Psicoanalisi e laicità
Ivan Ottolini (a cura di)
M@gm@ vol.13 n.3 Settembre-Dicembre 2015
IL CATTIVO PSICOANALISTA
Massimiliano Tosolini
aip.tosolini@gmail.com
Dottore Magistrale in Filosofia, Università Ca' Foscari di Venezia. Specializzato in Psicofilosofia presso la Scuola di Specializzazione in Psicofilosofia di Genova. Nel 2005 termina la formazione didattica come Psicanalista di indirizzo esistenziale e pratica la libera professione in qualità di Psicanalista Esistenziale.
Questo assunto ha la funzione di porre l'attenzione non sulla questione della psicoanalisi laica (associazionistica), o quella (ordinistica) inserita all'interno della L. 56/89, bensì di porre un accento su di un tema troppo poco spesso trattato, ovvero quello del cattivo psicoanalista.
La questio dove accentrare il focus intellettuale e dialettico è l'esercizio imprudente, impudente e inconsapevole della pratica psicoanalitica, posto, però, che si possa in effetti definire tale, quell'azione che si impadronisce narcisisticamente della vita intellettiva del soggetto in analisi.
L'impadronirsi, e quindi prendere possesso definendo il soggetto come proprio, de-termina, ovvero pone fine, in maniera irragionevole, al rapporto di libertà tra chi conduce l'analisi, lo psicoanalista, e chi in questo caso la patisce come vittima, il paziente.
Tale crisi della libertà è dovuta al narcisismo di colui che determina nell'analisi una sequenza di ragionamenti che fissano, in chi si sottopone al processo analitico emozionale, dei precetti che lo stesso analizzato non potrà scegliere se seguire, ma si troverà, invece, a dover subire e svolgere.
Deve essere perciò chiaro che lo psicoanalista ha un ruolo importantissimo nella vita della persona alla quale decide di portare aiuto e con-tributo, in quanto si fa misura delle scelte che il paziente condurrà da lì in poi.
Il dichiararsi psicoanalisti comporta il dovere di esserlo e ciò non è sempre un vantaggio, in quanto obbliga l'analista ai principi della responsabilità e dell'umiltà.
Non possiamo confondere chi caccia per nutrirsi e nutrire la propria famiglia, con chi alla domenica decide di cacciare unicamente per accrescere la propria stima, dimostrando agli altri che ha saputo procacciarsi un cibo (che tra l'altro non gli serve neppure per nutrimento), al quale non riesce a dare significato se non come mezzo per esaltare sé nella sfida contro una natura costruita secondo i priori bisogni, ma non certo reale e, quindi, innaturale.
Così deve essere per lo psicoanalista, che non è tale per una forma narcisistica, ma in quanto egli è ciò che è senza poter essere altro. L'attenzione, perciò, deve essere posta sulla vera identità dello psicoanalista e non semplicemente sul sapere che egli è inserito all'interno di un ordine o di una associazione.
Quindi, come il cacciatore, che continua a essere cacciatore anche se torna a casa senza nutrimento per la propria famiglia perché la giornata non è stata proficua, così anche lo psicoanalista non necessita del paziente o della domanda di analisi per continuare a essere ciò che è. Questo significa che lo psicoanalista non deve catturare il paziente, non deve farlo proprio, non deve avere la necessità di trattenerlo a sé, ma deve essere in grado di trovarsi nel posto giusto al momento giusto come quel cacciatore che decide di rimandare la caccia al giorno dopo, poiché dal tramonto cacciare diventa pericoloso.
Il bisogno di protagonismi narcisistici che conducono a catturare il paziente, da cui “cattivo psicanalista”, inducono anche un’altra determinazione che possiamo identificare col pensiero che la vita sia difficile, pesante, maledetta, infernale.
Questo pensiero nasce dal fatto che il cattivo, o malvagio psicoanalista, per creare affezione o addirittura dipendenza fa assumere alla vittima, già carica di problematicità, un pensiero negativo rispetto alle cose del mondo. La vita assume uno spessore nebuloso, oltre il quale è difficile poter vedere e prendere atto del reale.
Si assumono asserti che poco o nulla hanno a che fare con l'esistenza: si confonde la teoria con la praxis e la praxis con la buona pratica. Questo fantomatico psicoanalista, che di per sé è insoddisfatto della propria esistenza, riflettendo il proprio disagio nel paziente, lo distrugge, facendogli credere che nulla nella vita sia semplice. L'analisi diviene complessa, perde di naturalezza e si vanno a cercare significati insignificanti per il paziente che, a questo punto, è totalmente vittima del narcisismo del sedicente psicoanalista. Il percorso si fa tortuoso e privo di risultati, ma ancora una volta la colpa è della vittima, alla quale viene detto che non è in grado di elaborare significanze poiché non si impegna.
Il libro che i due stanno scrivendo, a questo punto, prende una impronta kafkiana, senza uscita. Anche qui vale la regola usata per il cattivo medico il quale, si dice, usi parole difficili, anche solo a pronunciare, poiché non sa curare il paziente.
Proprio come per il cattivo medico, anche il cattivo psicoanalista usa concetti altisonanti e parole come disforia, disturbo istrionico della personalità, parasonnia e via dicendo per prendere distanza dal paziente che è ritenuto ignorante e de-ficitario, in quanto oltre a non comprendere quel che dice l'analista non riesce neppure a capire che quello stesso psicoanalista, al quale egli si è rivolto, è bravo e che l'insuccesso dell'analisi è l'insuccesso del paziente.
