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La vie, l’excès, l’autobiographie / Sous la direction de Beatrice Barbalato / Vol.20 N.1 2022

La vie, l’excès, l’autobiographie

Sous la direction de Beatrice Barbalato

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La vita, l’eccesso, l’autobiografia

Beatrice Barbalato

Gli articoli pubblicati in questo numero di M@gm@ offrono alcune delle prospettive possibili sul tema dell’eccesso, mettendo in luce come diversi pensatori conducano una lotta serrata contro ogni normalizzazione, si misurino con il concetto di limite, e rendano pubblica questa sfida. Parlarne, scriverne significa per essi mostrare la capacità generativa, a più uscite dell’eccedere.

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Chaplin universel et autobiographique

Adolphe Nysenholc

Chez Charles Chaplin, tout est excès. Le plus grand maître du muet et qui était contre le parlant a terminé sa carrière en écrivant un gros livre sur-lui-même: My Autobiography, un best-seller. De fait, toute sa production cinématographique a une dimension extrêmement autobiographique. C’est manifeste avec Limelight, qui met en scène un clown renommé jadis, qui ne fait plus rire. C’était le drame de Chaplin chenu qui, ayant atteint la limite d’âge, ne pouvait plus faire Charlot, man-child. Et dans ce film parlant de 1952, il ose, comme nul cinéaste, avouer, en gros plan, au monde entier, sa tragédie personnelle: le «Roi du rire» n’était plus très comique. Néanmoins, dans sa production du temps du muet, on ressentait déjà en 1921 The Kid, comme autobiographique, par l’évocation de son enfance dans les taudis. Après tout, Charlot, apparemment si différent de Chaplin, en exprime le moi peut-être le plus archaïque, son premier moi traumatisé. En tout cas, si ce qui caractérise son art est l’économie de moyen dans la gestuelle comme dans la narration, il n’hésite pas à tourner d’innombrables fois une scène jusqu’à ce qu’elle soit parfaite, voire épurée. De l’hyperbole à la litote, tout chez lui est superlatif.

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Devant la mer inlassable : la limite et l’excès en nous

Françoise Hiraux

Les récits de soi sont peuplés de l’expérience des excès, subis (comme la violence et la mort) et commis. L’excès est un acte : quelle force y a poussé? Il est un débordement, mais vis-à-vis de quoi ? Et comment assumer l’excès passé, comment le dépasser ? Que nous fait-il intimement ? Nous explorerons le couple en miroir de l’excès et de la limite, à partir de la confession d’Ulysse dans son récit aux Phéaciens (Odyssée, ix-xii), de l’Autobiographie philosophique. Le bonheur, sa dent douce à la mort (2020) de la française Barbara Cassin et du récit personnel de l’écrivain new-yorkais Daniel Mendelsohn, Une odyssée. Un père, un fils, une épopée (2017). Nous nous attarderons auprès de réalités telles que la perte, la nostalgie ou encore le destin, situées du côté de la façon de recevoir la limite, mais aussi, sur l’autre versant, auprès de l’ouverture : le passage, le courage, la curiosité et le désir, l’amour. Une question rassemble le tout : Qu’est-ce que le «trop» ?

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Marisa Ombra: l’esperienza resistenziale come punto di partenza per la maturazione sociale e politica in prospettiva autobiografica

Aleksandra Janczarska

L’analisi delle due opere autobiografiche di Marisa Ombra mette in risalto l’importanza della lotta antifascista e delle decisioni prese in giovane età dall’autrice nel quadro della crescita personale e dell’emancipazione individuale e collettiva delle donne dopo il 1945. Oltre che legati ad una particolarissima storia individuale, i temi trattati, sempre rapportati a fatti concreti e circostanziati, appaiono molto interessanti per individuare quei valori, come la libertà e la responsabilità, che hanno accompagnato le decisioni più importanti di tutte le donne che hanno scelto di dedicare, in parte o in toto, la loro vita al perseguimento di ideali politici o alla liberazione del proprio paese, assumendo così il ruolo di portatrici di cambiamento all’interno di tutta la società italiana.

