Sociologo relazionale e accademico, si occupa di problematiche legate ai temi dell'intolleranza, dell'identità, dell'alterità e dell'interculturalità. È professore a contratto di Demo Etno Antropologia presso l’Università degli Studi di Catania e cura diversi corsi seminariali di formazione e ricerca sui processi del mutamento culturale e sociale globale nell’epoca della postmodernità.
Giuseppe Panarello - L'insularité par les images - Lycée Emilio Greco, Catane - Quatrième édition Thrinakìa, prix international d'écritures autobiographiques, biographiques et poétiques, dédiées à la Sicile
Da sempre, gli uomini di ogni tempo e di ogni terra, messi a nudo davanti alla forza trascendente, apocalittica e affliggente degli eventi naturali, a fronte della propria finitezza e impotenza, hanno sentito il bisogno di dare una appropriata spiegazione a determinati accadimenti, necessariamente sfuggevoli ad una qualsiasi conoscenza scientifica, al fine di esorcizzare le angoscianti paure umane. Agendo secondo natura, l’arma di difesa in loro possesso più utile da utilizzare come rimedio immediato e protezione comune, fu il pensiero “pre-logico”. Più esattamente, la singolare facoltà mentale superiore dell’immaginazione posseduta dagli esseri viventi, corroborata con quella della narrazione degli eventi affrontati, della prova superata dall’esperienza individuale o collettiva, in qualità di spettatori reali e unici protagonisti, normali o straordinari, direttamente coinvolti. In questo senso, la narrazione dei miti assume una straordinaria valenza meta cognitiva ante litteram di formazione, iniziazione e socializzazione collettiva.
La nascita del mito è, pertanto, fortemente radicata con immagini inconsciamente interiorizzate, simboli, figure, personaggi, luoghi, fenomeni ambientali, opportunamente mutuati e trasfigurati con immaginarie interpretazioni, rappresentazioni, proiezioni e narrazioni di fatti caratterizzanti il sostrato spazio-temporale della vita quotidiana dentro e fuori determinati luoghi antropici. La conoscenza analitica del mito fornisce una migliore comprensione dello sviluppo dei processi cognitivi e speculativi dell’intuizione immaginifica della mente umana, dell’elaborazione infinita degli oggetti della memoria e della prodigiosa narrazione di ogni gruppo umano, universalmente e scambievolmente, in ogni tempo tramandata e diffusa attraverso multi variegate forme e pluralità di contenuti, spesso provenienti da modelli di cultura lontanissimi e diversissimi tra loro. Inoltre, nello scenario della condizione umana, la mitanalisi costituisce un tratto importante della storia dell’uomo, di un popolo, di una cultura, di una civiltà. Possiamo affermare che nel mito è contenuta una particolare chiave di lettura del destino dell’uomo come parte insostituibile di unico intero: l’umanità.
I miti degli antichi riflettevano la cultura classica e la dimensione del paesaggio mentale dei personaggi del passato. Tuttavia, parlavano anche del mondo contemporaneo e forse, persino, dello scenario di quello presente e futuro. Pertanto, da questo punto di vista, la mitanalisi fornisce una lezione esperienziale utile a far prendere coscienza del contrasto fra il valore della vita, la sua precarietà e la sua trascendenza. Ciò potrebbe significare che continua a sopravvivere perennemente un nucleo omogeneo della psiche o della coscienza del Sé come istanza del profondo generatrice e riflessiva di molteplici, universali, archetipiche forme culturali, di cui il mito rappresenterebbe l’espressione primordiale dell’esperienza tangibile della dura realtà e della percezione dell’ineffabilità, contraddittorietà e stupefacente grandiosità del fattore umano e del suo sentire. A riprova di ciò, si possono esaltare alcuni importanti motivi, fatti, elementi, ingredienti di potenziamento e arricchimento dell’efficacia e dell'intensità del mito, tipo:
- suggestione del racconto, magia dei luoghi;
- fascinazione, immaginazione, sogno;
- tensione metafisica, eroi, semidei;
- senso profondo del sacro e del profano;
- densità dell’ethos, pathos, epos, eros;
- potere, violenza, leggi, giustizia, rispetto;
- pietà umana e divina, fato, destino;
- accettazione del voler divino, ubbidienza all’autorità:
- sapienza, conoscenza, valori e virtù umane;
- ideali, desideri, utopie, distopie.
I miti millenari e i riti arcaici dei cicli della vita e della morte, delle fasi della fecondità e della crescita, della Madre terra e della creazione, del sacro e del profano, ancora oggi trasfigurati dai ritmi scanditi dalla tradizione e celebrati dalla devozione popolare in occasione della ricorrenza delle feste religiose, coinvolgono ed emozionano trasversalmente l’immaginario e l’inconscio collettivo di tutti i partecipanti dentro i contesti vitali delle comunità coinvolte. Tutto e tutti, rappresentano e sono l’emblema di una memoria vivente, di una appartenenza rinnovata, di un sentimento d’amore comunque rinsaldato in senso religioso, umano, relazionale, sociale e comunitario. La forza mitanalitica e l’energia della fascinazione mitopoietica del pathos, dell’eros, del coinvolgimento, della visualizzazione e dell’interiorizzazione dell’evento narrativo, sviluppano un tipo di immedesimazione etnostorica, etica ed epica, intima e profonda, segreta e riservata, gioiosa e purificante, allargata e liberatoria, emozionale e catartica.
Senza alcun dubbio, le profondità toccate dalla struttura narrativa mitanalitica e autobiografica di sé e dell’altro da sé, favoriscono l’empowerment delle risorse individuali e delle sinergie collettive dentro gli ambienti geografici, naturali e umani. Qui, si sviluppa un humus speciale dove potrebbe verificarsi che la tensione evolutiva dell’uomo, affascinata dalla magnificenza trascendentale delle raffigurazioni mitizzate, venga supportata e incanalata a percepire alquanto fiduciosamente la realtà del presente come progetto e come opportunità di attivare, nel complesso, un percorso narrativo e autobiografico di cambiamento migliorativo polivalente, da parte di una intera pluralità comunitaria gratificata in maniera top-down e bottom up.
Inoltre, la particolarità delle forme multidimensionali e dei contenuti universali del mito, consente una svariata ricchezza di misure applicative e pratiche gnoseologiche dentro ogni contesto umano, grazie alla peculiarità sostanziale di molti fattori cognitivi e tesi esplicative, come si può evincere da quanto qui di seguito riportato.
Fattore: Spazio - temporalità vaga, indeterminata a valenza mitopoietica universale.
Tesi: Nonostante la globalizzazione postmoderna dei modelli di cultura, della conoscenza digitale, della ipertecnologia intrusiva, pervasiva e valutativa di tutto l’agire collettivo e di tutti gli ambiti della vita sociale, i miti, le fiabe, le narrazioni, etc., continuano a sopravvivere. Anzi, al giorno d’oggi, si comincia a sentire il bisogno di recuperare e rivalorizzare la loro intrinseca forza simbolica-valoriale, etica, estetica, pedagogica, formativa e terapeutico - riabilitativa.
Fattore: Relativismo culturale come metodo e come chiave di lettura intelligibile e personalizzabile.
Tesi: La conoscenza analitica dei miti agevola il contrasto dell’omologazione dell’io, dell’uniformità di massa, dell’inconsapevolezza di essere come siamo realmente, della sottomissione alla volontà del gruppo, del dilagare del pensiero conformista, della moda social dei “like”, del vissuto esperienziale dell’autoreferenzialità e dell’etero direzionalità senza meta e senza senso.
