista – senza per questo sforare nel sociologismo, in quanto principi constatabili nella realtà - possiamo assumere come per ogni sistema economico, in quanto organizzazione, che nasce, produce e si riproduce, si espande e tende a sopravvivere il più possibile. Ma, lì dove il problema della “sopravvivenza” non è adeguatamente risolto è logico pensare che è difficile donare, tranne che in extremis in forme di lascito, qualora esista un patrimonio residuo.
Se ciò può non valere per un sistema economico nel suo complesso, certamente vale per le numerose associazioni con scopi di beneficienza. Associazioni nate ovunque ed efficacemente volte alla mobilitazione di fondi. Si tratta di associazioni che pubblicano un bilancio sociale e sono esposte ad un controllo pubblico, almeno in teoria. Ciononostante, talvolta – specie in assenza di specifici atti formali e giuridicamente validi nelle donazioni, come nel caso di donazioni di modico valore - si viene a scoprire che i fondi raccolti sono prioritariamente destinati a coprire le spese associative e solo secondariamente destinate alle intenzioni pur espresse dal donatore. Ed è difficile negare in questi casi che l’ambiguità sussiste.
Fig13 – Serbatoio collocamento
Se poi si fa riferimento a questa scheda[26] sopra riportata e all’andamento della crescita delle Istituzioni non profit in Italia, nonché all’andamento dei loro dipendenti (anche in termini di valori complessivi), considerando che si tratta pur sempre di volontariato, non si può fare a meno di pensare che, in ipotesi da verificare, si potrebbe essere difronte ad un serbatoio di collocamento della manodopera con la funzione: positiva: di “ammortizzatore sociale” e mitigazione della disoccupazione; oppure negativa, di mascheramento del lavoro precario, con pressione sui salari e loro contenimento dietro la scusa del non profit e del volontariato.
Assumendo criteri di economia marginalista si potrebbe parlare di una significatività decrescente o crescente del dono, che mette in luce come nell’atto del donare sono coinvolti, oltre alle relazioni tra le persone del donatore e donatario ed il valore delle donazioni, anche i rapporti tra i loro rispettivi patrimoni o redditi in termini assoluti. È evidente che tanto più elevato è il patrimonio del donatore tanto più donazioni di identico valore divengono economicamente poco significative per il donatore stesso, mentre possono conservare un’alta significatività per il donatario, specie se questi ha un modesto reddito o patrimonio. Ove fosse nota funzionalmente la curva in Fig.12 e si volesse formulare un indice di significatività del dono per il donatore si potrebbe configurare in vario modo oltre che con il semplice rapporto tra le coordinate del punto che rappresenta la donazione. Si disporrebbe così di una metrica per il concetto di significatività, che troverebbe certo una qualche correlazione con lo strato sociale di appartenenze delle parti coinvolte nella donazione stessa. Sebbene talune ricerche evidenzino che l’orientamento al risparmio è decrescente con l’aumentare della ricchezza a disposizione, questa sorta di significatività del dono, che diviene poco significativa per gli alti redditi o patrimoni, svolge comunque un ruolo essenziale per coloro che sono in condizioni di sottosviluppo, poiché proprio in tali condizioni ogni donazione diviene estremamente significativa per chi ne beneficia. Poiché in povertà, la costrizione quotidiana del sopravvivere in condizioni di sussistenza o quasi, mortifica non solo il tenore di vita, ma soprattutto rende impossibile il risparmio e quindi l’accumulazione di capitali sufficienti ad avviare processi di sviluppo. Pertanto, anche una donazione modesta e di bassa significatività per il donatore, ma costante, se esattamente orientata lì dove la significatività è alta per il donatario, può essere funzionale all’avvio di processi di sviluppo, alla stessa stregua in cui l’emarginazione e l’esclusione sociali possono essere promotrici di sottosviluppo. Questo giustifica la crescita delle organizzazioni non profit che si nota in Fig.13 nel ventennio scorso.
«In un primo momento,.., l’insieme di comportamenti basati su finalità distinte dal profitto (proprie di queste organizzazioni) veniva considerato al di fuori del campo di indagine dell’economia. In seguito, motivazioni di tipo altruistico sono entrate a far parte dello studio, con il tempo sempre più approfondito, delle “funzioni di utilità” alla base dei comportamenti degli agenti economici»[27]. Dall’inizio del secolo, quindi, gli studi economici e le ricerche sull’economia della donazione hanno ricevuto un impulso anche in questo Paese. Ma sin da allora sono emersi risultati, alcuni attesi, altri inattesi, talvolta ovvi; ovviamente soggetti ad aggiustamenti, revisione o modifica man mano che le ricerche procedono. Di seguito se ne riportano alcuni: l’orientamento al risparmio è decrescente con l’aumentare della ricchezza a disposizione; risultano più inclini a donare coloro in età superiore ai 65 anni; la probabilità che un individuo sia donatore abituale tende a crescere per le donne con un elevato livello di istruzione; ed è tanto più elevata quanto maggiori sono reddito ed età; l’ammontare complessivo delle donazioni aumenta se aumentano i percettori di un reddito fisso (per es. pensionati, statali), specie se di età superiore ai 65 anni, risultati più inclini a donare; effetti positivi in termini di donazioni sono prodotti dalla partecipazione femminile al mercato del lavoro; donazioni previste in crescita nel periodo 2020-2050 con maggior numero di donatori e importi maggiori; vi è complementarietà tra donazioni di tempo e donazioni di denaro; l’importo delle donazioni cresce se l’individuo contemporaneamente “dona” parte del suo tempo in attività di volontariato.
Ma la cosa inattesa che hanno messo in evidenza queste ricerche è la seguente: «il livello delle donazioni effettuate dovrebbe risultare correlato positivamente al consumo dei beni privati; se invece fosse maggiormente in grado di spiegare il fenomeno un modello di beni pubblici la relazione positiva dovrebbe sussistere fra le donazioni ed il consumo del bene pubblico; se, infine, la motivazione più importante fosse costituita dalla semplice “gioia di donare” non osserveremmo alcuna correlazione sistematica fra donazioni e livello dei consumi (dei beni privati quanto di quelli pubblici)».
Ciò è dato quasi per scontato, nonostante i consumi pubblici e quelli privati siano quote del PIL[28], quindi ricomprese nel reddito nazionale di un sistema e sarebbe interessante comprendere quali strade sia necessario percorrere per accertare o smentire che una correlazione esiste tra donazioni e livello dei consumi. Anche per questa ragione appare necessario muovere passi verso la messa a punto di un modello metrico, ossia quantitativo, riguardante le donazioni sulla base di reti sociali, qualora ciò non sia stato ancora fatto in alcun modo nell’ambito della ricerca sull’economia della donazione. Allo stesso tempo questo punto, per quanto teorico e di interesse per pochi, resta uno dei punti di ambiguità che sembra rivestire l’atto del donare.
Religioso, Esoterico, Scientista (Dono come Restituzione, senso dell’Anonimato; Agape, Philia, Philautia; il Dono Sacrificale di sé; Dono della Terra, della Vita e della Scienza; interrogativi sulla gratuità del dono).
Assodato che donazione è entrare in relazione con l’altro, un concetto introduttivo per analizzare il dono in prospettiva religiosa sembra essere quello di “specchiarsi nell’altro” e riconoscersi in lui in qualche modo. Introdurre il concetto di “altro” ossia di “non me” , “diverso da me”, con cui posso interagire, specie in prospettiva cristiana, è quasi questione di predicazione comune, essendo ogni cristiano comandato a riconoscere nell’altro l’immagine di Cristo; sofferente, crocifisso, risorto, glorificato per un amore e per una universale redenzione cui tutti sono chiamati. Pertanto, in ogni relazione, l’unione in Cristo detta le regole, il comportamento e le linee interpretative secondo una tale prospettiva. Ma prima di addentrarsi lungo questa prospettiva, che non è l’unica possibile in campo religioso, sembra opportuno ritornare per un momento su una prospettiva psicologica, per motivi analogici.
