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  • LO SGUARDO DEL SOCIOLOGO ABBRACCIA PER COM-PRENDERE
    Studiosi italiani ricordano cent'anni dalla pubblicazione del Trattato di Sociologia Generale di Vilfredo Pareto
    Maria Caterina Federici (sous la direction de)

    M@gm@ vol.15 n.1 Janvier-Avril 2017


    • ÉDITORIAL

      Maria Caterina Federici

      Non è certamente casuale che il centenario della pubblicazione del “Trattato di Sociologia” di Vilfredo Pareto sia trascorso senza un'adeguata attenzione da parte della comunità accademica. I suoi scritti, le sue riflessioni, le sue critiche e le sue prese di posizione pur se ben argomentate e documentate con uno spessore culturale di grande rilievo, sono state sempre “scomode”. La sua testimonianza ha persuasivamente dimostrato che il motivo di ciò è nel riferimento simbolico ma non soltanto alla forma stessa del pensare “in contrapposizione a” e in maniera icastica e senza fare sconti: troppo inusuale per l'intellettuale contemporaneo. Tuttavia l'Università degli Studi di Perugia ha promosso un convegno in occasione del centenario della pubblicazione del “Trattato”. Per questo convegno Silvia Fornari, Andrea Lombardinilo, Uliano Conti, Roberta Iannone, Francesco Antonelli, Maria Luisa Maniscalco, Raffaele Federici, Ilaria Riccioni, Angela Maria Zocchi, Andrea Millefiorini, Emanuele Susca, hanno elaborato alcune dotte riflessioni che si propongono all'attenzione di un pubblico più ampio anche di non specialisti con l'intento, dichiarato, di ri-portare il focus su un Autore, su un periodo storico, su teorie, su problemi, su metodologie e su comparazioni che tanto possono contribuire ad arricchire la trama intellettuale contemporanea che si va impoverendo di “tessuto” appiattendosi su una omogeneità acritica. La gestazione di questi contributi è stata lunga ed ha goduto della maieutica di Orazio Maria Valastro, direttore di “M@gm@”. Le riflessioni nascono con intento celebrativo dei cento anni dalla pubblicazione del “Trattato” ma aprono e attualizzano le teorie paretiane alla contemporaneità.

    • ARTICLES

      Silvia Fornari

      A cento anni dalla pubblicazione del Trattato di sociologia generale (Pareto 1988) siamo a mantenere vivo ed attuale lo studio paretiano con una rilettura contemporanea del suo pensiero. Ricordato per la grande versatilità intellettuale dagli economisti, rimane lo scienziato rigoroso ed analitico i cui contributi sono ancora discussi a livello internazionale. Noi ne analizzeremo gli aspetti che l’hanno portato ad avvicinarsi all’approccio sociologico, con l’introduzione della nota distinzione dell’azione sociale: logica e non-logica. Una dicotomia utilizzata per dare conto dei cambiamenti sociali riguardanti le modalità d’azione degli uomini e delle donne. Com’è noto le azioni logiche sono quelle che riguardano comportamenti mossi da logicità e raziocinio, in cui vi è una diretta relazione causa-effetto, azioni oggetto di studio degli economisti, e di cui non si occupano i sociologi. Le azioni non-logiche riguardano tutte le tipologie di agire umano che rientrano nel novero delle scienze sociali, e che rappresentano la parte più ampia dell’agire sociale. Sono le azioni guidate dai sentimenti, dall’emotività, dalla superstizione, ecc., illustrate da Pareto nel Trattato di sociologia generale e in saggi successivi, dove riprende anche il concetto di eterogenesi dei fini, formulato per la prima volta da Giambattista Vico. Concetto secondo il quale la storia umana, pur conservando in potenza la realizzazione di certi fini, non è lineare e lungo il suo percorso evolutivo può accadere che l’uomo nel tentativo di raggiungere una finalità arrivi a conclusioni opposte. Pareto collega la definizione del filosofo napoletano alle tipologie di azione sociale e alla loro distinzione (logiche, non-logiche). L’eterogenesi dei fini per Pareto è dunque l’esito di un particolare tipo di azione non-logica dell’essere umano e della collettività.

