Acireale CT, 1933.
Abstract
Un estratto dall'autobiografia Piccolo di camera (Archivio della Memoria e dell’Immaginario Siciliano AMIS - Le Stelle in Tasca ODV Catania), seconda opera classificata nella sezione autobiografie del premio internazionale di scritture autobiografiche Thrinakìa.
Thrinakìa journal de voyage - Véronique Béné
Deuxième œuvre primée Section Journaux de voyage
Passato un breve periodo da disoccupato, mi scrissi all’ufficio di collocamento Gente di Mare e dopo un po’ trovai lavoro in una petroliera, La Marinella di otto mila tonnellate, dei Fratelli D’Amico di Roma. Per imbarcarmi dovevo andare al porto di Palermo dove si trovava la petroliera così, mi diressi alla stazione di Catania per prendere il pullman, salì, e subito siamo partiti, però vidi alla mia sinistra la Playa di Catania, mi assalì un dubbio e domandai all’autista: “dove siamo diretti?”. Lui mi rispose: “a Siracusa”.
Avevo sbagliato così scesi in una stazione di rifornimento, in attesa di un pullman che ritornava a Catania, e finalmente presi quello giusto per Palermo. Arrivato al porto trovai la petroliera, mi presentai subito al comandante che mi assegnò una piccola cabina a poppa dove il rumore del motore era assordante sia di notte che di giorno e quando c’era mare grosso, la prua affondava la poppa si alzava sopra le onde l’elica girava a vuoto.
La mia qualifica era: Piccolo di camera, dovevo pulire e sistemare le cabine degli ufficiali, che erano: il comandante, l’ufficiale di coperta e l’ufficiale di macchina. Piccolo di camera nella lingua Gente di Mare è mettere a posto le cabine: del Comandante, del primo Ufficiale di coperta e dell’Ufficiale di macchina.
Siamo in navigazione sul mare Mediterraneo. Solo cielo e mare. Dopo diversi giorni arriviamo a Porto Said ingresso del Canale di Suez: un porto con annesso uffici di smistamento per tutte le imbarcazioni internazionali, punti di ristoro e alberghi, la sosta in media durava ventiquattro ore, così c’era la possibilità di scendere a terra.
In navigazione arrivò il nostro turno per entrare nel canale di Suez, lasciato il canale entriamo nel mar Rosso, questo mare spesso agitato, si avvertiva di più quando la petroliera era vuota e particolarmente quando si prende il mare di fianco, onde lunghe e grosse, causando anche la fuoriuscita delle bevande dal frigo. Dopo diversi giorni di navigazione siamo arrivati nel golfo di Aden, in una piattaforma, distante dalla terra.
In piena notte carichiamo il petrolio e dopo con la petroliera carica, riprendiamo la via per Trieste, dove si attraccava e si aspettava il turno per scaricare il petrolio, anche qui l’attesa era lunga così avevamo la possibilità di sbarcare a terra, quel giorno eravamo in quattro: l’ufficiale di coperta, il cuoco, l’aiutante cuoco e io, e decidiamo di prendere un pullman che ci porta a Barcola, un paesino molto di moda distante da Trieste una quindicina di chilometri, arrivati sul posto, la giornata volgeva al termine andiamo in un posticino che si presentava con una sopraelevata in legno dove si suonava e si ballava, le donne erano più degli uomini.
In navigazione per Venezia, un’altra fermata. Scendiamo a terra e andiamo a casa del giovane aiutante in cucina dove veniamo bene accolti dalla sua famiglia, siamo io e il cuoco, si fa una festicciola. Dopo ritorniamo a bordo e si riparte. In navigazione.
In questo periodo il canale di Suez era rimasto chiuso a causa di una guerra se ricordo bene tra l’Inghilterra e l’Egitto e per tanto andiamo in Russia, sul mare Adriatico, mare Egeo e lo stretto dei Dardanelli, a Istanbul facciamo carenaggio.