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Eduardo J. Correa (1874-1964): una autobiografía entre la soberbia y las convicciones católicas

Marcela López Arellano

El abogado, escritor y periodista mexicano Eduardo J. Correa (1874-1964), escribió su autobiografía para su familia cerca de cumplir sus noventa años. En ella refirió su genealogía, su infancia, su educación, sus labores como editor y como abogado. Un eje importante de su vida fue su defensa de la Iglesia Católica ante el anticlericalismo en distintos contextos históricos en México. Primero como estudiante en su ciudad natal, luego durante la Revolución Mexicana (1910-1920), como director de los periódicos católicos El Regional, en Guadalajara, y La Nación, en la Ciudad de México. En distintos momentos de su narración relató sus emociones, expresó la furia, las decisiones viscerales, lo que llamó ‘su soberbia’ en especial cuando sostuvo las convicciones religiosas aprendidas de su padre, al tiempo que rememoró cómo protegió su dignidad ante quienes le representaron amenaza. El presente trabajo analiza, desde la metodología de la cultura escrita y algunos elementos de la historia de las emociones, tres momentos de la autobiografía de Correa en los cuales expresó las emociones que recordó de los eventos, manifestó su firme postura católica y se representó soberbio e inflexible ante las personas, a pesar de las consecuencias que debió afrontar. La revisión de la autobiografía de Correa permite conocer también, la historia de los activistas católicos de finales del siglo XIX y principios del XX en México, así como sus luchas al mantenerse firmes en sus creencias.

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Storia di ‘colei che nessuno vuole’: tra eccesso e ricerca di sé ne Le Baobab fou di Ken Bugul

Elena Ravera

È il 1982 quando la senegalese Mariètou Mbaye Biléoma, all’età di trentacinque anni, diventa Ken Bugul: sotto consiglio del suo editore, preoccupato dalle polemiche che avrebbe suscitato il suo primo romanzo Le Baobab fou, la donna sceglie infatti di ribattezzarsi con questo pseudonimo, che, in lingua wolof, significa ‘colei che nessuno vuole’. L’opera narra la dolorosa storia dell’autrice, la quale, in seguito all’ottenimento di una borsa di studio, parte alla volta dell’Europa, «le Nord Terre promise» (Bugul K. 2009: 39), ma, invece di vivere l’avventura edificante e arricchente che aveva sempre sognato, si scontra con una società misogina e razzista, cadendo nel baratro della depressione e nel tunnel dell’alcol, della droga e della prostituzione. «J’essayais de scandaliser la société» (Ibid.: 119), racconta un io narrante smarrito e sofferente, che si illude di aver trovato, nella sfrenata sperimentazione dell’eccesso in seno a un territorio e a una cultura estranei, la sua anelata chiave identitaria. Il mio contributo propone dunque un’analisi stilistico-tematica de Le Baobab fou in merito al concetto di ‘eccesso’, un eccesso vissuto dall’autrice tanto a livello personale quanto a livello letterario. L’obiettivo è di condurre una riflessione sul carattere volutamente dissenziente e provocatorio della scrittura semi-autobiografica buguliana, che cela, in questo testo ormai considerato un classico della letteratura femminile africana, postcoloniale e francofona, nient’altro che l’umano desiderio di sentirsi compresi, amati e accettati.

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L’autobiografia di Clémentine De Como: scrittura femminile ‘eccessiva’ o condanna all’emancipazione femminile?