Fattore: Spendibilità generale come investimento relazionale e applicabilità socio educativa.
Tesi: La mitanalisi come strumento di difesa e resilienza, a costo zero, al processo di frantumazione algoritmica della persona, al nichilismo - qualunquismo - egocentrismo disfattista, alle insicurezze sociali e alle paure personali, alla disgregazione dei nuclei familiari, alle dipendenze con e senza uso di sostanze, etc.
Fattore: Incontro sociale “augmented” con l’anima poieutica, narrativa e immaginifica, del mito.
Tesi: Non è mai troppo tardi, né troppo presto per entrare nella metafora mitologica, filosofica e letteraria della visione sociale di una umanità non fatta di individui che vogliono vivere come bruti, bensì di persone autentiche e motivate a cercare in profondità e generare insieme nuova sapienza e rinnovata saggezza in ambito culturale, relazionale, etico, estetico, religioso, spirituale e naturale.
In sostanza, la mitanalisi contemplata come spinta gentile a cogliere il valore dei nessi di interdipendenza tra gli ambiti dei rapporti meta cognitivi, dei legami sociali e umani, della condivisione dei principi etico - valoriali, del significato della condizione umana, tout-court. Inoltre, negli spazi relazionali della vita sociale, i riti, le celebrazioni collettive, le invocazioni, i lamenti, le parole, i suoni, i gesti reiterati, costituiscono la parte attiva e performativa dei miti di ieri, ancora oggi riscontrabile nell’eccitante attualità lirica del folklore e nei toni drammaturgici della cultura popolare che esprimono il pathos dei bisogni individuali e dei legami collettivi che riportano alla memoria della comune origine, appartenenza e identità. A un confronto diretto, i molti Prometeo postmoderni, razionalmente e fideisticamente rivolti alla conoscenza tecno-scientifica della realtà, per meglio dominarla senza tabù e senza limiti, sembrano parecchio disponibili a rinunciare a qualsiasi tensione interiore mirata alla salvaguardia della propria auto direzionalità, a vantaggio di una autoreferenzialità solipsistica piuttosto orientata a un continuo “advanced” spostamento professionale delle abilità e delle competenze ipertecnologiche, dapprima acriticamente innalzate a pratiche collettive, alquanto inconsapevolmente mitizzate, molte volte “liofilizzate” attraverso gli stili di vita collettivi.
In effetti, il nuovo e sbalorditivo potenziale cognitivo offerto dalla realtà tecnologica digitale, non sempre è in grado di far trasparire tutta la bellezza originale proveniente dalla cultura o dal pensiero agito e rappresentato dalla narrazione messa in scena grazie all’abilità ed alla passionalità umana come risorsa elettiva e assoluta del sublime in sé. Sotto tale aspetto, il bello, il buono e il giusto della classicità non appaiono mai indicazioni obsolete, né fuori luogo, né tramontate, dal momento che, per loro naturale e privilegiata sostanza qualitativa e resistenza allo scorrere del tempo, sono destinate a rimanere in stato di immortale, trasparente veridicità, oltre che grandiosa comunicabilità “totalizzante”.
La scoperta della mitanalisi, della scrittura e della narrazione autobiografica, producono costruttivamente una unitaria dimensione cognitiva e acquietante che rimane immune a qualsiasi mistificazione della sfera dei sentimenti, delle passioni e delle emozioni che veramente contano a testimoniare l’essenza fondamentale del processo evolutivo della civiltà, della specie umana e di tutte le genti di ogni epoca. Un aspetto particolarmente importante, si evince dalla profondità immateriale dei simboli, dei fatti, delle figure, dei luoghi rintracciabili nel racconto mitologico, insieme alla fruibilità critica, analitica e metodologica dei miti utilizzabili come strumenti privilegiati per la perscrutabilità e soluzione di molti seri problemi, emergenti in ogni ambito della vita umana e in ogni contesto della realtà socio-istituzionale, pubblica o privata, cioè a dire, personale, familiare, amicale, scolastica, lavorativa, associativa, religiosa, spirituale, comunitaria. Ad esempio, i miti non tossici né avariati, metaforicamente rivisitati come regolatori e diffusori di riflessione, temperanza, regolatezza, etc., indicano le risorse più utili per acquisire certezze e sicurezze di cui nutrirsi nella quotidianità personale, assumendo i caratteri di prioritaria opportunità educativa e di maggior efficacia formativa all’interno di ogni contesto familiare, scolastico e relazionale.
Donde, può essere desunto che la misura valoriale e analitica della funzionalità pedagogica e mitopoietica dei racconti mitici, è intrinsecamente racchiusa e contemplata nell’impianto compositivo e configurativo dei racconti mitici, delle gesta, del sentire e dell’agire dei personaggi leggendari, come pure gli dei, i semidei, gli eroi, i cavalieri, i paladini, i personaggi epici di tutte le ere storiche coinvolti in fatti straordinari della vita, nella veste di promotori di imprese, autori di iniziative non comuni, scrittori o narratori autobiografici, tutti mediatori esemplari di aspirazioni, desideri, sogni, visioni, immagini simboliche, spiegazioni fantastiche, delucidazioni o soluzioni, davanti alle innumerevoli situazioni caratterizzate da una certa complessità o negatività, spesso fonte di violenza, lutti, dolore, dissennatezza, apprensione, infelicità, oppure, a fronte di occasionali eventi forieri di euforia, gioia, serenità, prosperità condivisibile da parte di singoli esseri umani, gruppi, comunità o, addirittura, città intere.
Certamente, la sostanza concreta e l’essenza immateriale dei contenuti mitanalitici da utilizzare pragmaticamente, vanno considerate come forme dimensionali “parallele”, pertanto comparabili e commensurabili, con gli accadimenti della realtà contemporanea. Questo fatto rende possibile la condivisione educativa della narrazione mitica, epica o autobiografica, come vissuto esperienziale da interpretare secondo un filo narrativo, non utopistico né visionario, bensì “concretamente pensante”, rivolto a un universo plurigenerazionale, “impegnato” e motivato ad evitare il rischio latente di essere colto dal mal di vivere, per carenza o mancanza di ideali, prospettive o riferimenti di eccezionale valore aggiunto per una crescita sana, matura e responsabile di tutti i contemporanei e futuri personaggi protagonisti.
Al tempo della inevitabile globalizzazione, tuttavia, già si avverte in maniera sempre più estesa, il bisogno dei più giovani di non voler essere perdenti, di non doversi adattare alla prima, generica, minima, umiliante o degradante opportunità. Piuttosto, resta profondo il desiderio di re-inventare il futuro basato su un’alternativa visione delle risorse qualitative come la conoscenza, la cultura, il sapere, il saper fare, ma soprattutto, il sapere e voler essere dignitosamente, civilmente, onestamente vincenti nella società e nel mondo della vita desiderata. Ogni giovane possiede un capitale di sensibilità, capacità, talento, esperienza personale che la società, i modelli di cultura, le istituzioni, le organizzazioni economico-finanziarie e l’azione educativa - formativa della scuola devono valorizzare e salvaguardare con attenzione e rispetto.
