Giornalismo narrativo
Orazio Maria Valastro - Rossella Jannello (a cura di)
Numero monografico pubblicato con il Patrocinio dell'Ordine dei Giornalisti di Sicilia
M@gm@ vol.13 n.1 Gennaio-Aprile 2015
QUESTA È LA STORIA DI DUE RAGAZZI
Maria Lombardo
lombaria@tin.it
Giornalista di Cultura e Spettacolo per il giornale “La Sicilia”, cartaceo e online, insegna Giornalismo culturale all’Università di Catania, Dipartimento di Scienze umanistiche, ha pubblicato i volumi “Scelte”, “La tecnica del giornalista”, ha curato l’opera in tre volumi “Giornali d’Europa” e inoltre racconti e saggi di cinema. È critico cinematografico per “La Sicilia”, partecipa a giurie di festival cinematografici. Francesista, ha collaborato con l’Alliance Française di Catania, al Centre culturel Français de Palerme et de Sicile, al Théatre des Italiens diretto da Maurizio Scaparro a Parigi, al magazine “La pensée de Midi” (Marsiglia) diretto da Thierry Fabre. Nel 2004 ha ricevuto dal ministro della cultura della Repubblica francese Catherine Tasca l’onorificenza di Chevalier de l’Ordre des Art set des Lettres.
Questa è la storia di due ragazzi per i quali le speranze di riuscita in una professione artistica come quella dell’attore - già difficile per chiunque - in percentuale erano una su dieci. Forse zero. E invece ce l’hanno fatta: uno a Parigi, l’altro a Roma. Uno è star della scena teatrale d’Oltralpe, l’altro è sulla strada per diventarlo. Il primo si chiama Bakary Sangaré originario del Mali, ha oggi 55 anni e fa parte dell’équipe stabile della Comédie Française, il più antico e prestigioso teatro di Francia. Il secondo, Federico Lima Roque, di anni ne ha 28, vive in Italia ed ha già un bel curriculum.
Entrambi di colore, entrambi di umili origini, arrivati in Europa come tanti, centinaia di migliaia, nel loro caso non da clandestini. Tuttavia Sangaré ha due fratelli che hanno vissuto il dramma dell’emigrazione clandestina. Le storie di Bakary e Federico mostrano come il talento e la fortuna possano vincere le avversità, l’emarginazione, i pregiudizi.
Negli Stati Uniti gli attori dalla pelle scura, eredi degli antichi schiavi, hanno faticato a entrare nel mondo del cinema, ad avere ruoli da protagonisti e a vincere dei premi. Eppure nel lontano 1939 Hattie McDaniel vinse la statuetta dell’Academy Awards per il ruolo di “Mammy” in “Via col vento”, nel 1985 un Golden Globe andò a Whoopi Goldberg per “Il colore viola”. E da lì tra Morgan Freeman, Denzel Whashington e tanti altri, il tabù è caduto.
In Europa la strada è ancora in salita ma molti sono arrivati in cima. In Francia Omar Sky figlio di una donna di servizio della Mauritania e di un operaio senegalese emigrati in Francia, ha vinto il Premio César per la commedia cinematografica “Quasi amici” (2011). Pochi mesi fa nel talk-show statunitense “People” l’attore britannico Benedict Cumberbatch prima dell’uscita di “The imitation game”, parlando con il conduttore Tavis Smiley della diversità degli attori britannici nel cinema, ha affermato che “è molto complicato per gli attori di colore nel Regno Unito: ho degli amici che riescono molto meglio qui. Deve cambiare qualcosa”. L’espressione “attori di colore” ha suscitato una reazione sui social network essendo stata presa come espressione razzista. E Cumberbatch si è affrettato a scusarsi con un comunicato stampa. Insomma il colore della pelle per chi fa spettacolo non è ancora un fatto assodato. Nemmeno nel Belpaese dove pure un pioniere è stato Salvatore Marino, figlio di un’eritrea e di un italiano: ha esordito come attore negli anni Ottanta (“Stangata napoletana”) e ha proseguito in televisione come comico (anche “Zelig”), oggi editorialista per la trasmissione “Omnibus weekend”.