    • Andrea Lombardinilo

      L’obiettivo del saggio è approfondire il significato socioculturale della metafora della società “contro-bilanciata”, sviluppata da Leopardi nel poema satirico Paralipomeni della Batracomiomachia, e ripresa da Pareto nel Trattato di sociologia generale (capitolo IX, paragrafo1508), in riferimento alle guerre balcaniche e alla crisi europea che prelude alla prima guerra mondiale. La lunga nota a piè di pagina che conclude il paragrafo 1508 attesta da un lato la conoscenza letteraria di Pareto (le citazioni leopardiane si intrecciano con quelle dantesche), e dall’altro la volontà di spiegare i fatti politici e sociali attraverso la lezione degli scrittori, antichi e moderni. In primo piano vi è il proposito di Pareto di esplorare l’evoluzione dei fatti sociali, in ottemperanza alla dialettica permanente tra residui e derivazioni, estremamente rilevanti in un secolo caratterizzato da conflitti mondiali e contrasti insanabili tra le grandi potenze internazionali. Lo studio dei fatti sociali e culturali mediante le evidenze letterarie del passato è uno dei tratti caratterizzanti del lavoro di Pareto, ispirato all’istanza euristica di tesaurizzare la lezione filosofica dei grandi scrittori e pensatori. Leopardi non fa eccezione, come il sociologo puntualizza nel capitolo IX del suo Trattato, che è infatti dedicato allo studio delle derivazioni sociali e, nello specifico, al ruolo della forza nella costruzione e nella salvaguardia dei rapporti sociali. Dal canto suo, Leopardi si interessa a questi aspetti nel redigere il suo poema satirico, che propone sullo sfondo l’eterno conflitto tra i topi e i granchi, simboleggianti rispettivamente i liberali italiani e le forze reazionarie austriache. Il cammino verso l’innovazione sociale è sostenuto da un profondo desiderio di libertà, così distante dall’idea imperante di forza, supremazia, abuso di potere. Si tratta di una preziosa lezione metaforica per i moderni, capitalizzata da Pareto al fine di evidenziare la funzione sociale del residuo della forza, che era stato approfondito da Leopardi nel racconto in rima della battaglia tra i topi e i granchi.

    • Uliano Conti

      Il contributo considera il tema del metodo logico-sperimentale in Vilfredo Pareto, con riferimento particolare al Trattato di Sociologia Generale (1916). Gli studi che hanno considerato questo argomento hanno messo in evidenza la complessità della posizione metodologica di Pareto (1896-1897; 1906; 1916) evidenziando le caratteristiche della sua evoluzione (Belohradsky 1974; Busino 1968; Garzia 2006; Palumbo 1984; Ammassari 1995). Nelle letture e nelle interpretazioni del metodo logico-sperimentale si problematizza il tema generale del metodo nella scienza e lo si considera in rapporto al percorso scientifico di Pareto e alla temperie socioculturale europea della sua epoca. Nei primi decenni del Novecento è infatti in Europa forte l’impatto del Methodenstreit che era nato in ambito economico per poi estendersi alla filosofia e alle scienze storico-sociali (Dilthey 1883; Windelband 1894, 1912; Rickert 1899). Il Methodenstreit ruotava intorno ai temi della portata cognitiva delle leggi scientifiche e dello statuto disciplinare delle Geistwissenschften (Dilthey 1883). Le letture analitiche su Pareto hanno colto la complessità del suo pensiero sul metodo guardando sia agli aspetti che possono essere associati a una postura intellettuale oggettivista (Palumbo 1984; Marletti 2003), detta anche razionalista (Vaccarini 2013), sia sottolineando gli aspetti del metodo logico-sperimentale che possono essere accostati ad una tensione intellettuale maggiormente attenta al ruolo delle rappresentazioni sociali nella scienza (Belohradsky 1974; Ammassari 1995; Federici 1999). La posizione intellettuale di Pareto evolve nel corso del tempo delineando così un orizzonte di studi sociologici che raccolgono la sua lezione facendo emergere aspetti complessi che riguardano in modo rilevante il pensiero paretiano sul metodo, suggerendo riflessioni sul carattere della ricerca sociale contemporanea.

