Folgaria - Trento (Italia). Uno stralcio della terza opera classificata nella sezione Autobiografie della sesta edizione del premio internazionale Thrinakìa.
Chiara Scarpellini, Istituto I.S.I.S.S. Einaudi – Molari di Rimini - Sezione speciale L’isola Thrinakìa. AMIS Archivio della Memoria e dell’Immaginario Siciliano, Le Stelle in Tasca ODV.
Guardando a sud / verso l’infinito, / dove il mare incontra il cielo, / dove lo sguardo tuo / ritorna a essere ricordo.
A Ciccio
Queste sono storie di amicizia, ma non di quelle amicizie strette, che hanno bisogno di essere riconfermate ogni giorno. Certo, le amicizie non sono tutte eguali, ognuna ha una sua storia, un suo percorso, una sua esclusiva intensità. Gli amici si scelgono, sempre, non ti vengono imposti per nascita come i parenti. Non c’è il dovere di volersi bene: “È tuo fratello, oppure, è tua sorella e dovete volervi bene”. Quante volte lo abbiamo sentito gridare da nostra madre o da nostro padre, salvo poi essere loro i primi a non favorire l’affetto tra fratelli, a creare conflitti o colpevoli favoritismi, i quali innescano un meccanismo di odio che li allontanerà per sempre.
L’amicizia è stata per me un’ancora di salvezza, una rete di salvataggio che molte volte nella mia vita mi ha permesso di bypassare momenti difficili a volte drammatici, di superare scogli che da sola non avrei mai superato. Mi ha riservato calore e accoglienza, ascolto e solidarietà. Oggi, posso dire con tutta certezza che l’amicizia è un sentimento unico. Un prezioso regalo che la vita ci offre senza chiederci in cambio nulla. Ho amici e amiche che vedo frequentemente, anzi quotidianamente, altri che non vedo quasi mai, ho amici coi quali condivido le mie passioni, altri che sono semplicemente buoni compagni di tavola o di camminate in montagna, ho amiche che sono nella mia vita da tantissimo tempo. Ho amici che abitano così lontano che è impossibile vedersi più di una volta all’anno. Ho amiche con le quali beviamo un buon bicchiere di vino e progettiamo viaggi. Ho amici che condividono con me la passione della musica, della letteratura, dell’arte. Ho amiche con cui leggiamo poesie e con le quali condividiamo segreti che ci sembrano esclusivi, anche se non lo sono.
Certe amicizie sono come matrimoni fortunati, che non si infrangono mai.
Il primo ricordo di amicizia che ho è quella con un bambino della mia stessa età, avevamo forse cinque anni e ricordo molto bene l’affetto che ci legava, ricordo la gioia quando potevamo giocare insieme e ricordo il dolore di averlo perso, quando la mia famiglia si trasferì. Ci pensai tanto, ogni giorno, e sentivo, nel mio piccolo cuore di bambina che quell’amico sarebbe stato per me, il mio migliore amico. Poi ne vennero tanti altri di migliori amici e tutti continuano ad avere un posto speciale nei miei ricordi.
Queste storie sono la testimonianza del legame che ho con queste persone e con la loro terra che in parte è diventata la mia Terra Promessa: la Sicilia.
Quella di Francesco, detto Ciccio e Giliola, detta da Ciccio Giliò, è un’amicizia speciale che si rinnova ogni volta che lo trovo lì, davanti al suo mare, come quella di Carlo che mi ha accompagnata in tanti anni attraverso i suoi racconti a conoscere una Sicilia meno compresa ma autentica o quella con Domenico detto Minico, un uomo eclettico, particolare, vulcanico, un sognatore che guarda il mondo sperando che diventi un posto migliore dove poter vivere, quella con Saretto, talentuoso chitarrista che ha inseguito i suoi sogni fino a vederli realizzati, o come Il Boliviano, fotografo prima che musicista: a me le sue fotografie hanno sempre riempito il cuore di tanti sentimenti, o come quella con Salvatore detto Salvuccio ma da noi chiamato sempre U’ Cumannante perché le idee, i progetti, le discussioni oceaniche partivano sempre da lui, e poi le donne, le mie amiche care, carissime sorelle affettuose.