Bakary Sangarè e Federico Lima Roque sono due volti di uno stesso personaggio: Mohamed, l’africano sulla neve protagonista di “Lampedusa snow” la pièce della drammaturga palermitana Lina Prosa, parte della “Trilogia del naufragio” andata in scena a febbraio 2014 a Parigi in una produzione della Comédie Française e a febbraio 2015 a Palermo in una produzione del Teatro Biondo Stabile.
Ma al di là del personaggio che entrambi hanno interpretato ci sono delle affinità nelle loro storie personali. Il più giovane Federico è nato a Roma da genitori emigrati dalle isole di Capo Verde. Il padre pescatore è andato a lavorare in Portogallo, la madre si è data da fare come donna delle pulizie. Il legame con le origini capoverdiane resta forte per il giovane che ha studiato Psicologia all’Università La Sapienza mentre si appassionava al teatro e superava il provino di ammissione all’Accademia Nazionale d’Arte drammatica Silvio D’Amico. Dopo il diploma ha lavorato con Ronconi e tanti altri registi di teatro. Nel suo curriculum figurano “Napoli Milionaria”di De Filippo regia di Arturo Cirillo, “Nozze dei piccoli borghesi”di Brecht regia di Giacomo Settis Bisordi, “Noi, gli eroi” di Lagarce regia di Valentino Villa, “Don Giovanni” di Molière regia di Giacomo Settis Bisordi, “Composizioni” regia di Anna Marchesini (Festival di Spoleto), “La Disputa” di Marivaux regia di Giacomo Settis Bisordi a cura di Walter Pagliaro, “L’uomo la bestia e la virtù”, di Pirandello regia Simone Antonelli, “Nina Variations”di Steven Dietz regia di Max Farau (Festival di Spoleto). Più recente “Oltre i verdi campi” di Nick Withby al Teatro dei conciatori di Roma, regia di Giorgia Lepore, omaggio all’anniversario della Grande Guerra con undici attori in altrettanti ruoli assortiti per provenienza sociale e culturale: sono i soldati chiusi in un carro armato, in attesa della battaglia che, come sanno, segnerà la loro fine. Ha preso parte anche ad alcune fiction come “Rex” e “Provaci ancora prof”.
Federico Lima Roque |
Bakary Sangaré è arrivato al massimo teatro di Francia da Bafina un villaggio a sud della cittadina di Bamako sperduto nelle campagne del Mali. La sua storia è quasi una favola. A sei anni, bambino sveglio e curioso, affrontando i 40 chilometri che separano il suo villaggio dalla città, va a scuola e completa gli studi a 18 anni. Dopo una formazione alla École nationale des Arts di Bamako e a l'École nationale des Arts et Techniques du Théâtre, entra alla Comédie-Française nel 2002 e ne diventa socio stabile nel 2013. È stato Otello nell’ “Otello” de Shakespeare e ha interpreato “Un cappello di paglia d’Italia”, diretto dall’italiano Giorgio Barberio Corsetti, “Rituel pour une métamorphose” di Saadallah Wannous, regia di Sulayman Al-Bassam, è stato la madre e Claude ne “I tre porcellini”, regia di Thomas Quillardet e poi ha fatto “Peer Gynt” di Ibsen, “Le allegre comari di Windsor” di Shakespeare, “Bérénice” di Racine (Faustin Linyekula), “La Disputa” di Marivaux (Muriel Mayette-Holtz), “Pentesilea” di Kleist (Liermier), e poi ancora “Tartufo”di Molière (Bozonnet), “Favole” di La Fontaine (Robert Wilson), “Papa doit manger” di Marie Ndiaye (André Engel), infine “Lampedusa Snow”.
La grande difficoltà per Sangary è stata “essere figlio di poveri, di contadini”. «Arrivato a Parigi con la borsa di studio per entrare all’École nationale supérieure des arts che mi fece ottenere il mio professore francese all’Accademia giù nel Mali, ero solo, sperduto nella metropoli, senza risorse né famiglia. Ho lavorato duro, avevo fame di tutto, è un miracolo per me. Il teatro non fa diventare ricchi ma l’incontro con quell’uomo che ha capito che la mia famiglia povera non avrebbe potuto consentirmi quel percorso, resta una tappa fondamentale della mia vita». E poi l’altro incontro fondamentale è stato quello con Peter Brook che lo volle subito per “Mahabharata”. «Ho avuto molta fortuna» dice.