Lungo un percorso storico-evolutivo della psicologia, si può pensare la libido Freudiana - quale energia di natura particolare, che qualora sublimata e non fruita, diviene generatrice di civiltà - apra al concetto di “campo psicologico”, ossia un “campo immateriale”, di elementi costituenti più o meno ordinati e strutturati. Concetto che sottende la psicologia della Gelstat. Da qui si può facilmente traslare – a seconda degli orientamenti di ciascuno – nello scientismo o nello spiritualismo e persino nell’esoterismo.
Nel caso di traslazione verso lo scientismo, l’esistenza di un supposto campo psicologico, le cui caratteristiche dipendono dalla configurazione (strutturazione/destrutturazione, connessioni, nodi e loro disposizioni e relazioni, etc.) , oltre a richiamare le Teorie di Campo (di forze/energie: tensionali, elettromagnetiche, gravitazionali, etc.) trattabili attraverso l’analisi matematica, operatori differenziali, vettori e tensori, permette analogie inattese nel caso della donazione.
Nella fisica delle particelle, per esempio, il fotone conosciuto come costituente elementare della radiazione luminosa è vettore che veicola l’energia elettromagnetica (ossia un bosone secondo la definizione della teoria delle particelle nota come Modello Standard). Se il fotone (ossia una particella unitaria di luce) incide su uno specchio, viene riflesso e cambia direzione, con un angolo pari all’angolo di incidenza. Qualora il fotone incida perpendicolarmente (con un angolo di 90°) sullo specchio, allora torna indietro nella stessa direzione, con intensità e frequenze più o meno conservate a seconda delle circostanze. Anche senza dover inventare un bosone che sia vettore dell’energia e dell’interazione nel campo psicologico (o sociale)[29], in forma analogica si potrebbe pensare alla donazione come un fenomeno dove donatore e donatario sono un “entanglement” (ossia un intreccio) in cui la relazione che si stabilisce tra loro fa sì che uno diventi “specchio” dell’altro e il vettore che attiva la “riflessione”, benché non immediata e piuttosto ritardata, invertendosi attivi un contraccambio del dono stesso, e talvolta una relazione che può condurre alla circolarità del dono. Eppure, con spirito scientista, per chiarire la natura vettoriale soggiacente alla donazione, questa analogia dell’entanglement potrebbe essere approfondita. Lo si può fare assimilando la coppia donatore/donatario a due fotoni che entrano in qualche modo in “relazione” e sono sottoposti ad un comune trattamento prima di separarsi. Separatisi, i fotoni procedono elicoidalmente, come di fatto fanno i fotoni, “avvitandosi” sui loro rispettivi percorsi , con elicità (ossia spin) diverse: per es. spin 1 indicato con → ; e spin -1 indicato con ← . L’entaglement, che è un fenomeno fisico accertato nella realtà ci dice che, se per una qualunque causa, ad una delle due particelle entrate in relazione si fa invertire lo spin, contemporaneamente inverte il proprio spin anche l’altra particella. Ce n’è abbastanza per chiedersi se anche dal punto di vista psichico non esista una particella elementare di energia psichica, e se non possa avere ruolo nelle relazioni umane. Ma questo è compito delle neuroscienze e della fisica dell’informazione, che ancora sono alla ricerca di risposte ai quesiti sulla presunta irriducibilità[30] della coscienza umana che tanta parte gioca nell’attività psichica.
Non è un caso che diversi approcci esoterici, in cui è in genere riconoscibile la promozione della gnosi, intesa quale conoscenza, anche scientifica in senso moderno, il ricorso al simbolismo della luce è stato ed è tuttora molto diffuso e condiviso. L’illuminazione della conoscenza può permettere di riconoscersi nell’altro e il dono ne fornisce occasione e testimonianza. Aldilà dei riti misterici in cui si possa ritenere che essa venga acquisita o trasferita, la stessa conoscenza è dono e può e deve essere scambiata, attivando un processo di circolazione delle idee. Per i brevetti riguardanti nuove idee ed invenzioni, esiste la tutela della proprietà intellettuale, sulla quale grava poi una commercializzazione. Tuttavia, in adesione a evidenti principi etici potrà mai la conoscenza essere “occultata e tesaurizzata”, oppure “venduta” o ceduta in cambio di una pretesa, per esempio nell’attesa di ricevere qualcosa di specifico o di progettato in contraccambio? Le stesse lettere di Paolo di Tarso ci ricordano che tutto è dono: «Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come non l’avessi ricevuto?»[31] E per es., sotto tale veste la pratica della cristiana Confermazione o Cresima – essa stessa “dono” - si riveste del senso di un completamento dei doni battesimali dello Spirito. Alla stessa stregua pure “Il Lavoro Intellettuale come professione”[32] acquista il senso di dono e missione affidata: una sorta di “sacerdozio laico” per uomini di buona volontà. In questa prospettiva tutto diviene dono del Creatore nei confronti della Creatura Umana: la vita, la terra, la sapienza, e ve ne è traccia nelle scritture bibliche dell’Antico Testamento[33]. Ma anche il Nuovo Testamento presenta il Cristo, che per obbedienza al Padre, accetta il Sacrificio della Croce come dono d’amore per l’Uomo, che non avrebbe - senza questo sacrificio - altra speranza di sottrarsi al Male che lo domina. Si tratta di doni veri, autentici e senza la pretesa di qualcosa in cambio? Qui, ovviamente, le risposte si differenziano per i credenti e i non credenti. In via esemplificativa, per i credenti il Creatore, compie un atto di amore e offre alla Creatura Umana, attraverso il sacrificio del Suo Figlio Prediletto, una possibilità di redenzione, di salvezza, che implica l’accorto e fedele uso dei doni ricevuti insieme all’insegnamento dei comandamenti per amministrarli e farli fruttificare. Pertanto, per un Credente la risposta è affermativa anche perché il contraccambio atteso dal donatore esiste, ma è rivolto sempre a beneficio del donatario. Mentre per i non credenti il problema non si pone affatto e ove si ponesse si tratterebbe, magari secondo una visione materialista, di credenze religiose imposte nel corso della storia da classi sacerdotali, funzionali al potere dominante, al fine di instaurare una dominazione sull’Uomo o quantomeno esercitare un controllo sociale a sostegno di quel potere dominante di cui le classi sacerdotali fanno esse stesse parte.
Tutto ciò aldilà se il dono, ossia “lo squilibrio” che esso crea tra donatore e donatario, sia prodotto da ideali, sentimenti, emozioni, significati, memorie, etc.: oppure da considerazioni economicistiche in senso lato che, per quanto riduzionistiche possano essere, pur hanno effetto sull’animo umano. Infatti si può giungere a percepire il dono come “debito” nei confronti del donante, specie in una cultura nordica europea (dove debito e colpa sono espressi con una stessa parola), o che abbia radici calviniste, dalla cui etica (oggi smarrita!) ha preso origine il capitalismo occidentale. Senza dimenticare che nella cultura cristiana si è indirizzati persino nella preghiera alla remissione del debito, richiedendola per grazia ai fini di una salvezza che trascende la realtà fattuale.