Inoltre, il livello dell’insegnamento e dell’apprendimento qualitativo può essere opportunamente integrato in tutte le scuole tramite approfondimenti e incontri multidisciplinari mediante l’uso degli strumenti della multimedialità e/o attraverso una efficace ed efficiente programmazione “augmented” di percorsi sensibilizzanti e partecipativi open di letteratura, filosofia, fotografia, arte, cinema, editoria, sitografia, museografia, laboratori di visualizzazione dei più significativi episodi mitologici, epici afferenti i miti, i culti, i riti locali del sacro e del profano, la memoria della tradizione, la salvaguardia, la conservazione e la valorizzazione della conoscenza del passato e delle proprie origini che orgogliosamente devono sopravvivere.
In modo equivalente e analogo, il processo educativo tra i banchi di scuola, dovrebbe integrarsi con quello della fruizione dei Beni culturali, con il patrimonio della cultura materiale e immateriale, emblematica ed esemplificativa degli oggetti, dei fatti, degli ideali, dei racconti, delle leggende, delle fiabe, dei luoghi e dei personaggi mitologici della cultura classica e di tutte le epoche successive. Il fine ultimo, dovrebbe essere quello di rinsaldare e corroborare le valenze spendibili e sostenibili tra conoscenza teorica e competenza pratica, pensiero astratto e saperi applicati, ideazione e immaginazione, progettazione e creatività, processi simbolici e percorsi realizzativi dell’homo faber. Oppure, se si vuole la ricchezza delle life skills dell’attuale homo sapiens.
Gli ambiti finora trattati sulle diverse sfumature incidenti e caratterizzanti i temi, la natura della narrazione classica, del racconto mitologico di ogni tempo e i suoi legami con gli aspetti più sensibili e significativi della condizione umana, in sé e per sé universalmente riscontrabile in ogni estensione geografica, presentano importanti effetti nelle pratiche della riabilitazione sociale rivolte a specifiche categorie di soggetti in età giovanile, con un pesante vissuto deviante e criminale alle spalle. In tale direzione, il prendersi cura di sé stessi, o degli altri, attraverso la narrazione mitopoietica o auto-biografica orientata alla realizzazione di sé, agevola a riconnettere le relazioni e i rapporti della persona con il proprio mondo interiore e con la complessità generale dei mondi vitali altrui, spesso reciprocamente problematici, distanti e inconciliabili tra loro, al fine di riuscire a creare una psicosintesi armonica con i limiti rispettivamente riscontrabili ed empaticamente accettabili nell’umana alterità insita in ciascuno e tutti.
Come buona regola, non bisogna limitare la funzione della mitanalisi o l’apporto della mitopoietica soltanto alla semplice scrittura, lettura, visione intellettuale distaccata, incameramento nozionistico, interesse mnemonico dell’esposizione o della rappresentazione manieristica dei fatti e dei protagonisti. Piuttosto, è necessario attivare e implementare interattivamente uno stato d’animo di ascolto drammaturgico in profondità, quindi, emotivo, empatico, sensibilizzante e formativo, in grado di rivitalizzare gradualmente, in senso morale e civile, la coscienza sociale. Pertanto, un percorso metodologicamente dedicato al raggiungimento di larghi obiettivi formativi e socio-riabilitativi di sicura e notevole rilevanza educazionale, mirati alla realizzazione di molti specifici risultati, per esempio:
a) Comprendere la qualità naturale e la portata valoriale della cultura proveniente dal pensiero, dalla conoscenza e dalla saggezza degli antichi, rispetto alla subcultura del consumismo e dello spreco;
b) Scoprire che l’identità degli uomini si nutre di dignità che va coltivata e valorizzata durante tutto il tempo della vita;
c) Dimostrare con coerenza e autentica testimonianza diretta l’utilità del pensiero mitanalitico per la comprensione dei principi etico - valoriali lasciati in eredità dal passato al presente storico di tutte le generazioni che sono e che saranno;
d) Agevolare la motivazione all’apprendimento cognitivo e meta cognitivo dei giovani e l’interesse sociale degli adulti attraverso la consapevolezza maieutica della propria evoluzione e l’immedesimazione mitopoietica con l’anima del racconto mitologico e con lo spirito epocale della cultura della tradizione dove, essenzialmente, hanno avuto origine le basi epigenetiche di ogni credo mitologico, religioso, simbolico, spirituale, relazionale, etico, culturale, linguistico, artistico, epico, eroico, etc., della vision e della mission dell’uomo animale sociale e di tutta la condizione umana;
e) Valorizzare e conservare la memoria dei mondi vitali per ricostruire, umanizzare, riscattare la parte migliore di sé da far rivivere con coraggio e integrità con quella dell’altro da sé;
f) Sentire l’importanza di cercare sé stessi, di ritrovare l’insularità errante della specifica identità originaria, di percepirsi sempre e comunque un po' tutti nuovi Ulisse. Cioè, naufraghi dispersi tra le onde, profughi erranti ed esuli nel mondo, esploratori multitasking, avventurieri sconfitti, figli senza padri, padri senza figli, genitori presenti ma di fatto assenti, desiderosi di rappacificazione con il proprio io in cerca di autentica “virtute e canoscenza”.
Anche da questo punto di vista, sicuramente, la mitanalisi, rappresenta una reale opportunità per riprendere il mare alla ricerca di sé stessi non ancora naufragati, prima che sia troppo tardi per raccontarsi “dal basso” e “dal di dentro” di sé stessi.
Nell’epoca del cambiamento continuo e irrefrenabile delle società e delle culture postmoderne, qualcuno potrebbe chiedersi quale sia il significato reale del dialogo aperto sui temi interpretativi ed esplicativi della mitanalisi in relazione con quello dell’insularità, dell’identità e, perché no, del meglio della mitologia e della cultura della tradizione proveniente dal mondo classico, risalendo fino alle radici della memoria storica, artistica e letteraria del nostro lontano e recente passato. Certamente, non è semplice, né immediato cogliere il collegamento cognitivo tra i molti aspetti funzionali e vantaggiosi offerti dalla post-modernità, con i contenuti delle tematiche di cui sopra, oggigiorno largamente percepite come tracce mnemoniche della letteratura scolastica, fumettistica, televisiva o cinematografica riferibile a luoghi, eventi, leggende, miti, riti e personaggi appartenenti ad un tipo di narrazione rimasta memorabile nell’inconscio collettivo, ma di fatto considerata come non scientificamente rilevante, in quanto fantastica e immaginaria per una cospicua moltitudine di persone. Un ambito culturale, quindi, senza molta importanza educativa/formativa, o comunque non concretamente rilevante come investimento sociale generativo di valore aggiunto, valorizzabile e spendibile dentro i contesti della vita relazionale, civile e morale della comune esistenza. Pur tuttavia, spesso succede che certi accadimenti o personaggi della storia ufficiale vengano vissuti e ricordati nella cultura popolare come fatti immaginari, mitizzati e tramandati come “memorie storiche” dalla narrazione orale alle future generazioni.
