Internati militari italiani
Maria Immacolata Macioti (a cura di)
M@gm@ vol.16 n.1 Gennaio-Aprile 2018
LETTERE DAGLI STALAG: PENSIERI, SENTIMENTI, EMOZIONI CHE SI FANNO STORIA
Maria Elena Ciccarello
ciccarello.elena@gmail.com
Psicologa e mediatrice familiare, collabora con l’Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia dal 2013. Docente presso l’Università telematica Nicolò Cusano, ha collaborato con l’ITD, Istituto per le tecnologie didattiche del CNR di Palermo e con l’Università degli Studi di Palermo nell’ambito del progetto di formazione a distanza Campus One. Si è occupata di consulenza e sostegno psicologico, con particolare attenzione alle problematiche di coppia e al mobbing.
Lettere dai lager (Museo “Vite di IMI”) |
Parlare di lettere nell’era di Internet potrebbe sembrare anacronistico. Oggi la comunicazione è immediata, avviene in tempo reale. La tecnologia offre mezzi per poter veicolare informazioni nell’hic et nunc.
Carta, penna e calamaio comportano un ricordo nostalgico del passato. Eppure le lettere consentivano di trasmettere meglio il proprio stato d’animo, le proprie emozioni. Alle lettere si dedicava tempo per scriverle, leggerle, rileggerle, evocando ricordi e rinnovando sentimenti. Era possibile scorrere con gli occhi tra le righe per cogliervi non solo il suono e il senso delle parole, ma anche lo stato d’animo di chi le scriveva.
Oggi, abituati ad un aggiornamento continuo delle cronache dall’Italia e dal mondo, potrebbe sembrare impensabile l’idea di vedere nella lettera l’unica fonte di informazione per dare e ricevere notizie, trovandosi in un paese straniero. Eppure questo è quanto accaduto ai militari italiani internati nel Terzo Reich. Tra il 1943 ed il 1945 si è assistito, infatti, ad una fitta corrispondenza tra l’Italia e la Germania.
Tra i documenti d’archivio dell’Anrp sono emerse centinaia di lettere inviate dai campi di internamento e conseguenti risposte dei familiari.
Speranze, notizie, preghiere, poche righe affidate ad una busta indirizzata ad una famiglia tanto lontana quanto moralmente vicina e fonte di forza interiore per andare avanti. Nel loro insieme le lettere costituiscono una fonte di informazioni, una raccolta di «frammenti», rappresentano uno spaccato delle vicende storiche dalla voce dei diretti protagonisti, ma sono anche lo specchio della società italiana dell’epoca, riflesso di un’Italia controversa, provata dalla guerra, dalla debole struttura economica e sociale.
Per quanto fossero sottoposte a censura, tra le righe è nascosto un vissuto. Dalle storie personali emerge il duro trattamento rivolto agli IMI, costretti non ad una, ma a tante resistenze: resistenza alla fame, al freddo, ai soprusi, alle umiliazioni. Minati nel corpo e nell’anima, ma non nella dignità di Italiani, in tanti hanno resistito fino alla liberazione nella primavera del 1945.
Rievocare diventa un dovere per imparare dal passato, perché si mantenga vivo e non vada perduto il ricordo del sacrificio di tanti giovani, che avevano nutrito la loro adolescenza di entusiasmi e certezze, allevati all’obbedienza al Duce, alla devozione al Re, all’amore incondizionato per la Patria, a quei valori di famiglia e di fede oggi sempre più messi in ombra.
Il presente lavoro mira a dar voce a coloro i cui nomi non compaiono e non compariranno mai sui libri di storia, ma che inconsapevolmente sono diventati i diretti protagonisti di uno dei periodi più bui della storia italiana. La grande storia è fatta anche di piccoli eroismi quotidiani. L’attenzione non è riposta sugli aspetti storici o militari della vicenda degli IMI, ma si focalizza su quelli psicosociali, guardando oltre le divise e i gradi militari per far affiorare la dimensione umana ed emozionale.
- Seconda Guerra Mondiale
- Internati militari italiani
- Lettere
- Stalag
- Fame, freddo, violenza.
La corrispondenza degli internati militari italiani inizia dopo la cattura seguita all’armistizio dell’8 settembre 1943. Le prime forme di comunicazione sono dei biglietti scritti velocemente e lanciati spesso dai treni.
Durante il lungo viaggio che portava ai campi di internamento tedeschi, infatti, i militari prigionieri affidavano, quando se ne presentava l’occasione, un messaggio a un contatto fortuito, al fine di far pervenire le proprie notizie ai familiari: brevi frasi scritte con l’unico scopo di rassicurare le famiglie sulle proprie condizioni.
Messaggio affidato ad un contatto fortuito per informare la famiglia. |
Le prime cartoline inviate dai luoghi di prigionia erano costituite da moduli prestampati della Croce Rossa Internazionale o degli Stalag che riportavano i dati assegnati ad ogni prigioniero al momento dell’internamento. In alto spiccava la scritta Kriegsefangenenlager camps des prisonniers, a volte accompagnata a fianco dalla nomenclatura dello stalag, stampato o scritto a mano.
Per lo più le cartoline erano stampate in francese o in tedesco perché destinate in un primo momento ai prigionieri delle nazioni in guerra contro la Germania fin dal 1939. La corrispondenza degli IMI con le famiglie si intensifica al termine delle lunghe operazioni di smistamento nelle migliaia di campi di internamento.
Esempio di cartolina prestampata inviata dallo Stalag VI J. |
I prigionieri potevano mandare un numero limitato di lettere, sottoposte al vaglio della censura. Proprio per questo gli stessi mittenti operavano una prima selezione di quelle frasi che potevano risultare compromettenti.
«Fu soltanto nel mese di marzo del ’44 che mi fu permesso di scrivere a mia moglie e a mio fratello che ero ancora vivo. Era dal settembre del ’43 che non davo mie notizie e immaginavo come fossero in pensiero in tutto quel tempo. Nessuno sapeva che fine avessi fatto dopo quel tragico 8 settembre (…). Avrei voluto raccontare delle violenze subite, della struggente nostalgia di casa, di come un tempo mi sentissi forte e fiducioso, mentre ora mi vedevo piccolo, quasi ingobbito e senza forze» (M. Acierno, Prigioniero numero 50860, Manni Editore, 2010).
Agli ufficiali era consentito spedire tre lettere e quattro cartoline al mese, mentre ai sottufficiali e ai soldati, due lettere e quattro cartoline. Di seguito sono riportati, nella loro versione originale, stralci di lettere inviate dai militari internati alle proprie famiglie.
«Amatissima Sisina (…) l’altro ieri ti ho spedito una cartolina con la sola firma per assicurarti che sono in Germania come internato militare fin dai primi di settembre (…)» 2/12/1943. «Carissima Gina (…) ti faccio presente che mi trovo prigioniero in Germania stai tranquilla sto bene rispondimi subito e dimmi tutto. Tuo Pietro»12/12/1943 Stalag XVIII A. «Cari Genitori (…) io sto bene non pensateci mi trovo in Germania (…)» 19/12/1943 Stalag 317. «Cara Maria e famiglia (…) mi trovo prigioniero in Germania assieme agli amici (…) Indirizzo P.M. 38498 P.U.548 III C Germania sempre allegra. Matteo» 17/10/1943 Stalag III C. «(…) Ho ritardato a darti mie nuove con la speranza che fosse finita prima. Sto bene e mi trovo prigioniero in Germania» 23/04/1944 Stalag III B.
