Movimento umanistico e relazione d'aiuto: verso una sensibilità collettiva
Cecilia Edelstein (sous la direction de)
M@gm@ vol.15 n.2 Mai-Août 2017
LA COLONNA VERTEBRALE
Cecilia Edelstein
cecilia@shinui.it
Presidente CIPRA – Coordinamento Italiano Professionisti della Relazione d’Aiuto (www.cipraweb.it), fondatrice e presidente Shinui – Centro di Consulenza sulla Relazione (www.shinui.it), è psicologa, counselor, mediatrice familiare, social worker e family therapist. Si è formata in Israele e Italia; specializzata in vari orientamenti sistemici con i pionieri della terapia della famiglia (in ordine cronologico: Fish, Minuchin, Boscolo e Cecchin), ha sviluppato un modello teorico e metodologico chiamato “Sistemico Pluralista”, che include diversi approcci sistemici.
Doppio sogno - Nicoletta Freti |
Il numero monografico nasce dal desiderio, all’interno del mondo delle professioni della relazione d’aiuto, di dare rilievo alle scienze umane e sociali, considerate “scienze deboli”, non per contrapporci nei confronti delle scienze naturali e della ricerca quantitativa, bensì per porci in posizione complementare, laddove la ricerca qualitativa, la ricerca intervento, la documentazione e le testimonianze diventano indispensabili. Il CIPRA – Coordinamento Italiano Professionisti della Relazione d’Aiuto – rappresenta un movimento umanistico pluralista e cosmopolita e gli autori di questa pubblicazione ne fanno parte.
Il volume ha l’obiettivo di esporre una panoramica della complessa realtà italiana in materia, sia attraverso un excursus storico e giuridico sia tramite il contributo di più voci, talvolta discordanti, riguardo ciò che accomuna la relazione d’aiuto e ciò che distingue i confini, ma anche riguardo cosa si intende per un nuovo movimento umanistico. La base comune, insieme all’individuazione e alla valorizzazione delle differenze, all’interno di un dibattito, non può che essere una ricchezza: la pluralità produce cultura, scambio, benessere, agio, coscienza collettiva, sensibilità collettiva, quest’ultima intesa come condivisione di valori etici e sociali tanto da parte dei professionisti quanto dei cittadini, mettendo al centro la persona e la qualità della relazione professionale, con coscienza, consapevolezza, conoscenza e coerenza.
Cecilia Edelstein, curatrice del volume e attuale presidente del CIPRA e presidente di Shinui – Centro di Consulenza sulla Relazione (www.shinui.it), apre questo numero introducendo il movimento umanistico emergente, a partire da Basaglia, con una riflessione in chiusura sulle ricadute odierne, presentando il CIPRA con i suoi obiettivi, descrivendone attività e impegno sia culturale che politico professionale.
Il volume viene suddiviso poi in tre parti: una prima parte è dedicata al panorama storico giuridico della psicologia in Italia; la seconda parte, più corposa, accoglie articoli scientifici sul movimento umanistico da parte di personaggi autorevoli ed è caratterizzata da una relativa omogeneità di profili professionali e da un’eterogeneità di sguardi e pareri. Infatti, viene intitolata “Pluriverso umanistico”. La terza e ultima parte, “Testimonanze”, più snella, introduce l’eterogeneità professionale – non esaustiva e solo a titolo esemplificativo; è scritta in prima persona e contiene narrazioni sul vissuto personale all’interno della propria pratica.
Nella prima parte sulla panoramica storico-giuridica, Rolando Ciofi, fondatore e presidente del MoPI (Movimento Psicologi Indipendenti, www.mopi.it), illustra la storia degli ultimi trent’anni della psicologia e dello sviluppo delle professioni della relazione d’aiuto nel nostro paese. Con estrema cura, anello dopo anello, Ciofi costruisce una catena che inizia negli anni Ottanta e ci consente di contestualizzare la situazione odierna e di identificare i punti nevralgici che necessitano di intervento e cambiamento perché i conflitti si trasformino in collaborazioni proficue. Da psicologo ed essendosi sempre occupato della psicologia, è questo il punto di vista che adotta nel suo articolo, in maniera critica ma al contempo aperta e analitica, tracciando spazi dialogici.