Inoltre, risulta assai utile ricordare l’importanza che rivestono le etnofonti, in qualità di storia sociale raccontata dalle testimonianze degli stessi protagonisti, i racconti orali di specifiche esperienze legate alla cultura della tradizione del passato riportate alla luce del presente, le autobiografie come espressioni di realistiche o favolose narrazioni esperienziali del sé. Quanto sopra esposto, rappresenta un rilevante quadro polivalente di nuove forme simboliche, immaginifiche, surreali della memoria singolare e plurale, oltre che del pensiero-linguaggio mitanalitico e auto-rappresentativo delle istanze profonde del proprio Io. Sotto tale aspetto, le connessioni simbolico - culturali e semantiche tra concetti-chiave quali, narrazione mitopoietica, appartenenza etnica, insularità e identità collettiva, appaiono fortemente intercorrelate con la dimensione spazio-temporale dello stato dell’arte dei mondi vitali in cui i fatti sociali e le componenti della vita rappresentano un “fatto totale” visualizzabile come particolare scenario storico e caratteristico crogiolo di umanità, all’interno di un unico e indivisibile contesto evolutivo.
Pertanto, una serie di riflessioni preliminari e di ipotesi operative multidisciplinari, potrebbero contribuire alla comprensione multimodale delle tante valenze concettuali e dei punti di forza e di debolezza afferenti la complessità, problematicità e pluriformità semantiche delle singole tematiche in oggetto. Infatti, conoscere e comprendere realisticamente l’impatto positivo e/o negativo di certi accadimenti caratterizzanti l’attualità del mondo della vita sociale e umana, facilita e semplifica le prerogative di utilizzo delle tesi qui di seguito ricavate e orientate a fini progettuali speciali, di cui si sostiene l’efficacia e la convenienza realizzativa, specialmente in ambito educativo, formativo e riabilitativo, a livello intersettoriale, pluriprofessionale, multidisciplinare.
Di sicuro, quando si riconosce e si apprezza la vera natura della mitologia, risalta con evidenza che la lettura immedesimata dei miti nutre l’immaginazione a visualizzare da vicino lo spirito dei racconti, a dialogare interiormente con i personaggi mitizzati, a viaggiare nella rete infinita dello spazio e del tempo, a compenetrarsi con l’anima del narratore, a riportare nella dimensione del presente il meglio della sostanza raccolta, al fine di seminare il suo contenuto. Aldilà della stessa fantasia, creatività, visionarietà, l’immaginazione libera il pensiero e arricchisce il significato sociale e il senso individuale del percorso umano del vissuto esistenziale. Inoltre, l’esperienza personale racconta chi siamo e quanto valiamo nel contesto dei mondi vitali di provenienza e di appartenenza identitaria. Qui, ogni narrazione può essere un’autobiografia che raccoglie attenzione e interesse in chi vive accanto a noi, che riflette quello che gli altri pensano di noi e viceversa, che illustra quello che presumibilmente noi rappresentiamo per loro.
Per di più, nel susseguirsi degli accadimenti delle umane cose, all’interno del processo storico-culturale delle società e delle civiltà, il discorso mitologico ha sempre accompagnato quello della narrazione autobiografica, come fattore sostanziale e integrante della comprensione dell’uomo, visto come artefice naturale, originale, spontaneo, riflessivo di sé stesso e dell’andamento complessivo delle dinamiche ambientali viste nella loro interconnessione spazio-temporale. Va detto che, raccontare o saper narrare un fatto, una storia di vita, un personaggio leggendario, etc., non richiede necessariamente una capacità specialistica di saggista, scrittore o regista. È sufficiente avere un po’ di talento naturale a saper usare, o scegliere, il linguaggio scritto, l’esposizione orale, il canto, il verso, la semplice parola, la tonalità, le pause, la mimica facciale e quella corporea per creare un’atmosfera di affabulazione, incanto, emozione, passione, smarrimento, estasi.
Nel folklore, nella cultura della tradizione, e in modo particolarmente significativo, nel mondo del teatro dell’Opera dei pupi, “La macchina dei sogni”, notevole successo, apprezzamento e fascinazione ha sempre suscitato “u cuntu”, la narrazione popolare dei miti, delle leggende, dei personaggi illustri della storia e degli eroi della letteratura epica, grazie alle rappresentazioni artisticamente, oltre che appassionatamente, interpretate dai pupari, cuntastorie, cantastorie, folk singer, etc., tutti veri e propri eccezionali storytelling della classicità, del recente passato e di oggi. Fare luce su tale risvolto, risulta utile a far comprendere che, come nell’arte della narrazione popolare, immaginaria, leggendaria, mitologica, epico - cavalleresca, anche in quella della narrazione autobiografica, non esiste alcun obbligo categorico di rispettare schemi strutturati in maniera rigida, omologata o standardizzata. Infatti, nelle modalità espressive della narrazione “dal basso”, come in quella mitologica, non ci sono regole fisse, obblighi di coerenza metodologica, impegni di fedeltà storica, limiti di battitura, bisogni di dire di più in metà tempo, “social like”, chiusure mentali, confini spazio-temporali, valutazioni accademiche pregiudiziali, supponenti, respingenti o castranti. Inoltre, bisogna fare menzione al fatto che un percorso sperimentale di iniziazione, innovativo e sinergico, tra risorse vitalizzanti quali la mitanalisi, la scrittura di sé, la fantasia favolistica, l’immaginazione creativa, non potrebbe non offrire ulteriori strumenti integrativi di conoscenza, di scoperta dell’io sociale, di identificazione collettiva, di empowerment culturale intersoggettivo dentro e fuori i contesti vitali.
Insularità
In assonanza con tali presupposti, risulta doveroso evidenziare qualche approfondimento concettuale sensibilizzante sui temi specifici, qui di seguito contemplati, della insularità, isolanità e sicilitudine. Pretendere di capire la realtà fenomenologica dell’insularità nostrana, locale, territoriale attraverso luoghi comuni, stereotipi sociali, immagini commerciali, racconti cinematografici, sfumature linguistiche o metafore fittizie, non avrebbe molta rilevanza oggettiva, né in senso denotativo né connotativo dello stato dell’arte. A maggior ragione, tutto ciò risulta ancora più vero, se l’interesse euristico venisse rivolto con superficialità e scetticismo alla identificazione dei legami nascosti dell’insularità con la mitanalisi e la natura profonda dell’identità. Piuttosto, è necessario cercare di cogliere quante più specifiche angolazioni metaforiche e concettuali, al fine di evidenziare la trama e l’ordito dell’intera rappresentazione organica, simbolica e cognitiva dei temi menzionati sopra.
In tale direzione, quindi, saranno orientate alcune modalità metodologiche, indispensabili nella costruzione di qualsiasi percorso concettuale, sottolineando termini esplicativi e analizzando aspetti emblematici che appaiono vicendevolmente interagenti e gradualmente comunicanti, tanto se le tematiche si prendono in considerazione singolarmente, quanto complessivamente. Un buon approccio potrebbe iniziare con il porre, “dal basso”, alcuni postulati chiave, al fine di definire plausibilmente l’essenza sostanziale o valoriale dell’insularità, su cui articolare possibili riflessioni operative.
- Di che cosa parliamo quando utilizziamo il termine “insularità”.
Forse, pensiamo sommariamente agli antichi significati di isolanità, oppure di sicilitudine, senza fare, però, alcuna particolare distinzione.
- Afferisce una questione biologica, oppure esclusivamente genetica, cioè a dire di “razza”.
Così posta, l’argomentazione diverrebbe un facile alibi di autoassoluzione o condanna bilaterale di un intero popolo.
- Si può parlare della insularità come una questione etnica, considerato che storicamente la Sicilia è stata sistematicamente terra di conquista, di dominazione straniera, di transito di continue migrazioni.
