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Thrinakìa sixième édition: prix international d'écritures autobiographiques, biographiques et poétiques dédiées à la Sicile / Sous la direction de Orazio Maria Valastro / Vol.22 N.1 2024

Nessuno ricorderà il mio nome

Lidia Daniela Sparacino

magma@analisiqualitativa.com

Vicenza (Italia). Uno stralcio della seconda opera ex aequo classificata nella sezione Biografie della sesta edizione del premio internazionale Thrinakìa.

 

 

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Greta Rossi, Istituto I.S.I.S.S. Einaudi – Molari di Rimini - Sezione speciale L’isola Thrinakìa. AMIS Archivio della Memoria e dell’Immaginario Siciliano, Le Stelle in Tasca ODV.

Questa storia vuole essere un piccolo omaggio per ricordare la mia antenata… Per la poca vita che le è stata concessa…

Mi chiamo Francesca, sono nata in una casetta di una piccola corte, dentro quelle quattro mura una donna: mia madre e alcuni fratelli. Nessun padre. Nessuna domanda e nessuna risposta. Fin da piccolissima ho vissuto in istituto dalle suore.

Ho un vago ricordo dei miei fratelli, età, sesso e numero sono sfumati nella mia mente, ero troppo piccola per comprendere. Solo una donna negli anni si è presentata costantemente alla porta. Un volto che rammenta la profondità della Madonna, una Maria privata dei figli.

Lei ha i capelli nerissimi, un bel viso squadrato e serio, quando riesce viene a trovarmi e mi osserva giocare senza pronunciarsi. Da quando sono cresciuta qualche domenica mi porta a pranzo nella sua casa, due stanze con pochi mobili e oggetti, nonostante ciò noto che ci sono cura e pulizia. In quelle rare occasioni ci sono anche dei ragazzini più grandi, ci ho giocato insieme, li ho rivisti altre volte e mi ha fatto piacere. Li ho pensati in istituto. Sento l’affetto che ci unisce pur non vivendo insieme ci sono tra noi sorrisi sinceri e benevoli. Siamo tutti parte di un complesso centrino che è decorato con un sottile nastro verde che ci lega e ci legherà sempre.

Poi puntualmente ritorno alla realtà, la mia esistenza si compie in un altro luogo, un ambiente condiviso con troppe mani, troppi sussurri, troppe carenze.

Nell’istituto femminile ci sono saloni ampi, io dormo nel secondo piano con le ragazze grandi, di giorno studiamo, preghiamo, facciamo ricamo e uncinetto, lavori ben fatti che vendiamo all’esterno così le monache si prendono qualche soldo.

Ho un gruppo di amiche, tutte orfane, mai qualcuno che le venga a trovare, una sola ha un nonno, un uomo di poche parole, che si fa vedere ogni tanto e gli porta le caramelle. Alcune bambine hanno la madre e il padre, ma a causa della povertà che incombe non possono essere mantenute da loro, certe famiglie hanno tantissimi bambini, troppe bocche da sfamare. Agata la mia compagna di letto ha quattordici fratelli. Lei è la decima. Alla domenica torna a casa, mi racconta la confusione che c’è eppure è felice di rivedere i suoi cari. Alcuni hanno perso i genitori a causa di malattie o a causa della guerra.

Le suore alcune sono più severe altre meno, ma il rapporto che ci fa andare avanti, non in narrè, in questa povera realtà è quello che abbiamo tra di noi. Le mie compagne sono amiche, sorelle, genitori, sostegno, complicità. Sono l’unico vero rapporto d’amore che ho avuto. L’amore l’ho cercato ogni giorno in ogni volto. Qua, più di tutti gli altri posti, c’è miseria di amore. La povertà peggiore.

Tutti i bambini piccoli lasciati in quel portone e condotti in cortile cercano aiuto. Cercano una mano da stringere come un affamato cerca di mettere in bocca un pezzo di pane. Vedo i loro sguardi smarriti e gli vado incontro come una sorella maggiore, li cullo, li abbraccio. Non sono soli. O almeno, vorrei farglielo credere almeno per un attimo.

L’istituto si trova ad Agrigento, ma a diciotto anni dovrò uscire, i contributi dello Stato vengono versati solo ai minori, poi non arriveranno più e mi ritroverò in mezzo a una strada. Devo dirlo a Maria quando verrà a trovarmi e capire le sue intenzioni. Andrò a vivere con lei?

Un mese prima del mio dodicesimo compleanno mia madre è venuta a trovarmi e mi ha detto che si trasferirà a Termini Imerese per lavoro. Mi ha abbracciato forte per la prima volta in vita. Sembrava quasi triste a non potere più venire, eppure nei suoi occhi ho scorto un luccichio di speranza. Chissà cosa l’aspetta là… Forse un futuro migliore.