Da un primo sguardo alle pagine ormai ingiallite salta subito alla vista una grafia in alcuni casi molto curata, in altri stentata, il linguaggio a volte forbito altre volte essenziale corredato spesso da errori ortografici, le frasi più o meno articolate con termini volti a rafforzare il legame che unisce, nello sforzo di rendere a parole quei sentimenti che trovano la loro espressione abituale in un abbraccio o in un bacio.
«…capisco lo strazio di voi tutti e considerando vi stringo forte forte tutti voi nel mio cuore. Darai, cara Sisina, bacioni da soffocarli ai cari piccoli» 2/12/1943. «Mia cara Teresa (…) è vero che abbiamo un grande distacco che ci separa, ma col pensiero ti sono sempre vicino. Zoilo tuo» 14/05/1944 Stalag III D. «Mia cara sposa (…) saluti a tutti i conoscenti ma alla mia piccola i più bei baci e tante cosine belle» 01/05/1944 Stalag V A.
«Le lettere erano di forma rettangolare, strette e lunghe, ripiegate in tre parti in modo da assumere la dimensione di una cartolina. Su una facciata presentavano ventiquattro righe, oltre le quali era vietato scrivere, e in alto riportavano la scritta in tedesco, italiano o francese “Questa pagina è riservata al prigioniero di guerra. Scrivere soltanto sulle linee e leggibilmente!”. Sull’altra facciata spiccava la scritta Kriegsgefangenenpost, (corrispondenza dei prigionieri di guerra) sotto la quale era riservato lo spazio apposito dove indicare il nome del destinatario, la località di destinazione, la via e la provincia» (M. Avagliano, M. Palmieri, Gli internati militari italiani diari e lettere dai lager nazisti 1943-1945, Einaudi, 2009).
Nello spazio riservato al mittente doveva essere indicato nome e cognome, numero del prigioniero, designazione del campo ed il numero dell’Arbeitskommando, il campo di lavoro. La designazione del campo spesso era prestampata o aggiunta con un timbro così come la scritta Deutschland (Germania) a piè di pagina, in basso a sinistra.
Le cartoline postali avevano dimensioni più piccole e presentavano, come le lettere, la scritta prestampata Kriegsgefangenenpost (corrispondenza dei prigionieri di guerra) ma con l’aggiunta di PostKarte (cartolina postale) e quindi lo spazio per gli indirizzi del destinatario e del mittente.
La parte di cartolina o lettera destinata alla famiglia, perché si potesse rispondere, doveva essere staccata dallo stesso foglio in arrivo e spesso recava le seguenti scritte: Corrispondenza con gli internati militari italiani solamente sopra i moduli distribuiti dal Comando Tedesco del capo; oppure: Non scrivete lettere civili. Servitevi di cartoline e moduli per prigionieri e internati; o ancora: Se volete che la corrispondenza arrivi a destinazione scrivete chiaro e con caratteri non troppo piccoli. È consentito scrivere nelle righe e non fra le righe.
Gli internati davano indicazioni ai familiari su come procedere per inviare le risposte: «Carissima mamma (…) come vedi qui accanto c’è il foglio per comunicarmi vostre notizie» 22/12/1943 Stalag VI K. «Mamma tu mi rispondi sull’altra cartolina che si trova in bianco l’indirizzo l’ho già scritto io fammi sapere presto tue notizie» 03/04/1944 Stalag XIII B. «Carissimi (…) quando mi scrivete fate il numero che vedete sul mitente (…). Giuseppe» 30/03/1944 Stalag XVII B. «Carissima moglie (…) sulla risposta non mettete l’indirizzi di prima agiungere solo il mitente. Tuo Antonio» 25/12/1943 Stalag III B.
Gli internati stessi si premuravano spesso di compilare la parte destinata alla risposta della famiglia sia per favorire una risposta più celere sia, soprattutto, per facilitare il compito dei familiari, evitando eventuali errori. Negli anni della Seconda Guerra Mondiale, infatti, circa un ottavo della popolazione italiana, ovvero circa sei milioni di cittadini, non sapeva né leggere né scrivere. L’analfabetismo costituiva una piaga sociale che presentava caratteri particolarmente gravi soprattutto nei centri rurali del Mezzogiorno. Il governo italiano, nel periodo post-bellico farà fronte a questa emergenza emanando, il 17 settembre 1947, un decreto-legge per istituire le scuole popolari. Un altro forte contributo al progresso culturale della nazione arriverà dalla televisione di Stato che, negli anni Sessanta, affronterà il problema dell’alfabetizzazione attraverso il video.
«Cara mamma e papà (…) spero molto che avete già ricevuto le mie lettere e cartoline, quello che mi fa stare in pensiero è che non o ancora ricevuto un vostro scritto. Gino» 14/02/1944 Stalag V C.
Il periodo difficile in cui versava l’Italia durante la Seconda Guerra Mondiale comportava una corrispondenza soggetta a ritardi, smarrimenti o mancati recapiti.
«Genitori carissimi (…) da voi sono 15 mesi che non so niente e figuratevi come fosse desiderato un vostro rigo. Peppino» 5/09/1944 Stalag VIII B. «Cara moglie sono tante lettere che ti ho scritto e ancora sono privo di tue notizie cerca di vedere almeno tramite la croce rossa potermi scrivere perché sono molto in pena non so come state (…)» 15/05/1943 Stalag IV A. «Cara Mamma (…) sto in pena che non posso avere ancora notizie almeno per sapere come state, ma speriamo che riceverò presto qualche notizia così starò più tranquillo (…). Antonio»15/05/1944 Stalag IV A.
Non ricevere lettere fa sentire discriminati o sfortunati rispetto agli altri. Da qui l’insistenza perché i familiari scrivano, in modo che i prigionieri possano ricevere una parola di conforto.
«Carissimi (…) sin dalla prima volta che ho scritto non ho ricevuto mai un vostro rigo per almeno darmi un poco di consolazione eppure tutti quelli della nostra regione dalle diverse province anno ricevuto notizie allinfuori di me e un altro della stessa provincia non abbiamo ricevuto niente ancora, tutto questo non so perché spero però che questa volta vi giunga al più presto questo mio scritto così potete apprendere mie notizie (…). Vostro aff. Antonio» 03/09/1944. (Lettera ricevuta dalla famiglia il 15/06/1945). «Genitori carissimi (…) posta non ne ò ricevuto più, solo 2 cartoline cercate scrivere più spesso. Walter» 29/05/1944 Stalag III D. «Carissima Famiglia (…) vi invio sempre mie sempre con la speranza di ricevere vostre notizie lunica mia consolazione ma sfortunatamente non vedo mai nulla (…)» 02/07/1944 Stalag IV C.
Da casa i familiari manifestavano il loro rammarico per il mancato recapito delle lettere.
