Journalisme narratif
Orazio Maria Valastro - Rossella Jannello (sous la direction de)
Numéro monographique publié avec le parrainage de l'Ordre des Journalistes de Sicile
M@gm@ vol.13 n.1 Janvier-Avril 2015
L’ULTIMA SCOMMESSA
Rossella Jannello
r.jannello@lasicilia.it
Giornalista professionista, vive e lavora a Catania. Laureata in Scienze politiche, cronista del quotidiano “La Sicilia†di Catania, dove scrive di Lavoro, Politica, Cultura ed Emergenze sociali. È counselor e collabora con l’Aspic (associazione per lo sviluppo psicologico dell’individuo e della comunità ) di Catania. La sua tesi di laurea sul teatro dei pupi in Sicilia è stata pubblicata su “Etnologia-Antropologia culturale†nel 1984. Ha pubblicato con Riccardo Mondo “Sogno Arcano, per un ascolto immaginativo della vita onirica†(La parola, Roma, 2012). Suoi racconti si trovano in varie raccolte. È diarista dell’Archivio di Pieve Santo Stefano e scrittrice autobiografa de “Le stelle in tascaâ€.
È l’ultima scommessa del giornalismo. E non è solo un ritorno. Ci si è arrivati per scelta e soprattutto per necessità. Lo chiamano long-form journalism, new journalism o non fiction. E in Italia anche «reportage narrativo» o «giornalismo delle storie». Ma forse sarebbe meglio dire che si tratta della risposta del Giornalismo alle Breaking news e ai 140 caratteri di Twitter.
Insomma: se è vero che non esiste realtà senza qualcuno che la osservi e non esiste informazione senza qualcuno che la racconti, le realtà si sono moltiplicate vertiginosamente e l’informazione si è fatta sempre più scarna e sincopata. Avere la notizia VS raccontare le notizie.
Secondo gli ultimi dati ufficiali, sui quotidiani americani dal 2003 al 2012, gli articoli pubblicati con più di duemila battute sono in netta diminuzione: sul Los Angeles Times il calo è stato dell’86%, sul Washington Post del 50%. E i numeri rivelano una tendenza che è sotto gli occhi di tutti i lettori: quei pezzi che attraverso le parole ci portavano dentro le storie, ci restituivano le atmosfere, le immagini, le sensazioni e le descrizioni di una situazione sono merce sempre più rara.
Per i quotidiani italiani non ci sono dati simili, ma è abbastanza evidente che quel giornalismo, tranne alcune brillanti eccezioni, è in via d’estinzione anche da noi. Le cause si possono immaginare: la crisi ad esempio. Il costo di produzione per articoli di quel genere è alto e la correlazione tra il giornalismo di qualità e le vendite non è sempre vera. Molte redazioni ormai si basano su agenzie e comunicati, arricchiti se c’è tempo da qualche telefonata. Gli inviati si sono trasformati in una specie rara. Solo i quotidiani più grandi possono permetterseli. E neanche tanti.
Ma se la crisi e la fretta hanno generato questo modello di giornalismo, i dati delle vendite hanno mostrato che non si tratta, per i giornali scritti in particolare, ma anche per le testate online, di un modello remunerativo. Da questo punto di vista, anche gli editori sono d’accordo: le storie, o, se preferite il digital storytelling può diventare la nuova prateria del giornalismo italiano.
In un periodo in cui, complice la crisi, le aziende editoriali centellinano gli investimenti e sperimentano con cautela nuovi format, il giornalismo narrativo multimediale sta diventando una costante nell’offerta anche delle testate online. Tra i pionieri del genere Corriere.it che a gennaio 2014 ha inaugurato la serie di reportage multimediali con Rocinha di Eliano Rossi: un racconto interattivo dello “slum più grande del Brasile”. Non solo luoghi lontani o storie d’altri tempi. In questo contenitore ha trovato casa anche lo sport, con il long form di Federica Seneghini dedicato alla Nazionale Under 17 di calcio femminile. E reportage dai fronti caldi, dalla Tunisia alla Birmania.