    • Roberta Iannone

      È noto che per Pareto la scienza non è una pura e semplice riproduzione dei fenomeni che osserviamo esteriormente (Pareto non è un mero “positivista”) e che non deve occuparsi tanto delle azioni logico-sperimentali, ma soprattutto di quelle non logiche, essendo esse la maggioranza, quelle meno conosciute, quelle più dissimulate e sfigurate (perché forte, come sappiamo, è la tendenza degli esseri umani ad ingannarsi, vittime come sono dell'istinto umano alle razionalizzazioni). È vero, dunque, che la scienza (con il suo metodo, il suo oggetto e la sua tensione ideale) deve essere logico-sperimentale, ma questo non significa chiudere gli occhi di fronte a ciò che logico e sperimentale non è. Anzi. Tutto lo sforzo del Trattato di sociologia generale (V. Pareto, 1916, 1964), come noto, consiste semmai, nel capire e spiegare, in maniera logica e scientifica tutta quella infrastruttura di sentimenti, istinti, impulsi e creatività (D. Padua, 2009) che è alla base delle azioni non logiche. È questo il problema fondamentale affrontato nell’opera, lo snodo principale dei suoi studi, ma è anche, a mio avviso, ciò che più può aiutare a spiegare scientificamente il concetto di anima (e ciò al di là di quanto Pareto abbia o meno utilizzato espressamente questa categoria concettuale nelle sue opere). In che senso, dunque, la sociologia di Pareto può contribuire a spiegare scientificamente il concetto di anima? E qual è il vantaggio di questa operazione? A che serve dire che la sociologia di Pareto aiuti nella spiegazione del concetto di anima?

    • Francesco Antonelli

      Il mondo contemporaneo è profondamente segnato dal declino delle pratiche e delle teorie sulla Società (Busino 1981): lì dove la modernità industriale è stata caratterizzata dal dominio “organicistico” dell’homo sociologicus, inteso come un attore definito dai suoi ruoli, integrato da strutture impersonali e parte di un sistema conflittuale prevalentemente economico (Dahrendorf 2010; Touraine 2008), la seconda modernità post-industriale e globale mette al centro il primato e l’autonomia dell’individuo. Questa fine della Società come fonte della moralità e dell’individuazione, al vertice della quale vi era lo Stato-nazione, ha dato vita a tre discorsi teorici, sospesi tra l’euristico e il normativo: il primo discorso promuove l’idea di una società degli individui che si autogoverna e si autoregola nel quadro del mercato globale, vista come la principale istituzione in grado di realizzare un equilibrio tra efficienza e soggettivazione; questo mercato non può comunque essere lasciato completamente a se stesso ma abbisogna di strumenti regolativi in grado di salvaguardare quel equilibrio: gli ordoliberalisti e, più in generale, i neoliberisti condividono questa posizione (Comisso 2017; Felice 2008; Foucault 2005; Röpke 2004). Il secondo discorso mette al centro l’idea di un soggetto personale, definito in maniera giusnaturalistica, che si oppone ai processi manipolativi e di dominio del sistema globale di potere. Questa idea di soggetto è anche la pietra angolare di ricostruzione possibile di un nuovo mondo caratterizzato dall’“universalismo delle differenze”: tra gli altri, Alain Touraine (2013; 1988), Martha Nussbaum (2013) e Nadia Urbinati (2011) condividono questo orientamento liberal. Il secondo discorso Infine, il terzo discorso ruota intorno ad un’idea di Sé desiderante e creativo che, attraverso idee come quelle di “moltitudine” (in luogo della categoria moderna di “popolo”) e di “comune” (al posto di quella di Stato o di pubblico) ambisce a ricostruire un sociale che si auto-governa rompendo con il capitalismo globale: Toni Negri (2003) e Paolo Virno (2014) e, più in generale i post-operaisti ma anche una parte dei foucaultiani, si riconoscono in questa visione radical. Una delle radici culturali di questa vittoria teorico-pratica dell’individuo sulla Società è rintracciabile negli studi di Vilfredo Pareto. Prendere in considerazione le sue posizioni risulta importante anche per comprenderne le ambiguità. Nel primo paragrafo ci concentreremo sulle sue posizioni giovanili per poi passare ad analizzare quanto da egli sostenuto nel Trattato di sociologia generale (1916). Infine, nelle conclusioni cercheremo di sviluppare alcune considerazioni riferite ai discorsi contemporanei centrati sul soggetto.