Ciofi illustra la panoramica legislativa e normativa commentandola e arricchendo il suo articolo di piccole e grandi osservazioni o esperienze, frutto dell’aver vissuto in primo piano la scena italiana della psicologia in tutti questi anni, come protagonista anche scomodo: anticonformista, non si è mai prestato ai giochi di potere e, lungimirante, è sempre stato coerente con le sue posizioni e preparato ad accogliere le novità che in maggior o minor misura aveva previsto. In questo articolo, Ciofi non si limita a illustrare e commentare l’aspetto legislativo; aggiunge dal suo punto di vista le dinamiche dei diversi movimenti, delle corporazioni, degli enti e delle associazioni, tutti attori di uno scenario alquanto kafkiano, ma non senza speranza. Infine, non ci risparmia cenni sugli aspetti scientifici e culturali, che non possono in questo contributo essere scorporati dal resto.
Anna Barracco, membro dell’attuale direttivo e già presidente del CIPRA nel primo Consiglio nazionale, è la colonna portante del progetto, da prima che nascesse. Da sempre impegnata in politica professionale, per anni e anni è stata consigliere dell’Ordine degli Psicologi regionale della Lombardia. Con una base di studi umanistici in Scienze Politiche, è poi diventata psicoanalista lacaniana e ha intrecciato i due. Barracco ha sempre lottato per un mondo professionale migliore, per una contaminazione fra operatori in uno scenario idealmente liberale nonché democratico, vale a dire, dove i cittadini possano liberamente e consapevolmente scegliere da chi andare, dove i professionisti si propongano con le loro capacità; vorrebbe, inoltre, vedere un regime democratico che coinvolga la comunità dei colleghi in un contesto dove tutti siano consapevoli e tutti possano esprimersi. L’azione di controllo dell’istituzione non deve far tacere, non deve impaurire, ma deve essere al servizio dei professionisti e dell’intera cittadinanza. Gli psicologi potrebbero cogliere un’opportunità splendida: coordinare tutta l’aria psicologica nell’ambito della relazione d’aiuto, in modo inclusivo e accogliente.
In questa sede, Barracco ci illustra la Legge 4/2013, quella del regime associazionista, diverso da quello corporativo degli Ordini professionali, più vicino all’Europa, più democratico e dinamico e ci delinea i suoi punti di forza nella realtà odierna, così come le sue criticità. La spinta finale a creare il CIPRA era stata, a suo tempo, dettata dall’entusiasmo nato al momento dell’entrata in vigore di una legge tanto ambita e attesa: una legge che sembrava avesse permesso al mondo della relazione d’aiuto di esistere, di diventare fecondo e pluralista. Quattro anni dopo, Barracco non si ferma qui: nel suo articolo dimostra come, in fondo, la 56/1989 (la legge ordinistica) e la 4/2013 (quella accreditatoria), apparentemente lontane e contrapposte, hanno invece una base in comune e traccia così le fondamenta per un dialogo produttivo fra ordini e associazioni professionali, fra psicologi e professioni affini, delineando un futuro possibile ancora inedito e descritto nel suo contributo in maniera concreta.
La seconda parte del volume, intitolata “Pluriverso umanistico”, contiene cinque contributi con punti di vista e posizioni diverse, talvolta complementari, altre in contrasto; sono tutti psicoterapeuti di orientamento più o meno vicino o lontano che, come in una danza, dialogano e discutono fra di loro sulla visione e il posizionamento del movimento umanistico, proponendo letture diverse. La scelta di inserire in questa parte soltanto psicoterapeuti è sicuramente dettata dall’autorevolezza degli autori, indipendentemente dalla loro professione, ma anche dal fatto che, come psicoterapeuti o psicoanalisti con formazione medica – medico, psichiatra, neuropsichiatra – rappresentano quelle figure che storicamente in Italia svolgevano la pratica psicoterapeutica vivendo in prima persona, come professionisti già affermati, il periodo della chiusura dei manicomi, quello del riconoscimento della figura dello psicologo e con esso l’entrata della professione nell’ambito sanitario e, infine, il faticoso approdo delle professioni “affini”; fanno tutti parte del CIPRA e le loro posizioni sono in qualche modo il punto di partenza con cui il movimento oggi si confronta.
