Psicoanalisi e laicità
Ivan Ottolini (a cura di)
M@gm@ vol.13 n.3 Settembre-Dicembre 2015
LA PUZZA DI ZOLFO
Marina Foramitti
m.foramitti@circolofreud.it
Nefrologa presso l'Azienda Ospedaliera "Istituti Ospitalieri" di Cremona. Si occupa attualmente di
un lavoro di ricerca sulla psicopatologia dell'età' evolutiva.
Il valore euristico della psicoanalisi si ravvisa, scorrendone la storia, nella capacità di porsi domande che mettono in crisi sistemi di pensiero. Queste domande esplorano precipuamente il piano individuale, il microcosmo affettivo del singolo soggetto, colto nel suo dipanarsi storico, isolando mediante il racconto dell’analizzando e l’ascolto dell’analista nuclei privi di dimensione temporale, cristallizzati in configurazioni di arresto maturativo dello sviluppo psichico, che restituiscono senso al sintomo.
Le teorie psicoanalitiche, estese come modello di conoscenza alla società umana e alle sue produzioni, tentano di ricondurre l’apparentemente onnipotente e nebuloso funzionamento delle masse al rapporto del singolo con le fasi del proprio sviluppo psichico. In questo tentativo si reitera una carica dis-turbante, a tratti esplosiva, che nella relazione analitica è contenuta dalle regole del setting, dalla disamina della relazione transferale e dall’analisi del controtransfert dell’analista. Nella fase divulgativa relativa alla diffusione della psicoanalisi in estensione, mancando il campo protetto della relazione analitica, questa caratteristica perturbante provoca formazioni reattive che hanno a che fare con la mancanza di esperienza del processo psicoanalitico: da ciò potrebbe derivare una prevalenza di formazioni difensive e di rimozione rispetto al desiderio di conoscenza, alla curiosità, che pericolosamente avvicinano l’utente e il fruitore degli scritti di psicoanalisi a nuclei di rimosso -l’indicibile - che gli sono propri.
Il dialogo fra osservazione del sintomo, inteso come penetrazione ed emersione dell’attività inconscia nel dispiegarsi delle quotidiane funzioni della sfera conscia -sia esso lapsus, atto mancato, sogno, gioco, motto di spirito- e costruzione di un modello di funzionamento psichico, teso a individuare le direttrici che reggono la relazione con il sé e l’altro da sé, disvela precocemente, nell’evoluzione delle teorie psicoanalitiche, l’illusorietà della sovranità di un ego cosciente.
Così come l’anidride solforosa si leva dal cono vulcanico a terrorizzare i nostri antichi progenitori con il suo messaggio di inferno sotterraneo, di fuoco e pericolo, segnale di forze insopprimibili e ingovernabili associate in epoche più recenti ai segni della presenza satanica, la psicoanalisi reca con sé, in questo metamessaggio eversivo, la sua peculiare puzza di zolfo.
Il concetto psicoanalitico freudiano di pulsione, ereditato dalla matrice ellenica di Eros, introduce il fantasma del pansessualismo, che riconduce a una resistenza al riconoscimento del desiderio come sessualmente connotato; una qualifica, quella sessuale, che permea le fasi precoci dello sviluppo dell’individuo nel milieu della relazione parentale e fraterna/sororale, dall’arcaico modello dell’identificazione all’introiezione dell’oggetto del desiderio.
È comune il concetto, che le teorie freudiane sulla sessualità infantile e lo sviluppo psicosessuale pubblicate da Sigmund Freud fossero accolte con pesanti critiche dai colleghi delle società mediche e dal pubblico contemporaneo, perché stimolavano le resistenze degli uditori offendendo il comune senso del pudore, di stampo vittoriano. Le numerose pubblicazioni che hanno preceduto l’edizione dei Tre Saggi sulla Teoria Sessuale di S. Freud del 1905, in particolare la Psycopathia Sexualis di Krafft-Ebing, nonché le favorevoli recensioni ritrovate da Bry e Rifkin su periodici di medicina, criminologia e psicologia del tempo, mostrano come l’interesse di clinici e letterati fosse ormai acceso sul tema del ruolo della sessualità nella psicopatologia (Ellenberger, 1970). L’elenco delle perversioni sessuali tendeva all’infinito. Non è quindi l’oggetto di studio in sé a provocare la reazione suddetta. È possibile individuare almeno due filoni che suggeriscano delle ipotesi alternative.