    • Maria Luisa Maniscalco

      Vilfredo Pareto è una figura chiave nelle scienze sociali i cui contributi hanno interessato diverse discipline dall’economia alla sociologia, alla scienza politica (Femia, Marshall, 2012). Attento e critico osservatore dei suoi tempi che leggeva alla luce di informazioni e dati provenienti da una pluralità eclettica di fonti – dai classici dell’antichità agli studi coevi, dai padri della Chiesa alle cronache dei giornali – si distinse per una originalità di analisi che rasenta la stravaganza. Pur debitore di una molteplicità di autori e teorie, nondimeno Pareto espresse una sua specificità componendo un mosaico articolato e coerente in cui i reciproci rimandi offrono ogni volta nuove visuali, si strutturano in griglie concettuali, in micro modelli e teorie di medio raggio ancora tutti da esplorare e sviluppare. Conscio della sua singolarità e del suo talento, si compiaceva della solitudine e coltivava la marginalità considerandole fondamentali per la libertà di pensiero e di espressione. Come sociologo si propose l’elaborazione di un’“altra sociologia” (Valade, 1990), concentrando la sua attenzione sia sulla parte costante dei fenomeni sociali, cioè sulla struttura interna delle condotte (le motivazioni irriflesse della vita sociale) sia su quella più mutevole, cioè sulle relative giustificazioni, sui principi costitutivi di una logica del “non logico”, dando rilevanza allo svelamento dei meccanismi compositi che producono gli universi simbolici della società. Secondo Pareto, all’osservazione immediata i fenomeni sociali si presentano in forme mutevoli, manifestate attraverso le rappresentazioni collettive, i costumi, le ideologie che sono la risultante di una trama di relazioni e di azioni. Queste ultime si suddividono in “azioni logiche” che sono «almeno per la parte principale, il risultato di un ragionamento» e in “azioni non logiche” che «hanno origine principalmente da un determinato stato psichico» (Pareto, 1916 § 161) che, per amore di brevità, egli stesso chiama in maniera intercambiabile “residui” o sentimenti. Definisce “logiche” le azioni che presentano un nesso coerente tra mezzi e fini sia dal punto di vista soggettivo dell’attore sia da un punto di vista oggettivo di un osservatore con una maggiore (scientifica) conoscenza. Le azioni “non logiche” sono semplicemente tutte quelle che non soddisfano le suddette condizioni; il che, secondo Pareto, non vuol dire che siano irrazionali (Pareto, 1916 § 150), ma che rispondono piuttosto ad altre logiche basate su principi espressivi, giustificativi, persuasivi e non dimostrativi come quelli della scienza. D’altronde, secondo Pareto, il pensiero razionale rappresenta un settore molto limitato nella vasta produzione delle idee; un’organizzazione sociale esclusivamente basata su esso è un’utopia in quanto «una società determinata esclusivamente dalla “ragione” non esiste e non può esistere» (Pareto, 1916 § 2143).