Apre la sezione Tullio Carere-Comes, psichiatra e psicoanalista, fondatore della Dià - Associazione Dialogico-Dialettica e direttore della Scuola di cura di sé di Bergamo (www.cyberpsych.org), che lotta da anni talvolta per fermare, sovente per affermare, il contrasto fra il settore sanitario e quello sociale e umanistico, individuando le specificità di ciascuno e soprattutto approfondendo il secondo, valorizzando il suo potenziale e la sua forza. Carere-Comes definisce i percorsi di aiuto in ambito umanistico “dialogici-processuali”, dentro una ricerca fenomenologica, all’interno di una relazione dove il ricercatore clinico è uno scienziato che, nel corso del processo di cura, trasforma ciò che emerge in ipotesi interpretative, messe continuamente alla prova esperienziale del processo stesso, a differenza di quelli “diagnostico-procedurali”, di carattere sanitario, legati alla scienza empirica e al modello medico, tesi a costruire teorie, a validarle, protocollando le terapie per poi verificarle sperimentalmente. Questa modalità viene, secondo Carere-Comes, applicata da numerosi psicoterapeuti per la cura dei disturbi psichici, dove i trattamenti vengono prescritti. L’autore privilegia e sceglie la pratica dello psicheterapeuta (da psyché),quello dialogico-processuale, che descrive i territori esplorati – e non prescrive – dentro un paradigma fenomenologico ed ermeneutico dove l’uomo, la sua anima e la psiche sono al centro. L’analisi di Carere-Comes si basa sulla psicoanalisi, vista da lui come una scienza umana strettamente connessa al soggetto e priva di verità assolute. È in questo modo che possiamo restituire la dignità all’approccio umanistico, trovando le radici socratiche e consegnando i processi di care (del prendersi cura, e non di “cura”) a professionisti che non siano necessariamente medici o psicologi.
Indubbiamente interessante l’analisi di Carere-Comes, per molti versi provocatoria, in una realtà dove la cura della psiche è consegnata esclusivamente a medici e psicologi e dove il disagio psichico è diventato negli ultimi trent’anni appannaggio del settore sanitario; dona chiarezza e restituisce consapevolezza ai clinici, da entrambe le parti. Un unico rischio, a mio avviso: quello di creare processi paralleli cristallizzati, senza la possibilità di costruire ponti e dialoghi fra i due paradigmi, sfociando così in spaccature e dicotomie. Come potrebbe il clinico che si trova da una delle due parti fidarsi dell’altro, che si basa su un altro paradigma, se la validità non viene reciprocamente riconosciuta? In questa cornice, contaminarsi non sembra possibile, appare dannoso o quanto meno pericoloso. Un movimento umanistico deve dialogare non solo con i simili, ma soprattutto con la diversità. Solo così la comunicazione potrà diventare pluralista e “cosmopolita”, anziché “etnocentrica” (nell’accezione di Pearce, la comunicazione cosmopolita richiede due competenze di fondo: un’ampia autonomia personale rispetto ai riferimenti di gruppo e la capacità di rispettare le proprie e altrui risorse, in un processo di continuo scambio. La comunicazione etnocentrica, invece, propone l’antica distinzione tra nativi e non nativi, creando un “Noi” e un “Loro” e la percezione di un rischio nel parlare con “Loro”, apparentemente privi di risorse).
Quasi a rispondere al contributo precedente, Paolo Migone, psichiatra e psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico e condirettore della “antica” e pregiata rivista Psicoterapia e Scienze Umane (www.psicoterapiaescienzeumane.it), si addentra nel dibattito sull’efficacia degli agenti terapeutici e della complessa tematica dei fattori curativi nei processi professionali della relazione d’aiuto, basandosi soprattutto sulle ricerche empiriche fatte anche da clinici. Anch’egli prende come punto di riferimento la psicoanalisi, evidenziando come questa scelta sia un’azione dettata non tanto da una formazione personale quanto dal fatto che, dopo l’ipnosi, la psicoanalisi sia stata la prima importante forma di psicoterapia sviluppata nel mondo occidentale, ma del tutto traducibile in altri approcci e in tante altre professioni della relazione di aiuto, nel senso che può servire come esempio di un complesso percorso già fatto e dei dibattiti che sono avvenuti. Migone ambisce quindi a tessere una rete che copra l’intero territorio, inglobando nel discorso i counselor, i mediatori familiari, gli insegnanti di sostegno, i pedagogisti clinici, gli educatori professionali, ecc. Non solo: ci tiene a integrare in maniera armoniosa i diversi funzionamenti dell’essere umano, come quello cognitivo e quello emotivo. Altresì importanti per lui sono i fattori ambientali e sociali. L’autore intraprende un’azione eroica, quella di tracciare linee “pulite” all’interno di un magma che esige uno sguardo d’insieme, tuttavia sapendo dissociare le componenti nei contesti che lo richiedono, attraverso gli studi effettuati.