Anche se la Sicilia esprime, da una prospettiva epigenetica, un esempio ante litteram di crogiolo di diverse popolazioni e culture esogene, ciò non rende il fattore insularità esaustivamente spiegabile o comprensibile.
- Possiamo affermare che la componente principale dell’insularità è una forma di nostalgia passiva, di attaccamento struggente verso un passato di cui non si ha vera consapevolezza né conoscenza.
Se così fosse, si tratterebbe di una diffusa epidemiologia mentale invalidante la capacità di verifica razionale del proprio vissuto personale con la quotidianità del presente da parte di una specifica popolazione.
- Il tema dell’insularità è collegabile con gli archetipi mitologici della Madre terra, dell’Eterno ritorno, dell’Eternità, della Fecondazione e della Perfezione della vita dove apparentemente tutto muta, senza che mai nulla veramente cambi.
Le metafore dell’inconscio profondo costituiscono una risorsa indispensabile che necessita di essere riportata alla luce per diventare uno strumento integrativo nella conoscenza della condizione umana spiegazione del dramma dell’esistenza e del senso del sacro o del profano nella natura dell’uomo di ogni latitudine e longitudine.
- L’insularità può essere intesa come espressione vivente dell’anima di un luogo o di una particolare rappresentazione socio-antropologica ritualizzata distintiva di un gruppo etnico.
In tal senso, l’insularità si ridurrebbe a significare la proiezione di una originale imago autobiografica riemergente come piena consapevolezza di appartenenza esclusiva a un luogo particolare, in quanto psicosintesi strutturata di una intersoggettiva narrazione coreografica ambientale e di una sceneggiatura antropica trasversalmente interiorizzata.
- Insularità come paesaggio mentale, come stato psichico della mente in cui l’unica sensazione piacevole è il distacco nostalgico dal mondo esterno rappresentato da tutto ciò che riconduce ai ricordi, ai fatti vissuti, ai familiari, alle persone mai dimenticate, al paese, alla campagna, agli animali, alla città, ai quartieri, alle case, alla gente affacciata, alle viuzze, ai vicoli, ai cortili, alle voci della casba, ai giochi dell’infanzia, ai litigi, ai pianti, agli oggetti d’affezione, agli odori, ai sapori, alle gioie, alle sofferenze della vita adulta.
In effetti, un paesaggio mentale percepito con piena, libera e serena consapevolezza, presenta una forte rispondenza con l’inconscia sensazione di liberazione, di fuoriuscita, di allontanamento, di partenza da tutto ciò che contestiamo, rifiutiamo, consideriamo immeritato, viviamo con un senso di colpa, accettiamo con ansia o con angoscia causata da un destino ingiusto, dalla mala sorte, dalla cattiveria, dall’ignoranza o dall’intolleranza umana.
Pur tuttavia, la rappresentazione psichica di un “paesaggio mentale” collettivo, anche se può apparire assai suggestivo e accattivante, potrebbe evocare, altresì, un inquietante profilo personologico autoreferenziale, piuttosto che uno stato d’animo comune o una tensione relazionale auto diretta e condivisa dentro i mondi vitali delle persone attraverso gli atti della vita.
- Insularità come destino e darmadi una realtà umana problematica, dimezzata, terra di mezzo di una storica moltitudine di ex ante, in itinere ed ex post migranti tra migranti, periferia senza una vera “vox populi” identitaria, alquanto manchevole di un forte e omogeneo sentire di coesione civica e unitaria.
Qui si apre uno spaccato di convivenza sociale fisica e psichica, senza essere un’autentica forma antropica di coesistenza relazionale evoluta, in mancanza o carenza qualitativa di diversi elementi basilari, in senso:
- estetico (la bellezza coltivata come ricchezza interiore e sensibilità d’animo);
-etico (il rispetto come base dei principi etico-valoriali di una società giusta);
-relazionale (la relazione come fatto fondativo e generativo del Bene comune);
-patrimoniale (il patrimonio culturale come dono e come risorsa identitaria collettiva).
- Insularità come espressione enigmatica, misterica, arcana di un luogo dentro cui cercare, e da cui ripartire, per ritrovare sé stessi.
Una tesi in apparenza visionaria, utopistica, però anche interessante, praticabile se concretamente vissuta. Infatti, cercare nella contestualità comunitaria dell’insularità la via di uscita dal labirinto dell’esistenza, partendo dal centro di sé, a contatto diretto con il centro della natura circostante e con il centro del mondo vitale di una umanità liberata dai falsi bisogni e dipendenze che “cosificano” il valore della vita e la dignità personale, significa sperimentare una opportunità iniziatica all’interno di una verosimile “isola felice”, o mitico “paradiso in terra”, dove non manca niente di veramente importante per essere liberi e liberati da pericolosi reticoli sovrastrutturali.
Tutto ciò, sia come metafora della condizione umana sempre più resa alienata a sé stessa, sia come possibile esperienza-impresa straordinaria da compiere, potrebbe implicare il rischio di perdere la propria mindfulness, se si distoglie lo sguardo, empatico e responsabile verso la realtà, per rivolgerlo illusoriamente verso l’infinito esterno, al fine di volere-potere vivere insieme di nuovo, umanamente e benignamente, in armonia nel tempo senza tempo.
- Insularità come interfaccia ambivalente di una dimensione sincronica di utopia e distopia.
La particolare bellezza a 360º della Sicilia, il fascino privilegiato dei luoghi, la dimensione mitica del sentimento antropico, l’opportunità di vivere in prossimità dell’utopia della perfezione del creato e della sensazione del raggiungimento della felicità in terra, di fatto, per tutti gli attori sociali protagonisti, potrebbero costituire risorse elettive che dovrebbero facilitare lo sforzo comune proteso verso il diritto/dovere morale all’autorealizzazione del sé e all’attuazione della qualità sociale della vita di ciascun civis e dell’intera civitas comunitaria.
In realtà, tuttavia, lo scenario demoetnoantropologico, si presenta spesso intriso di una visione distopica dell’insularità, allorquando l’isola viene percepita come terra di conquista da parte della terraferma. Cioè a dire, del potere centrale e/o del pensiero decisionale locale, sempre e comunque, unilateralmente imposto ai propri cittadini-abitanti, considerati come sudditi o coloni, nella stragrande maggioranza delle volte, addirittura, esclusi, “dimenticati” e, sine die, socialmente, culturalmente e spiritualmente impoveriti.
- Insularità come realtà di frontiera e come ponte per la riconquista della propria dignità, per sua natura ospitale e accogliente, generosa e dialogante. Sempre disponibile a qualsiasi richiamo esterno di cambiamento migliorativo, comunque rispettoso delle proprie origini, tradizioni, memorie, narrazioni mitologiche da conservare, preservare e valorizzare come patrimonio dell’umanità, da far scoprire e fruire all’interno e all’esterno dei contesti di appartenenza e provenienza plurale e internazionale.
Di sicuro, la tesi di una insularità vista come possibile e spendibile laboratorio-officina di cambiamento evolutivo, risulta assai propizia ad un percorso di iniziazione-costruzione di reti culturali e relazionali intorno ai mondi vitali delle genti, finalizzate a diffondere rispetto, fiducia, amicizia, fratellanza, umanità, solidarietà e pace condividendo certezze, speranze, idee, progetti e valori necessari per uscire dai labirinti oscuri, misteriosi e angoscianti della solitudine e della diffidenza verso l’Alterità degli individui, dell’indifferenza verso una visione interculturale e internazionale dell’umanità.