«Carissimo fratello con grande dolore apprendo che da 10 mesi sei privo nostre notizie, subito avuto tue notizie ho sempre scritto mi meraviglio come noi le riceviamo e tu no (…) Giovanni non so dove si trova sono privo sue notizie dal 27 agosto. Tua Rosa» Lettera inviata il 27/06/1944 a Orlando Stalag VI J. «Caro Giuseppe spiacenti non ti siano ancora giunte nostre notizie, rispondiamo subito alla tua carissima del 26 u.s. per assicurarti della nostra buona salute. Papà mamma e Maria» Lettera inviata a Giuseppe Stalag IIID.
«L’esigenza di comunicare con i propri familiari è talmente importante che le cartoline ed i moduli per i pacchi diventano perfino moneta di scambio: poter disporre di più biglietti rispetto al limite consentito vuol dire aumentare le probabilità di ricevere informazioni da casa e generi di sussistenza. Per questo motivo gli internati indirizzavano i propri scritti ad un gran numero di parenti e conoscenti (generalmente riservando le cartoline ai familiari più stretti ed i biglietti più brevi agli altri), oppure aggiungono saluti e messaggi nella corrispondenza dei compaesani» (M. Avagliano, M. Palmieri, Gli internati militari italiani, Einaudi, 2009).
«Carissimi (…) date l’indirizzo anche ai conoscenti scusandomi se non scrivo loro perché non ho possibilità (…). Piero»05/01/1944 Stalag 319.
Nelle lettere si riversa quell’affetto mirato alla persona amata, tanto da usare espressioni come “…ho ricevuto la tua adorata lettera…”; “rispondo subito alla tua amata cartolina…”. Una lettera, un semplice foglio si carica di una forte componente emotiva e affettiva, diventa fonte di conforto sia per il mittente che per il ricevente.
«Anna Carissima (…) spero che riceverai questa mia e che ti porti un po’ di conforto perché ora solo questo ci può confortare, altro non abbiamo, specie io. Ma mi faccio coraggio. Nino»14/08/1944 Stalag XII A.
La maggior parte delle lettere, per via della censura, inizia con la stessa frase convenzionale e ricorrente per rassicurare sulle proprie condizioni di salute: «La mia salute è ottima così spero di voi». Tuttavia spesso segue un «fino al presente» o «fino ad oggi» che lascia intendere la condizione di precarietà percepita e vissuta dagli internati.
«Carissima sposa ti scrivo questa lettera per darti conto della mia buona salute che fino al momento che scrivo sto bene (…). Damiano Michele» 18/06/1944. «Cara mamma spero che anche questa vi giungerà al più presto, dandovi così mie notizie che sino adesso sono ottime» 01/02/1944 Stalag IX C. «Carissimi genitori (…) sento della vostra ottima salute come vi posso assicurare di me al presente» 30/07/1944 Stalag XX A.
Insieme alla rassicurazione sulla propria condizione di salute, gli internati si augurano e sperano di ricevere dai familiari notizie al pari o migliori delle proprie.
«Carissima madre (…) io sto bene di salute come pure voglio sperare sia altrettanto di voi. Gino» 25/07/1944 Stalag XII D. «(…) vi assicuro il mio buono stato di salute come altrettanto auguro a voi tutti in famiglia» 01/06/1944 Stalag VIII B.
Talora qualcuno si lascia andare esprimendo con più sincerità e obiettività la propria situazione.
«Genitori cari la mia salute none più quella, spero almeno che sia ottima la vostra fatevi coraggio e non pensate a me (…) almeno Dio mi faccia la grazia a rivederci ancora una volta. Nunzio» 18/07/1944 Stalag VI D. «Mio caro Padre (…) voglio sperare dal Buon Dio che tutti state bene come fino al momento vi assicuro di me, altro non posso dirvi. Umberto» 08/02/1944 Stalag III B.
«Piccola mia, (…) mi trovo già da mesi rinchiuso tra filo spinoso pieno di passioni (…). Nino» 03/06/1944 Stalag I B.
“…da questo pianto capisco quanto vale un essere umano…”. |
Gli internati affidano alle lettere parole di incoraggiamento per i propri familiari … un incoraggiare per incoraggiarsi!
Un pensiero positivo per i propri genitori. |
«Cari genitori (…) state allegri e non pensate a me che io sto bene pensate alla vostra salute. Niente altro vi bacio. Orazio» 09/06/1944 Stalag IX C. «Carissima Ottavia, tranquillizzati a queste mie nuove. Sto bene (…). Vogliami bene!» 10/11/1943 Stalag 398. «Caro Padre (…) forza e coraggio che quasi stiamo per giungere al traguardo, anche questa volta vittoriosi!... (…). Angelo» 13/12/1944 Stalag XIII A.
Vittoriosi!... Si infonde coraggio pur nella consapevolezza dell’illusione e nell’incertezza del domani, come lasciano intendere i puntini di sospensione.
Giovannino Guareschi, nel suo diario di prigionia, scriveva: «Io non mi considero prigioniero, io mi considero combattente… Sono un combattente senz’armi, e senz’armi combatto. La battaglia è dura perché il pensiero dei miei lontani e indifesi, la fame, il freddo, la tubercolosi, la sporcizia, le pulci, i pidocchi, i disagi non sono meno micidiali delle palle di schioppo…Io servo la patria facendo la guardia alla mia dignità di italiano». (G. Guareschi, Il grande diario, Rizzoli 2008).
Gli IMI internati sono consapevoli delle situazioni in cui versano i propri familiari, in città spesso devastate dalla guerra e dai bombardamenti. Non ricevendo altre notizie, le lettere diventano anche un mezzo per essere messi al corrente di quanto accade nelle città di provenienza e in generale in Italia.
«Carissima madre (…) voglio sperare che tutto sia andato bene eppoi qui non si è sentito parlare delle Marche, solo quello che ho potuto sapere del porto di Ancona che è stato devastato. Gino» 25/07/1944 Stalag XII D. «Mary mia carissima (…) sto tanto in pensiero per voi per lo sviluppo della guerra in Italia. Ti penso con infinito affetto. Tuo Gigi»27/01/1944 Stalag VI C. «Mario carissimo (…) sono in attesa di tue notizie per poter sapere qualcosa, perché io sono allo scuro di tutto. Anche la Madonna d’Agosto è passata come giornata lavorativa, come tutti i Santi, Epifania e tante domeniche, mentre da voi tutta altra vita. Non è vero? (…) Che cè di nuovo? Fammi sapere un po’ di tutto. Che dicono di noi?» 20/08/1944 Stalag VI F.
«Che dicono di noi?» questo interrogativo racchiude in sé domande più ampie: che dicono del nostro sacrificio? Come siamo visti? Come traditori? L’Italia conosce la nostra situazione, i nostri stenti? Chissà quanti altri punti interrogativi si accalcavano alla mente, quante domande senza risposta...
I familiari fornivano informazioni sulle situazioni vissute in città: «Carissimo Tino (…) a Roma città la guerra non si è fatta sentire, è stata solo veduta che cosa è, poiché le truppe combattenti tanto le une che le altre l’hanno attraversata rispettandola (…). Coraggio Tino e forza, a tutto cercheremo per quanto possibile il miglior rimedio. Sogno il giorno che ti rivedrò in casa questo è quello che noi tutti vogliamo» 09/09/1944. «(…) La nostra vita trascorre abbastanza tranquilla anche se gli allarmi sono abbastanza frequenti (…) Tua cugina Elena» Torino, 26/08/1944.