Inoltre, si è già fatto rilevare, all’inizio, come lo stesso atto del donare può nel tempo assumere valore consuetudinario e quindi normativo in ambito sociale. Per esempio come sostegno per il culto o per i meno abbienti, oppure assumere i connotati di “restituzione” del maltolto. A tale riguardo si può citare nuovamente per il primo caso il criterio di obbligatorietà della decima, dovuta al Tempio e ai Leviti nell’antico mondo giudaico, che ha perduto nel tempo il suo carattere di offerta, di sacrificio, di riconoscenza; che però sembra coinvolgesse il reddito, piuttosto che il patrimonio del donante, e comunque non teneva conto di quel criterio di progressività che caratterizza invece le moderne regole di imposizione fiscale in ambito statale. Per il secondo caso si può citare il racconto evangelico di Zaccheo che nell’incontro con il Cristo prende l’impegno di restituire in sovrabbondanza il maltolto su cui ha fondato il suo arricchimento illecito, riuscendo così ad entrare in quella “cruna di un ago” impedimento alla salvezza del ricco.
Vi è uno stretto legame tra l’atto del donare ed i sentimenti umani che la tradizione classica identifica con i termini di agape, philia, philautia , che rivestono tutti valore etico a prescindere da ogni orientamento religioso. Nel caso dello spiritualismo, ed in particolare del Cristianesimo, l’agape è “la più alta forma di amore, di carità”, è “l’amore di Dio per l’uomo e dell’uomo per Dio”. Ciò è diverso dalla philia (amicizia e affezione) e dall’amore fraterno; e di certo è in contrasto con la philautia (l’amore per se stessi, l’amor proprio, riguardo il proprio vantaggio e felicità). Poiché l’agape abbraccia un profondo amore sacrificale che trascende e persiste indipendentemente dalle circostanze.
L’anonimato del dono, che ha fatto e fa discutere perché sia obbligatorio ex lege nel caso della donazione degli organi, è ritenuto una garanzia essenziale per riuscire a tutelare le parti coinvolte - il donatore, il ricevente e le loro famiglie - evitando logiche di mercato o commerciali e quindi eventuali ricatti, manipolazioni o coercizioni. Ma il requisito (e il beneficio) dell’anonimato sembra sempre più un nobile atteggiamento nel caso del dono in generale, specie nei casi in cui il donatario è in condizioni oggettive di non poter mai contraccambiare (per esempio lì dove donatore e beneficiato sono separati da una grande distanza sociale che impedirebbe a quest’ultimo ogni azione di tal genere). È ragionevole pensare che questa pratica dell’anonimato, almeno nel mondo occidentale, derivi dall’antica raccomandazione evangelica nel racconto di Marco:
«1 State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. 2 Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 3 Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, 4 perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.»[34]
Ma è altrettanto ragionevole pensare che proprio lì dove la destra non sa ciò che fa la sinistra ed è rispettato l’anonimato della donazione, vi può essere con alta probabilità il requisito di gratuità del dono rispettato; poiché ogni eventuale corrispettivo immateriale del dono sorge e permane nel silenzio del donatore ed ogni sua eventuale soddisfazione perdura in lui e nel suo essere si consuma per il compiacimento della sua autentica donazione in aderenza al suo Credo.
Laico (atto di responsabilità verso la società, gruppo di appartenenza).
Un esempio del punto di vista laico nel trattare il tema del dono a sfondo religioso è riportata qui di seguito. Si tratta di una recente riflessione presa da un quotidiano cattolico sulla Scienza come dono sacro; tema che ha una attinenza con questo lavoro:
«I Presocratici non sono una “prova generale” del presente…... Sono un dono proposto (ancora) oggi. “La perdita di questa consapevolezza della scienza come dono “sacro”, nel senso più profondo e non confessionale del termine, a favore della visione della scienza come “conquista” prettamente umana ha contribuito non poco alla crescita esponenziale dell’arroganza e dell’aggressività del cosiddetto progresso e dei suoi rappresentanti con le catastrofiche conseguenze di cui oggi tutti siamo spettatori impotenti” »[35]
Dono sacro contrapposto a conquista possono insieme essere interpretati come concetti antitetici e quindi rivestire di ambiguità la Scienza come dono . Ma in realtà una conquista può essere anche intesa come punto di arrivo di un percorso spirituale, o teologale. Pertanto la contrapposizione è frutto dell’interpretazione e quindi della parte profonda e non espressa di chi interpreta. Ossia frutto della soggettività interpretativa dovuta ai propri valori ed intenzioni.
Il punto di osservazione laico sottende un’etica che in modo limitativo può intendersi semplicemente come etica non confessionale, non legata cioè a una determinata confessione religiosa. In maniera più ampia pensando all’etica secolare occorre ricordare che si tratta di una branca della filosofia morale, in cui l’etica è basata solamente sulle facoltà umane come la logica, la ragione e l’intuizione morale e non è derivata da rivelazione o interventi soprannaturali. Pertanto, dobbiamo qui intendere per laicità un’assoluta indipendenza e autonomia nei confronti di ogni confessione religiosa, o in senso esteso anche, nei confronti di qualsiasi ideologia. In questa ottica però l’etica laica e quella religiosa si ritrovano, talora, ad essere sovrapposte e addirittura a coincidere spesso, specie in riferimento all’agire per il superiore valore del bene comune rispetto al bene individuale, pur conservando punti di partenza distinti. Cosicché l’atto del donare come atto di responsabilità verso la società ed il proprio gruppo di appartenenza è movente che riveste profonda validità per un agire laico come pure per un agire religioso. Ciò vale sia per le donazioni private che per quelle pubbliche. Gli obiettivi di inclusione sociale, mitigazione dell’emarginazione e dell’esclusione sociale, la promozione di una ridistribuzione del reddito e mitigazione della povertà - quale strumento di giustizia sociale - sono obiettivi validi per il laico come pure per il religioso. Questo è particolarmente vero in un momento della Storia dove le crisi finanziare, economiche e politiche sono divenute strutturali e di portata globale. Si tratta, in definitiva, di moventi ideali per l’una e per l’altra parte e specie nelle intenzioni dei donatori di valori modici è difficile riscontrare ambiguità nel donare. Ambiguità che invece può insorgere (specie riguardo a gli usi e le destinazioni) se si osservano gli ordini di grandezza dei valori complessivi delle donazioni (vedi tabella seguente – Tab. 2- Prospetto 3).
Tab.2
La donazione era, ma non è più pratica esclusiva delle classi più abbienti. Essa caratterizza ormai tutti gli strati sociali, salvo gli indigenti, specie per le donazioni di modico valore. Ciò è vero, però, se ci si ferma agli aspetti qualitativi. Se si analizzano laicamente, invece, anche quelli quantitativi dovremmo constatare che le grandi donazioni non possono che essere, necessariamente, appannaggio delle classi più abbienti, poiché il nullatenente non può donare “il nulla” e pretendere che sia un dono. È pur vero, però, che a partire dagli insegnamenti evangelici e a finire con l’uso di una metrica economicistica, che faccia ricorso ad un rapporto tra il possibile valore del dono e quello del patrimonio del donante, la significatività del dono (tutt’altro che connessa soltanto a tali criteri!) sarebbe palesemente connessa al sacrificio del donante a favore del donatario in termini di quale porzione del proprio patrimonio il primo è in grado di rinunciare a favore del secondo. Per converso, attraverso gli stessi criteri metrici, dovremmo scoprire che mentre le grandi donazioni sono più rare, le piccole donazioni sono più frequenti. Ma sarebbe solo un effetto “naturale” della curva di concentrazione della ricchezza nelle mani di un più ristretto numero di persone, ossia quelle che oggi vengono indicate come “élite”; ed élite finanziarie in particolare. Spingendo al limite estremo un simile ragionamento si può dare matematicamente conforto al nullatenente, che non è naturalmente in condizioni di donare, poiché anche un dono di valore infimo a causa del suo patrimonio praticamente nullo avrebbe altissima significatività. Fin qui, però, abbiamo considerato “freddamente” la significatività del dono con criteri vari, dal punto di vista di un osservatore esterno, ma guardandola più semplicemente nei suoi dati come dal prospetto seguente, se ne può cogliere qualche oggettivo criterio che la rende sicuramente un valore sociale per donatori e donatari che ne beneficiano.