Pulizia della chiglia della petroliera e anche l’interno della nave, veniva spruzzato un veleno con potenti getti, il personale con le maschere, raccolgono in tutto due sacchi di “bacarozzi”, scarafaggi. Tutto l’equipaggio era terra, non ricordo bene, forse solo un giorno a dormire in albergo e a visitare la città di Istanbul, con le sue cupole d’oro, la popolazione è come da noi in Italia anche il clima mite.
Siamo al momento di varare la petroliera, staccano tutte i supporti e piano piano l’imbarcazione inizia a scivolare sull’acqua. Tutto l’equipaggio è a bordo, la petroliera vuota, ha appena toccato il mare, con la poppa ma la prua si sposta tutta a destra, dove c’era un piccolo molo con ormeggiate piccole imbarcazione da pesca, e le spazza via, subito dopo affondano. Sopra il molo, un po’ rientrati dei ristorantini con gli occupanti intenti a mangiare, non rendendosi conto dell’accaduto, ci salutavano. Dopo, tre o quattro pescatori con una barca arrivano sotto bordo gridando e imprecando, non ricordo come finì, sicuramente il Comandante sapeva quello che doveva fare.
In navigazione sul Mar Nero. Per diversi giorni navighiamo in mare prima di arrivare in Russia, nella cittadina di Novorosisk, anche base militare. Una volta attraccati, gli operai specializzati attaccavano grossi manicotti nelle tanche della petroliera e così si caricava il petrolio, gli operai erano donne si riconoscevano solo perché avevano un fazzoletto in testa, le foto erano vietate ma io di nascosto feci qualche scatto. Sceso a terra con il permesso del comandante mi dirigo al centro, le strade non erano pavimentati a terra neve e fango mi incammino, strade deserte, qualche automezzo militare pieno di soldati, arrivo in una piazza con dei monumenti al centro, uno rappresentava una ragazza con le trecce e un mitra in braccio, l’altro un ragazzo con un mitra in braccio e c’era un nugolo di persone militari, ragazze e giovani in borghese che ballavano anche uomini con uomini e donne con donne al suono di un grammofono a manovella.
Una volta caricato il petrolio si riparte è succede qualcosa che poteva finire molto male. Quando la nave attracca, l’ufficiale di coperta, fa togliere un pezzo di ringhiera, in modo che le manichette del grezzo possano entrare dentro le taniche e al termine del carico prima di partire si deve rimettere a posto la ringhiera, cosa che l’ufficiale non ha fatto, l’ha dimenticato. Siamo in navigazione sul mar nero in inverno, il mozzo un palermitano di età venti o ventidue anni nel buttare a mare il contenuto del bugliolo il secchio si distrae e cade in mare, mancava il pezzo di ringhiera, naturalmente vestito con stivali di gomma giaccone pesante e berretto in testa, cadendo in mare riemerge a poppa e si mette a gridare aiuto, nella cabina con oblò aperto c’era l’aiutante cuoco che stava scrivendo una lettera alla sua famiglia, che sente gridare aiuto e avvisa la plancia di comando, subito dopo si sente una voce che urlava: “Uomo in mare”, erano circa le due del pomeriggio.
Io invece in quell’occasione mi trovavo in plancia perché quando smettevo di lavorare andavo insieme al personale di comando in plancia e subito prendevo il binocolo per guardare la scia che la petroliera lasciava. L’imbarcazione anche se era carica si allontanava dal naufrago con velocità. Vidi a mare una pallina che saliva e scendeva, era il mozzo, subito la nave inverte la rotta ma essendo carica impiegò molto tempo, nel frattempo si cerca di ammainare una scialuppa, cosi in tutto questo movimento la nave per forza d’inerzia supera il mozzo, noi dell’equipaggio a guardare. Io mi volevo buttare in acqua ma questo pensiero durò solo per un momento, finalmente la scialuppa cala a mare con a bordo l’ufficiale e due dell’equipaggio e riescono in tempo a prendere il mozzo che era diventato tutto blu, subito coperte borse calde e altro, cosi si è salvato il mozzo e anche l’ufficiale di coperta responsabile dell’accaduto.