Le lettere costituivano anche il mezzo privilegiato per avere notizie di come procedeva la vita nel quotidiano, i raccolti o la semina in campagna, nuove nascite o matrimoni in famiglia, quelle fiere e feste patronali cui un tempo si partecipava con piacere. Si nascondeva dietro queste richieste il desiderio forte di uscire mentalmente dalla realtà dei lager per ritornare alla vita di ogni giorno, alle abitudini ed alle tradizioni cui si era abituati e che scandivano il tempo. E nel contempo il dispiacere di non poter dare il proprio aiuto ai familiari.
Tanta era la voglia di tornare almeno con la mente alla vita quotidiana. |
«Carissimi tutti (…) fatemi un po sapere comè andato il raccolto come vi trovate del resto non prendetevela finirà questa è l’unica speranza. Michele» 30/07/1944 Stalag X A. «Carissimi genitori (…) apprendo che avete finito la mietitura chissà quanto lavoro vero! Giovanni» 30/07/1944 Stalag XX A. «Carissimi genitori (…) la campagna sarà molto bella (…) mi rincresce a non potervi aiutare ma state tranquilli (…) ditegli alla nonna che si faccia coraggio speriamo presto che tutto finisca così potremo ritornare alle nostre case. Aldo» 08/05/1944 Stalag VI G.
Da casa i familiari si dilungavano a raccontare episodi di vita quotidiana, nel duplice obiettivo di rassicurare i figli e di sfatare la paura del futuro.
«Carissimo figlio (…) la campagna è tutta seminata, sono nati due vitelle qui tutto è normale, tu non devi stare in pensiero per noi, perché qui la guerra sino ad oggi non la conosciamo, risentiamo solo la vostra lontananza, lavoriamo tranquillamente, attendendo il giorno che voi tutti ritornate a noi. Di Guido e Antonio non abbiamo notizie dal giorno dell’armistizio, speriamo che Iddio protegga anche loro; Vittorio cresce a vista d’occhio ed è la nostra consolazione (…). Ti mandiamo la nostra Santa Benedizione. I tuoi genitori» Aprilia 18/12/1943.
Grande era la voglia di sapere qual era la situazione, la sorte di altri compagni o parenti, di conoscere il futuro per mettere a tacere il dubbio che inevitabilmente si insinuava nella mente: si tornerà?
«…è rientrato qualcuno dalla Germania che era stato preso in Italia o nei Balcani? Piero» 05/01/1944 Stalag 319. «(…) Novità a Quarna, che cè di nuovo? Che dicono tutti i prigionieri quarnesi? Come sono capitati? Tutti bene o qualcuno anche male come me?» 18/09/1944 Stalag VI F. «A Grazzano come è la situazione? Ben pochi si troveranno a casa dei miei amici, vero?» 28/05/1944.
Le lettere erano un mezzo per ricevere informazioni, ma anche per darle, soprattutto relativamente a compaesani o compagni. Era pure un modo per riunire indirettamente le famiglie, per tranquillizzarle, per favorire uno scambio di notizie condividendo fisicamente ed emotivamente il momento particolare e, nello stesso tempo, consentire una organizzazione comune per la spedizione di pacchi.
«…Sono con Giovanni Carolino» Stalag XIII B. «…sono insieme a Pennini e Marronci…» 17/01/1944 Stalag III B. «Carissimi genitori (…) sono col mantovano che è venuto a casa nostra…Sergio» 15/11/1943 Stalag III B. «Funni non è più con me perché alla partenza da Tarnopol ci siamo divisi in cinque gruppi, nemmeno Airoldi di Zorlesco, però al nuovo campo ho trovato altri conoscenti perciò non me la passo male (…)» 05/01/1944 Cholm.
Tanti gli episodi di solidarietà. Condividere la stessa sorte porta a creare legami che si mantengono nel tempo, a consolidare amicizie già esistenti o a crearne di nuove sincere e fraterne. Si era disposti anche a “sacrificare” una lettera per aiutare un altro compagno. Nella lettera che segue, un internato chiede ai genitori la cortesia di recarsi dai familiari di un compagno, Dimitri, che da tempo non riceve notizie da casa per informarli del suo stato di salute. Come si può notare, oltre al nome, il segno di riconoscimento diventa il numero del prigioniero, numero che risulta tra parentesi.
«Cari genitori (…) con me si trova il signor Demitri (41665) abitante in via Luigi Pinto 4 Bari. Poiché non riceve posta ha pregato me di dirvi che abbiate la gentilezza di far presente a mezzo di lettera o andando personalmente che il loro figliolo sta bene in tutto e attende loro ansiose notizie. Dite che trovasi con me e che lavora da meccanico quotidianamente. Stiamo tranquilli. Le mie cose procedono bene e non attendo che il felice rimpatrio. Andrea» 30/05/1944 Stalag XX B.
Al momento dell’arresto, interi battaglioni, compagni e amici furono separati senza avere più notizie l’uno dell’altro, se non raramente. Significativo a tal proposito il caso di due fratelli gemelli, Romolo e Remo, entrambi appartenenti al Reggimento Chimico Lanciafiamme, catturati insieme l’8 settembre 1943 e divisi negli stalag e nella sorte. Di seguito il contenuto di una cartolina scritta da Remo alla madre datata 14/02/1944 ed inviata dallo Stalag VIII C.
«Cara mamma ti scrivo questa cartolina per farti sapere che ora stò benissimo come spero sia di voi tutti (…) oggi stesso ho ricevuto una cartolina da Romolo è mi dice che sta benissimo mangia come un maiale e dice che si è ingrassato ora mi dice che hanno terminato il lavoro del zucchero e ora fanno le pulizie nella fabbrica. Cara Mamma mi raccomando di stare contenta per noi perché ora sto benissimo è anche Romolo ti assicuro di stare contenta hai capito? Speriamo vederci presto». Remo, autore della lettera, morì il 1° luglio 1944 per Tbc contratta nel lager, mentre Romolo fece ritorno a casa il 26 gennaio 1946.
Tante lettere sono commoventi nella loro semplicità, nel loro contenuto carico di affetto ed emozione. Tra le più significative quella di un padre che risponde alla lettera ricevuta dalla figlia promossa in seconda classe e quella di incoraggiamento di una figlia che, come accade a tanti bambini con i padri in guerra, è privata della presenza del genitore proprio nel giorno del suo compleanno.
«Cara figlia ò ricevuto con gioia e commozione il primo tuo scritto immagina la mia felicità sapendoti così intelligente essendo promossa in II classe anch'io sto bene in salute come spero di te sorella e mamma, ò ricevuto il IV pacco col tabacco e viveri e immaginate quale soddisfazione e quale aiuto, aspetto gli altri. Bacioni a te sorella mamma e nonni. Tuo papà» 03/07/1944 Stalag VI A. «Caro babbo sono giunti un po’ in ritardo i tuoi auguri del mio compleanno ma sono stati da me molto graditi. Non dubitare cercherò di aiutare la mamma e di pregare per te. Cerca di vivere con speranza. Tua Rita» Ghiaretolo, 20/02/1944.