Fig. 14
Secondo quanto si è avuto già modo di accennare, sarebbe significativo caratterizzare la donazione secondo la stratificazione sociale riferendosi ai criteri che P. Bordieu individua come principali criteri di differenziazione sociale, ossia il capitale economico ed il capitale intellettuale. Ma basterebbe anche farlo semplicemente secondo reddito o patrimonio (o entrambi), e presumibilmente si potrebbe fare solo statisticamente. Dovremmo trovare, però, che oggi il capitale politico nel senso di Bordieu, che egli individuava in passato come variante in economie autocratiche chiuse dell’est, stia pervadendo significativamente anche i sistemi occidentali nostrani, anzi si ipotizza sia divenuto rilevante per la stratificazione sociale. Da qui segue che le peculiarità della donazione si amplierebbero, variando secondo la differenziazione sociale considerata da tali criteri, e si potrebbe giungere a disporre di qualcosa di simile alla curva semplicemente ipotizzata nella Fig.12 come risultato di una media di dati riguardanti i valori di donazioni e di redditi (o patrimoni) dei relativi donatori.
Politico (atto coesivo sgravante le responsabilità dei governanti e gli interventi di sostegno governativi, favorendo il consenso, le classi dominanti e lo status quo).
La donazione dal punto di vista politico è tema ancor più complesso. Essa può assumere diverse sfaccettature tra il dovere e la necessità. In un caso la donazione è dovere dei sistemi ad economia avanzata nei confronti delle economie emergenti; dove alcuni movimenti fanno risalire tale dovere o a motivazioni religiose, o ideali, o a compensazioni ex post per il colonialismo (divenuto sinonimo di sfruttamento) perpetrato, specie dall’Occidente, nella storia passata. Nell’altro caso la necessità della donazione emerge dal tentativo di mitigazione dei fenomeni migratori, anche all’insegna di aiutiamoli a casa loro e forse soprattutto con l’intento di proteggersi dall’infiltrazione di culture “altre”, che dove più tollerate troverebbero sostegno in un “male necessario” per far fronte alla bassa natalità locale, alla funzionalità dei bassi salari praticabili in processi produttivi ad alta intensità di lavoro umano (mobile, precario e migrante all’occorrenza), e quindi per ragioni di mercato. Comunque sia, di fatto, gli indici o parametri di solidarietà e cooperazione internazionale fissati come obiettivi nel rispetto delle diverse Agende, nate al riguardo nelle diverse istituzioni coinvolte, si trasformano contribuendo immediatamente alla costruzione di una “Immagine Paese”; apprezzabile anche quantitativamente proprio attraverso i valori di donazione raggiunti. Ciò è sempre accaduto, ma accade tanto più nel “Villaggio Globale”, in cui ormai viviamo, secondo la pre-visione di McLuhan. Cosicché il grado di raggiungimento di quegli obiettivi di donazione e di cooperazione, costituiscono elemento di formazione dell’immagine politica di un Paese funzionale all’esercizio della sua influenza concreta. L’aggancio di tutto ciò alla politica e all’influenza internazionale che ne può risultare ne evidenzia la presenza di un ritorno atteso dalle donazioni, che almeno secondo le definizioni di partenza date, le rende ambigue, al punto di non poterle più ritenere veramente tali?
L’aiuto al migrante è comunque divenuto “di fatto” obbligo morale oltre che necessità, e non pochi strumenti politici e risorse sono continuamente spesi a tale fine. Eppure, in sede politica, si hanno ragioni e prove che evidenziano come lo sradicamento degli esseri umani dalla propria cultura di origine, quando non dà luogo a vera integrazione, produce solo danni sia per gli sradicati, condannati all’emarginazione, sia per le comunità che li ospitano, costrette all’impoverimento e al conflitto attraverso la messa in competizione con un “serbatoio di manodopera” funzionante da compressore dei salari. Ma l’integrazione è riconoscibile ed è misurabile sulla base di una vita (non solo di lavoro) in condizioni dignitose e sostenibili. Infatti come effetti di lungo termine, non previsti o ignorati al momento opportuno, la politica si trova poi a dover fronteggiare piccole o grandi atti di violenza, di disordini sociali se non di rivolta, che si producono proprio nelle periferie o nei centri cittadini che accolgono le prime o successive generazioni di migranti non integrati (magari associati ad autoctoni marginalizzati!). Ed è a questo punto che una traslazione dei concetti ed insegnamenti Simmeliani, cui si è fatto cenno sopra, dovrebbe essere operata dal livello individuale a livello di sistema economico-sociale più allargato, organico e moderno. Una attualizzazione che può operare solo una politica sociale che se ne assuma l’onere e che abbia l’obiettivo di verificare se una economia sociale di mercato, cui l’Europa si ispira, sia effettivamente ancora sostenibile, praticabile o se non contenga elementi in antitesi con gli stessi obiettivi cui si ispira.
Donazioni pubbliche istituzionalizzate
Le donazioni pubbliche, divenute consuetudinarie nel corso del tempo, possono assumere forme istituzionalizzate come accaduto in Italia. Al riguardo, come noto, le percentuali: 0,8%: 0,5%: 0,2 % sono le quote dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) dovuta allo Stato Italiano da ciascun contribuente che si possono destinare a determinati soggetti, enti, associazioni operanti in diversi ambiti della società. Tali quote possono essere qui annoverate tra le donazioni, sebbene “istituzionalizzate” e gravanti su quote fiscali già altrimenti determinate e dovute al Fisco. Pertanto, si tratta di una sorta di esemplare donazione da parte dello Stato (seppur attraverso i cittadini) che in tal modo rinuncia pubblicamente a una parte di ciò che gli è dovuto per devolverlo a superiori fini di bene comune, già individuati, quasi ad indicare una “direzione” verso cui la donazione si può esplicare, sottolineandone il valore sociale per la comunità.
In particolare le destinazioni di tali quote possono essere le seguenti: l’8 per mille dell’Irpef allo Stato oppure ad un’Istituzione religiosa (non necessariamente cattolica); il 5 per mille dell’Irpef a determinate finalità di interesse sociale (università, istituti di ricerca, etc.); il 2 per mille dell’Irpef a favore di un partito politico (riconosciuto per legge).
Queste quote di una tassa dovuta allo Stato possono essere interpretate come strumento della Politica per l’educazione al solidarismo civile ed il coinvolgimento concreto dei suoi governati verso “obiettivi” meritevoli di tutela pubblica, indipendentemente da chi sono i potenziali beneficiari.
In particolare; la quota dell’8 per mille può essere letta come espressione concreta della libertà religiosa vigente nel Paese; sebbene qualcuno può farla risalire ai vecchi Patti Lateranensi quale forma sui generis di “forzosa sistemazione transattiva” dovuta all’azione unificante Risorgimentale che attuò di fatto la soppressione ed annessione all’Italia dello Stato Pontificio, che pur presentava una sua storica legittimità, sebbene spesso messa in discussione[36]; la quota del 5 per mille può essere letta come sostegno collaterale attraverso lo Stato ai propri impegni per l’istruzione e la sanità pubblica, la ricerca scientifica e la promozione sociale; impegno aggiuntivo e non certo sostitutivo dell’azione e finanziamento da parte dello Stato per tali settori; la quota del 2 per mille può essere letta come sostegno alla Politica stessa, affinché nella sua azione di indirizzo e decisoria resti indipendente dall’ingerenza esterna di grandi corporazioni e interessi estranei a quelli dei propri governati, mantenendo fede alla propria Costituzione.
