Psichiatra ospedaliero, dirigente del Polo di Terapia Familiare del Gruppo Ospedaliero Paul Guiraud, Villejuif, Presidente della Società Francese di Terapia Familiare, ha curato il Dictionnaire des thérapies familiales (Payot, Paris), tradotto anche in italiano e ha pubblicato diversi libri tra cui Psychose et thérapie familiale (ESF) e Thérapies familiales et psychiatrie (Doin, Paris).
"Diritti... e rovescio" - Dichiarazione universale dei Diritti dell'Uomo, progetto realizzato all'interno del laboratorio "Atelier d'Arte" del Centro Diurno Day Care dell'Ospedale di Bergamo.
Marion Leboyer e Pierre-Michel Llorca, due eminenti accademici francesi, scrivono una dichiarazione allarmante circa lo stato della psichiatria francese nel loro libro Psichiatria, stato di emergenza. Gli autori elencano il ritardo diagnostico, correlato alla stigmatizzazione delle “persone mentalmente disturbate”, la complessità dell’erogazione della cura e i tempi di attesa; le barriere fra medicina generale e psichiatria, che impediscono ai medici di cure primarie di inviare i pazienti a servizi che potrebbero fornire trattamenti tempestivi; la complessità dei sintomi, nonché l’assenza di indicatori biologici che potrebbero permettere diagnosi affidabili. Inoltre, si parla di consumo eccessivo di ansiolitici e antidepressivi, legato a inappropriate prescrizioni da parte dei medici di medicina generale.
Così, come fra gli psichiatri, il 60% dei medici di famiglia considera inapplicabili alla realtà francese le raccomandazioni delle linee guida sulla miglior pratica clinica. Secondo questi autori, le raccomandazioni per gravi disordini mentali sono basate su un triplice schema terapeutico: farmaci, stile di vita, terapie. Queste ultime sono essenzialmente terapie cognitivo-comportamentali (TCC): bonifica cognitiva, recupero di abilità sociali. E ancora: il suicidio uccide più di 10.000 persone all’anno, con 100.000 tentativi di suicidio annui; è noto che il 90% dei soggetti che tentano di metter fine alla propria vita soffrono di disturbi psichiatrici. Inoltre, un terzo dei senzatetto soffre di gravi malattie mentali, così come un quarto della popolazione carceraria.
Di nuovo, in questo libro, incappo in questo riscontro: “secondo gli studi dell’Associazione Francese Specializzandi in Psichiatria, la formazione in psicoterapia è giudicata insoddisfacente, oppure molto insoddisfacente, da più del 75% degli specializzandi. Riguardo la formazione in approcci sistemici, l’insoddisfazione raggiunge l’81%.” (van Effenterre et al. 2013, pag. 180).
Questo testo, sebbene di grande interesse, non fornisce soluzioni per questa enorme insoddisfazione, specie per le terapie sistemiche e familiari assimilate al movimento antipsichiatrico, che è come dire senza formazione in questo dominio della salute psichica e delle malattie mentali.
La trasformazione ideologica degli ospedali psichiatrici: da rifugio a sistemi manageriali
Nel 1960, la psichiatria venne strutturata in distretti: territori di circa 70.000 abitanti, in cui persone con malattie mentali potessero essere trattate il più vicino possibile alle loro case. Questo sfociò in un conflitto fra i distretti, riguardo alla presa in carico dei senzatetto.
Fra il 1990 e il 2011, la Francia ridusse i posti letto in psichiatria di più della metà, senza chiudere alcun ospedale. Il numero di posti letto era 90 su 100.000 abitanti nel 2007. Da allora si è lievemente ridotto. Fra il 2000 e il 2015, il numero di posti letto in psichiatria è diminuito dell’8%, a fronte di una popolazione che è cresciuta del 10%.
Gli ospedali sono, malgrado tutto, il centro dell’erogazione delle cure. Possiamo parlare di un sistema ospedale-centrico: il direttore generale è responsabile non soltanto per l’ospedale, ma anche per le strutture extra-moenia. Questo si concretizza in un linguaggio specifico per lo staff amministrativo, per psichiatri, infermieri, educatori, assistenti sociali, etc., che parlano solo della distinzione fra cure erogate dentro o fuori dall’ospedale.
Improvvisamente, nel 2003, i senzatetto comparvero per le strade rifiutando il Servizio di Assistenza Medica di Emergenza (SAMU), morendo così assiderati in inverno; per non menzionare i suicidi che non furono dichiarati, o i pazienti che si ritrovarono spediti direttamente in carcere.
Tutto ciò coincise con la legge del 19 Gennaio 1983 e con il decreto di rafforzamento dell’11 Agosto dello stesso anno, che definirono le risorse economiche stanziabili e resero il soggetto con assicurazione medica debitore del costo giornaliero delle cure. In altre parole, il legislatore giudicò le persone che soffrivano di severi disordini psichiatrici e che potevano guadagnarsi da vivere, come solventi, anche quando ricevevano sussidi.