La Sicilia dicevo, terra dai mille colori e risvolti. Chi impara ad amarla non ne può più fare a meno. Io ho avuto la fortuna di conoscere le persone prime che le cose e questo mi ha subito messo in una condizione di apertura. La mia curiosità è stata abbondantemente soddisfatta da una serie infinita di incontri, tutte persone che mi hanno regalato il loro calore, la loro accoglienza. Mi sono sempre sentita a casa. Questa parte della Sicilia, il ragusano, lo sento particolarmente famigliare, lo riconosco quando scendo in pullman da Catania, mi sembra quasi di sentirne il profumo. Le campagne prendono un colore diverso, gli alberi, i muretti a secco, i casolari semi abbandonati, le serre che oramai punteggiano ogni parte del territorio. E quando si scende da Ragusa verso Santa Croce ecco che lo sguardo incontra il mare. La distesa d’acqua riflette argentea la luce del sole e mi prende una sensazione di infinito, di grande, ma così grande da non poterlo contenere dentro lo sguardo. Vorrei che la strada non finisse mai, vorrei che quello stato di struggimento continuasse a lungo. Riconosco i muretti che delimitano le strade, quei sassi sapientemente accatastati e arrotondati alla sommità mi accompagnano, come un filo d’Arianna, e io ne seguo il profilo per tutta la strada, so che mi porteranno a casa. Mi metterei a piangere se solo non avessi quel senso del ridicolo che mi frena, allora sposto lo sguardo in ogni direzione, guardo le case che sfilano via, e aspetto di arrivare alla fermata dove troverò qualcuno che mi viene a prendere. Solitamente Alice o Ciccio, anche se lui, pasticcione com’è, a volte si dimentica o sbaglia stazione, come la volta che per caso a Ragusa lo vidi fermo ad aspettarmi quando io era sicura che lo avrei trovato a Santa Croce. In quel caso le risate furono davvero esagerate, tanto che le persone intorno ci chiesero che cosa era accaduto.
Ci sono 1.483 Km tra Pergine Valsugana e Santa Croce Camerina. Ci sono diversità tra il Nord e il Sud: sono due mondi opposti ma che inesorabilmente si attraggono perché quando c’è di mezzo l’affetto anche la lontananza e la differenza diventa ricchezza. Non ho mai avvertito una distanza tale da affievolire il nostro sentire. Anche durante gli anni in cui non ci siamo visti, l’affetto è sempre rimasto vivo. Un fuoco amico che non si è mai spento, è rimasto acceso sotto la cenere.
L’amicizia è il più nobile dei sentimenti, non ha possesso, gelosia, aspettative. L’amico ti conforta, ti sostiene, ti difende, ti critica quando ne capisce la necessità, custodisce i tuoi segreti senza ricatti o tradimenti. L’amico ti è vicino quando lo chiami, ma sa starsene da una parte se glielo chiedi, senza sentirsi escluso. Ci sono persone che non vediamo per anni, per tanti motivi: la lontananza, il lavoro, gli impegni di ognuno, oppure semplicemente il bisogno da entrambe le parti di rallentare, di mettere una distanza sicuri che rimane dentro di noi vivo il sentimento di amicizia e basta vedersi per ricominciare una storia mai interrotta ma solo momentaneamente sospesa.
L’amicizia può anche far male, ed è un dolore forte, una ferita che stenta a rimarginare, l’amicizia tradita è un dolore immenso. L’amico o l’amica che tradisce la nostra fiducia ci ruba l’innocenza dei sentimenti, ci toglie lo stupore dei bambini, la semplicità dell’approccio, ci nega le risate, le confidenze, le complicità, ci ricaccia le lacrime dentro gli occhi. Sono stata ferita alcune volte da amicizie che pensavo salde e sincere ma che poi si sono rivelate meschine e spalmate di ipocrisia. In questi casi, pochi per fortuna, ho sempre provato un dolore pari al tradimento amoroso, un lutto che ho dovuto elaborare con grande sofferenza.