Sono passati sei anni senza vedere quel volto familiare, quei ragazzi per cui sentivo affetto in quei rari pranzi. L’unica famiglia che ho percepito in vita.

Mi è arrivata una comunicazione da parte di Maria, un biglietto scritto da qualcun altro, mamma è analfabeta. Verrà a prendermi il giorno che compirò i diciotto anni e mi porterà a vivere con lei.

“Lu core mi scoppia…”

È giunto il giorno del mio compleanno, esultò dalla felicità, uscirò da quelle mura, assaporerò finalmente il mondo. Mia madre è venuta a prendermi. Vederla dopo tanti anni mi ha emozionato, mi è mancata tanto, sorrido a una libertà senza confini che mi tinge l’animo di speranza.

Ho visto i suoi occhi diventare lucidi nel rivedermi. Cerco qualcosa dentro di lei che vorrei tanto vedere esprimere. Forse non mi riconosce più, sono cresciuta. Il mio volto è cambiato. Chissà cosa pensa del mio aspetto…

Mi sembra di assomigliarle. Lo spero.

Prendiamo l’autobus che ci porterà a Palermo, sono immagata a guardare oltre il vetro, strade infinite, campi, piante di tutti i tipi, la natura scopre le suoi mille tonalità e dipinge un quadro che è più bello di qualsiasi cartolina.

In istituto si vedono solo pochi colori. Pare strano, ma appaiono solo quelli più cupi.

Fa freddo ma non lo sento. Maria mi ha portato il capotto che adesso indosso, vedo che mi osserva, nasconde un sorriso tra le labbra. E forse felice di stare con me?

Lo saprò mai?

Lo so, dovrò lavorare, ma oramai non più una picciridda. So che Maria lavora da sempre per mantenersi.

Mi piacerebbe chiedere di mio padre, ho sempre pensato che sia morto giovane e chissà come…

Chissà come sarebbe stata diversa la situazione se ci sarebbe stato lui. Probabilmente nessuno di noi avrebbe vissuto in collegio. Forse saremmo stati una famiglia come altre, felici con il poco e protetti in ogni brutta situazione da lui.

Ma non posso chiedere a un adulto se non mi viene detto spontaneamente qualcosa, immagino che prenderei uno schiaffo per essere stata presuntuosa. E magari la farei anche soffrire. Le monache mi hanno insegnato bene l’educazione da tenere. E in fondo ho paura di lei. La madre fantasma.

Palermo mi accoglie con tutta la sua bellezza multietnica. Mi riempie gli occhi di chiese, opere disegnate a mano, statue, dipinti veri e il mare, una distesa brillante di blu, un sentimento di enorme stupore.

Scendiamo a una fermata centrale per prendere poi un altro bus che ci porterà a Termini Imerese, dopo un’ora scendiamo ma dobbiamo camminare un bel po' prima di giungere a casa che si trova al in una zona periferica, una via che ha come nome una data. Guardo dal basso il fabbricato a due piani che diverrà la mia casa. Sotto ci abita un’altra famiglia. Noi staremo sopra.

Maria ha detto che i miei fratelli sono stati chiamati a combattere in guerra, sono preoccupata. Inginocchiata sotto il letto prego ogni sera perché facciano ritorno a casa. Desidero tanto stare con loro se ne avrò l’opportunità.

Mia madre mi ha trovato un lavoro, farò la cameriera in una famiglia benestante.

Sono felice di poter contribuire, di poter dare forma alla mia vita anche se sarà solo per poco…

Sbarco in Sicilia estate 1943

Da maggio gli aerei ci sorvolano, diretti a Palermo.

Stanno arrivando i nemici, schiere di soldati, di truppe americane e inglesi vogliono invadere il nostro territorio. Un’isola che mi rappresenta e che io non ho avuto ancora modo di conoscere.

A Palermo ci sono già state tantissime vittime civili.

Non è una guerra solo tra soldati, come si vuole far intendere, ma anche di donne e bambini. Gli innocenti nel mezzo ci sono sempre.

Si sentono colpi di mitragliatrici, bombardamenti verso la zona di Palermo. Ma anche Termini Imerese potrebbe essere considerato uno snodo ferroviario e portuale importante. Sono stati giorni di chiacchiere nel nostro paese, parlate ammatula. La gente ha paura, intere famiglie dal centro si stanno trasferendo a vivere nelle campagne, le radio annunciano nuove azioni.

Le notti le esplosioni e le scie di fumo illuminano i tetti.

Viviamo sorretti da una terribile angoscia.

