Socia Collaboratrice dell’Osservatorio dei Processi Comunicativi, fa parte del Comitato di Redazione della rivista elettronica M@GM@. Presidente dell’Associazione RaccontarsiRaccontando. Raccoglitrice volontaria di testimonianze e narrazioni individuali e sociali, progetta e conduce percorsi formativi sussidiari e gratuiti finalizzati alla maturità cognitiva ed affettiva dei giovani, in stretta collaborazione con i docenti, presso gli istituti scolastici di ogni ordine e grado. Supporta gli insegnanti degli I.C del Territorio Romano, nella maturazione cognitiva ed affettiva dei giovani in difesa della pace, della tolleranza e della diversità quali valori ineludibili.
Abstract
I sentieri segreti dell’umano paesaggio interiore, come pure quelli del mondo che ci circonda, possono dialogare sommessamente, in modo efficace e senza bisogno di urlare, attraverso i nostri cinque sensi. Ecco perché abbiamo necessità di essere consapevoli del nostro udire, ascoltare e sentire, ovvero di quella necessaria osmosi, capace di far entrare nell’anima umana i riflessi di un “paesaggio mutevole” che ci circonda comunque e che interagisce continuamente con noi modificando continuamente ed inevitabilmente le nostre percezioni del paesaggio nel quale ci troviamo a vivere.
Studio del ritratto Benjamin Robert Haydon (1786–1846) Centro Yale per l'arte britannica Collezione Paul Mellon
Come regolarmente accade ad ogni “appello a pubblicazione” proposto dalla rivista M@gm@, anche in questa occasione, i testi pervenuti quale contributo all’appello “Udire, Ascoltare, Sentire” hanno voluto raccogliere la sfida del percorrere, ciascuno con la personale peculiarità, il proprio “paesaggio interiore” fatto di esperienze reali, visioni, desideri, aspettative individuali, aspettative sociali, esperienze legati ai propri studi e/o alle esperienze legate alla propria attività professionale e di studi. Ma anche esperienze inaspettate, vissute grazie all’incontro/scontro con le diverse realtà sia di condizione umana e culturale che legate a luoghi e natura a tutto vantaggio della comprensione di paesaggi naturali reali o interiori dell’umana condizione e delle sue necessità di sopravvivenza.
Ma non solo quanto appena descritto, perché ascoltare e nutrire il proprio “paesaggio interiore” significa anche percorrere sentieri nuovi nel tentativo di leggere e “com-prendere” quanto ruota intorno al nostro quotidiano vissuto, recepito ed esperito in termini del saper udire suoni e linguaggi non usuali per noi, ascoltarne i messaggi espliciti ed impliciti e sentirne risuonare empaticamente presenza, doni e necessità.
Di seguito il mio modesto tentativo di cogliere qualcuno dei punti salienti di ciascuno degli elaborati selezionati dalla redazione, visionati con il dovuto rispetto per il prezioso contributo che contengono, tenendo sempre a mente il senso dell’appello a pubblicazione (Udire, Ascoltare, Sentire) che ciascun autore, ha ritenuto di recepire e fare proprio per esprimere un personale e gradito contributo di risposta.
Il complesso ed interessante testo di Vito Antonio D’Armento dal titolo “Perfette incompiutezze: dissolvenze tra suoni e visioni”, mi ha intrigato a lungo prima di decidermi ad ipotizzare la doverosa e sintetica presentazione per i lettori di questo numero di M@gm@ riservata a tutti i testi pubblicati. Preferisco lasciare al lettore il piacere di districarsi tra supposizioni, affermazioni, suggestioni epistemiche e proposizioni da compattare convinta che, nonostante la complessità, il testo, merita la dovuta attenzione. Nella parte iniziale del testo, un imprevisto colpo di scena, quasi una provocazione rispetto alla complessità del suo elaborato: Vito Antonio D’Armento ha collocato infatti una delle massime di Khalil Gibran: «Non ci comprenderemo mai fra noi, finché non avremo ridotto la nostra lingua a non più di sette parole».
Massimiliano Zitelli Conti ne “La legge del mare” (contributo attualissimo in questo momento storico) ha voluto udire, ascoltare e sentire appieno il paesaggio interiore di coloro che vivono, abitano e lavorano lungo le coste della Penisola Italiana e che, nei lunghi millenni di rapporto con il Mar Mediterraneo, hanno imparato a rispettare la “legge del Mare”. Una legge che ha permeato l’animo di quei pescatori che, nelle lunghe ore del loro lavoro in mare aperto, ne hanno fatto paesaggio interiore, un paesaggio interiore etico che impone di salvare qualsiasi essere umano che si trovi in difficoltà tra le onde o che approdi sulla spiaggia dopo un naufragio. Perché la loro legge morale ed il loro paesaggio è una legge morale tramandata dalla notte dei tempi di padre in figlio e, tradire quella legge di solidarietà, significherebbe tradire sé stessi ed i propri avi.