Da sempre sento dire che non è possibile un’amicizia tra uomo e donna, che da una parte o dall’altra c’è un interesse amoroso che non viene soddisfatto. Io non la penso così. L’amicizia che mi lega a Carlo, a Ciccio a Domenico è un sentimento scevro da interessi amorosi, che si nutre solo del piacere di condividere il poco o tanto tempo che abbiamo per stare insieme. La gioia di una serata allegra, l’impegno di lunghe discussioni sulla vita e sul mondo, la condivisione di ideali. Sono tre persone diverse tra loro ma con una origine comune: sono siciliani, che amano la loro Terra, ne conservano intatto il valore che a sua volta è stato trasmesso a loro dai nonni, dai genitori, da chi è venuto prima. Sono tre persone che mi hanno dato, ognuna a modo loro, la possibilità di entrare in contatto con questa Terra e con questa Gente attraverso l’accoglienza e non la semplice visita turistica
Sicuramente anche i tempi hanno giocato a mio favore. Era ancora lontano il successo che questo lembo di Sicilia avrebbe conosciuto con la notorietà televisiva di Montalbano, allora era solo un posto di mare, un piccolo villaggio dove avevano le case quelli di Santa Croce o dei paesi limitrofi, erano residenze estive, c’era un bar e una pizzeria, un piccolo negozio di alimentari e un giornalaio; tutte attività che erano aperte solo i tre mesi estivi e poi si chiudeva tutto e rimaneva un posto selvaggio e per pochi intimi affezionati. Il tempo era dilatato, i giorni avevano il sapore dei ritmi quotidiani. Le persone si trovavano senza darsi appuntamento: che fosse la piazza del paese o il lungomare poco importava. Poteva essere una partita a carte o una chiacchierata, semplicemente accostarsi ad ascoltare i discorsi che via via si intrecciavano. Una umanità variegata per età, per estrazione sociale. Il piacere di ritrovarsi gli uni sugli altri come invitati a un banchetto immaginario. Ricordo discussioni che sfioravano il litigio, quando i due o tre contendenti sostenevamo con veemenza le loro tesi, io non capivo bene tutte le parole ma ne intuivo il senso e poi tutto sfumava, in un attimo gli animi bellicosi si quietavano, le risate riempivano l’aria e i gesti accompagnavano le parole.
Questo è uno dei tanti motivi per cui continuerò a tornare in Sicilia, continuerò a cercare le persone prima che le cose, continuerò ad amare questa lingua e le sue infinite tonalità, continuerò a guardare i colori e ad ascoltare il mare.
Ci sono tante altre persone in altre parti della Sicilia che mi hanno dato l’opportunità di entrare nelle loro vite e nei loro territori: Pietraperzia, Palermo, Catania, Caltanissetta, Francofonte, Fondachello, Pachino, Belpasso, Palermo, Taormina, Aci Trezza, Messina, Noto, Ragusa, Siracusa, Santa Croce Camerina.
Queste storie hanno la leggerezza del volo e la profondità di una radice.
Donne
Le donne siciliane, le mie amiche, le mie parenti.
Questo capitolo l’ho voluto lasciare per ultimo perché chiude il cerchio sul mio approccio alla sicilianità.
Le ragazze che ho conosciuto anni fa e che oggi sono mamme con figli adolescenti, le bambine che avevano ancora negli occhi lo stupore della fanciullezza e che mi guardavano con curiosità cercando di trovare nel mio aspetto i tratti caratteristici della gente del nord.
Le donne che sono invecchiate come me e che hanno attraversato questi lunghi anni senza mai smettere di volermi bene.
Il tempo trascorso con loro mi ha insegnato il giusto ritmo per entrare dentro le cose di quest’Isola. Che sia una ricetta di cucina o la visita a una chiesa barocca, oppure le lunghe chiacchierate immerse nel mare tiepido di Punta Secca.
Loro sono sempre state generose di parole e di presenza. Mi hanno accompagnata con la pazienza che donne hanno per natura, in particolar modo qui, e mi hanno insegnato una lettura ampia della realtà da cui mi sentivo avvolta.
Le ore passate ai fornelli con Alice che mi spiegava passo passo il procedimento per cucinare la tal pietanza, la passione per cibi che raccontano una storia e che riportano memorie di povertà, di povere tavole imbandite col poco che avevano, ma che nei secoli sono diventate pietanze eccelse, elaborate sfruttando il meglio di quegli ingredienti.
E il tempo, appunto, che non ha confini, quando dentro la cucina si crea quell’alchimia di odori, sapori e colori che sarebbero rimasti a lungo nei miei ricordi e nel mio palato.
E dentro quei luoghi saturi di aromi i racconti più belli si snodavano ad amalgamare assieme alle parole anche gli ingredienti. Le cucine diventavano come chiese, luoghi sacri e ogni passaggio un rituale che va scrupolosamente osservato, la sapienza nel mescolare, nel dosare, nell’impastare farine antiche, che avrebbero donato sfoglie di pasta fragrante dentro la quale trovavano riposo verdure stufate o carni cotte a puntino.
Ho imparato a cucinare piatti siciliani, seguendo scrupolosamente i dettami che mi venivano dati.
I discorsi fatti intorno alle pentole sono discorsi del cuore, non hanno malizia né cattive intenzioni. Sono i regali che le donne si fanno per stare assieme.
Ho mangiato piatti che erano come rimedi salutari per lo stomaco e per lo spirito. I tortelli di ricotta dolce col sugo di pomodoro di nonna Angelina, non li potrò certo dimenticare, e neppure lei credo, dal momento che non riuscivo più a fermarmi.