Con delicatezza, seguendo un percorso storico scrupolosamente documentato, Migone ci dimostra come e quanto, da sempre, siano i fattori personali e affettivi della relazione terapeutica a demarcare la differenza e a incidere sull’efficacia dei processi di aiuto. Per validare tale tesi, l’autore si avvale di una serie di ricerche empiriche, svolte anche da clinici, talvolta addirittura collegando l’ambito di studio del clinico/ricercatore alla sua biografia personale, mostrando così non solo rispetto per la ricerca scientifica, ma creando un valido ponte tra ricerca, clinica e “umanesimo”: dal suo articolo si può ricavare l’importanza della dimensione scientifica all’interno delle scienze umane che, nello scenario odierno, può e deve far parte di un movimento umanistico autorevole.
Un’unica aggiunta all’inestimabile valore di questo raro contributo di Migone: nella complessità odierna delle professioni d’aiuto, la preziosa variabile relazionale – così fondamentale – non può, a mio avviso, svincolarsi da quella relativa alla professione; ogni professione deve riconoscere una matrice metodologica comune, deve dare una risposta a ogni specifica domanda e il professionista dovrebbe porsi in maniera diversa di fronte alla domanda, a seconda della sua professione. Come corollario, un certo tipo di domanda può avere risposta in alcuni tipi di professione e non in tutte. Inoltre, definire un orientamento teorico non equivale a definire una competenza professionale, seppur professionisti diversi che si riferiscono allo stesso approccio teorico condividono abilità e strumenti acquisiti in percorsi di formazione simili.
Riccardo Zerbetto, neuropsichiatra e psicoterapeuta gestaltico, direttore del Centro Studi della Gestalt (www.cstg.it) e della neonata rivista Monografie di Gestalt. Psicoterapia fra Scienza e Arte, nel suo contributo a questo volume, con uno sguardo ampio e olistico – come d’altronde è la sua formazione – dopo aver esplorato l’aspetto etologico che afferma l’universalità del bisogno di cura e del comportamento accuditivo degli esseri umani e di molti altri animali, poiché a suo avviso l’esigenza di definire confini e criteri fra le professioni urge, risponde al quesito precedente, delineando i fattori da considerare per distinguere le caratteristiche delle professioni, elencandone le competenze. Zerbetto quindi sembra porsi in posizione complementare all’articolo di Migone, allargando nella direzione che sembra completare il discorso dell’efficacia. L’autore porta l’esempio della psicoterapia, essendo stato presidente della EAP (European Association for Psychotherapy) e iniziatore (ora socio onorario) della FIAP (Federazione Italiana delle Associazioni di Psicoterapia), all’interno della quale questa sfida è stata lanciata adattando al contesto italiano un documento europeo riguardante le competenze di base dello psicoterapeuta; egli elenca dieci punti che, secondo la sua analisi, rappresentano gli elementi costitutivi della psicoterapia, forse la più strutturata delle professioni di aiuto ma che, in prospettiva, andrebbero ritagliati anche sulle altre professioni che a questa si sono andate affiancando. In questa prospettiva, auspica che tale impegno venga catalizzato e assunto come obiettivo dal CIPRA non solo all’interno delle singole professioni, ma anche fra le professioni, al fine di delineare meglio le caratteristiche distintive, i limiti e le potenzialità, in un’ottica di coesistenza e complementarietà di competenze. L’articolo non risparmia critiche al regime italiano attuale, nel quale la psicologia si propone di svolgere un ruolo insostenibilmente “monopolistico” volendo coprire tutte le competenze che in qualche modo hanno attinenza con la dimensione della “psiche” che, non dimentichiamolo, viene spesso tradotta come “anima”. Zerbetto traccia linee guida per una fase più evoluta delle professioni di aiuto nella quale poter “mappare” le stesse in vista di processi che ne valorizzino maggiormente la complementarietà e l’integrazione funzionale e meno la competizione conflittuale su territori di dubbia o condivisa appartenenza.