    • Raffaele Federici

      In questa ricerca di senso fra la fine di un'epoca e la nuova visione del mondo, c’è, nei due Autori, quello che potrebbe chiamarsi una betweenness: Pareto, quasi un franco-italiano, e Michels, un italiano-tedesco, anzi un più che italiano. Nella linea di faglia rappresentata dal primo conflitto mondiale, i due sociologi sono in una doppia relazione interiore appunto franco-italiana Pareto e italo-tedesca Michels e una relazione esteriore fra il mondo di ieri e il mondo successivo al cataclisma che fu la prima guerra mondiale, quando ben quattro imperi colossali erano stati smembrati (l’Impero Russo, l’Impero Tedesco, l’Impero Austro-ungarico e l’Impero ottomano), nello stesso tempo in cui Emile Durkheim guardava con inquietudine alla disgregazione delle vecchie comunità tradizionali, dove il senso della crisi del tempo investe non solo le persone e i comportamenti, ma il mondo logico stesso. Lo scambio epistolare avviene nella stessa terra: Pareto a Celigny, sul lago di Ginevra , e Michels a Basilea , lungo le rive del Reno. Vi è, fra i due sociologi un profondo rispetto, che vedrà Robert Michels dedicare allo “scienziato e amico Vilfredo Pareto con venerazione” un’opera importante come “Problemi di sociologia applicata” pubblicata solo tre anni dopo il Trattato di Sociologia Generale del Maestro. In questa antologia di saggi Robert Michels, probabilmente composti fra il 1914 e il 1917, negli anni del grande cataclisma, anzi concepiti prima «dell’insediamento di questa terribile corte suprema di cassazione di tutte le nostre ideologie, che è la guerra» , quindi contemporanea al Trattato, il Maestro viene citato tre volte, come Max Weber, ma, de facto, la presenza di Pareto è continua. In particolare, il richiamo al Maestro è iscritto a due piste di ricerca: da una parte la realtà della ricerca sociologica e del suo amplissimo spettro di analisi e dall’altra la teoria della circolazione delle elités. È proprio in occasione della pubblicazione del volume “Problemi di sociologia applicata” che Pareto risponderà a Michels a proposito di metodo scientifico.

    • Ilaria Riccioni

      La rilettura dei classici porta con sé sempre una duplice operazione: da una parte un ritorno a riflessioni, ritmi, storicità che spesso sembrano già superate; dall’altra la riscoperta delle origini di fenomeni contemporanei da punti di vista che ne delineano le interconnessioni profonde, non più visibili allo stato di avanzamento in cui le osserviamo oggi. Tale maggiore chiarezza è forse dovuta al fatto che ogni fenomeno nella sua fase aurorale è più chiaramente identificabile rispetto alle sue fasi successive, dove le caratteristiche primarie tendono a stemperarsi nelle cifre dominanti della contemporaneità, perdendosi nelle pratiche quotidiane che ne celano la provenienza. Se la sociologia è un processo di conoscenza della realtà dei fenomeni, il punto centrale della scienza sociale va distinto tra quelle scienze che schematizzano il reale in equazioni formali funzionali e funzionanti, il sistema economico, normativo, e le scienze sociali che si occupano della realtà e della sua complessità, che in quanto scienze si devono occupare non tanto di ciò che la realtà deve essere, bensì di ciò che la realtà è, di come si pone e di come manifesta i movimenti desideranti e profondi del vivere collettivo oltre il sistema che ne gestisce il funzionamento. Il punto che Pareto sembra scorgere, con estrema lucidità, è la necessità di ribaltare l’importanza della logica economica nell’organizzazione sociale da scienza che detta la realtà a scienza che propone uno schema di gestione di essa: da essa si cerca di dettare la realtà, ma l’economia, dal greco moderno Oikòs, Oikòsgeneia (casa e generazione, il termine utilizzato per definire l’unità famigliare) non è di fatto “la realtà”, sembra dirci Pareto in più digressioni, bensì l’arte e la scienza della gestione di unità familiari e produttive. La realtà rimane in ombra e non può che essere “avvicinata” da una scienza che ne registri, ed eventualmente interpreti, la complessità dei rapporti e delle manifestazioni collettive. Lo stesso tipo di schema che intercorre tra la mente umana e la realtà: l’intelletto può organizzare la realtà, ma in ultima analisi non la può contenere in tutta la sua complessità. D’altro canto, la rilettura di Pareto è un’immersione in un coacervo di contingenze dal quale emergono: un’Italia pre-giolittiana, ancora molto provinciale e scandita da ritmi di diversa natura, le esigenze di rinnovamento e di conoscenza del giovane Pareto che si scontra con le logiche clientelari di un paese ancora contadino, dominato dall’ossessione dinastica. In questo senso molta dell’opera Paretiana va letta in parallelo anche con la biografia professionale di quello che poi diventò “l’eremita” di Céligny. Una potente vis polemica, quella del giovane Pareto, accompagnata ad una necessità di precisione e una buona dose di illusioni circa il cambiamento dell’Italietta che sotto i suoi occhi non esita a reiterare schemi sociali e politici autoreferenziali e dominati da un’élite di conoscenze, lasciando al merito l’illusione di una partecipazione marginale e pur sempre collegata alla politica o alle conoscenze degli ambienti borghesi. Il comportamento umano è così scopertamente definito da impulsi ed esigenze soggettive, che però diventano il materiale di osservazione di Pareto al fine di smascherare la finzione, la presunta razionalità guidata da interessi personali e preferenze soggettive.