Aldilà delle altre quote (8 e 5 per mille), che pur possono rivestire intenzioni di cattura del consenso sociale da parte della Politica, che può così ridurle a strumento rivendicandone meriti, la quota del 2 per mille, in particolare, può essere ritenuta la più ambigua, non tanto perché siano negative le intenzioni della sua “istituzionalizzazione”, quanto perché attraverso tale quota non sembra possibile realizzarle. Infatti, scandali legati al finanziamento della Politica continuano a manifestarsi, non di rado anche come “inneschi ad orologeria” che scattano, guarda caso, in corrispondenza di chiamate al voto. Ed anche qui, nel caso di donazioni pubbliche ed istituzionalizzate per legge, si giunge all’evidenza che non sono le donazioni in se stesse ad essere ambigue, quanto le intenzioni ed i comportamenti nella acquisizione, destinazione e uso che se ne fa, o l’evidenza che esse non producono secondo i risultati attesi.
Tra le “donazioni istituzionalizzate” per legge, visto il ricorso verso di esse che ne fa sempre più spesso la Politica, si possono qui assimilare e citare (o almeno lo si permetta al fine di un ragionamento) i cosiddetti Bonus sociali e il Reddito di cittadinanza solitamente legati ed erogati (previa opportuna verifica ISEE[37]) verso coloro che non godono di una situazione reddituale e/o patrimoniale adeguata al tenore medio di vita che si riscontra nella società. Sono strumenti molto dibattuti dalla Politica su cui non sempre e non tutte le forze politiche trovano una convergenza, una condivisione, un accordo.
Senza alcuna intenzione, né pretesa di sostituirsi alle Istituzioni deputate a configurare e attuare tali strumenti (in particolare il Reddito di cittadinanza), si vuole però osservare che il punto nodale dell’intera faccenda non è tanto il Bonus (a qualunque fine esso sia destinato) o il Reddito di cittadinanza (o sociale), quanto piuttosto il Lavoro è il problema! Poiché è l’elemento fondante della Costituzione e dell’assetto politico di un Popolo. E il Lavoro, occorre convenire, in un qualunque sistema economico non può mai finire, perché i bisogni insoddisfatti sono continuamente in aumento, sempre nuovi e per quanto il sistema possa essere avanzato, gli spazi di miglioramento e di evoluzione restano comunque incommensurabilmente ampi. Eppure il Lavoro manca, e si è configurata una disoccupazione intellettuale, quasi-strutturale, che costringe giovani laureati (ossia le migliori risorse di un Paese) ad emigrare per un salario. In una situazione di cosiddetto equilibrio (più o meno vicina al pieno impiego di un sistema economico) resta pur sempre una parte strutturale di disoccupazione che è inevitabile. In simili situazioni è del tutto legittimo ed augurabile l’utilizzo di Bonus e Redditi Sociali per coloro che non godendo del privilegio di un lavoro non hanno altri mezzi di sostentamento. Ma la domanda d’obbligo è la seguente: siamo in tale situazione? E può uno Stato sostenere di aver assolto alla propria funzione, se da un lato finanzia, insieme alle famiglie, gli studi universitari dei giovani per poi doverne consentire l’emigrazione per lasciar loro guadagnarsi da vivere? E non si tratta certamente di efficacia o meno di istituti come il numero chiuso per talune facoltà universitarie, quando sono diffusi il precariato e salari di sussistenza, associati alla delocalizzazione d’impresa e al prevalente ricorso (da parte del Capitale) alla finanza piuttosto che all’intrapresa, per motivo di rendimento e profitto. Elementi che dominano uno scenario di incertezza e insicurezza che non consente un minimo di programmazione per la formazione di una nuova famiglia, unico rimedio a quella che viene ormai percepita come una sostituzione etnica di un Popolo Sovrano.
C’è così chi, in crisi di pessimismo, intravede nella propria visione il rischio che anziché provvedere al necessario Lavoro e alla giusta Sovranità, forzose modifiche costituzionali da parte della Politica possano adombrare e sminuire (o cancellare!) tali requisiti fondativi nella primaria Legge dello Stato. Pertanto, ad oggi, Lavoro e Sovranità sono essi stessi concepibili come un dono, ma ambiguo se le facoltà che implicano non sono pienamente esercitabili, in particolare quelle di autodeterminazione. Così accade che entra in discussione il dono stesso della vita, poiché in un mondo intrappolato dal conflitto, dalla sopraffazione e dell’istinto egemonico di potenza, che hanno prodotto e continuano a produrre devastazione e sofferenza, la paternità e maternità responsabile s’interrogano se sia ancora un dono procreare e chiamare nuove vite in un mondo ridotto in simili condizioni. Da qui, come trend conseguente, la diffusione di collettive visioni distopiche di un futuro autocratico, prevalentemente robotico, al servizio di pochi nuovi arrivi eugeneticamente selezionati in provetta, potenziati con impianti microchip per l’IA. Collettive visioni fantastiche dove la vita sarebbe ancora concepibile come “dono”, per coloro che liberamente la scelgono nonostante tutto, ma non sarebbe più il mondo che abbiamo conosciuto e voluto per le generazioni future. Secondo la percezione degli strati più popolari (ma non solo) è un orientamento politico e una prospettiva di cui si discute nei WEF (World Economic Forum) nota sotto il nome di Great Reset (Rif. Wikipedia in calce) realizzabile attraverso una globale transizione: dalla Scienza come dono alla Scienza come dominio. È l’Utopia che non muore, dove ogni bisogno umano è soddisfatto, senza essere proprietari di nulla, e se ne è felici!
Corporate Philanthropy
La Corporate Philanthropy, fenomeno delle donazioni d’impresa, è stata largamente analizzata ed è solitamente messa in relazione con la Responsabilità sociale dell’Impresa. Sembra rimanere, tuttavia, di difficile quantificazione (specie lì dove rivolta verso la Politica) e proprio tale misurazione costituisce uno degli obiettivi principali di quella tipologia di ricerca che mira a sviluppare questi temi. Rileva qui sottolineare: «… un particolare sottoinsieme di letteratura costituito dal filone di ricerche che ha per oggetto lo studio delle motivazioni in base alle quali le imprese effettuano donazioni alle organizzazioni non profit. Nell’ambito di tali ricerche sono state identificate quattro tipologie di spiegazioni del comportamento delle imprese: 1) motivazioni strategiche legate alla massimizzazione del profitto; 2) motivazioni legate all’utilità del management; 3) motivazioni altruistiche; 4) motivazioni politiche.
Numerosi sono i contributi legati soprattutto ai primi tre approcci, mentre la formulazione di una teoria organica che fa discendere la Corporate Philanthropy da motivazioni di tipo prettamente politico è dovuta ad uno studio di Neiheisel del 1994[38] secondo il quale le donazioni al non profit sarebbero finalizzate all’accrescimento della legittimazione e del potere politico dell’impresa».[39]
Difronte ad inadeguatezze che mostrano i sistemi di finanziamento pubblico della politica, i legami tra la Corporate Philantropy e la Politica possono andare ben oltre le semplici apparenze, come hanno mostrato ripetute stagioni di “moralizzazione” tentate in ogni sistema politico-economico un po’ ovunque. Lo si intravede fors’anche in recenti avvenimenti pandemici su scala mondiale, al punto che nel sistema guida dell’Occidente c’è chi (di storica casata, candidandosi alla guida del Paese[40]) si pone il problema di un freno, senza il quale la Politica perde la sua indipendenza e diviene strumento di parte. Ma, la più grande ambiguità del dono la si registra allorquando esso diviene dispositivo di guerra e di stermini, per conflitti di supremazia egemonica che, non i social media, ma i manuali di strategia militare (e persino Wikipedia) definiscono proxy war.[41]
Ma se autentico, specie con intenzioni ideali, senza attesa di alcun calcolato ritorno, come accade per esempio nelle donazioni per le grandi stragi, catastrofi ed eventi distruttivi naturali, il dono ancora consente di manifestare il proprio essere persona, cittadino o popolo esprimendo solidarietà e mobilitando risorse per realizzare interventi o cambiamenti necessari per la comunità. È una modalità di partecipazione attiva che va oltre il semplice voto e permette di contribuire al bene comune. Attraverso il dono, si possono sempre condividere valori, progetti, emozioni ed ideali con gli altri. È un modo antico e moderno, connaturato nell’umanità, per esprimere solidarietà e costruire alleanze, legami tra individui e gruppi, popoli e nazioni.