Dalle lettere scritte dai bambini emerge la percezione che essi hanno della guerra quando interrompe la quotidianità degli affetti e irrompe in un’età in cui è indispensabile la protezione e la cura degli adulti. Vittime indirette di una realtà complessa, nel loro immaginario talvolta i bambini, immersi in un clima di incertezza e trepidante attesa, sentono che il buon esito della guerra può dipendere anche da loro, dal loro piccolo contributo. Proprio per questo motivo assicurano preghiere e promettono di svolgere bene il proprio dovere a scuola e in famiglia.
«Mio caro babbino come vedi appena ò finito di imparare l’alfabeto ò pensato subito di scriverti una letterina e vorrei dirti tante cosine (…) io mamma e nonna stiamo tutte bene e così vorrei fosse di te che sei tanto lontano, io prego tanto la madonnina che ti faccia tornare presto da me che ò tanto desiderio di vederti e di darti tanti bacini. Tua figlia».
Le famiglie lontane in un’Italia in guerra diventavano, per gli IMI, fonte di preoccupazione per la salute e per le condizioni economiche spesso precarie. Tutto questo generava forti sensi di colpa per la lontananza e per la conseguente impossibilità di poter partecipare in maniera attiva. Dalla lontana Germania la mente corre alle famiglie: da qui la richiesta insistente di informazioni.
«Cara mamma (…) desidererei sapere molte cose ma non ho nemmeno il tempo di chiedertele ti chiederò solamente se prendi ancora il sussidio e se con quello che ti danno puoi vivere discretamente. Credi che mi preoccupi e non poco, se io sapessi che almeno tu te la passi bene, la mia prigionia non mi sarebbe tanto pesante. Coraggio mamma; tutto passerà. Settimo»09/05/1944. «(...) Tale cartolina te ne servirai per rivolgerti alle autorità civili e militari per avere uno stipendio o sussidio, dicendo che sono maresciallo di carriera con 20 anni di servizio fin dal 1° aprile del 1923. Da Verona ti spedii il 4 settembre un vaglia n. 86 di lire 2500. L’hai ricevuto? Gino» 02/12/1943.
«Mia cara Rosetta (…) comunicami qualche novità e dimmi se a te è stato assegnato qualche sussidio per poter vivere e se pari alla mamma per la mia posizione militare. Tuo Franco» 16/12/1943. «Carissima Sonia (…) dammi tue notizie se percepisci sussidio! Paolo» 01/01/1944 Stalag VI D. «Carissimi Genitori (…) poi mi fate sapere se avete ricevuto il vaglia di £1000 (…). Vostro figlio Antonio» 15/11/1943 Stalag XIII C.
Un tema ricorrente nelle lettere è la fede, che costituisce quella forza interiore per sopravvivere, la speranza per andare avanti e guardare al domani. Tanti internati invitano i genitori a pregare perché tutto finisca presto, tanti invocano il Buon Dio ringraziandoLo, o anche la Madonna e i Santi, chiedendo la loro protezione. I genitori mandano tramite lettera ai figli la loro Santa Benedizione o, a volte, sono i figli stessi che la chiedono. In molte lettere si legge solo la sigla “S.B.”, probabilmente per eludere la censura.
«Carissimi (…) Iddio mi continuerà a proteggermi come sempre. Non c’è da preoccuparsi. Peppino» 08/11/1943 Stalag XX A. «Cara mamma (…) abbiate pazienza e fiducia in Dio tutto finirà un giorno (…). Domenico»29/03/1944 Stalag III B. «Mia cara Rosetta cercate sempre a tenermi presente nelle vostre preghiere. Tuo Franco» 16/12/1943. «Miei cari genitori (…) spero Iddio possa proteggervi tutti fino alla fine e presto riabbracciarvi. Alfio»24/06/1944 Stalag VIII B.«…che Iddio assista le sue pecorelle smarrite (…). Andrea» 23/04/1944 Stalag XIII D. «Carissimi genitori vi chiedo la S.B.» 09/06/1944 Stalag IX C.
Una fotografia costituisce un ricordo da tenere gelosamente, un pezzo di famiglia da portare con sé. Come un profumo familiare evoca momenti particolari o il volto di una persona cara, così una vecchia foto riporta al passato, a rivivere attimi vissuti carichi di emotività.
«Carissimi (…) io sto sempre con la vostra foto in mano e guardandovi a lungo medito e mi sembra che ognuno di voi voglia parlarmi. Con affetto. Vostro aff. Antonio»03/09/1944. «Mia cara moglie (…) mandami una tua foto cuella della tua tesera se non cenai te la fai svilupare o pure una cuella che ti sei fatta con la veste lunga che sono sprovisto che la persi cuando mianno fatto prigioniero (…). Antonio» 22/08/1944 Stalag XI B. «Carissimi genitori (…) sono stato contento di avervi potuto vedervi in foto che state tutti due bene… Silvio» 10/07/1944 Stalag I A.
La maggior parte degli IMI era costituita da ragazzi poco più che ventenni che spesso scrivendo si lasciavano andare a nostalgie del passato e della famiglia lontana.
«Mia cara mamma (…) i giorni per me trascorrono lenti e malinconici poiché nella mia mente si agravano pensieri su pensieri ed illudendomi che il domani sia cuello il felice ritorno e rievocare giorni di felicità come nel tempo passato e ripeterti a voce di volere tanto tanto bene alla mammina cara. Comunque non pensare a me perché benché giovane già o provato una parte disagievole della vita, per cui ora non mi sento più il bambino di ieri ma altresì mi sento essere uomo e non trovarci difigoltà ad affrontare altri disaggi che possono incontrarsi davanti al mio cammino perciò mamma cara anche tu devi farti coraggio in modo che cuesti tristi e lunghi giorni di triste attesa ti passano presto e nel frattempo ad improvviso giunge cuel famoso domani onde il tuo Peppino potrà riabbracciarti (…) termino con la matita ma non col cuore. Peppino». «Carissima Mamma non mi stancherei mai di scrivere per sentirmi felice. Molte volte penso al bene che mi vuoi e desidero fare un presto ritorno se Dio vuole. Mamma cara sento tanto la lontananza che mi rattrista. Ernesto» 19/09/1944 Stalag XI B. «Carissimi (…) chissà quanti cambiamenti si saranno fatti durante la mia assenza è? Maria è brava vero? Bene, così gli porterò un bel regalo. Gino fa il bravo e ascolta papà che sono momenti poco belli. Se potete inviatemi una foto di tutti voi insieme. Bacioni a tutti e saluti a parenti e amici. Gianni»02/08/1944 Stalag VIG.
Una breve e significativa poesia di Tonino Guerra intitolata «La farfalla» rende bene l’idea delle privazioni subite dagli IMI:
Contento proprio contento
sono stato molte volte nella vita
ma più di tutte quando mi hanno liberato
in Germania
che mi sono messo a guardare una farfalla
senza la voglia di mangiarla.