Finora, il percorso intrapreso ha messo in evidenza che, per cominciare a capire la portata e la rilevanza dell’insularità, è necessario compiere un viaggio analitico di approfondimento e avanscoperta graduale di tipo life long e life wide. In realtà, ogni viaggio ha una sua storia complessa e ogni storia insulare ha avuto inizio con un mito, o più miti insieme aventi molte radici profonde che toccano l’ineffabilità del senso della vita e l’inafferrabilità del tempo che l’accompagna, la delimita, la costruisce o ridefinisce nello spazio dei luoghi fisici, mentali e spirituali che non possono mai morire.
Pertanto, la dimensione concettuale dell’insularità non va rinchiusa in ristretti spazi interpretativi forniti da singole esplicazioni, da generiche categorie descrittive o da sintetiche narrazioni monodimensionali, tipo:
- Nostalgia e bisogno di ritorno al passato come fuga dal presente e dal futuro senza certezze;
- Stato di sofferenza simile ad un abbandono sentimentale come attaccamento simbiotico a-temporale;
- Ricerca della salvezza personale attraverso l’immedesimazione di sé con un solo mondo possibile;
- Distacco e perdita di un grande dono ricevuto dal destino che non si potrà recuperare mai più;
- Legame indissolubile con l’idea di identità insulare aprioristicamente dominante;
- Ritiro esistenziale dal mondo per ascoltare il rumore fragoroso del silenzio, la voce dell’anima, della natura;
- Evasione e rifugio isolato dal resto del mondo per garantirsi l’anonimato e la libertà lontano dal rischio e dal tormento;
- Forma di convivenza parallela di uno spazio chiuso dentro il sé con uno spazio dischiuso intorno a sé che squarcia l’orizzonte senza meta e senza limite.
Isolanità
L’isolanità, in modo astratto, oltre che concretamente, si potrebbe configurare come contenitore di simboli, rituali, culti del sacro e del profano, miti, leggende, saperi antichi e specialistici, etnemi, pratiche esclusive di governance e funzionamento comunitario etc., particolarmente incidenti - nel bene e nel male - sui processi della formazione della personalità di base, del carattere peculiare del luogo, del comportamento conformista “interno”, della mentalità comune, del sentire collettivo della propria diversità / unicità / esclusività, della singolarità del crudo e del cotto, della parlata zonale o provinciale, delle espressioni “politiche” del consenso e delle forme “autoctone” del controllo sociale “allargato”. L’isolanità, al di sopra di qualsivoglia velleitarismo retorico, ha sempre rappresentato un tipico e circoscritto scenario di oikos socioculturale che, nutrendosi orgogliosamente di sé stesso, ha favorito il proliferarsi del suo fascino fatalmente “pittoresco” e il perpetuarsi mitopoietico del tempo della memoria “etnica”, nel susseguirsi dei distinti passaggi epocali, culturali e generazionali.
Sotto questo aspetto, talora, l’isolanità può trasfigurarsi in una difficilmente evitabile condizione di vincolo con il destino individuale, se non di vanificazione forzata della libertà auto diretta di una moltitudine di individui, in ossequio e ottemperanza ad un sommerso, ma imperante, volere etero diretto. A volte, all’interno dei contesti umani e sociali dell’isolanità, si possono sprigionare contrasti, posizioni e passioni estremizzate che evidenziano la naturale differenza tra un “qua” percepito come uno spazio-tempo noto, riconoscibile dove “entusiasticamente” costruire e narrarsi, ora e sempre, il proprio vissuto da “noialtri stessi”, a fronte di un “là” sentito “diversamente”, cioè territorio estraneo, straniero, alieno, misterioso, minaccioso, pericoloso, da cui guardarsi. Una siffatta realtà, potrebbe indicare l’esistenza di una problematica fragilità del sentire comune e vulnerabilità dell’Io collettivo.
Inoltre, tale situazione, se individualmente interiorizzata nel profondo, potrebbe evocare sentimenti, emozioni e atteggiamenti non facilmente sottoponibili a verifica esterna che, a lungo andare, risulterebbero negativi, ipertrofici, tautologici come, per esempio, questi sotto riportati:
- Identificazione e autosuggestione dell’Io con ciò che si pensa di sé stessi, in quanto persone autentiche;
- Testimonianza del proprio valore attraverso gli interessi e l’impegno personale come prova;
- Autostima e amor proprio proclamati in maniera autoreferenziale avulsa da qualsiasi forma di autoironia;
- Continui spostamenti “ideologici” come bisogno di riformulazione valoriale dell’appartenenza.
L’isolanità, tuttavia, rimane un luogo privilegiato in assoluto della narrazione del sé poiché, se ben coltivata, potrebbe facilitare il processo analitico di consapevolezza della distanza del sé reale rispetto al sé ideale e l’elaborazione degli stati di coscienza auto diretta e piena mindfulness di ciò che siamo, siamo stati, crediamo di essere e di come realisticamente vogliamo e possiamo divenire per sentirsi realizzati.
Sicilitudine
La sicilitudine, in quanto possibile sintesi semantica di insularità e isolanità, può essere intesa come valenza concettuale che sensibilmente e concretamente solidifica la somma di una visione ideale di contenuti etnologici quali: radici originarie, priorità territoriali, proiezioni dell’appartenenza identitaria, desideri di identificazione culturale, tensioni ideologiche, trascinamento mentale - attitudinale collettivo all’idem sentire. Da qui, risulta plausibile evincere una vera rappresentazione esperienziale di forme folkloriche, processi sociali e strutture antropologiche reciprocamente e largamente condivisi. Pertanto, una complessa realtà etnica e culturale che contiene, in forma latente, particolari potenzialità corali di mindfulness umana, esemplificativa del vissuto “genetico” di com-prendere, con-vivere, sopravvivere dentro il divenire dei fatti - qui, ora e altrove - del passato e del presente continuo della storia di un popolo, della vita di ciascuno e di tutti gli attori sociali storicamente coinvolti. Inoltre, si può intravvedere nella sicilitudine una forma saggia e coraggiosa di saper gestire la “solitudine esistenziale” controllando gli stimoli emotivi, relazionali, sociali e comportamentali, spesso disfunzionali, frequentemente riscontrabili in certi ecosistemi sotto forma di stress da isolamento insulare o territoriale. Oltre a ciò, la sicilitudine non si riferisce a nessuna condizione, vecchia o nuova, di apartheid etnico o razziale, né di gente confinata, penalmente o militarmente, rinchiusa e dimenticata in qualche posto isolato, sperduto del mondo.
La sicilitudine, quindi, può essere pensata e agita non come “complesso di discriminazione esistenziale”, semmai come esempio agito di forte orgoglio intersoggettivo di appartenenza globale ad una determinata realtà, e come prova di profondo attaccamento evocativo che, anche se si volesse rimuovere o ignorare, non sarà mai più possibile dimenticare. In aggiunta, la sicilitudine andrebbe raffigurata come metafora del viaggio nello spirito in cui la nozione leggendaria del tempo cessa di esistere, al fine di aprirsi alla longevità della sopravvivenza antropologica e all’immortalità mitologica del tempo e dello spazio identitario della locale comunità. Insomma, la sicilitudine potrebbe essere, in senso astratto, un flusso linfatico, costitutivo e denotativo, della comune, emblematica, paradigmatica essenza etnica, meglio definibile con il nome di resilienza etnica o identità resiliente che, rispetto al divenire esterno delle cose, più facilmente, si adatta, si sviluppa al suo interno e si nutre di sé stessa, spesso anche chiudendosi all’esterno, scomparendo all’orizzonte, per riemergere in una probabile prossima primavera. Quindi, è lecito immaginare figurativamente la sicilitudine, come un particolare pezzo di DNA comunitario e identitario di una distinta minoranza, con speciale diritto-dovere a chiedere e ricevere meritatamente una doppia cittadinanza, in senso insulare e continentale.