Si riprende la navigazione di ritorno percorrendo il mar Nero, il mar Bosforo, lo Stretto dei Dardanelli il mar Mediterraneo e il mar Tirreno. In navigazione verso Genova, la via del ritorno. Arrivati nel porto si scarica il grezzo e io decido di sbarcare, di lasciare definitivamente l’imbarcazione a nulla è valso l’invito di restare a bordo da parte degli ufficiali e anche del comandante, proprio lui, ricordo ai primi sbarchi che si facevano, io uscivo con gli ufficiali, e lui domandava all’ufficiale di guardia chi è quella persona insieme agli ufficiali? “Il piccolo di camera”, la risposta. Così termina la mia avventura di mare.
Rinasce dentro di me la voglia di svagarmi, avevo racimolato un bel po’ di soldi, così decido di andare in montagna e provare a stare in mezzo alla neve, sciare e fare tutto ciò che mi andava di fare. Mi organizzo, sapevo che a Torino abitava mia zia Pina sorella di mia madre e andai a trovarla. Per lei fu una sorpresa, comunque una volta passata la sorpresa mi domanda cosa volevo fare, io gli risposi che volevo andare in montagna a sciare e se era possibile procurarmi un paio di sci. Una volta avuto gli sci prendo un pullman per Sestriere. Arrivato sul posto mi dirigo in un negozio sportivo e acquisto pantaloni, camicia, scarponi, guanti, scarpe e doposci poi scelgo un posto per dormire la pensione Edelweiss. Ero insieme ad altri sciatori, i quali avevano notato che io ero alle prime armi, un novello sciatore e per rincorarmi mi invitarono a bere un bicchierino di grappa e dopo ci dirigiamo sul monte Cervino, con la funivia, sembrava che la cabina andasse a sbattere nella montagna, una grossa caverna si apriva per far entrare la funivia.
Arrivati, scesi dalla cabina ci si incammina dentro per poi spuntare in un grande pendio, tutti gli sciatori, uno alla volta, iniziano a scendere, dopo un po’ sono rimasto solo, devo confessare che non so sciare bene e pertanto incomincio a preoccuparmi dato che la pendenza era molto forte, il solito incosciente. Mi faccio forza e inizio a scendere, non riuscivo a seguire la pista e a un tratto sprofondo in una crepa del terreno, fortunatamente non era molto larga, così riesco con le racchette e le braccia a rimanere sospeso, non so per quanto tempo, intanto a valle e nella pensione si sono preoccupati della mia scomparsa, era già pomeriggio inoltrato e il titolare della pensione chiede informazioni al gruppo di sciatori che erano insieme a me e subito organizzano una squadra di soccorso, finalmente riescono a tempo a salvarmi, mi mettono in una piccola slitta guidata da due sciatori, uno d’avanti l’altro di dietro, io ero tutto rosso in faccia, le braccia non li sentivo più erano intorpidite. Arrivati alla pensione applausi di molti sciatori verso di me per rincorarmi e nello stesso tempo mi hanno fatto capire di stare più attento. Sono rimasto un paio di giorni e tra l’altro incontrai Renato Rascel.
Anche questa avventura è finita, e purtroppo sono finiti pure i soldi, non mi sono reso conto, avevo speso tutto e son rimasto senza un becco di un quattrino, il tragitto da Sestriere a Torino in pullman, devo Lire 9oo al bigliettaio, che ringrazio ancora. Arrivato a Torino mia Zia Pina mi paga gentilmente il biglietto del treno per Catania, grazie Zia, con un lieto fine ritorno in Sicilia.
A Catania sono rimasto solo per il periodo invernale, in primavera decido di ritornare a Capri e cercare un lavoro per la stagione estiva. I miei ormai non ci facevano più caso, non si interessavano di me e altrettanto io di loro. Così una volta a Capri, inizio la vita da borghese, avevo una conoscenza approssimata di alcune persone del luogo e così inizio con un fotografo a lavorare, mi dà una macchina fotografica e io dovevo fare le foto ai turisti, ma non c’è lo fatta mi sembrava male disturbare le coppie di turisti o scattare le foto senza il loro permesso così restituisco la macchina fotografica e mi metto alla ricerca di un altro lavoro, i soldi stavano terminando, trovo lavoro in un albergo come portiere di notte, qui sono rimasto circa un mese, perché non potevo andare a ballare né in nessun locale notturno, ha prevalso lo svago e il divertimento.