La principale sofferenza patita dagli IMI, più che il lavoro forzato, è data dalla fame a causa delle scarse razioni di cibo, lontane dal fabbisogno quotidiano di un individuo, consistenti per lo più in una zuppa di rape, detta sbobba, e saltuariamente un po’ di pane di segale, margarina, un cucchiaio di marmellata, zucchero, patate, crauti crudi. Il tutto in dosi ridotte e accuratamente pesate, insufficienti. La fame provocò un deperimento fisico tale da fare scendere il peso medio a 35-40 Kg, mentre la carenza di vitamine e di proteine fu all’origine di una serie di malattie, soprattutto pleuriti e TBC, ma anche tifo esantematico; malattie che in molti casi portarono alla morte o al ricovero in infermeria dove il più delle volte però gli ufficiali medici italiani non potevano fornire alcuna cura perché sprovvisti di medicinali.
La razione di cibo era scarsa e accuratamente pesata. |
«(…) I nazisti si muovono su di un piano di apparente illogicità. Fanno lavorare gli internati dodici ore al giorno dando loro un cibo scarso, pretendono un lavoro proficuo e, se quelli non ce la fanno, ricorrono alla violenza, alla crudeltà, alle punizioni più atroci» (U. Dragoni, La scelta degli I.M.I., Casa Editrice Le Lettere, 1996).
Privi di qualunque assistenza anche della Croce Rossa perché non tutelati dalla Convenzione di Ginevra, l’unico sostegno degli IMI rimaneva l’invio di pacchi di generi alimentari dalle famiglie.
«Cara Agnese (…) oggi domenica ho mangiato molto bene col tuo riso e colle patate (…). Domenico» 02/07/1944 Stalag V A. Per ogni internato era possibile inviare due pacchi al mese del peso massimo di cinque chili, mediante appositi moduli forniti nei campi.
Esempio di cartolina con le istruzioni per la spedizione e l’imballaggio dei pacchi. |
«Agli internati vengono recapitati in tutto circa 523.000 pacchi per un totale di 2.600 tonnellate, di cui 1.800 di viveri, ma i destinatari sono solo 300.000, cioè meno della metà» (M. Avagliano, M. Palmieri, Gli Internati Militari Italiani Avagliano, Einaudi 2009).
La richiesta dei pacchi divenne via via sempre più insistente e ogni internato si premurava di specificare con accuratezza la modalità da seguire perché l’invio giungesse a buon fine.
«Mia cara Lucia (…) ti ò già spedito dei foglietti per avere un pacco da te. Se puoi deve essere 5 chili. Se puoi un po’ di tabacco un po’ di pane è non scrivere niente dentro se no non lo ricevo. Costantino»07/03/1944 Stalag VIII C. «Carissimi genitori (…) vi giungerà un modulo in cui potrete mandarmi qualche pacco badate che non deve essere più di cinque chili. Fate attenzione che sul modulo noterete il mio indirizzo onde cè un quadretto segnato con puntini questo dovete metterlo sul pacco sarebbe il mio indirizzo (…). Pietro» 16/12/1943 Stalag VII A. «Carissimo Padre (…) se fate pacchi non mettete iscritto dentro…» 16/01/1944 Stalag XB.
La voglia di descrivere apertamente la situazione di privazione cui si era sottoposti sicuramente era tanta ma non potendo farlo si ricorreva a mezze frasi come nel caso seguente: «Carissimi (…) mettete pasta (…) o molto bisogno credo che capirete forse, i denti sono quasi sempre a riposo qui. Ezio»25/04/1944 Stalag IV C.
Ciò che veniva chiesto era principalmente il pane, per lo più biscottato, per mantenersi più a lungo, scatolette di vario tipo, come latte in polvere, farina e poi indumenti (la temperatura, nel corso degli inverni 1943 e 1944, soprattutto in Polonia, sfiorò i 30° sotto lo zero), abbigliamento intimo e, talvolta, prodotti per l’igiene personale, come sapone o dentifricio. Qualcuno si premura di specificare ai familiari di non includere all’interno dei pacchi roba di valore ma solo da mangiare e da fumare.
«Carissima sposa (…) io ti ripeto sempre che sto molto bene però io ciò bisogno da mangiare io oggi che scrivo ti mando il modolo e mi mandi carzi fazzoletti 2 maglie pasta o biscotti o farina o pane basta. Damiano Michele»18/06/1944. «Carissimi genitori (…) se fate il pacco non dimenticate le sigarette. Tabacco e quanto necessario alla pulizia della persona. Guglielmo»24/12/1943 Stalag XX B. «Carissima sposa (…) ti prego se puoi anche te di mandarlo e poi anche robba da vestirmi fanelle e camicie e mutande, perché ne o molto di bisogno, come pure del fumare pure di quello ne o molto bisogno e robba da mangiare se puoi mandami anche farina di castagnaccio o di granturco pane quello che tu desideri di poter mandare una fetta di formaggio che ne o molto voglia. Tuo Romeo»29/05/1944. «Cara moglie (…) spediscimi un pacco, cinque chili, frutta secca, zucchero, lamette, cottone, una maglia è una mutanda, informati alla Posta. Gaetanino»07/11/1943 Stalag VI G.
Per comprendere quali conseguenze possa avere una privazione prolungata di cibo, l’università del Minnesota ha condotto una ricerca dalla quale si è evidenziato come tale situazione abbia ripercussioni sia a livello fisiologico che psicologico. Lo studio condotto su un campione di soggetti di età compresa tra i 22 ed i 33 anni, attraverso una simulazione laboratoristica di carestia, ha rilevato, da un punto di vista psicologico, modificazioni emotive e cognitive in termini di alterazioni della capacità di concentrazione, della vigilanza e della comprensione, insieme a manifestazioni depressive, isteriche e ipocondriache (Università del Minnesota: effetti comportamentali e psicologici della privazione di cibo, in www.cufrad.it).
Nelle lettere alle famiglie ricorreva spesso la richiesta di tabacco o sigarette in quanto venivano utilizzati come merce di scambio per ottenere una razione maggiore di pane o una camicia.
«Il problema della fame si fa particolarmente acuto per i soldati, perché costretti a lavorare nonostante lo scarso vettovagliamento ed essi per alleviare lo sfinimento, ricorrono al mercato nero. Anche questo rimedio è inefficace, perché hanno poche cose da cambiare: per mangiare si spogliano degli indumenti indispensabili, ottenendo un pane per un paio di mutande di lana, due pani per un pullover, un pane e mezzo per una camicia di flanella» (U. Dragoni, La scelta degli I.M.I., Casa Editrice Le Lettere, 1996].
Si può dire che la Seconda Guerra Mondiale sconvolse la vita civile di tutta la popolazione italiana. Anche nelle grandi città il cibo scarseggiava, il costo degli alimenti era aumentato per sostenere i costi della guerra. «Se mangi troppo derubi la patria» era lo slogan pubblicizzato dal regime per imporre restrizioni alimentari che diventavano sempre più rigorose. Fu introdotta la tessera annonaria che stabiliva il razionamento del cibo e che restò in vigore fino al 1949. Il razionamento variava in base alle fasce d’età, a tal fine le tessere avevano colori diversi: verde per i bambini fino a otto anni, azzurro dai nove ai diciotto anni e grigio per gli adulti.