La sicilitudine, se considerata nel suo insieme come vissuto esperienziale, parola evocatrice e situazione generatrice di conoscenza innovativa, rivela un patrimonio di nuove assonanze e similitudini che indicano il cambiamento migliorativo in itinere di una condizione umana contraddistinta da una pluralità di fattori umanitari e propositivi in termini di pensiero, dialogo interiore, messa alla prova, in ambito comunitario. Cioè a dire, nuova energia vitale collettiva che deve ri-appropriarsi, con vigore e slancio, della sua stessa forza educativa, evocativa e catartica, essenziale a qualsiasi progettualità sociale, iniziativa di mutamento socio-culturale o processo di empowerment quali-quantitativo generale, cioè, individuale e collettivo. Ancor di più, la sicilitudine appare contemplabile come visione allegorica tout-court del lampo che illumina la notte, del tuono che fa sobbalzare, dell’impeto del vento che squarcia le vele, del suono assordante del silenzio, dell’infrangersi fragoroso dell’onda sullo scoglio, dello spumeggiare rasserenante della risacca, del riposo creativo della coscienza, della narrazione rivelata di un presente da riscattare con fierezza e di un futuro desiderato, ideato e progettato da realizzare in senso ri-evoluzionario.
Va chiarito in aggiunta che i concetti sensibilizzanti relativi ai diversi ambiti toccati nella riflessione generale fanno da corollario alla sezione “monografica”, di seguito riportata nella sottostante parte conclusiva di questo lavoro, empiricamente ricavata da una biennale esperienza concretamente maturata da parte di operatori esperti impegnati nel campo delle tossicodipendenze. In senso stretto, si farà riferimento ai risultati di successo raggiunti grazie all’azione multimodale, essenzialmente mirata, dedicata e applicata nel lavoro di prevenzione della devianza, recupero sociale, formazione ai valori positivi, reinserimento lavorativo e riscatto dal pregiudizio e dallo stigma sociale di soggetti tossicodipendenti e spacciatori professionali, in stato di semiresidenzialità, con un passato esperienziale “etichettabile” come deviante, delinquenziale o criminale tout-court.
Nell’immaginario collettivo, la compresenza di fattori critici quali l’elevato livello di problematicità comportamentale, la valenza disvaloriale della marginalità sociale, la rischiosità della subcultura criminale, le difficoltà reali dei percorsi di cura della tossicodipendenza, escluderebbe la capacità di successo del recupero e della riabilitazione. Questa attitudine rinforzerebbe l’insorgenza del circolo vizioso della teoria che auto avvera e il pregiudizio di considerare irrecuperabili soggetti già condannati prima ancora di essere stati giudicati. Invece, in opposizione a simili atteggiamenti mentali, trasversalmente esistenti in tutti i contesti dell’agire sociale e professionale, va ribadito come anche le risorse teorico-pratiche della mitanalisi, se applicate nel campo delle ricerca-azione, potrebbero risultare utili ed efficaci strumenti educativi, per facilitare un’operazione “aumentata” di empowerment e mindfulness, individuale/collettiva, come base del processo di contrasto e riscatto del pregiudizio e dello stigma sociale verso i tossicodipendenti, generata dagli stessi attori sociali messi alla prova. Inoltre, considerando la possibile sinergia tra la natura “sensibilizzante” della mitanalisi; la relazione “emozionante” della insularità legata alla narrazione del sé; la scoperta dell’esistenza compenetrata dell’io e dell’altro da sé come “fatto totale”, appare di fondamentale importanza l’impegno professionale costruttivamente mirato alla condivisione, all’interiorizzazione e alla testimonianza agita che, in ogni caso, è possibile realizzare un cambiamento migliorativo e qualitativo della propria vita.
Progetto “Contrasto e riscatto del Pregiudizio e dello Stigma Sociale”
Fasi e azioni progettuali
Ideazione: attivare un percorso progettuale pluridisciplinare di riabilitazione, recupero e reinserimento, sperimentale e innovativo, finalizzato al contrasto e riscatto del pregiudizio e dello stigma sociale nei confronti dei tossicodipendenti. L’azione è stata rivolta ad un gruppo di dodici utenti in carico presso un Ser.T. di Catania, agli arresti domiciliari in attesa di condanna definitiva, per pregressi, gravi e ripetuti reati, attualmente in stato di semiresidenzialità pro tempore, autorizzati dall’autorità giudiziaria a seguire produttivamente in gruppo specifici programmi di attività clinico-terapeutica e socio-riabilitativa per tre giorni alla settimana presso il Servizio per le Tossicodipendenze.
Valutazione ex ante, in itinere, ex post delle criticità di processo e dei bisogni espressi e non:
- Risorse materiali e professionali disponibili;
- Resistenza al cambiamento migliorativo;
- Istruzione scolastica e professionale;
- Esperienza lavorativa e carceraria;
- Condizione abitativa e familiare;
- Condizionamento sub culturale “differenziale”;
- Capacità autodirezionale e prosociale;
- Livello di marginalità sociale.
Valutazione ex ante delle maggiori criticità di processo:
Resistenza al cambiamento; Risorse disponibili; Scetticismo ambientale; Disapprovazione dei “capi”. La fase dell’attivazione del progetto è stata preceduta da un’attenta conoscenza e disamina dei bisogni, espressi e non, degli utenti del gruppo in trattamento, sui seguenti aspetti:
- Condizione abitativa, sociale e familiare;
- Lavoro, istruzione e risorse materiali disponibili;
- Esperienze carcerarie, principi etico - valoriali e stili di vita;
- Nascere e crescere in certi contesti “differenziali”.
Scenario emerso: scarsa capacità di auto direzionalità; poca consapevolezza di sé; comportamento esente da midfulness sulle conseguenze; semianalfabetismo generale; pervasiva subcultura differenziale; vissuto collettivo della marginalità e della violenza relazionale come trappola fatale.
Implementazione del progetto
Finalità generali: metafore mitopoietiche del profondo
- Creare un orto urbano e un frutteto di comunità - Madre-Terra che dona i frutti nutrienti;
- Allestire un giardino delle piante officinali della salute - Erbe che danno valore e qualità alla vita;
- Realizzare interventi di igiene, decoro e giardinaggio - Ecologia, cura, benessere corpo/mente.
Criticità: mezzi e risorse materiali; scetticismo professionale; obbedienza criminale.
Obiettivi strategici: recupero e acquisto di materiali bibliografici e digitali su Catania, sulla Sicilia e sui personaggi del mito del passato e del presente; Dare inizio a momenti di racconto esperienziale autobiografico finalizzati alla sensibilizzazione sui temi della “Insularità”, “Isolanità” e “Sicilitudine”.