Termini Imerese - Nella notte tra il 12 e il 13 luglio 1943

Sono a letto ma non riesco a dormire, i pensieri volano via. Mamma dopo una giornata di lavoro, stanca, dorme nel letto a fianco, nonostante i colpi.

Esplode un boato e un attimo dopo la sirena mi giunge alle orecchie, un suono lungo e opprimente.

Rapida balzo sulla finestra.

Sono un piccolo bocciolo ancora chiuso. Il germe di una vita.

Un secondo dopo vedo gli aerei arrivare. Quel rumore è da giorni che ci gira intorno. Spero che non sia troppo tardi per noi. Invoco Dio.

Io e mia madre abitiamo fuori dalla città, verso la campagna, non ci succederà niente dico dentro di me. Sono altre le zone che interessano ai nemici. Porti e punti strategici per bloccare i trasporti dei soldati italiani.

Invece quei rumori diventano frecce violente che scalfiscono il cielo, l’aria sembra tagliata con l’accetta e appare divisa in due.

Con il lenzuolo tenuto sopra le spalle mi giro verso mamma, lei spalanca gli occhi. Ci guardiamo con volto spaventato, mi allunga il braccio e io le allungo il mio, la sua mano mi chiama, ma non riesco ad afferrarla. Poi un lampo improvviso ci divide per sempre.

Un ronzio mi ferisce e di colpo piomba il nero nella mia mente.

Tutta la mia vita sfuma via per mano di un soldato sconosciuto.

Mentre salgo su salutando la terra lo scorgo. Quel pilota nel suo cacciabombardiere è un ragazzino americano della mia stesa età partito dal Nord Africa, probabilmente ha sbagliato le coordinate, vedo la sua faccia accigliata e comprendo che non è pienamente coscio delle sue azioni. Questo non è un gioco. Ma lui può pensarci troppo. Un veloce movimento delle dita e la bomba è sganciata esotto di lui si sfascia tutto. Un gesto che ha una forte potenza, sfiora la sensazione di essere in qualche modo Dio, in grado di decidere le sorti altrui. Ma conduce serie conseguenze. Annienta delle vite. Semplici ordini che si susseguono a catena, passano prima da uno poi dall’altro. Un breve elenco di bersagli da colpire. Una piramide a cascata che si abbatte anche su persone senza colpa.

Quel giovane che ha fatto crollare la mia casa in un'altra vita avrebbe potuto corteggiarmi, magari amarmi, sorridermi e invitarmi a ballare, invece di essere il mio carnefice. Lui non saprà mai quante vittime ha fatto il suo aereo. Ma sono certa che negli anni se lo chiederà. Voglio provare a perdonarlo.

Questa notte, io sono solo un lancio sbagliato, un obiettivo mancato. Invece vorrei urlare a tutti che sono una ragazzina di appena diciannove anni condannata a causa di un inganno.

Nel dolore del patire l’anima sale.

Vi rendo la mia isola che tanto agogniate. Prendetevela. È tutta vostra.

Per sempre libera dal fascismo, ma anche priva di me.

Il mio corpo viene tirato fuori tra le macerie da mani di contadini siciliani, viene issato sopra a un carretto insieme ad altre vittime e condotto in cimitero per il riconoscimento. Tantissimi sono i morti civili e innocenti, io e mia madre siamo in quella lunga lista, un’ultima volta ancora insieme in quel breve viaggio che ci muove gli arti senza ritegno. Forse verremo sepolte in una fosse comune insieme ad altre vittime, non lo so... Sono giorni di confusione, di urla, di afflizione, di condanne, di oblio.

Vorrei avere ancora tempo per respirare l’aria salata del mare, invece non sento più niente.

Spero che qualcuno di ricordi me, del mio nome, di mia madre, dei miei fratelli. Che per qualcuno della mia famiglia la discendenza continui e il suo tempo non si spezzi come è stato per me.

Ho paura che il mio nome venga dimenticato senza essere mai pronunciato…

E poi un giorno dal sepolto qualcosa risorge.

Ho visto la luce, in una bambina bionda dagli occhi azzurri, che porta il mio stesso nome: Francesca, lei è parte del mio stesso albero, prendiamo spirito dallo stesso tronco. Lei è figlia della nipote di mio fratello. Questa ragazza senza saperlo, senza conoscermi mai, ha sentito nel cuore di dover mettere alla sua creatura il mio nome: Francesca. Un eco di una storia passata, la mia.

A dividerci con la piccola quasi un secolo, eppure con lei sento che la speranza che io non ho avuto potrà rivalersi. Sento arrivare le lacrime, una commozione che nella mia situazione non ha più forma. Sento che nonostante la mia tragedia la vita risorge e che qualcosa di me potrà sopravvivere ancora.

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