Pericolosità per sé o per gli altri e cure senza consenso del paziente
Dal 1838 ad oggi, sono state promulgate quindici leggi; non contando i decreti e le ordinanze, che si sono succeduti nel definire legalmente la trasformazione da ricovero - nel senso di rifugio e alloggio - ad ospedalizzazione per le persone che hanno perso la capacità di intendere e volere, o che rappresentano un rischio per la vita propria o di coloro che li circondano. I primi rifugi che ospitavano persone sono diventati oggi aziende ospedaliere (Marie-Odile Safon, 2017).
La legge del 30 Giugno 1838 richiede l’apertura di un rifugio per i malati di ciascun genere, in tutti i distretti (suddivisioni territoriali francesi), che necessitano di “collocamento forzato”, o mandati per iniziativa dell’autorità pubblica rappresentata dal Prefetto (“internalizzazione ufficiale”) o da parte della cerchia del paziente (“internalizzazione volontaria”) quando il malato rappresenta un pericolo per sé o per gli altri.
Dal 1970 al 1991, la procedura legislativa ha rispecchiato la volontà delle autorità pubbliche di relegare gli ospedali su un piano tecnico, a nocumento di una tradizione di accoglimento e rifugio quasi bi-millenaria.
La legge del 27 Giugno 1990 cerca di modernizzare quella del 1838, e perciò toglie il termine “collocamento” in favore del termine “ospedalizzazione”. Oggi si discute di ricovero ospedaliero liberamente scelto, ospedalizzazione su richiesta di parte terza, e di ricovero per ordinanza.
Con la legge del 5 Luglio 2011, il legislatore ha sostituito il termine di “ospedalizzazione” con quella di “cura”. Tre categorie di ricezione di “cure” non consensuali sono così definite:
1 Cura psichiatrica su richiesta di parte terza (SDT): la parte terza deve essere una persona nota al paziente e a egli vicina quale un familiare, un amico, un vicino di casa. Questa richiesta scritta deve essere presentata con due certificati medici di conferma. Un solo certificato medico è sufficiente se vi è un serio rischio per la persona del paziente. Questo caso è denominato “ospedalizzazione urgente richiesta da parte terza” (HDT).
2 Cura psichiatrica nel caso di un pericolo imminente (SPI): questa tipologia è diretta a individui senza persone vicine o che sono de-socializzati. Il ricovero è basato sulla decisione del direttore della struttura, sollecitato da un singolo certificato medico, non più datato di 15 giorni, scritto da un medico esterno all’istituto designato.
3 Cura psichiatrica erogata su giudizio di un rappresentante dello Stato (SDRE): formalmente chiamata “ospedalizzazione su ordinanza”, questa procedura si applica a persone con disordini mentali che compromettono la sicurezza o danneggiano seriamente l’ordine sociale.
Nel 2015, 92.000 persone sono state interessate dalla cura non consensuale (di fatto ricovero coatto), un numero che rende conto del 5% dell’attività psichiatrica totale, ma che corrisponde a un quarto dei pazienti permanentemente ospedalizzati. Dal 2012, l’uso di cura senza consenso è aumentato del 15%, con un incremento tre volte maggiore rispetto a quello dell’attività psichiatrica in toto nello stesso periodo (+5%). Questo incremento è in parte secondario alla semplificazione della procedura di ricovero per pericolo imminente (IPS), in parte all’uso dei servizi di emergenza e anche in parte dovuto al programma di cure ambulatoriali dei pazienti esterni, che ha l’effetto di aumentare il tasso di recidiva.
La legge del 2011 ha cercato di tutelare ulteriormente il diritto dei pazienti che ricevono non consensualmente le cure: l’introduzione del “Giudice delle libertà e della carcerazione” (JDL) controlla automaticamente, entro il ventesimo giorno di degenza, la validità della procedura di ricovero e l’opportunità di mantenere un’ospedalizzazione completa per persone ricoverate in maniera non consensuale.
È questo un paradosso francese? Il numero di persone ricoverate non consensualmente continua a crescere: oggi ammonta a 100.000 pazienti all’anno. È possibile che l‘eccesso di regolamentazione abbia peggiorato il problema per il quale la legge è stata disegnata?
Spalmate su quasi due centinaia d‘anni, dal 1838 al 2011, tutte e tre le leggi sono state approvate nello stesso arco di tempo, praticamente in 8 giorni (fra il 27 giugno e il 5 luglio). È una semplice coincidenza o centra il bisogno dei parlamentari di concludere il tutto in tempo per le vacanze estive? Oppure si tratta di un effetto delle lente dinamiche correlate alla natura dei processi psicotici, che sono i più gravidi di preoccupazione per l’intera società francese? Forse tutte e tre, e forse nessuna di esse!