Input: stimoli forniti sul tema della Insularità
- Senso personale e significato sociale della Insularità oggi;
- Definizioni e rappresentazioni dell’Insularità agita attraverso la narrazione di sé;
- L’origine, la provenienza e l’appartenenza identitaria come parte inseparabile dell’Insularità;
- Particolarità dei fatti storici locali e fascino delle leggende, culti, luoghi e personaggi mitici;
- Valenze semantiche utili a trasformare una situazione sbagliata in un’esistenza degna e riscattata.
Obiettivi specifici: Autocontrollo degli aspetti emblematici della realtà esterna e del vissuto interno.
Input: stimoli forniti sul tema della Isolanità
- Modo di essere e di sentire la propria condizione nel mondo e nei luoghi della vita;
- La presenza del fato, del destino, della malasorte nel vissuto quotidiano;
- Il senso della devozione, dell’accoglienza e dell’intolleranza;
- Rappresentazione della giustizia e dell’ingiustizia sociale.
Obiettivi specifici: Superamento della distanza relazionale e valoriale tra il sé ideale e il sé reale.
Input: stimoli forniti sul tema della Sicilitudine
- Essere figli di una stessa terra-madre e di uno stesso popolo;
- Scoprire l’origine della comune identità attraverso la storia sociale della città e dell’isola;
- Valorizzare l’eredità culturale delle dominazioni greco-romana, arabo-normanna, spagnola, etc.;
- Conservare la memoria storica degli antichi quartieri, delle casbe e dei personaggi mitici nostrani;
- Apprezzare il dialetto come lingua madre, la saggezza dei proverbi; l’arguzia dei motti di spirito;
- Condividere biografie personali e generazionali incastrate nel circolo vizioso della marginalità.
Obiettivi specifici: Consapevolezza delle valenze etico - sociali della Sicilitudine; Ottimizzazione del contributo valoriale, educativo, formativo e relazionale della mitanalisi.
Le argomentazioni sviluppate in corso d’opera impongono continue domande aperte e dimostrazioni pratiche, in linea con gli interessi, le attese, il coinvolgimento attivo e il contributo personale di tutti gli stakeholders, tipo:
- Perché risulta utile la narrazione di sé?
- Perché comunicare esperienze autobiografiche, storie di vita riporta alla scoperta dei legami con la propria origine etnica e, soprattutto, insulare?
- La narrazione esprime un bisogno di protagonismo narcisistico rivolto all’attenzione altrui?
- I miti rappresentano situazioni visionarie che suscitano un desiderio inconscio di condividere con gli altri un po’ del nostro mondo interiore?
- I personaggi mitici sono figure immaginarie che agiscono solamente in modo solipsistico e per oscuri motivi autoreferenziali?
- La mitanalisi della Insularità serve per potenziare la rappresentazione del sé ideale a partire dalla propria appartenenza identitaria, dove la parte migliore dell’io autobiografico entra in sintonia con la parte migliore del sentire collettivo?
Da una prospettiva ampliata, quello che più interessa sapere, è che con la parola narrata si facilita la consapevolezza di poter essere interpreti, protagonisti e narratori con-vincenti, ben consapevoli che per riscattarsi responsabilmente nella società, bisogna accettare “eroicamente” le sfide, le imprese, le fatiche che “per aspera” conducono “ad astra”. Dal punto di vista mitanalitico, quando si conosce e si apprezza “interiormente” la vera ricchezza-bellezza dei miti, risalta immediatamente la capacità di immaginare e la facoltà di visualizzare da vicino lo spirito delle cose che veramente contano per sentirsi pienamente realizzati anche nella vita. A riscontro di ciò, si riportano, in forma sintetica, molte delle parole-chiave desumibili dalle multi variegate percezioni e riflessioni formulate dal gruppo dei partecipanti, in occasione degli incontri previsti durante l’esecuzione del progetto, per ciascuna delle tre aree tematiche fin qui trattate.
Insularità
Terraferma sicura, ospitale e accogliente;
Terra chiusa, circondata e imprigionata dal mare;
Madre - terra benigna;
Terra aspra e matrigna;
Terra di bellezze sovrannaturali;
Terra di bruttezze e miserie umane;
Luogo dell’anima spirituale eterna;
Spazio dell’edonismo sfrenato;
Luoghi di immenso patrimonio culturale e ambientale;
Grande impoverimento delle persone che vivono nella marginalità;
Città che fanno fuggire i migliori cervelli;
Isola perennemente conquistata e dominata dall’alto;
Terra di emigrazione immigrazione;
Insularità come condizione umana voluta dal destino;
Scenario di devozione religiosa e di intolleranza sociale;
Patria di uomini illustri, di personaggi ignobili e di eroi negativi conosciuti in tutto il mondo;
Sintesi: insularità come luogo di contraddizioni, grandi ideali e tensioni dell’animo umano.
Isolanità
Immutabilità del destino individuale e collettivo accettato;
Terreno pregiato di bellezze esclusive;
Ponte di incontro storico tra culture diverse e distanti;
Luogo dell’anima e della salvaguardia della propria origine;
Isola del Paradiso incastonata tra le onde;
Roccaforte di intrallazzi e di interessi politico-militari;
Serbatoio della memoria storica;
Rifugio di persone in cerca di una nuova vita;
Sintesi: condizione umana e dimensione etnostorica di una popolazione “inasprita”.
Sicilitudine
Farsi valere due volte per essere considerati uguali agli altri più favoriti;
Dover lottare per difendere la propria dignità e integrità;
Superare la prova di attraversare il mare per assicurarsi il diritto di vivere;
Portarsi dietro la nostalgia dell’abbandono e del ritorno sognato;
Sentirsi in stato di solitudine ma non di isolamento;
Cercare di resistere alla sensazione di trovarsi confinati in un mondo a parte;
Rimuovere la tentazione di rendersi estranei a quello che succede nella società;
Vivere con la speranza che qualcosa cambi nella vita della gente;
Provare il piacere di realizzare insieme agli altri le piccole utopie nella quotidianità;
Sintesi: percorso esistenziale di tensione emotiva e temperata resilienza aperta al futuro.
Alla conclusione del percorso riabilitativo intrapreso, tutti i componenti del gruppo in trattamento riabilitativo hanno condiviso gioiosamente l’impegno lavorativo svolto con piena dedizione e grande gratificazione personale, adducendo a motivo di ciò, che notevole, oltre che molto apprezzabile, è stato il contributo della conoscenza della mitanalisi, della narrazione di sé, delle riflessioni sorte in itinere sui modelli positivi di cultura e di civiltà espressi da moltissimi racconti mitologici, epici, eroici, cavallereschi che, in maniera particolarmente esemplificativa, sempre e comunque, indicano la strada che si può scegliere di seguire, tanto quella del bene: rispetto, virtù, conoscenza, integrità morale, coraggio, altruismo, pace, giustizia, senso civico, onestà, fiducia, lealtà, amore, amicizia, responsabilità, gratitudine, rettitudine, ecc. di cui pregiarsi; oppure quella del male: empietà, inganno, tradimento, inimicizia, violenza, furia omicida, conflitto, vendetta, arroganza, falsità, avidità, corruzione, crimine, malvagità, ecc. di cui vergognarsi. Infine, come sperato, nessuno dei soggetti protagonisti ha avuto ricadute di alcun tipo. Non ci sono state spiacevoli criticità di percorso, né abbandoni né denunce né arresti per nuovi reati commessi, né evasioni dal proprio domicilio, né coinvolgimenti in associazioni “differenziali”.