Cogliendo la proposta dell’autore, sollevo un interrogativo legato alla modalità con cui sarebbe possibile, nella definizione delle competenze, considerare i numerosissimi orientamenti che, fra di loro, determinano enormi differenze. Immagino quindi un asse verticale, dove disporre le varie professioni, e uno orizzontale, dove elencare gli approcci teorici e, forse, solo intersecando le aree si potrebbe ottenere una mappa orientativa.
Pier Luigi Lattuada, medico e psicoterapeuta a orientamento transpersonale (www.pierluigilattuada.com), direttore della Scuola di Formazione in Psicoterapia Transpersonale e co-vicepresidente di Eurotas (European Transpersonal Association), lancia l’idea di educare verso un “nuovo rinascimento umanistico” tracciando le “linee guida” di tale impresa. Nell’articolo, esclusivamente teorico, senza ordine cronologico Lattuada spazia dalla Psyché degli antichi greci, concepita come fenomeno integrale e complesso, soggetto dell’esperienza, fino ai giorni d’oggi, gettando uno sguardo sulla nostra società contemporanea e globalizzata. L’autore propone di passare da una cultura del dominio a una cultura della condivisione, da una individualista a una collettiva e transpersonale, dal paradigma della ragione a quello della consapevolezza: propone, in maniera articolata, cosa implica andare verso un nuovo umanesimo consapevole, dove l’educazione e il rinascimento siano intimamente connessi e dove Oriente e Occidente siano uniti da un continuum in equilibrio, dove mente e corpo siano integrati. Contributo utopico, ispiratore, denso, in cui osa utilizzare un termine – “rinascimento” – che evoca uno spettro della storia della psicoanalisi italiana. Il nuovo rinascimento, come inteso dall’autore, racchiude in sé una parte del sogno del movimento umanistico del CIPRA: parafrasando Rilke e aggiungendo parole sue, Lattuada afferma che «“Essere spietati abbastanza” significa esercitare l’attenzione alla consapevolezza e la responsabilità ad agire di conseguenza».
Massimo Soldati, membro del direttivo del CIPRA dalla nascita dell’associazione a oggi, è psicologo e psicoterapeuta, ha da sempre lavorato col corpo, sia nella relazione d’aiuto che in formazione, sia nell’ambito delle terapie ortodosse, umanistiche e naturali che attraverso contatti diretti con le culture orientali; ha sviluppato, proseguendo gli studi di Jack W. Painter, un proprio approccio psicoterapeutico, quello dell’Integrazione Posturale Transpersonale (www.integrazioneposturale.it).
Nel suo contributo, che chiude la parte più corposa del volume, Soldati ci aiuta a posare gli occhi, la mente e il cuore su ciò che è stato spesso dimenticato: il corpo. Il corpo che, oggi, per alcuni versi rappresenta un oggetto estraneo (per via della scarsa capacità di ascolto di esso, della mancanza di consapevolezza della sua struttura o di sintonizzazione con l’aspetto sensomotorio) e, per altri, è stato violentato, venduto, esteriorizzato in un processo di “iperinvestimento” nell’apparire. Dopo fiumi e torrenti di parole, con la mente sazia, Soldati chiude questa parte del volume donandoci il corpo, il senso, il silenzio. L’autore propone un’integrazione tra mente e corpo che ci connetta con il linguaggio non verbale, con il respiro e con le emozioni; parla della sofferenza del corpo, della somatizzazione legata allo stress e ai traumi subiti, per arrivare al concetto di benessere.
Come movimento umanistico, il CIPRA ha sempre posto attenzione alla dimensione corporea, già accennata da Lattuada; Soldati usa la lente d’ingrandimento per esaminare meglio la dimensione corporea e poi la butta, per avere una visione d’insieme. È questo un articolo che fa da ponte tra il sapere e il saper fare, un contributo che attinge alla consapevolezza della propria postura, del proprio respiro e del proprio corpo, per ascoltare, per riuscire a sintonizzarsi con l’altro/a e per sopravvivere a un lavoro spesso doloroso, accompagnato da tempeste emotive, senza assorbire le sofferenze altrui.