Una testimonianza personale
Nel 1980, ero in un’area psichiatrica il cui capo del dipartimento, Dr Jean-Pierre Balnadet, aveva buoni contatti con il Ministero della Salute nel governo fresco di elezioni. La sua ambizione era creare strutture “esterne all’ospedale”: centri di crisi, centri di trattamento attivo (day-hospital), centri ad attività part-time, appartamenti sociali (gioco di carte, giochi di società), appartamenti terapeutici, etc, e ultimo ma non meno importante un centro medico-psicologico per il trattamento ambulatoriale (terapia farmacologica e psicoterapia individuale). Il suo scopo era spostare il lavoro di cura fuori dall’ospedale.
Questa meta non fu raggiunta. Prima che egli divenisse capo del settore, avevo sviluppato, come interno part-time in ospedale, consulti familiari regolari per pazienti con disordini psichiatrici acuti e/o cronici.
Questi colloqui mi aiutarono ad affrontare situazioni di violenza, sia durante l’ospedalizzazione che fuori dalle strutture ospedaliere. Quando il Dr. Blanadet ricoprì il suo ruolo, mentre sviluppava i propri progetti, fece creare una posizione di praticantato interno part-time perché potessi continuare la mia attività come consulente e terapeuta familiare sia nel dipartimento ospedaliero che nel centro medico-psicologico.
In circa 35 anni, ho cercato di sviluppare il sistema di consultazione familiare per diversi ospedali e servizi ambulatoriali, creando ogni volta connessioni interpersonali, con pazienti in grado di essere potenzialmente trasferiti in diversi servizi ospedalieri e strutture ambulatoriali, le loro famiglie e il team di cura. Considero queste connessioni come strutturanti multiple gerarchie internodali di sicurezza terapeutica. Molti furono gli ospedali coinvolti: due servizi universitari psichiatrici per adulti e un ospedale psichiatrico pediatrico universitario che gestivano molti settori nel sud suburbano di Parigi. Per circa 10 anni venne costruita una collaborazione con i giudici minorili nello stesso territorio (benché i confini giudiziari fossero diversi da quelli dei servizi psichiatrici) e il Servizio di protezione giudiziaria dei giovani.
Nel mio ultimo impiego, in qualità di responsabile del Servizio di Terapia familiare nel gruppo ospedaliero Paul Guiraud di Villejuif, gli obiettivi del mio lavoro con i pazienti, le loro famiglie e come professionista sono stati: il supporto nella fase decisionale, il sollievo della sofferenza e dell’ansia, la riduzione dei livelli di violenza e del rischio associato alla pericolosità, l’attenuazione delle tensioni relazionali, il rinforzo delle conversazioni per persone con reti sociali povere o inesistenti, il mantenimento o la ricostituzione dell’autonomia personale e familiare.
Ho imparato così come raggiungere una cooperazione terapeutica con i pazienti, le loro famiglie e i professionisti in modi che differiscono dalla terapia familiare classica, dalla psico-educazione familiare e dalla terapia familiare cognitivo-comportamentale. Questo cambiamento è stato guidato dalle sollecitazioni operate dai professionisti affinché le famiglie entrassero nel processo di cura, date le difficoltà incontrate nel lavoro. Così, i terapeuti adottano diverse posizioni a seconda della particolarità di ciascun caso: questo può essere considerato come una psico-educazione del terapeuta da parte della famiglia stessa; non più quindi l’analisi del funzionamento dei suoi membri, delle loro interazioni e delle loro storie personali.
Diventa il contesto di un viaggio terapeutico dove ciascuno può sentirsi apprezzato per le sue competenze e performance, liberato dalla sofferenza, rassicurato nell’incertezza, co-attore di una storia che si sviluppa attraverso gli eventi che si verificano durante le sedute familiari. Questo viaggio non può essere fatto senza il riconoscimento di un paesaggio ove circolano altrettanto ulteriori attori con convinzioni diverse, in un processo di co-terapia allargata.
Conclusioni
Ho osservato differenze significative fra psichiatria accademica, psichiatria distrettuale territoriale e psichiatria nella pratica privata, per quanto riguarda il pregiudizio positivo o negativo del clinico, fra ciò che è considerato efficace o non efficace, e la valutazione del successo e del fallimento nell’esercizio degli interventi terapeutici. Credo che il pensiero di Michel Foucault sia presente in molti professionisti dei distretti psichiatrici territoriali (contrariamente ai colleghi accademici), ma anche nella terapia istituzionale, influenzata dalle varie correnti di psicoanalisi. Oggigiorno, invece, l’uso del modello cognitivo comportamentale è particolarmente presente nei servizi universitari.
In questa mia presentazione ho provato a mostrare come prendere in considerazione un approccio eco-sistemico rinnovato che potrebbe contribuire al miglioramento delle condizioni di esercizio della psichiatria e della psicoterapia in Francia, in una prospettiva complementare alla proposta di Marion Leboyer e Pierre-Michel Llorca, esposta nel testo e citata all’inizio.
Bibliografia
Van Effenterre A., Hannon C., Llorca P.M. (2013), Survey of PU-PH on training in psychiatry in France, L'Encéphale.
Safon Marie-Odile (2017), Hospital Reforms in France, Historical and Regulatory Aspects. IRDES.