Nella piccola spiaggia di Marina Piccola mi attrae una ragazza con una signora, sua nonna, la ragazza aveva accanto un cestino di pomodori che bagnava a mare e li mangiava e dopo aver fatto la sua conoscenza, inizia un amore platonico, purtroppo durato pochi giorni, la ragazza Inge aveva terminato il suo soggiorno a Capri ritornava in Germania. In seguito mi invio una sua foto con scritto: “Il grandissimo Mario di piccola Inge” in quel lasso di tempo la chiamavo “piccola”.
Intanto sono costretto a cercarmi anche un posto per dormire, riesco a trovare una cameretta in mezzo a una zona un po’ abbandonata piena di rifiuti, come mobili, vari accessori non più utilizzabili, in mezzo al terreno incolto e alberi non curati, in parole povere un posto di cui era anche difficile arrivarci. In compenso il proprietario non mi faceva pagare l’affitto. Trovo lavoro presso La canzone del mare un posto molto chic, una piscina adagiata sul mare di Marina Piccola, la proprietaria una ex ballerina del Moulin Rouge di Parigi.
Il mio lavoro in qualità di control ticket consisteva nel controllare le persone che venivano dal mare in costume da bagno e anche dall’ingresso. In questo periodo, faceva capolino Alberto Sordi e grossi personaggi della finanza, come il proprietario della birra Peroni, un personaggio dall’aspetto gorilliano con a fianco due stanche di belle donne, insomma il meglio dell’alta società. Quando all’ingresso prendevo la borsa di questi personaggi mi davano la mancia di lire mille, una colazione costava intorno a dieci mila lire.
Siamo nell’anno 1958. I bagnini, con le bandane in testa abbronzatissimi si davano da fare per mettere a suo agio la clientela accompagnandola nei due motoscafi d’alto mare. Un evento patrocinato dalla ditta Cinzano una gara di motoscafi al largo della Canzone del Mare con una distribuzione di aperitivo Cinzano in grosse quantità. Questo tipo di lavoro mi piaceva e poi non durava molto, dato che al pomeriggio intorno alle sedici in base alla posizione della piscina il sole andava dall’altra parte dell’isola e così si smetteva di lavorare. Avevo molto tempo libero e di sera andavo nei locali a bere un drink e fare conoscenza con le turiste.
Nell’Isola di Capri frequentavo Peppino di Capri, ci siamo conosciuti nel night club Number Two. Lui suonava il piano e un altro ragazzo la chitarra e io qualche volta suonavo le maracas. Insieme a noi c’era sempre una ragazza bionda molto carina che ci faceva compagnia, un giorno eravamo insieme in spiaggia e io ho affittato un sandolino e invito lei. Siamo dentro il sandolino, lei avanti e io dietro a remare e lì mi dichiaro e le chiedo se voleva essere la mia ragazza, lei si gira e mi sorride e mi dice: “sono la ragazza di Peppino”, io per poco non sono caduto in acqua anzi mi ci volevo buttare, ma lei sempre sorridendo mi ha fatto capire che avevo preso un abbaglio colossale.
Un giorno incontro Renato Rascel mi affianco e le ricordo che l’anno scorso eravamo a Sestriere e fatto la foto insieme, naturalmente non se l’è ricordato, sempre camminando lungo il corso principale gli domando se mi poteva prendere nella compagnia per lavorare, Lui mi risponde: “Caro amico adesso i tempi sono cambiati”. Eravamo nell’anno 1958.