La terza e ultima parte del volume ci consente di traghettare dal sapere al saper fare, attraverso l’esperienza di alcune colleghe di diverse professioni (nefrologa e medico ospedaliero, mediatrice familiare, counselor - ideatrice di una modalità di scrittura autobiografica - e psicoanalista). Non si tratta di articoli scientifici, bensì di narrazioni passionali. In maniera non intenzionale, il volume è marcato dalla variabile del genere e non credo sia un caso: la parte scientifica e teorica, legata al sapere, è quasi tutta in mano agli uomini; quella esperienziale, interamente alle donne.
I contributi in questa parte sono brevi, scritti in prima persona, appositamente non hanno riferimenti bibliografici, parlano di sé.
Marina Foramitti apre la sezione raccontando, con un ritmo serrato e incalzante, come le sue attività ruotino attorno al tempo: un tempo che manca (a lei e ai suoi pazienti), un tempo che a volte si vorrebbe fermare per allontanare la morte, un tempo tecnico professionale che non combacia con quello istituzionale e nemmeno con quello relazionale. Nel suo racconto descrittivo, pieno di pathos, Foramitti porta il lettore dentro l’attività ambulatoriale, dentro la metodica di depurazione del sangue (dei pazienti dializzati) e dentro l’ambulatorio di onco-nefrologia al contempo; ci si chiede come la stessa persona possa svolgere tutte e tre le mansioni, soprattutto con l’umanità e l’attenzione al singolo che l’autrice dona ai pazienti e colleghi, in ogni passaggio di questo contributo; ma principalmente emerge, a mio avviso, come la dimensione tecnica e quella relazione siano due elementi inscindibili.
Tiziana Mantovani riporta il tema del ritmo, questa volta di quello emotivo legato alla morte di un amore, descrivendolo attraverso la danza del flamenco – di cui è esperta – posizionandoci dentro la stanza dove si svolgono i colloqui di mediazione familiare. In un breve scritto, quasi come in un canto, Mantovani elenca gli elementi che, nel suo vissuto, distinguono la pratica della mediazione non senza metafore, che si traducono in azioni concrete.
Sonia Scarpante racconta come la scrittura autobiografica l’abbia aiutata a superare una dura fase personale: durante una crisi matrimoniale, a seguito della quale ha contratto un cancro al seno, Scarpante sviluppa il metodo della “scrittura terapeutica” trasformandolo in un vero e proprio strumento di guarigione, fisica e dell’anima, in un lavoro poi, abbandonando così la professione di architetto e diventando counselor, dopo una specifica formazione triennale (www.lacuradise.it).
Chiude questa sezione e l’intero volume Anna Barracco, narrando un’esperienza che, a differenza del suo primo contributo in questo volume, non ha nulla a che fare con la politica professionale: dall’ultima consiliatura, avendo raggiunto il massimo degli anni consentito e quindi uscendone, si è dedicata più che mai alla cultura professionale, in linea con i suoi ideali, spaziando per esperienze diverse, dove forse il comune denominatore è l’ascolto di se stessa e degli altri, dove gli altri sono plurali e si incontrano. L’autrice descrive un’esperienza formativa, esperienziale e sperimentale rivolta perlopiù a insegnanti, volutamente interdisciplinare e, dal suo punto di vista, psicoanalitico; ritrova la possibilità di creare un dialogo fra le professioni umanistiche, scavalcando le dissimmetrie e i giochi di potere, collegando il tutto alle esperienze basagliane, chiudendo così un cerchio con l’apertura introduttiva dell’attuale volume.
Ringrazio tutti gli autori per l’entusiasmo e la passione con cui hanno lavorato a questo progetto; è stato un lavoro di co-costruzione, di intrecci, di dialogo, di scambio, di studio che getta le fondamenta per il nuovo movimento umanistico emergente. Ringrazio l’artista Nicoletta Freti che, con generosità, ha donato le sue opere. Ringrazio infine Orazio Maria Valastro dell’opportunità che ci ha offerto, non poteva forse esserci una rivista più adatta: scienze umane e sociali ad accesso libero!
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