Bakary Sangaré è quindi il primo africano a far parte della Comédie Française. È stato successivamente scoperto anche dal cinema (tra gli altri film, “Samba Traore” di Idrissa Ouedraogo Orso d'argento al Festival di Berlino 1993, “Le Bonheur”diPierre Henry Salvati, “Mazeppa” di Bartabas, “Trouble every day” di Claire Denis, “Les Marins perdus” di Claire Devers, “Les Sentiments” di Noémie Lvovsky, “Nella società degli uomini” di Arnaud Desplechin).
Bakary Sangaré |
«Quella dell’attore – racconta Sangarè - è innanzitutto un’avventura umana che ingloba l’umanità intera in tutte le varietà possibili, le provenienze possibili: si tratta di fare quello che non si fa nella vita normale, è una creazione divina. Uccelli neri, fiori blu, alberi rossi: è questo che fa la bellezza del mondo, è una composizione come un quadro. Tutto il mondo fa parte della creazione e io parto da questo, il teatro mi ha rinforzato questa concezione del mondo. Il lavoro artistico supera la particolarità dell’uomo unico e solo, abbraccia tutto».
Federico Lima Roque ha cominciato “per gioco”, come Bakary alle scuole elementari, non diversamente da tanti altri attori di qualsiasi origine che da bambini hanno rivelato il proprio talento. «Pensavo che sarebbe stata un’esperienza effimera invece mi sono appassionato e ho deciso che ci volevo provare. Siccome non ho agganci – dice Federico - da figlio di emigrati (non vengo certo da famiglia benestante che potesse aiutarmi), ho detto “ok, se ci sono i presupposti oggettivi, lo farò”».
Le sue difficoltà, dice, sono state le stesse che abbia in Italia chi è figlio di operai o di immigrati. «È stata una scelta coraggiosa e sprovveduta. La difficoltà che ho patito è di tipo culturale: sono cresciuto in una casa in cui non c’è una biblioteca, ho letto di meno rispetto ad altri colleghi bravissimi. Quando vai in scena racconti una storia e quindi essere abituato a leggere storie, è importante. A 15 anni la paghetta che ti danno i genitori la usi per uscire e non per comprare un libro».
Bakary non ha interpretato solo ruoli legati al colore della pelle, come “Lampedusa snow”: «Tutto è colore alla fine e dipende dal colore che serve per il quadro» afferma. E Federico: «Nero sono e quindi da lì non si prescinde. In Italia c’è ancora difficoltà a pensare che un attore di colore possa interpretare qualsiasi tipo di ruolo. Adesso cominciano ad affacciarsi i primi attori di colore. In Francia e Inghilterra l’integrazione è più forte».
Per Bakary si è trattato dunque di incontri fortunati: Philippe Daucher, il professore che l’ha aiutato dal Mali ad approdare all’École nationale di Parigi, Peter Brook che l’ha scelto attraverso dei provini, Marcel Bozonné della Comédie Française che l’ha fatto entrare come “sociétaire” (socio) nell’antica e prestigiosa istituzione. Questa si chiama democrazia della cultura e dell’arte: la borsa di studio e l’assenza di pregiudizio razziale.
Federico Lima Roque ha avuto con la pièce di Lina Prosa la prima occasione di cimentarsi in un ruolo da protagonista, solo al centro della scena che ricostruisce, come la scena francese del “Vieux Colombier” in cui si è esibito Bakary (che nell’allestimento palermitano è entrato come “griot” ovvero voce fuori campo) un approdo ma tra le montagne. La pièce s’ispira a storie realmente accadute di extracomunitari che passano le Alpi e a piedi per andare in Francia similmente allo storico film di Pietro Germi “Il cammino della speranza”.
«Un monologo è cosa che non accade facilmente a chi ha 28 anni, come me – dice Federico - e dal punto di vista personale, questo testo mi tocca da vicino, anche se la storia dei miei genitori non è stata drammatica come quella di Mohamed».
Le strade dell’arte sono aperte a tutti teoricamente ma quanto sacrificio e quanta fortuna occorre per arrivare. E non è solo questione di colore della pelle.
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