L'analizzando quindi è stato tramutato in oggetto-specchio d'innanzi al quale l'analista si scontra con tutti i propri limiti subendone una frustrazione. Frustrazione che può essere superata solamente incolpando il paziente che, a quel punto, è non solo oggetto-specchio ma oggetto di transfer al contrario. Lo psicoanalista “cura” il proprio fallimento essendo sullo stesso piano del cacciatore domenicale e aumenta il proprio narcisismo prendendo distanza dalla critica, ovvero dal principio di realtà.
A questo punto ci si domanda se esista davvero uno psicoanalista di tal fattura. Uno psicoanalista che pare essere uscito da una regia di Hitchcock e che si credeva fosse impossibile trovarlo nel mondo reale. Costui, in effetti, non è uno psicoanalista, ma egli si dichiara tale e altri ne attestano la formazione o provenienza. Che fare dunque? Che credere?
Tale è il caso, ad esempio, di chi professa l'analisi sotto l'influenza di un discontrollo degli impulsi. Ricordo, a questo proposito, un’esperienza personale del mio maestro che mi spiegava l'importanza dell'essere un buono psicoanalista. Mi raccontò una storia riguardante uno zio che faceva il chirurgo, competente e stimato da tutti i colleghi. Un giorno però accadde un fatto: «Erano circa le sette del mattino e mi trovavo con mio zio in sala operatoria. Dovevo ancora decidere se dedicarmi alla psicoanalisi o alla chirurgia. Mio zio iniziò a operare quando, a un certo punto, tutti capirono che non era in grado di continuare l'operazione. Stava accadendo qualcosa, qualsiasi chirurgo con un po' di senno avrebbe chiesto di essere sostituito, ma mio zio aveva deciso che avrebbe risolto la “questione” da solo pur non essendo in grado di affrontare quel tipo di intervento. Era diventata una “questione” personale. Il paziente era chiaramente in pericolo di vita, ma nessuno dell'equipe medica aveva il coraggio di interrompere il primario ed esautorarlo dalla propria funzione, anche se qualcuno, a dire il vero, tentò di farglielo capire. Compresi immediatamente che quanto stava accadendo era una cosa grave. Allora non conoscevo cosa fosse il discontrollo degli impulsi e non lo sapeva neppure mio zio. Chiesi che si fermasse e lasciasse proseguire un altro chirurgo. In quel momento egli uscì da una sorta di trans, mollò tutto, e si fece sostituire. A distanza di anni posso dire di aver assistito al mio primo caso di discontrollo degli impulsi».
Questa storia vuole mettere in rilievo come anche un professionista bravo e stimato, come nel caso del chirurgo in questione, possa essere vittima di un discontrollo degli impulsi dando avvio a una cattiva pratica della professione.
L'incapacità di riconoscere l'esistenza di un proprio limite, l'impotenza rispetto a una risoluzione o comprensione del disturbo del paziente e il tentativo di-sperato di risolvere quanto in quel momento è irrisolvibile per l'analista, ci conduce nella posizione del cattivo psicoanalista.
Ancor più pericolosa della situazione della sala operatoria nella quale operano un insieme di professionisti ove si presuppone vi sia sempre qualcuno pronto ad arginare possibili deliri, la posizione di solitudine nella quale viene a operare lo psicoanalista non prevede la possibilità di interventi contenitivi da attuarsi in fase di analisi, ma solo preventivi.
È per tale ragione che, a differenza della psicoterapia, la psicoanalisi prevede l'inserimento di un supervisore al quale lo psicoanalista possa rivolgersi con una certa frequenza, al fine di poter avere un riscontro con una realtà che, in alcuni casi e in certe situazioni particolari, potrebbe sfuggire al controllo degli impulsi.
Ancor meglio del supervisore al quale lo psicoanalista, buono o cattivo che sia, può sottrarsi con l'assenza o la menzogna, c'è la comunità degli psicoanalisti, che permette allo psicoanalista di confrontarsi attraverso giornate di studio o con incontri volti alla reciproca conoscenza e integrazione di formazioni differenti, che hanno lo scopo di arricchirne le conoscenze, ma anche di annichilire i narcisismi conducendo coloro che partecipano agli incontri a uno stadio di uguaglianza pur nella differenza di anzianità d'esperienza.
Il cattivo psicoanalista dunque, in genere, rischia di essere colui che si isola, che pratica poco e che, quando pratica, crede di poter operare al di là delle conoscenze e delle altre esperienze dei colleghi. Per tale ragione è necessario che la comunità degli psicoanalisti sia ancora più unita, oltre che per continuare ad esistere come psicoanalisti, anche, e soprattutto, per esistere come buoni psicoanalisti. Uno dei compiti del Coopi (Coordinamento Psicoanalisti Italiani) è anche questo, oltre alla divulgazione della psicoanalisi mantenendone viva l'esistenza, il Coopi ha tra i suoi fondamenti quello di dare l'opportunità a tutti gli analisti di esercitare la buona pratica tramite lo scambio culturale e umano che solo attraverso gli incontri nelle reciproche differenze è possibile realizzare.
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