1 - Equivalenza sapere-potere
L’osservazione psicoanalitica rileva, nell’isterica, (Freud, 1895; Vegetti-Finzi, 1986) un linguaggio che è del corpo -il sintomo- ma che non è classificabile secondo i criteri di patologia neurologica organica. Questo corpo che parla, guida Freud alla scoperta di potenti residui della sessualità polimorfa, contraddittoria, non finalizzata alla riproduzione, pre-genitale, autoerotica, erratica e bisessuale che è propria del bambino e che perdura nell’attività inconscia dell’adulto. Una sessualità che non si incorpora nel sesso, ma si manifesta sotto forma di nevrosi, nel caso in cui la rimozione delle fantasie sessuali infantili sia eccessiva, e sotto forma di perversione nel caso resista all’attività trasformativa dell’ambiente relazionale, in primo luogo operata dal sistema di divieti, dal disgusto e dalle punizioni che la morale parentale mette in atto di fronte alle manifestazioni infantili delle pulsioni sessuali.
Ricordando Michel Foucault (1977), possiamo interrogarci sul fatto che l’organizzazione della nostra società attorno alla coppia genitoriale abbia creato un’interdizione sulla sessualità non genitale e non procreativa, perché quest’ultima non può essere amministrata e finalizzata, per esempio a scopi produttivi ed economici, come invece quella genitale coniugale, regolata dal corpo del diritto e dell’alleanza sociale. Questa normatizzazione della sessualità genera una definizione di a-normalità, che la ricerca medica dell’ultimo trentennio del secolo XIX fa propria, e che occhieggia nell’eccessiva frequenza dei discorsi attorno al sesso: un tentativo di ordinare e normalizzare attraverso la nosologia ciò che la psicoanalisi legge come traccia di un funzionamento psichico inconscio, costituendo nel sapere del medico un dispositivo di potere che si fonda sul sapere.
La divulgazione delle teorie freudiane sulla genesi dell’isteria potrebbe avere dunque incontrato opposizione e critiche perché spostava sull’asse del soggetto-paziente questo sistema di potere. Il potere, acquisito e consegnato nel percorso analitico al rappresentante dell’a-normalità, di costruire e utilizzare gli strumenti per ripristinare una funzione dialogante e meno conflittuale fra istanze pulsionali e istanze ideali, individuando il sintomo quale significante dell’indicibile.
2 - Lo spazio aleatorio della costruzione analitica
D’altra parte, rileggendo la storia del movimento psicoanalitico nei suoi primi trent’anni, non si può trascurare quello che appare come uno scontro epistemologico, fra sostenitori della disciplina come metodo d’indagine, basato sul presupposto gnoseologico positivista, e detrattori della disciplina, che nella stessa cornice epistemologica rilevavano alcune lacune, prima fra tutte la mancanza di dati statistici, nelle pubblicazioni degli psicoanalisti. Il tema problematizzato della psicoanalisi come scienza si ripropone oggi come ai tempi di Freud, nel confine fra la fase di osservazione e raccolta di dati empirici (l’osservazione clinica), la fase di sistematizzazione di tali dati (processo induttivo), e l’elaborazione di concetti esplicativi causali (processo deduttivo, inferenza), che soggiace, ancor più dell’elaborazione degli strumenti di misurazione della fase di raccolta dei dati, alle interferenze del soggetto osservatore e della sua metafisica.
Nell’epoca dell’epidemiologia, gli addetti ai lavori ben sanno quanto lo spettro della mortalità influenzi la deriva della statistica, che nella comunicazione con gli utenti e i pazienti assurge a status di scienza quantitativa esatta, obliando la sua natura di analisi della probabilità in favore di una distorta equivalenza fra verità (interpretazione) e realtà (piano esterno). In questo senso la critica rivolta alla psicoanalisi da parte di alcuni rappresentanti istituzionali della comunità scientifica, di avere carattere ermeneutico e non scientifico, può esser vista come un processo di rimozione di un trauma fondativo della propria disciplina o, in senso eticamente deteriore, come difesa a carattere corporativo.
Il sistema di verifica della psicoanalisi, indicato dallo stesso Freud in due opere del 1925 e del 1937, si avvale di quel principio di realtà, il cui riconoscimento è funzione principale dell’Io freudiano, di quell’istanza che media sia il conflitto fra il principio di piacere (i rappresentanti pulsionali che costituiscono l’Es) e il mondo esterno, che fra il principio di piacere e l’istanza ideale superegoica. L’Io dello psicoanalista può infatti, grazie alla capacità di sintesi e alla formazione analitica, individuare attraverso il fiorire dell’attività associativa e la recrudescenza del sintomo, che seguono e precedono rispettivamente la sistemazione di un nucleo rimosso, la veridicità della costruzione interpretativa (restituzione di senso) sviluppata nel lavoro di analisi (Freud, 1937).