Come avevo accennato la stagione volgeva al termine e io mi davo da fare per trovare un altro lavoro, andavo quasi ogni giorno a Marina Grande dove c’era la capitaneria del porto per avere l’autorizzazione a imbarcarmi su imbarcazioni con bandiera estera, dopo svariate visite mi concedono il visto per potermi imbarcare per un periodo di due anni, solo che non ci fu nessuna richiesta. Poi è giunta purtroppo la chiusura della Canzone del Mare e così mi sono trovato senza lavoro. Intanto dovevo mangiare e avevo preso l’abitudine di andare in una specie di trattoria a livello famigliare, durante il giorno mi arrangiavo con panini e frutta, alla sera in questa trattoria generalmente mangiavo un bel piatto di spaghetti con il pomodoro.
I soldi erano terminati e non sapevo come fare, dovevo pagare tre o quattro piatti di spaghetti, decido di andare in cucina per parlare con la signora la proprietaria e le dico che non ho soldi, così mi tolgo la collanina d’oro che avevo al collo e gliela consegno, lei mi dice che posso venire a mangiare per altri due giorni e così feci, poi la notizia si è sparsa, siamo in un’isola e fortunatamente un giovane sposato, c’eravamo conosciuti in albergo, mi invita a casa sua a pranzo e a cena. Siamo alla fine della stagione e io dovevo ritornare in Sicilia, i soldi del viaggio me li ha dati il titolare dell’albergo dove avevo lavorato come portiere di notte.
Ritorno a Catania. Ricomincia la vita da disoccupato, mi iscrivo a un corso d’arredamento, patrocinato dall’ufficio del lavoro per la durata di due mesi, dopo trovo lavoro presso la ditta Catalfamo Arredamenti, ubicata sotto il grattacielo di Largo Paisiello Catania. Il mio compito insieme a un’altra ragazza oltre a mantenere pulito, era accompagnare la clientela nei vani sotterranei tramite una comoda scalinata, dove c’era un’ampia esposizione di mobili moderni e di stile antico, oltre a divani, tappeti, lampade e oggetti vari.
Questo lavoro per me non era il massimo e così faccio la domanda all’ufficio di collocamento per lavorare all’estero in Inghilterra. L’impiegato dell’ufficio di collocamento mi chiese la mia specializzazione, alché gli rispondo di non averla e dato che bisognava inserirla nella domanda di lavoro gli dico di mettere la qualifica di cameriere.
Passano un bel po’ di mesi. Siamo nell’anno 1959 a primavera inoltrata. Vengo convocato e mi confermano un lavoro in qualità di cameriere a Warwickshire a circa 150 km da Londra, per la durata di sei mesi. Non stavo nella pelle per la gioia, forse è stata la mia aspirazione principale.
Il giorno della mia partenza, una valigia e un po’ di indumenti per il ricambio. Prendo il treno alla stazione di Catania e via si parte. Purtroppo, per fare il cameriere è necessario servire con la mano destra, io sono mancino così mi hanno messo in cucina a pulire le stoviglie.
Il ristorante era ubicato in un crocevia di strade, un po’ isolato, così il giorno libero di lavoro preferivo uscire e vedere altri posti. Un giorno prendo un pullman per andare in una grossa città Coventry, solo che per il ritorno non c’erano pullman che andavano nella direzione del ristorante, non sapevo come fare per ritornare, mi rivolgo a dei giovanotti che stavano accovacciati dentro un’auto, mi è sembrato che fossero un po’ alticci e con un inglese stentato gli faccio vedere il biglietto pubblicitario del ristorante The White Horse Inn per fargli capire dove dovevo andare, dopo un po’ tra risate e schiamazzi mi fanno segno di salire in macchina, loro erano in quattro e io mi sistemo al centro del sedile posteriore e via si parte, accompagnato da un forte odore di birra, canti e risate.
Incominciavo un po’ a preoccuparmi, ma fortunatamente non succede niente di grave e mi lasciano a circa cento metri dal ristorante, ringrazio in inglese i quattro giovanotti e dentro di me tiro un respiro di sollievo, mi è andata bene.