Monica Salvetti

L’istitutrice Clémentine De Como, nata a Bonnieux, in Provenza, nel 1803 e morta a Torino nel 1871, ci presenta, attraverso la sua autobiografia originale e pressoché sconosciuta, il suo percorso, prima come religiosa presso una Congregazione in Francia, poi come donna libera in Italia. I due volumi, intitolati Émancipation de la femme, pubblicati in lingua francese a Torino, nel 1853, e ripubblicati in stampa anastatica nel 2009-2010, raccontano con molta chiarezza gli eccessi che caratterizzeranno un periodo della sua vita che la porteranno ad avere degli strascichi per lungo tempo. Diversi sono gli elementi che ci permettono di definire quest’opera eccessiva: innanzitutto la mole dei volumi, con più di mille e duecento pagine, e uno stile di scrittura che mescola diversi registri e lingue, rendendo difficile, insieme ad altri fattori, la lettura dell’opera in Italia. Il secondo volume racconta in particolare la relazione tossica e pericolosa iniziata con il poeta casalese Pietro Corelli (1815-1867), fino al tentativo di suicidio di Clémentine De Como, che la scrittrice riesce a superare scrivendo la sua autobiografia. L’autrice manifesta l’eccesso toccando e affrontando molti temi scottanti per il periodo nel quale sono pubblicate le sue memorie, come quello dell’assenza di diritti per le donne in Italia nell’‘800 e quello molto attuale della manipolazione psicologica per mano di un uomo presuntamente affetto da patologia perverso narcisistica. Nell’opera, l’autrice manifesta il dispendio di sé descrivendo accuratamente le tappe e le tecniche di manipolazione usate dal seduttore per sfruttarla finanziariamente sotto promessa di matrimonio, e le sue proprie sofferenze. Tuttavia, la trattazione di temi troppo avanguardistici per l’epoca, portarono l’autobiografia di Clémentine De Como ad essere giudicata troppo eccessiva, e questo diventò un motivo determinante per non farla conoscere e dimenticarla.

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Panaït Istrati, un batelier fou sur le fleuve de la passion

Frédérica Zéphir

Écrivain roumain d’expression française qui connut un vif succès entre les deux guerres, Panaït Istrati (1884-1935) mena pendant plus de vingt ans une vie de vagabondage sur le pourtour méditerranéen qu’il raconte dans une série de récits largement autobiographiques. Rétif dès son adolescence à toute vie rangée, refusant toute entrave à sa liberté il vécut une existence extrêmement dure, connaissant la misère, la faim, parfois le désespoir afin de poursuivre son idéal et de satisfaire son insatiable désir d’apprendre et de connaître. Aimant «au prix même de tous les sacrifices, de toutes les souffrances» ce qu’il définit comme sa «vie héroïque», il dépensa sa jeunesse, sa santé, son énergie dans la poursuite inlassable et effrénée de ce qui faisait pour lui la plénitude de la vie: la découverte de la nature, le culte de l’art et de l’amitié. Refusant tous les cadres normatifs et toutes les idéologies, ce révolté mena des combats passionnés pour la vérité, la justice et la liberté jusqu’aux limites extrêmes de ce qu’il put endurer. Ainsi, parmi les thèmes développés dans son œuvre ceux de la passion, de la liberté et de la révolte tiennent une place centrale, cette dernière permettant alors d'établir une étonnante proximité avec la conception camusienne exposée dans L’Homme révolté.

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Marina Abramović: attraversare i muri

Barbara Vinciguerra

Marina Abramović ha trascorso la stagione della pratica performativa, partendo dagli studi all’Accademia di Belle Arti di Zagabria per approdare ad Amsterdam e successivamente a New York. Nata nel 1946 a Belgrado, da genitori convinti e fedeli assertori della dittatura comunista, il padre diventa eroe nazionale, si definisce oggi Grandmother of perfomance art. La serie dei Rhythm divenne di portata rivoluzionaria per la violenza che infliggeva al suo corpo, spingendosi all’estremo limite fisico. Nel 1975 con Rhythm 5, si stende al centro di una stella a cinque punte in legno che viene data alle fiamme, l’aria diventa irrespirabile, perde i sensi, rischia di morire e viene salvata dall’aiuto degli spettatori. Nel 2016 edita da Bompiani esce la sua autobiografia «Attraversare i muri», in cui ripercorre la sua vita privata e di artista, si interroga sui concetti di dolore e paura come emozioni che sopraggiungono nel momento in cui varchiamo la soglia di un limite. Eppure solo attraversando il muro abbattiamo la dicotomia tra corpo e mente. Afferma «Il dolore è un muro, straziante, insopportabile, ma chi riesce a trapassarlo accede ad un diverso stato di consapevolezza. A una nuova fonte di energia illimitata. E la Marina impaurita, diventa la Marina eroica. Una sensazione inebriante che raggiungo solo davanti al pubblico, perché è dagli spettatori che traggo forza. Senza di loro non arriverei in fondo».

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