Emergenti da Sistemi di Intelligenza Artificiale (nella fattispecie IA - Copilot del browser Edge di Microsoft).
All’esplicita domanda: «Puoi fornire un breve report sull’ambiguità implicita nell’atto del donare? » la risposta fornita è la seguente: «L’atto del donare è un tema ricco di significato e complessità.» Esploriamo alcune prospettive sulla psicologia del dono:
Istinto di connessione: Secondo la psicologia evolutiva, il dono ha radici profonde nell’essenza umana. Nel corso dell’evoluzione, l’essere umano ha sviluppato un istinto di connessione con gli altri, cercando di formare relazioni e comunità. Il dono è diventato uno strumento per stabilire e mantenere queste connessioni sociali. Donando, costruiamo fiducia, solidarietà e un senso profondo di appartenenza.
Gratificazione personale: Mentre donare è un atto altruistico, numerosi studi dimostrano che i donatori sperimentano una sensazione di benessere personale. Il famoso psicologo Abraham Maslow ha incluso il “bisogno di dare” come una delle necessità fondamentali dell’essere umano. La generosità attiva le aree del cervello associate alla gratificazione e alla felicità, rilasciando endorfine e promuovendo un senso di realizzazione. Donare ci fa sentire bene e ci riempie di una profonda soddisfazione interiore.
Costruzione dell’identità: Il dono influisce sulla nostra percezione di noi stessi. Quando doniamo, ci identifichiamo come persone generose e premurose. Questa auto-percezione positiva contribuisce a costruire un senso di identità basato su valori positivi. Inoltre, l’atto del dono può essere un mezzo per esprimere il nostro stile di vita, i nostri interessi e le nostre passioni, rafforzando ulteriormente la nostra identità personale.
Reciprocità e circolo virtuoso: Il dono crea un legame di reciproca gratitudine tra donatore e ricevente. Questo scambio positivo può innescare un circolo virtuoso in cui l’atto di donare si diffonde nella comunità. Quando qualcuno riceve un dono, si sente spesso motivato a ricambiare l’attenzione ricevuta, creando così un effetto a catena di generosità che alimenta le relazioni sociali e promuove un senso di solidarietà.
Effetto sulla salute mentale: Numerose ricerche hanno dimostrato i benefici per la salute mentale derivanti dall’atto del dono. I donatori regolari tendono ad avere livelli più bassi di depressione, ansia e stress. La generosità può agire come un antidoto naturale contro l’egoismo e l’isolamento sociale, promuovendo sentimenti di felicità e connessione. Inoltre, il dono può offrire una prospettiva più ampia sulla vita e aiutarci a concentrarci su ciò che è veramente importante.
In sintesi, il dono va oltre la semplice materialità: è un atto che crea legami, nutre l’anima e arricchisce la nostra esperienza umana».
In definitiva, seppure non direttamente espresso, secondo l’IA – Copilot di Microsoft Edge, non si ravvisano ambiguità nell’atto del donare; anzi sembra si debba preferire soffermarsi sugli aspetti positivi e benefici. Resta però il ragionevole dubbio se abbia realmente compresa – in senso umano - la domanda.
Conclusioni
Sin dai primi concetti introduttivi e lungo l’esposizione che precede si è fatto cenno alla divergenza verso forme iperboliche di senso che può assumere la definizione di dono se è legata al dare senza aspettarsi nulla in cambio. Per comprendere perché forme iperboliche, almeno in senso letterario/retorico, occorre infine un esempio concreto. Recentemente il New York Times ha dato annuncio (anche sulla piattaforma social X ) che la vedova 93enne di un finanziere di Wall Street ha donato 1 miliardo di dollari a una scuola di medicina. Si tratta dell’Albert Einstein College of Medicine del Bronx, che ha anche ricevuto le istruzioni (quindi certamente con un Atto Pubblico sottoscritto da Donante e Donatario, viste le grandezze in gioco!) che il dono venga utilizzato per coprire le tasse scolastiche di tutti gli studenti futuri. È evidente che in questo caso: a) il dono ha un ritorno, un corrispettivo per il donante in termini di atteso e preciso utilizzo di un grande capitale da parte del donatario; b) il dono implica una fedeltà del donatario verso il donante nell’attenersi strettamente al mandato ricevuto circa l’utilizzo del grande capitale donato.
C’è da dubitare che la maggior parte delle persone, pur in presenza di un evidente “ritorno ideale” che contraddice la definizione data di dono, ossia la presenza di un comportamento atteso del donatario a seguito del dono e di una sua implicita o esplicita promessa di fedeltà a tale comportamento, oserebbe definirlo ambiguo e dubitare che si tratti di un atto di donazione autentico e significativo. Specialmente perché il beneficio immateriale deriverebbe al donante per il soddisfacimento del suo scopo ideale, mentre il beneficio materiale sarebbe riversato socialmente su migliaia di studenti privi di mezzi per intraprendere studi in una scuola di medicina. Presumibilmente, una sorta di ambiguità del dono potrebbe essere vista solo da presunti spiriti egalitari, oppure fortemente religiosi, che in accordo al loro credo potrebbero, difronte ad un simile apprezzabile atto, rispettivamente parlare di “restituzione” o di “intervento della divina provvidenza”. Quando invece, per effetto di una cultura oppositiva a quella dominante non si vedesse in un tale gesto addirittura un modo “manipolativo” di favorire, se non imporre, nella società valori e modelli culturali che dovrebbero essere piuttosto lasciati ad una libera e naturale scelta di ciascuno, attraverso la disponibilità dei propri mezzi , quali essi siano. In ogni caso l’iperbole condurrebbe il ragionamento a divergere verso lidi lontani, non comuni, dove solo un piccolo gruppo sarebbe in grado di percepire o sostenere , per credo ideologico o religioso, o per personale convincimento, le sfaccettature che soggiacciono ad un atto di donazione che può creare “ambiguità” di senso. Peraltro, occorre ricordare come tale terminologia è generalmente afferente alla possibilità di una (almeno) duplice interpretazione e solo arcaicamente riferibile alla doppiezza e falsità propriamente dette.
In definitiva per dare senso all’analisi che precede occorre tollerare, sino ad eventuali diverse conclusioni, che: l’ambiguità possa derivare da un fenomeno intrinseco ai fatti, alle intenzioni (espresse o non espresse prima della donazione), alla linguistica, alla testualità, ovvero anche alla stessa relazione, percezione e comunicazione tra le parti coinvolte; “l’atto del donare può essere definito tale se nulla è atteso in cambio del dono”, ma possa così essere valido in generale come “tipo ideale”; ed onde evitare iperboliche divergenze sfocianti in possibile retorica; possa essere invece consentito parlare di donazione anche in casi in cui questo requisito teorico e definitorio, nella fattispecie qui sopra descritta, non sia pienamente soddisfatto; cosa che può invece accadere nei “tipi reali” di donazione da analizzare.
Alla domanda posta se sia ancora attuale, nei nostri modi di vivere o di imparare a vivere, comprendere la totale gratuità del gesto del dono, dovremmo presumibilmente rispondere, con tono affermativo ed in chiave Weberiana, che forse è ancora opportuno e necessario, poiché c’è ancora molto da comprendere ed imparare, sapendo però che “il tipo ideale” del donare, privo di ogni attesa e pregno di gratuità, rappresenta ciò che dovrebbe essere; mentre nella nostra esistenza ci confrontiamo invece con “il tipo reale” che rappresenta ciò che è; e tende al precedente senza che vi possa essere né certezza, né garanzia di raggiungerlo e conformarvisi sempre.