Leggere il testo di Augusto Debernardi mi ha portato indietro nel tempo, negli anni della mia giovinezza quando, affamata di conoscenza sul come potevo cambiare in meglio la realtà nella quale mi trovavo a vivere colma di luoghi comuni, stereotipi acquisiti una volta per tutte e distonie sociali, frequentavo una cantina romana nella quale, oltre a testi teatrali alternativi, si ragionava insieme su coraggiose iniziative sociali come quella intrapresa da Franco Basaglia fondatore di Psichiatria Democratica e ispiratore della Legge 180/1978 che introdusse la revisione ordinamentale degli ospedali psichiatrici in Italia promuovendo radicali trasformazioni nel trattamento sul territorio dei pazienti con problemi psichiatrici. Augusto Debernardi ripercorre le vicende di quegli anni, anni nei quali “i matti” tornarono ad essere persone, per poi soffermarsi verso la fine del suo contributo su di una domanda inquietante: ... «come sentirsi, forse, presi in giro dalla storia studiata in quanto alla fin fine, incominciamo a considerare e verificare che salta troppi passaggi?... meglio depotenziare, meglio usare i social, il meta. Ne siamo certi?».
Il contributo di Nadia Celestri, mi ha incuriosito inizialmente per la specificità del suo percorso di studi in erboristeria e farmacia, mai disgiunto da profondo interesse verso la narrativa, la poesia e la musica. Nadia Celestri ci ricorda come: «il termine “cultura” derivi dal latino “colere” che indica il movimento circolare portatore di un’idea cognitiva e trasformativa e come, l’attività umana del “fare proprio un posto” sia un tipico processo umano al pari della parola e dei gesti che richiede un iter di conoscenze ed esperienze reiterate in molte generazioni». Nadia Celestri ci ricorda anche come: «il sentiero della vita è una luce definita di colori e buio… Cambiando le nostre percezioni posiamo scoprire sensazioni più nuove…».
Il contributo di Ruggero Maggi è lo specchio di un percorso interiore di elaborazione e formazione all’arte e, citando il critico d’arte francese Pierre Restany, manifesta un umanesimo che riunisce l’immagine creata e la misura dell’umanità dell’artista.
Nelle “Solitarie riflessioni di un passante” di Rocco Morelli, viene fornito un ampio ed interessante esame strutturale che ha investito il mondo occidentale del quale facciamo parte. L’autore ripercorre gli aspetti problematici che hanno contribuito a creare l’attuale crisi ed avverte la necessità urgente di tornare ad essere parte dialogante di una rinnovata armonia vitale del Pianeta Terra attraverso la capacità di ricercare scelte necessariamente condivise per tentare di evolvere verso una sostenibilità olisticamente intesa, capace di affrontare la precarietà intrinseca della vita sulla Terra.
La ricchissima bibliografia dell’articolo di Ignazio Burgio si rivela un prezioso sostegno a quanto descritto dall’autore sulla attività di relazione tra ciascuno di noi e l’ambiente esterno, costituito dalle città dove viviamo ed abitiamo, la natura che ci circonda le tecnologie che utilizziamo, le istituzioni con le quali ci rapportiamo ed i valori culturali ai quali facciamo riferimento. Interessante anche il ragionamento sulle modalità dei codici interpretativi, dei linguaggi e degli atteggiamenti sollecitati dall’utilizzo del web e quindi suscettibili di continue modificazioni in quanto consentono una modalità interattiva dando la possibilità, agli utenti, di partecipare e di esprimere il proprio pensiero. Una possibilità, quindi, di costruire una “coscienza virtuale globale” e la consapevolezza di un destino comune.
Conclusioni finali
I sentieri segreti dell’umano paesaggio interiore, come pure quelli del mondo che ci circonda, possono dialogare sommessamente, in modo efficace e senza bisogno di urlare, attraverso i nostri cinque sensi. Ecco perché abbiamo necessità di essere consapevoli del nostro udire, ascoltare e sentire, ovvero di quella necessaria osmosi, capace di far entrare nell’anima umana i riflessi di un “paesaggio mutevole” che ci circonda comunque e che interagisce continuamente con noi modificando continuamente ed inevitabilmente le nostre percezioni del paesaggio nel quale ci troviamo a vivere.