L’esplorazione dell’individualità e della storia longitudinale del soggetto, nonché il fondamento della verità analitica, costituito dal riconoscimento del profondo legame fra distorsioni dell’esame di realtà del tempo presente e la rimozione avvenuta nel passato, che si esplicita come tale solo al termine del percorso analitico, delineano un margine irriducibilmente aleatorio che costituisce a un tempo una ragione di critica alla disciplina e la sua forza innovatrice, laddove l’analista non tema di rielaborare le sue costruzioni -interpretative nella clinica, teoriche nel momento paradigmatico inferenziale- alla luce di nuovi elementi che non rientrano nel precedente quadro ipotetico: una differenziazione fondamentale fra il piano della verità analitica e la realtà, intesa come campo esperibile solo indirettamente perché incorporato grazie alla mediazione delle sensazioni, delle elaborazioni percettive e delle funzioni corticali superiori. Da quello spazio aleatorio potrebbe quindi provenire parte della traccia olfattiva sulfurea che avvolge la psicoanalisi.
3 - Psicoanalisi e maschere di regime
Una fonte complementare di foetor sulphureum prende le mosse dalla considerazione che una società costruita su un corpus di leggi che sovrainveste il piano morale permette, a un tempo, di fornire le basi di una convivenza civile e di aggirare le spine di un confronto con l’etica, di sotterrare il terrore generato dalla vista delle componenti arcaiche, incestuose, polimorfe e aggressive che caratterizzano le prime esperienze con il mondo, con l’alterità, con quella che in seguito viene a configurarsi come società.
L’aspetto sado-masochistico del funzionamento psichico inconscio, ben si presta a descrivere il rapporto del singolo con le strutture di potere, siano esse istituzionalizzate e regolate da una dottrina formalizzata in regolamenti e decreti (Chiesa, esercito) o estemporanee, generate dall’essere parte di una massa, come descritto da Freud nel 1921 in Psicologia delle Masse e Analisi dell’Io. La psicoanalisi smaschera l’aspetto regressivo dei comportamenti che il singolo mette in atto quando è componente di una psiche collettiva, sia nei riguardi del leader (identificato da Freud come il capo dell’orda, il padre narcisista che castra i suoi figli con il tabù dell’incesto, costringendoli alla latenza e alla sublimazione) che dei gregari (l’orda che converte i sentimenti di invidia verso i fratelli in comunanza e alleanza mediante il processo di identificazione). La teoria psicoanalitica impedisce di consegnare all’oblio tutti gli agiti che il singolo si permette nella condizione di componente della massa, (Freud, 1915) agiti che nel tempo individuale verrebbero censurati, e di santificare nella dimensione eroica dell’altruismo gli atti coraggiosi, che giungono fino all’estremo sacrifico di sé, ricostruendone l’origine a partire dalla sostituzione dell’Ideale dell’Io con la figura del leader, che rimanda alla necessità di essere amati e sedotti dalla figura paterna, sospendendo le funzioni del Super-Io.
Il testo è un brillante esempio di come le teorie psicoanalitiche forniscano un frame di lettura impietoso delle testimonianze auto o etero-biografiche, dei regimi dittatoriali che caratterizzarono la matrice storica degli anni in cui la psicoanalisi nacque e si sviluppò, dal nazi-fascismo allo stalinismo, come delle mistificazioni del linguaggio di propaganda politica. Un linguaggio che non si poggia su contenuti, ossia su significati, ma su significanti che hanno il principale motivo d’essere nella seduzione e nella reiterazione di un messaggio di volta in volta tranquillizzante, eccitante, eroico, a seconda dell’evoluzione del reale contingente. Ciò che accomuna questi messaggi è la capacità, mediata dalla figura del capo carismatico, di re-suscitare nella massa il desiderio di essere tutti ugualmente amati, di poter tutti ugualmente sospendere senza tema di conseguenze le leggi vigenti, le convenzioni sociali, un ritorno a uno stadio di sviluppo psichico che non tollera frustrazione del desiderio, che vive il qui e l’ora come l’unica dimensione temporale e spaziale esistente.