Il termine dono, come pure l’azione della donazione, possono pur essere ambigui, inappropriati, strumentali, ma è convinzione ancora diffusa che lo spirito umano sa ben riconoscere ciò che è vero dono e ciò che è falsificazione di un tale concetto. Esiste tuttora chi crede che il dono abbia reso e renda l’essere umano un essere sociale. Il dono può anche nascere da una pulsione non razionale, ma emotiva o addirittura inconscia. Eppure, testimoniare la propria umanità è una opportunità che è offerta ai singoli, ai gruppi, ai popoli e alle genti tutte. Il dono è un atto di libertà che permette alle persone, nonché ai popoli, di manifestare concretamente ciò che li distingue dagli altri. Non di rado ciò è atto spontaneo mosso attraverso capacità di agire non solo per dovere giuridico o pressione sociale, ma anche perché è ciò che si desidera, magari per un ideale o modo di sentire. Infatti, attraverso il dono è possibile dare un senso al proprio agire e soddisfare emozioni autentiche che forse il benessere materiale da solo difficilmente può appagare. Da qui si può intravedere anche come il dono sia un fenomeno casuale, soggetto a tantissime variabili non sempre distinguibili o controllabili, ma che producono effetti concreti.
Queste ipotesi, considerazioni ed elaborazioni precedenti potrebbero essere testabili attraverso gli strumenti e dati rilevabili dall’Analisi di Reti Sociali opportunamente scelte, per indagare in altra sede – magari attraverso la messa a punto di un modello - in che modo l’atto del donare si identifichi in un fenomeno naturale di tipo stocastico.
L’intersezione dei diversi punti di osservazione forniti sopra identifica un preliminare spazio illustrativo soggiacente all’atto del donare. Come previsto all’inizio, si conferma che, dato il metodo, la discutibile sufficienza e validità del conclusivo spazio esplicativo cui si giunge, sono necessariamente limitate e legate, in qualche modo, alla numerosità e significatività dei punti di osservazione di un’analisi espandibile soggettivamente. Inoltre, senza alcun proposito di relativismo, data la variabilità spazio-temporale delle dinamiche e dei modelli culturali impliciti nei riferimenti, inevitabilmente non uniformi, ogni spiegazione, frutto di una riflessione individuale e di una visione interiore personale, è e resta necessariamente “opinionale” oltre che “opinabile”, sebbene “libera”, e non vincolata, se non ad una potenziale e auspicata ricerca sul campo che ne determini e confermi la validità, delimitandone gli ambiti qualitativi ed eventualmente quantitativi. A tale proposito sono stati proposti, in ordine sparso in tutto il presente testo, alcuni spunti volti alla messa a punto di un eventuale schema esplicativo dell’Atto del donare, per effetto della rottura di un equilibrio nella «Reciprocità» veicolata da «Vettori» rappresentanti la relazione sociale tra Donante e Donatario. Spunti altrove ricomposti in un esempio, reso già disponibile[42]in open access, potenzialmente utile per un possibile modello, prototipo di un Riduzionismo testabile in una strutturata ricerca attraverso gli strumenti e dati dell’Analisi di Reti Sociali, dove si avanza, l’ipotesi che la donazione sia; soggetta, come molti altri fenomeni di crescita, sociali e naturali, a conformarsi ad una legge logistica con saturazione, e quindi non lineare, che funge da argine al limite superiore del valore del dono per effetti che si riflettono sul patrimonio del donante; priva di ogni ambiguità sociale poiché ridotto a “fenomeno naturale”, diverrebbe spiegabile come processo stocastico, che evolve metastabilmente con la società, tendendo verso forme possibilmente e contingentemente più stabili; sebbene non ancora esattamente individuabili e identificabili.
Eppure, se come si può presumere, la percezione dell’ambiguità del dono passasse attraverso la coscienza umana, sinora ritenuta “irriducibile”[43] in ambito scientifico, è verosimile che nessun modello (forse neppure l’IA) potrà mai dare mai risposte riguardo alla “riducibilità” dell’ambiguità del dono. Almeno sino a quando una risposta scientificamente certa sulla riducibilità della coscienza non sia stata raggiunta.
Infine, se il vero è nell’intero, a tutto campo, l’interrogativo finale, che sorge e persiste sulla natura ambigua di cui il donare sembra rivestirsi, costringe anche a domandarsi se l’ambiguità non sia piuttosto localizzata nell’Umano, nei suoi comportamenti, nella sua malizia, nelle sue interpretazioni, nelle sue intenzioni e nei suoi scopi, o anche nelle sue soggezioni, paure, imbarazzi, connessi all’atto del donare. Una possibilità, questa, remota o probabile in una realtà inesplicata ed inesplicabile come la condizione umana, quando donare può anche essere il silente e nascosto risultato di un atto semplice, in buona fede, innocente, magari motivato da pulsioni ed emozioni avvertite, ma a cui il donante non trova razionali risposte. Proprio mentre il donatario s’interroga sui motivi per meritare d’essere divenuto tale per qualcuno, conosciuto o sconosciuto, dimenticando entrambi che non tutta la realtà è sempre e comunque esplicabile, e non sempre e necessariamente a tutto vi può essere risposta umanamente intellegibile!
Quel che rimane certo, secondo un approccio Simmeliano, è che l’atto del donare lega donante e donatario in una relazione di reciprocità, in un in-pegno il cui equilibrio è retto e al tempo stesso rotto dal dono. Quasi un “entanglement”, dove ciascuno è una sorta di scopo, meta, termine per l’altro: poiché l’Umano non può essere solo oggetto, ma è anche soggetto, ossia persona, in ogni circostanza della sua esistenza!
Riferimenti principali
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F. Faggin, Irriducibile, Oscar Mondadori, 2022. Vedasi en.wikipedia.org.
Bibliografia
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G. Simmel, Le metropoli e la vita dello spirito, a cura di P. Jedlowski, Classici di Sociologia, Armando Editore, 2005.
G. Simmel, Individuo e gruppo, a cura di N. Scquicciarino, Classici di Sociologia, Armando Editore, 2005.
G. Simmel, Sulla guerra, a cura di S. Giacometti, Classici di Sociologia, Armando Editore, 2003.
G. Simmel, Saggi sul paesaggio, a cura di M. Sassatelli, Classici di Sociologia, Armando Editore.
J. L. Moreno, Foundations of Sociometry, An Introduction-Published by American Sociological Ass., 1941.
C. Wright Mills, Il mito della patologia sociale, a cura di R. Rauty, Classici di Sociologia, Armando Editore, 2005.
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F. Ferrarotti, Brevi cenni intorno all’uso del metodo statistico-matematico nell’analisi qualitativa dei fenomeni sociali, Appendice I all’ edizione 1972 del Trattato di Sociologia, UTET.
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E. De Grada, Appunti di metodologia della ricerca psicologico-sociale. Serie ausili didattici, Edizioni Bulzoni, Roma, 1972.
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V. Marrama, Reddito Nazionale, Edizioni Ricerche, Roma, 1965.
C. Duggan, A Concise Hystory of Italy, Cambridge University Press, 2014.
Note
[1] Per tale neologismo (agg. Delle opinioni, relativo alle opinioni). Vedasi www.treccani.it.
[2] Yves Lichtenberger, Comptes rendus. Ce qui circule entre nous : donner, recevoir, rendre, J.T. Godbout, p. 293-296 - doi.org/10.4000/sdt.14070.