Le donne che ho conosciuto mi hanno dato ognuna qualcosa di prezioso e di unico. C’è un sentire tra donne che non può esser spiegato ma solo vissuto. Le parole non riusciranno mai a definire esattamente quella alchimia che si crea, di sorellanza, di affinità e di grande empatia.
Maria mi portava lungo il mare di Cava D’Alica e passeggiando lungo quella lingua di sabbia bagnata dal mare, abbiamo aperto i nostri cuori donandoci il racconto delle nostre vite, sicure che sarebbe stato in buone mani. Maria era così bella che la guardavo per ore riempiendomi gli occhi di quel sorriso che mi sarei portata al nord.
Non c’era bisogno di spiegare o di sottolineare, i concetti erano così chiari e condivisi che era come parlare col nostro io.
Ero certa che i mesi che saremmo state lontane non avrebbero cancellato quel modo di sentire e lo avrei ritrovato intatto appena sarei ritornata.
Le donne che ho conosciuto sono così diverse tra di loro, per età, per professione, per livello culturale, ma tutte hanno la stessa identica radice che affonda nella cultura di quest’Isola meravigliosa. Isola delle meraviglie, dei paradossi, delle potenzialità sottostimate, delle intelligenze più belle che ho conosciuto.
In nessun’altra parte d’Italia ho sentito così netto e chiaro questo orgoglio di appartenenza.
Antonella era davvero molto giovane quando l’ho conosciuta eppure già c’era in lei quella fierezza e la curiosità di guardare al mondo rimanendo coi piedi dentro la storia. Ricordi tantissimi e non posso privilegiarne uno a scapito di un altro. So che ha mantenuto la stessa grande e profonda umanità, quell’empatia che la fa sentire subito in sintonia con chi ha davanti.
Le donne siciliane mi hanno insegnato la pazienza. Usare il tempo frenando le mie urgenze per concedermi il lusso dell’attesa. E molte volte era proprio in quell’attesa che succedeva qualcosa di inaspettato e di assolutamente straordinario.
Franca mi racconta della sua mamma mentre guardiamo il mare sedute vicine. Mi racconta delle sue belle nipoti, cresciute e amate come figlie. Le parole si fermano ogni tanto e hanno la sospensione dell’attesa, mentre lo sguardo è catturato dalle onde che arrivano a riva come collane luminose.
È un tempo di calda sensazione, di ascolto e di parole, di silenzio e di sguardi.
Sono state tante le donne che ho conosciuto in questi anni di frequentazione, alcune anche recentemente ed ho sempre trovato quello spirito di cui parlavo all’inizio. L’empatia, la generosità, l’accoglienza che non è solo mera ospitalità. Le donne siciliane sanno parlare col cuore. Possono sembrare invadenti, per chi come me viene dalla montagna e si porta addosso l’eredità di un’educazione rigorosa, pacata, oserei quasi fredda in confronto al loro calore, alla veemenza con cui ti accolgono.
Rosetta che mi ha affidato la storia della sua vita il giorno stesso che l’ho conosciuta, dandomi quella fiducia estrema che solo a un intimo senti di poter dare.
Francesca, giornalista che ha presentato a Comiso il mio libro Donne vestite di legno, con una analisi così profonda e puntuale che mi verrebbe da dire: “solo chi mi conosce bene può aver colto certe sfumature”.
Agata che mi ha ospitata nella sua casa di campagna perché conoscessi un’altra Sicilia ancora, quella interna, quella ancora legata al rurale, immergendomi profondamente in quel clima che così tanto mi ha ispirata e su cui ho scritto con grande entusiasmo e commozione.
E poi le donne di Catania, quelle così presenti nella mia vita, così affettuosamente sorelle. Donne che mi hanno accolta nelle loro case, nelle loro famiglie, donne con cui ho lavorato a progetti culturali, ho condiviso viaggi in una Sicilia remota e bellissima, ho mangiato, bevuto, assaporato cibi cucinati per me, ho condiviso idee e discusso su temi importanti. Ho ragionato, a volte con toni forti e decisi su temi importanti.
Le donne di Catania hanno nomi bellissimi e chiari sorrisi, hanno occhi velati di dolore e mani consumate dal lavoro, hanno sempre un fazzoletto di tempo per ascoltare chi le chiama. Hanno il cuore sempre aperto e se lo chiudono è solo per poco, quel poco che basta al respiro per ricominciare il suo canto.
Le donne di Catania hanno sorrisi che parlano da soli, hanno figli e mariti e case da accudire, portano in grembo la storia e la tramandano ai loro figli con la stessa convinzione con cui l’hanno ricevuta.
Le donne di Catania sanno riservare all’amicizia un posto d’onore.