La situazione variava tra campagne e città, chi viveva nelle campagne era più fortunato mentre nelle città si diffuse la borsa nera dove venivano acquistati a caro prezzo cibi che integravano le scarse razioni ottenute con le tessere.
Nel 1942, con il razionamento della Seconda guerra mondiale, l’alimentazione di un italiano adulto prevedeva:
200 gr. di pane al giorno
2 Kg di pasta al mese
1,8 Kg di riso al mese
800 gr. di patate ogni due settimane
80 gr. di carne bovina e 60 gr. di salumi a settimana
1 uovo ogni 15 giorni
500 gr. di olio al mese, in alternativa strutto o lardo
500 gr. di zucchero al mese.
L’alimento principale era il pane per lo più nero in quanto la farina di grano non era alla portata di tutti e l’uso di surrogati, come le farine d’orzo e di lenticchie, era piuttosto diffuso. Reperire alimenti fino a 5 chili per i pacchi da spedire agli IMI, in un paese in tali condizioni, non sempre era un’impresa facile, considerando anche le condizioni economiche precarie di molte famiglie. La richiesta di alimenti era espressa dai militari internati con estrema discrezione e gentilezza.
«Mia carissima Lina (…) ti spedisco modulo spedizione pacco senza fare sacrifici mandami qualche cosa. Enrico»09/05/1944 Stalag X B. «Carissimo papà e famiglia (…) vi invio due moduli per pacchi se avete la possibilità di mandarmi qualche cosa…Francesco» 20/02/1944 Stalag IV C.
«Caro babbo e tutti (…) vi mando due moduli per i pacchi, ma se incontrate difficoltà sia per la spesa, sia per trovare la roba, allora non importa perché io sto bene per mangiare e il resto. Giovanni»29/05/1944 Stalag VI J. «Cara Madre (…) per i pacchi, sempre secondo le vostre possibilità potete metterci tutto ciò che volete in maggioranza pane seccato al forno come lo ricevono tutti gli altri oppure farina di granturco o grano. Vostro devotissimo figlio Appio» 13/06/1944.
Da casa spesso arrivavano lettere cariche di rammarico per non poter esaudire le richieste sia per la difficoltà nel reperire i prodotti sia per la mancanza di autorizzazione ad inviare i pacchi.
«Caro cognato (…) spero avrai ricevuto il primo (…). Però non posso mandarti tutto quello che vuoi non trovando nulla. Quello che posso ti mando con tutto il cuore (…)» 22/05/1944 Inviata a Vito Stalag VI. In un’altra lettera della sorella Caterina del 21/06/1944 si legge: «Carissimo fratello (…) tengo proprio un dolore nel cuore pensando che mi chiedi un pacco è non e possibile poterti accontentare che non cè ordine ne per prigionieri né per borghesi se per caso ci sarà qualche nuova disposizione ti mando tutto (…)». «Caro figlio (…) tu mi chiedi un pacco che ai bisogno dei vestiti ecc. Caro figlio qui non ce nulla più nulla ora scrivo ai miei a Torino che forse la si trova così ti farò fare un pacco (…)» a Bruno 27/04/1944. «Caro Ciro (…) per il tabacco è molto difficile trovarlo, ma cercheremo di fare il meglio possibile»a Ciro Stalag XI B 20/04/1944.
Alcuni pacchi non giungevano a destinazione per disguidi postali o perché perduti o finiti in altre mani.
«Carissimo figlio (…) da quando sei in Germania ti abbiamo spedito tre pacchi e mi dici che ne ai ricevuto uno solo. Tuo Padre»26/04/1944.
Chi riceveva il pacco spesso nella lettera successiva ringraziava la famiglia elencando il contenuto del pacco, quasi a volerne una conferma, oppure per riassaporare insieme quel cibo tanto desiderato e probabilmente finito troppo velocemente.
«Cara mamma (…) ho ricevuto anche il pacco che contiene riso, scatolette, zucchero. O inviato un altro modulo per pacco, pane, farina, tabacco, fagioli. Carlo»19/06/1944 Stalag III B. «Genitori carissimi (…) una settimana fa ho ricevuto anche il pacco che mi ha fatto molto piacere, la quale vi era dentro il pane che era qualcosa di buono, la scatola di polvere per fare il latte, il riso ed il tabacco (…). Renzo» 28/05/1944. «Genitori (…) o avuto il secondo pacco (…) con i dentifrici e sigarette, il pane è migliore di quell’altro come durata, sempre uguale. Guido»09/05/1944 Stalag 326 (VI K).
Gli internati effettuavano una sorta di contabilità delle lettere e dei pacchi che ricevevano per avere conferma di non averne perso qualcuno, perdendo in tal modo informazioni importanti o alimenti necessari e a volte indispensabili per la sopravvivenza.
«Cara Mamma e Luisa (…) ora da voi ò ricevuto solo che due scritti una cartolina spedita 5-1-1944 e l’altra 4-2. Con questa lettera fatemi sapere quanti scriti avete ricevuti voi da me» 26/03/1944. «Carissimi genitori quindici giorni fa ho ricevuto le due cartoline e il quinto pacco (…). Giannetto»01/07/1944 Stalag X A. «Genitori carissimi (…) ho ricevuto altri 2 pacchi (…) tutti due contenevano pane e pasta e sigarette, posta non ne ò ricevuto più (…). Walter» 29/05/1944 Stalag III D.
Al di là del contenuto esplicito delle lettere, tra le righe è possibile scorgere il «non detto»: rivelazioni sussurrate, un vissuto di cui non è possibile parlare se non per cenni, per non incorrere nella censura.
«Cara Angiolina sono lieto di poterti dire che oggi essendo una bella giornata calda mi sono alzato. Mi sento un po’ debole, ma se tutto prosegue bene mi rimetterò presto. Sono un po’ magro ma roba da poco. Questa è la verità» 10/07/1944 Stalag XXA. «Cara sposa (…) le mie condizioni sono sempre le stesse si lavora e si mangia poco, lavoro a una miniera di carbone molto pericolo chisà che cosa ne succede speriamo sempre in bene» 24/08/1944. «Cara mamma (…) io sto sempre bene e lavoro al solito posto, non pensare nulla per me solo l’appetito è un po’ insistente (…). Domenico» 29/03/1944 Stalag III B. «Mia cara l’anno scorso in questo giorno parlare di un secondo Natale in prigionia era una bestemmia, oggi è dura realtà…! Ho davanti agli occhi la tua fotografia, in essa vedo con gioia infinita il passato e l’avvenire- il presente non fa parte del tempo…! Giuliano Natale» 1944 Stalag VII A. «Mia amata mamma (…) qui sempre la solita vita, immagina lei quello che attendiamo tutti i giorni. Antonio» 01/05/1944.
Alcune lettere, le più veritiere, fornivano informazioni più dettagliate della vita e dello stato d’animo all’interno degli stalag, a cuore aperto, al di là di ogni censura.