Si può quindi comprendere quanto le strutture di potere possano non tollerare le teorie e la pratica psicoanalitica, in quanto minaccia alla replicazione del rapporto sado-masochistico con i soggetti costituenti la società civile, caratterizzato da ineguaglianza, timore delle punizioni, senso di colpa per il piacere correlato alla stimolazione di zone erogene anali, e in generale al carattere attivo/passivo della relazione con la figura parentale maschile che incarna la legge e genera il tabù. Questo sacrificio pulsionale consente, d’altro canto, nella concezione freudiana (Freud, 1929), lo sviluppo delle società attraverso la sublimazione della pulsione inibita nella sua meta genitale, la cui energia libidica viene posta al servizio di altre mete.
L’intolleranza verso la psicoanalisi si evince più chiaramente nei regimi totalitari, e le vicende degli psicoanalisti che vissero nel periodo del nazi-fascismo, della seconda Guerra Mondiale, quando non esitate fatalmente come nel caso di Sabina Spielrein, morta con le sue figlie durante il massacro di Rostov nel 1942, sono decisamente esplicative in tal senso. Oltre alla fuga di Sigmund Freud, ormai ottantaduenne, da Vienna dopo l’annessione dell’Austria, è interessante richiamare, come esempio più sfumato di reazione all’odore di zolfo della psicoanalisi, la vita di Wilhelm Reich: principale rappresentante del freudo-marxismo degli anni Trenta, fra il 1934 e il 1937 viene espulso sia dal partito comunista tedesco che dalla Società psicoanalitica, per motivi complementari; per i primi, eccessiva attenzione alla sfera della vita privata, che non contribuisce alla rivoluzione e al cambiamento sociale; per i secondi, eccessivo impegno militante sociale e politico che sfocia nel deviazionismo dall’ortodossia freudiana. Nel 1939 Reich emigra a New York dalla Norvegia, mentre sono in atto le persecuzioni naziste. Muore nel 1957 in carcere dopo essere stato inquisito sulla base di una segnalazione della Food and Drug Administration sul suo accumulatore di energia orgonica, condannato per ciarlataneria, previa perizia psichiatrica che lo classificò come paranoide, da un tribunale di quella stessa cultura democratica da lui tanto lodata.
Al di là delle derive fantastiche e a tratti deliranti relative all’orgone, risulta alquanto suggestivo il confronto fra la società americana, permeata di perbenismo e rigida nella sua esaltazione del capitalismo, e la base delle teorie reichiane, che si fondano sull’esperienza con pazienti del proletariato, dei centri di igiene sessuale, ove la psicoanalisi si confrontava con l’indigenza, la disinformazione sessuale, aborti clandestini, insufficienti diritti dei lavoratori; esperienze da cui scaturisce il concetto che il sacrificio della pulsione sessuale è richiesto da un particolare tipo di civiltà, quella capitalistica, veicolata dall’istituzione repressiva della famiglia, che assolve a determinati obiettivi politici e di potere come ben esplicitato nella sua opera Analisi del carattere (Reich, 1933).
Come efficacemente detto da Elisabeth Roudinesco in un’intervista alla radiotelevisione italiana nel maggio 1994, «non si puòpraticare la teoria della non-libertàdel soggetto in Paesi che sospendono le libertàdemocratiche», così come nei Paesi ove vige la teocrazia. La psicoanalisi ci chiede di interrogarci sulla possibilità che la puzza di zolfo che la circonda non disturbi solo i regimi totalitari, ma anche quelli democratici.
Bibliografia
Ellenberger H.F. 1976, La scoperta dell’Inconscio, vol. II, Cap X, Ed. Bollati Boringhieri, Torino.
Foucault M. 1977, La volontàdi sapere, Ed. Feltrinelli, Milano.
Freud S. 2000, Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte (1915), Opere, vol VII, Ed. Bollati Boringhieri, Torino.
Freud S. 2003, Costruzioni nell’analisi, (1937), Opere, vol XI, Ed. Bollati Boringhieri, Torino.
Freud S. 2000, Il disagio della civiltà (1929), Opere, Vol X, Ed. Bollati Borighieri, Torino.
Freud S. 2000, La negazione, (1925), Opere, vol X, Ed. Bollati Boringhieri, Torino.
Freud S. 1975, Psicologia delle masse e analisi dell’Io, (1921) Ed. Bollati Boringhieri, Torino.
Freud S. 2003, Studi sull’Isteria ed altri scritti (1886-1895), Opere, vol I, Ed. Bollati Boringhieri, Torino.
W. Reich, Analisi del Carattere, (1933), SugarCo Ed.
S. Vegetti-Finzi, 1986, Storia della Psicoanalisi, Cap I, Ed. Mondadori, Milano.
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