Erano trascorse circa due settimane. Una sera all’uscita dal lavoro, aspettavamo il benestare dalla proprietaria del ristorante per andare a metterci in libertà, restiamo in attesa aspettando che la signora che si trovava al piano di sopra insieme al capo cameriere, un italiano, ricordo che si sentiva gridare e noi giù ad aspettare, a un tratto senza dire niente salgo le scale e busso nella porta da dove venivano le voci concitate, si apre la porta e la signora si mostra molto arrabbiata, urlando verso di me, un sacco di parole in inglese, dopo mi fecero capire che non mi voleva più nel suo ristorante e anche il capo cameriere che era il suo amante, licenziato in tronco, ricordo che prima di andarsene mi ha regalato una racchetta da tennis, la tengo ancora come suo ricordo, invece al collega napoletano regalò attrezzi da lavoro e alla signora attrezzi da cucina.
Mi ritrovai di nuovo a spasso, ma nel mio caso avendo un contratto di lavoro di sei mesi mi trasferirono a Stratford on Avon, una cittadina turistica, dove è nato William Shakespeare, e dove si trova il cottage di Anna Hatuvey, la moglie. Dovevo lavorare in un coffee bar vicino al Memory Theatre of Shakespeare, e così feci.
Notai che il popolo inglese era molto paziente, per prendere un caffè si mettevano in fila aspettando ognuno il proprio turno. Io nei primi giorni mi preoccupavo per tutte quelle persone, poi pian piano mi sono abituato, tra l’altro il caffè inglese è diverso da quello italiano, basta abbassare una leva e il caffè usciva a riempire una grossa tazza. Quando era il mio turno di lavoro ero solo al banco e mi occupavo pure della la cassa, dove incassavo regolarmente tutte le mescite con regolare scontrino.
Il tempo era clemente, sun shine all time and every days. Siamo nell’anno 1959. Le ragazze indossavano gonne ampie sopra il ginocchio, i ragazzi camicia e un foulard al collo.
Il fiume Avon era pieno di imbarcazioni, con diversi club di canottaggio e poiché sono un appassionato, mi sono iscritto a uno di quei club, ho pagato sette pound e finalmente ho raggiunto il mio sogno, remare con un singolo da competizione.
Nel club al mattino era usanza bere birra nei classici boccali di ceramica con coperchio, erano tutti inglesi tranne io. Volevo imparare la lingua inglese e cercavo di non stare molto con i colleghi italiani andando spesso al cinema per apprendere la lingua, alla fine del film suonavano quasi sempre l’inno della Regina, qualcuno usciva prima. Al cinema i teenagers erano molto avanti nel campo sessuale, si arrivava a fare sesso con l’indifferenza del vicino.
Trascorsi i sei mesi a Stratford on Avon, ritorno a Catania. Da poco La Rinascente aveva aperto i battenti, siamo nell’anno 1959, nel mese di Settembre.
Sono arrivato a Catania un mese dopo l’apertura ufficiale della Rinascente fine Ottobre e subito faccio la domanda di assunzione. Mi assumono quasi subito con la qualifica di aiuto commesso e dopo un breve periodo come commesso C1. La retta mensile era di quaranta due mila lire e in più ricevevo cinque mila lire perché parlavo la lingua inglese, avevo il numero sessantuno, venivo chiamato dall’altoparlante per i clienti americani che provenivano da Sigonella, base militare americana in fase d’ampliamento, invece il numero sessantadue era assegnato a una ragazza che parlava il francese. In base alle mie attitudine mi hanno assegnato al reparto vetro ceramica.
Questa sera chiudo la prima parte del mio diario l’avventura della mia vita. Vivere la vita dal mio piccolo in semplicità. Un’avventura che già era dentro di me e che si è manifestata. Incuriosito dai luoghi e dalle persone. Le mie reazioni erano dettate dal mio modo di vivere la vita plasmata, sin da piccolo, dagli eventi esterni e interni che ci portiamo dentro. Auguro a tutti un futuro prospero e senza guerre nel mondo. Alla mia compagna di vita, ai miei figli e nipoti e tutte le persone di mia conoscenza auguro un bene infinito.