[3] Su una mappa cognitiva un punto di osservazione è fisso, ma a secondo delle angolazioni può dare luogo a diversi punti di vista, talvolta parzialmente sovrapponibili.
[4] Vedi P. Bourdieu, Practical Reasons. Vedasi www.google.it.
[5] In una società, una delle fonti del diritto, quindi della normazione conseguente, è proprio la consuetudine.
[6] Vangelo (Lc 19, 1-10).
[7] Recensioni di Ciò che circola tra di noi, dare, ricevere, restituire, J.T. Godbout Yves Lichtenberger p. 293-296 doi.org/10.4000/sdt.14070. Riferimento/i: Jacques T. Godbout, Ce qui circule entre nous, Donner, recevoir, rendre, Le Seuil, Paris, 2007, 398 p.
[8] Vedasi l’ esempio da sviluppare eventualmente in doi.org/10.5281/zenodo.11207642.
[9] I due termini vengono usati indifferentemente nel seguito.
[10] Vedasi it.wikipedia.org.
[11] Alcuni elementi al riguardo sono forniti dall’esempio doi.org/10.5281/zenodo.11207642 come già indicato in nota (8) precedente.
[12] Psicologia di Campo, dove si suppone l’esistenza di un campo psicologico, le cui caratteristiche dipendono dalla sua strutturazione/destrutturazione, connessioni, etc. Ciò richiama alle Teorie di Campo (tensionali, di Forze, Elettromagnetico, Gravitazionale, etc.) che divengono trattabili analiticamente attraverso l’analisi matematica, operatori differenziali, vettori e tensori.
[13] Vedasi per esempio it.wikipedia.org.
[14] Vedasi per esempio doi.org/10.5281/zenodo.7647578 punto 2.1 dell’Appendice ivi riportata; “2.1.Legge almeno lineare per il singolo e almeno quadratica per il gruppo”.
[15] Vedasi fonti citate in G. Simmel, Il Povero, Classici di Sociologia, Armando Editore, Roma, 2001 - Prefazione di G. Iorio, pag. 10.
[16] Id., pagg. 21-22 e seg.
[17] Rilievo attribuito a Lewis A. Coser che si rifà alla Scuola di Simmel - it.wikipedia.org.
[18] Stefania Barca, Entropia. Un nuovo paradigma per la storia economica? Rivista Meridiana, Le frontiere del sociale. Vedasi www.rivistameridiana.it.
[19] Vedasi it.wikipedia.org.
[20] M. Giuli, Analisi transazionale nelle organizzazioni, Franco Angeli Editore.
[21] Vedasi anche le considerazioni al link it.wikipedia.org.
[22] Vedasi Michael E. Roloff, La comunicazione interpersonale: teoria dello scambio sociale, Edizioni ERI, CM25, 1984 - Introduzione di Francesco Mattioli.
[23] Vedasi Michael E. Roloff, La comunicazione interpersonale: teoria dello scambio sociale, Edizioni ERI, CM25, 1984 - Introduzione di Francesco Mattioli.
[24] Vedasi www.jstor.org A Resource Exchange Theory Analysis of Consumer Behaviour di David Brinberg and Ronald Wood.
[25] Vedasi A.Marzano, Politica Economica dei Grandi Aggregati, (Corso di Lezioni), Cacucci Editore, Bari, 1975 - che riporta l’equazione quantitativa nella forma MV=P Q, da cui si ricava che V=(P/M) Q che dà la velocità di circolazione della moneta nel sistema preso a riferimento.
[26] Di provenienza ISTAT e resa pubblica in un evento del 2021 - vedi “materiale ISTAT” al link www.istitutoitalianodonazione.it.
[27] IRS, Il potenziale di crescita delle donazioni private in Italia. Uno scenario quali-quantitativo delle donazioni degli individui/famiglie, Rapporto finale Novembre 2003 dell’IRS - www.istitutoitalianodonazione.it.
[28] Come insegnano le Teorie Economiche Keynesiane e la Teoria Monetaria Moderna (MMT).Vedasi (1) V. Marrama, Reddito Nazionale, Edizioni Ricerche, Roma, 1965; oppure – (2) P. Sylos Labini – “Elementi di dinamica economica” Ed. Laterza, 1992); oppure (3) Bank of England, Quarterly Bulletin, 2014, Q1 - Money creation in the modern economy By Michael McLeay, Amar Radia and Ryland Thomas of the Bank’s Monetary Analysis Directorate.
[29] In tal caso forse dovremmo chiamarlo psychon, in attesa di sapere da una futura psicologia quantistica se è di natura corpuscolare o ondulatoria? Oppure dando per scontato che si tratti di energia psichica, nonché di un costituente psicologico computabile secondo le moderne tecnologie informatiche, potremmo aggiungere il suffisso -bit e ottenere uno psycho-bit.
[30] Si vedano i lavori di Fred Alan Wolf di cui se ne citano di seguito alcuni: 1. Is the mind/soul a platonic akashic tachyonic holographic quantum field? - 2. Towards a Quantum Field Theory of Mind DOI: 10.14704/nq.2011.9.3.456 - 3. The Emergence of Mind as a Quantum Field Phenomenon DOI: 10.14704/nq.2018.16.11.1846 - 4. On the Quantum Mechanics of Dreams and the Emergence of Self-Awareness DOI: 10.7551/mitpress/6860.003.0042, etc. Vedasi anche nota (43) sul libro di F. Faggin in merito all’irriducibilità della coscienza.
[31] Nuovo Testamento - Lettere Paoline - 1 Corinzi 4,6-21.
[32] Max Weber, Il Lavoro Intellettuale come professione, Editore Einaudi, Milano, 1948.
[33] A titolo di mero esempio si cita, tra i tanti possibili: Deuteronomio | 9. 6 «Sappi dunque che non a causa della tua giustizia il Signore, tuo Dio, ti dà il possesso di questa buona terra; anzi, tu sei un popolo di dura cervice». Ciò avvalora il concetto di dono perché fatto verso chi non lo meriterebbe. Inoltre si noti che si parla di “possesso”, che è concetto ben diverso dalla “proprietà”.
[34] Vangelo di Matteo- 6,1-4.
[35] I Presocratici, la scienza come un dono sacro - Storia di Rosita Copioli - Estratto da Avvenire 5/2/2024.
[36] Christopher Duggan, A Concise Hystory of Italy, Cambridge University Press, Cap.2, Plate 2 – The legend on which the papacy’s claim to temporal power was based.
[37] L’ISEE = Indicatore della Situazione Economica Equivalente - è l’indicatore che serve per valutare e confrontare la situazione economica dei nuclei familiari che intendono richiedere una prestazione sociale.
[38] S. R. Neiheisel: “Corporate Strategy and the Politics of Goodwill. A Political Analysis of Corporate Philanthropy in America”; Peter Lang Publishing Inc. New York; 1994.
[39] IRS, Istituto Ricerche Sociali, L’Osservatorio delle Donazioni Private in Italia, Il potenziale di crescita delle donazioni delle imprese. Uno scenario quantitativo (2005).
[40] Vedasi su Twitter, oggi X, video @RobertKennedyJr - May 12 - We must get corporate money out of politics. I tell @joepolish about the constitutional amendment I will pass when I’m in office to overrule the Citizens United case and prevent corporations from using politics to protect their mercantile ambitions. x.com (ed altri similari).
[41] Vedasi X: @RobertKennedyJr·May 7-The situation in Ukraine is on the brink of calamitous escalation. Do the military imperialists in Washington and their lackeys in Europe have any idea the danger they are courting? They are conducting foreign policy as if it were a game of “chicken”: x.com (ed altri similari).
[42] Vedasi doi.org/10.5281/zenodo.11207642.
[43] Vedasi anche: F. Faggin, Irriducibile, 2022, Oscar Mondadori; F. Faggin, Silicio, 2019, Oscar Mondadori.