    • Angela Maria Zocchi

      Parlare di Pareto, oggi, significa occuparsi di un classico della sociologia che è stato oggetto di una ricezione/recezione discontinua, non solo in Europa ma anche, forse soprattutto, in America. Se negli anni Venti James Harvey Robinson scriveva che la teoria dei residui e delle derivazioni di Pareto si poteva annoverare tra le grandi scoperte scientifiche, è anche vero che la figura di Pareto ha suscitato riserve e perplessità, e che i suoi meriti «furono riconosciuti soltanto dieci anni dopo la sua morte, e per di più in America» (Coser [1977] 1983, p. 582), in particolare ad Harvard (Femia, Marshall 2012). Si pensi ad esempio a Parsons, che negli anni Trenta, ne La struttura dell’azione sociale, richiama ampiamente Pareto (Parsons [1937] 1968), o anche a Merton, il quale, sebbene non sia stato mai molto attratto dalle analisi paretiane (cfr. Coser 1975, p. 96; Coser [1977] 1983, p. 585), nell’intervista rilasciata ad Anna Di Lellio ha ricordato il grande interesse con il quale seguì i seminari di Henderson su Pareto (cfr. Di Lellio 1985, p. 17). E in effetti, negli anni Trenta gli Stati Uniti sono stati estremamente recettivi nei confronti dell’opera di Pareto. Successivamente, però, questo interesse si è fortemente ridimensionato, per poi riaccendersi negli anni Cinquanta e Sessanta, non solo in America ma anche in Europa, come testimoniato, fra l’altro, dall’attenzione riservata a Pareto da Raymond Aron ([1967] 1989). Una ricezione/recezione discontinua, quindi, che ha caratterizzato anche i decenni successivi e il nuovo millennio (cfr. Federici 1991, 1999, 2016), con studi che hanno cercato di rispondere anche a un inquietante interrogativo (cfr. Cirillo 1983; Femia e Marshall 2012): se Pareto fosse vissuto più a lungo, si sarebbe opposto al fascismo? Ciò premesso, partendo dalla distinzione tra ricezione e recezione, il paper intende strutturare una riflessione sulla recezione di Pareto negli Stati Uniti. Non mi soffermerò, però, sulla recezione esplicita, ad esempio quella di Parsons o quella critica di Wright Mills, bensì su quella implicita considerando, in particolare, un interessante testo di un famoso linguista americano: La libertà di chi? di George Lakoff. Scopo del lavoro è mettere in luce la prossimità teorica tra la struttura argomentativa di questo testo sulla libertà e alcune parti del Trattato di Sociologia Generale di Vilfredo Pareto, che, nonostante si presenti all’apparenza «come un’immensa massa di fatti e di teorie, in un disordine formale notevole» (Bousquet 1954, p. XI), non smette di sorprendere il lettore per la sua attualità (cfr. Mongardini 2009) e per la lucidità con cui riesce a mettere a fuoco alcune fondamentali strategie di manipolazione.