«Mia cara Rosetta (…) sperate affinché ricompare il sole per riscaldarci. Tuo Franco» 16/12/1943. «Miei cari (…) come già saprete io mi trovo prigioniero in Germania dove si lavora tutti i giorni dalle 6 alle 17, vorrei augurarmi che questa vita abbia presto fine per potervi riabbracciare e non lasciarvi mai più, questo è il mio desiderio. Pregate Iddio per me (…). Francesco» 24/01/1944 Stalag VI F. «Cara Rosa (…) qui la solita vita e si vive nella speranza di presto ritornare in famiglia e di ricevere dei pacchi. Non ho altro. Fernando»05/03/1944 Stalag VI D. In un’altra lettera del 2/05/1944 scrive: «Carissima Rosa (…) qui la solita vita. Lavoro e reticolato. Faccio il manovale di muratore. Vedi che bel mestiere!..Sono passaggi della vita!». (Ferdinando era maresciallo dei carabinieri).
Nell’estate 1944 gli IMI diventano lavoratori civili, un cambiamento di terminologia, ma non di condizioni di vita. A partire da questo momento è possibile inviare e ricevere posta ordinaria, ugualmente però soggetta a stretto controllo.
Cartolina per comunicare il cambiamento di condizione da IMI a lavoratori civili. |
«Mario Carissimo (…) ora siamo civili, ma il trattamento si può dire che è uguale con i borghesi sai siamo odiati, le sentinelle con ce le abbiamo più ma cè il poliziotto che ci viene a fare l’appello alle 10 di sera e alla sveglia al mattino alle 5. Qua siamo un lager di 130 italiani e circa 400 russi che lavoriamo nell’officina assieme poi in paese ce ne di tutti le sorti uomini e donne prigionieri (…). Dalle nostre parti siamo solo tre Piemontesi uno da Cuneo e uno della provincia di Vercelli e un milanese che è il mio intimo amico che fa da interprete (…)» Italo 18/09/1944 Stalag VI F.
Capire dalle poche righe che arrivavano quale fosse effettivamente la realtà degli IMI non era semplice, molti familiari manifestavano apertamente le loro perplessità chiedendo chiarimenti sulle condizioni lavorative e di vita, sulla salute o anche conferme sui sentimenti di un tempo minacciati dalla lontananza!
«Carissimo figlio (…) dicci ove ti trovi, lavori?» a Bruno Stalag XVIII A 06/02/1944. «Caro marito (…) abbiamo saputo per mezzo del’aradio che non siete più prigionieri che siete tutti operai fammi sapere qualche cosa e dimmi che lavoro fai» a Mario 06/09/1944. «Mio carissimo marito (…) alla tua risposta spiegami qualche cosa di più. Tua moglie Masina». «Carissimo Tino (…) dalla radio sentiamo che gli internati sono stati liberati se è vero come è la tua situazione?» a Tino 09/09/1944. «Caro Beppino (…) o sentito che ti trovi a lavorare in una cava di pietra ma cosa vuoi fare abbi pazienza (…). Tuo papà».
Dinanzi a queste domande gli internati cercavano di dare una risposta nei limiti di quanto fosse loro consentito.
«Mia cara Teresa (…) vuoi sapere che servizio faccio, la guardia (…). È vero che abbiamo un grande distacco che ci separa, ma col pensiero ti son sempre vicino (…). Zoilo» 14/05/1944 Stalag III D. «Ida cara (…) stai tranquilla che io sto bene lavoro da Muratore o molto pensiero di voi. Tuo Vittorio»18/12/1943 Stalag XVIII A. «Cara Rita (…) io non posso dirti nulla solo che lavoro (…). Tuo Giù»18/07/1944Stalag XII F. «Carissimi, veramente ho poco da dirvi, la vita qui è sempre la stessa, faccio il solito lavoro come vi ho detto nelle altre lettere, diventerò ottimo meccanico, propriamente “fresatore” perché la macchina dove lavoro si chiama “frese” alla quale mi sono affezzionato tanto. Nino» 22/06/1944 Stalag X A. «Carissimi Genitori (…) sono sempre al solito lavoro cioè alla riparazione vagoni, e quando c’è pacchi si va avanti bene (…) ho preso sei pacchi tutti quelli che avete fatto e vi posso assicurare che quelli sono stati sei giorni che ricordo (si fa festa). Giovanni» 30/07/1944 Stalag XX A.
L’attesa del «felice rimpatrio», del «benedetto giorno» del ritorno a casa è la meta tanto agognata da cui non si può distogliere il pensiero e lo sguardo.
«Concetta cara (…) speriamo che presto venga il bel giorno (…). Dante»23/05/1944 Stalag II A. «Mary mia carissima (…) ti penso sempre con infinito affetto in attesa del benedetto giorno in cui ci riabbracceremo. Tuo Gigi» 27/01/1944 Stalag VI C. «Carissimi genitori (…) non ho altro da dirvi. Attendiamo…attendiamo…per poterci riabbracciare (…). Vostro figlio Alessandro»23/05/1944 Stalag X A. «Cara Aldina (…) verrà anche il giorno del nostro ritorno che allora saremo felici. Enrico»13/03/1944 Stalag XII A.
Anche le famiglie attendono con ansia il rimpatrio.
«Caro figlio (…) speriamo abbia fine presto e che tutti si vivi insieme contenti come il passato (…) non pensare mai al male pensa solo al bello null’altro (…). La Pasqua come l’hai trascorsa? Questa sarà senz’altro l’ultima che si farà lontano una da laltro» 07/04/1945.
Per conservare la memoria degli spostamenti cui erano soggetti gli internati, qualcuno annotava su un foglio le denominazioni degli stalag.
Elenco di stalag per non dimenticare. |
Finalmente a partire dalla primavera del 1945 iniziano ad arrivare le lettere che tutti i familiari attendevano da tempo e che annunciavano l’imminente rimpatrio dei prigionieri.
Esempio di cartolina che tutte le famiglie attendevano con ansia. |
A conclusione di questo «viaggio» nel vissuto degli IMI vengono riportati di seguito brevi commenti rilasciati da alunni del Liceo Classico Orazio di Roma alla lettura di alcune lettere.
«Lettere attualissime. Alcune molto commoventi. Fa impressione pensare che sono ragazzi come noi. Non so se avrei avuto la forza di continuare a sperare, nella loro condizione. Mi chiedo cosa avrei scritto ai miei genitori avendo quelle poche righe» Elisa. «Lettere davvero toccanti, commoventi. Ho potuto sentire in me un senso di vuoto e tristezza probabilmente simili a quello dei familiari» Lucrezia. «Mi vengono in mente le difficili condizioni di vita degli IMI e la tristezza dovuta alla lontananza dalla loro cara famiglia. Penso che alcune di queste siano bellissime ed è un peccato che oggi si sia persa la tradizione di scambiarsi lettere e cartoline» Raffaella.
Oggi il tempo è diventato una merce rara, la fretta consente raramente alcune letture, il soffermarsi su materiali del genere: materiali per altro estremamente significativi, che vale la pena sottrarre all’oblio.
Bibliografia
M. Acierno, Prigioniero numero 50860, Manni Editore, 2010.
M. Avagliano, M. Palmieri, Gli internati militari italiani diari e lettere dai lager nazisti 1943-1945, Einaudi, 2009.
G. Guareschi, Il grande diario, Rizzoli, 2008.
U. Dragoni, La scelta degli I.M.I., Casa Editrice Le Lettere, 1996.
Università del Minnesota: effetti comportamentali e psicologici della privazione di cibo, in www.cufrad.it.
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