    • Andrea Millefiorini

      Pareto ci spiega come i residui siano al centro del complesso ordine sociale che viene a costituirsi dalla combinazione tra questi, gli interessi, l’eterogeneità della società e le derivazioni. Ai fini della costruzione di senso, vi è un genere di residui, quello definito «bisogno di sviluppi logici», il quale comprende «la maggior parte dei residui che determinano le derivazioni» . Sono poi queste ultime che, venendo diciamo così a “vivere di vita propria”, perimetrano, definiscono, determinano, conferiscono i significati individuali e collettivi sui quali l’interazione quotidiana tra gli uomini fonda la trama principale delle proprie routines, delle proprie pratiche, delle proprie condotte all’interno di ambiti di convivenza, di istituzioni, di comunità nazionali. Vi è stato chi, come Norberto Bobbio, ha tratto da questo indubbio assetto concettuale nella teoria sociologica paretiana, conseguenze e deduzioni che ci restituiscono il pensiero di Pareto come una versione socio-psicologica della teoria marxista della “falsa coscienza”. In sostanza, scrive Bobbio, «alla concezione storicistica delle ideologie propria di Marx, Pareto contrappone una concezione naturalistica dell’uomo come animale ideologico». Tuttavia bisogna intendersi. È certamente vero che le ideologie del Novecento possono essere spiegate seguendo l’approccio paretiano, ma la sua sociologia non si risolve e non si esaurisce in una semplice teoria delle ideologie. Essa è un qualcosa di ben più ampio e ben più complesso, che abbraccia tutto l’arco storico delle civiltà umane, e che quindi si pone come uno dei tentativi più ambiziosi, sino ad oggi concepiti dalle scienze sociali, di spiegare quel complicatissimo processo sociale che va sotto il nome di “costruzione di senso”.

    • Emanuela Susca

      Questo contributo vuole essere una rilettura teorico-analitica indirizzata principalmente agli ultimi paragrafi del Trattato di sociologia generale. Nelle pagine che seguono, quindi, proporremo dapprima una breve sintesi del capitolo XIII – da Pareto intitolato L’equilibrio sociale nella storia – e ci concentreremo poi principalmente sulle sezioni conclusive e dedicate a una lunga vicenda tante volte rivisitata da storici e letterati: la vita e la caduta dell’Impero romano nelle sue due ramificazioni, quella occidentale e quella orientale. Si avrà così modo di mettere in rilievo come la lettura operata dal grande sociologo non solo offra un punto di vista originale rispetto a molta della letteratura esistente, ma presenti anche significative differenze rispetto agli schemi interpretativi fatti valere in generale nel Trattato. Infatti, sia la parabola dell’antica Roma sia – e ancor di più – quella di Bisanzio vengono da Pareto ripercorse sulla scorta di una contrapposizione radicale tra Occidente e Oriente che è poco o per nulla presente nelle altre pagine paretiane, così come praticamente assente vi è anche la profezia finale sull’imminente avvento di un’«organizzazione» di tipo bizantino nei Paesi economicamente e socialmente più avanzati. Infine, concludono l’intervento alcune osservazioni sull’attuale e perdurante vitalità del dibattito che circonda Bisanzio/Costantinopoli/Istanbul, multiforme città-simbolo che è stata ed è oggetto di trasfigurazioni positive o più spesso negative e che – come mostra esemplarmente il discorso paretiano – rinvia in modo diretto alla nostra realtà e auto-rappresentazione di europei e “occidentali”.



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