Con la pubblicazione di un reportage da Hong Kong e un’inchiesta sul derby finanziario tra Roma e Juventus, è partita invece a dicembre 2014 l’avventura di Informant Stories. Sulla piattaforma, realizzata dell’omonima casa editrice nata nel 2012 e specializzata in ebook, trovano spazio web stories e esperimenti di long-form journalism. Il sito ospita due racconti al mese privilegiando l’inchiesta, l’approfondimento e l’analisi. Generi che restano l’essenza della linea editoriale di questo progetto, nato per soddisfare, dice Massimo Colarsurdo, editor insieme ad Antonio Talia di Informant, «una domanda e una fame di storie» che in Italia c’è ma che, al momento, non ha trovato ancora una risposta adeguata nei media mainstream. Lo storytelling italiano è «uno spazio lasciato vuoto - spiega Colasaurdo - che ci rendeva insoddisfatti in primis come lettori». Con il risultato di tanta aria nuova per il reportage e l’inchiesta, che sul web hanno scoperto una seconda vita. E una nuova vita anche per i giornalisti che hanno l’opportunità di rispolverare i vecchi taccuini pieni di storie da raccontare lasciate per anni chiusi in un cassetto.
E nei giornali tradizionali? «Assistiamo - osserva Andrea Melodia, giornalista Rai e presidente dell’Ucsi, associazione professionale cattolica attenta alla Mediaetica e ai mutamenti della professione - a un progressivo spostamento verso una attitudine sempre più narrativa del giornalismo per effetto della concorrenza dei vari canali televisivi, della commistione di generi e di intenzionalità comunicative. Cosa dovrebbe fare un giornalista oggi? - rincara - Conoscere il proprio pubblico, le persone e la loro storia».
«E trasformare la notizia in esperienza - aggiunge Federico Badaloni, giornalista e architetto dell’informazione per il gruppo L’Espresso - raccontando, appunto, una storia, i suoi protagonisti e i suoi possibili sviluppi. Entrandoci dentro senza temere di “contaminarsi”. Indicando i “buoni” e puntando il dito contro i “cattivi”. Agendo, attraverso i media, per trovare una soluzione adeguata per i protagonisti e remunerativa per il Medium».
Una rivoluzione, per molti di noi, abituati a raccontare i "fatti" badando a non aggettivarli, a non metterci nel mezzo i tuoi pensieri e la tua visione del mondo. Perché un uomo che muore, un bambino che non nasce, le lamiere contorte di una macchina, un corteo di protesta, fatti tragici sono, ma la tragedia parla da sola, non ha senso sottolinearlo con i tuoi commenti. A un romanziere si addicono piuttosto le stratigrafie dell'anima, il conto che torna sempre, i voli pindarici fra i luoghi e i personaggi di una storia e anche il giudizio sui fatti…
Da qui, per voglia o per necessità, la riscoperta di un genere che nuovo non è, il cui capostipite indiscusso è lo scrittore e giornalista statunitense Truman Capote, che nel suo A sangue freddo, del 1965, conduce un’investigazione giornalistica in forma di racconto. Ma un altro padre nobile del giornalismo narrativo è, in America Latina, Gabriel Garcia Màrquez che ha usato il giornalismo per raccontare la realtà in cui hanno preso forma le manifestazioni più belle della sua immaginazione letteraria. E anche nel nostro Paese, sia pure in forma più inconsapevole, i giornalisti hanno mescolato il loro fiuto, la loro lucidità, alla forza della scrittura. Basta pensare a Tiziano Terzani, a Oriana Fallaci.
Ma c’è anche chi ha utilizzato il reportage narrativo che fonda narrazione e inchiesta come sbocco naturale al desiderio di raccontare il Sud e quello che del Sud non era mai stato raccontato. Il potere dell’affabulazione, in questo caso, ha colmato il vuoto lasciato dall’informazione neutra, e l’articolazione narrativa è servita a dare nuovo peso a problemi neutralizzati dall’indifferenza o dalla malafede di giornali e televisioni.
Pensiamo a Saviano e al suo Gomora ma anche a Giuseppe Fava, ai suoi reportage di denuncia, ai suoi libri, alla sua visione anticipatoria delle connessioni fra la mafia e i nodi della politica e dell’economia. Il racconto, seguendo lo schema del reportage narrativo, è attento e puntuale, incalza il lettore proiettandolo all’interno degli eventi di cui si illustrano gradualmente cause ed effetti, ma senza rinunciare a un linguaggio letterario denso.
Così come nel libro di Saviano, che è diventato un vero e proprio caso letterario, il confine tra romanzo e reportage è molto sottile e l’autore gioca su forti impatti emotivi che non fanno leva sul linguaggio, che al contrario presenta caratteristiche tipicamente giornalistiche, ma sulle immagini.
Gomorra è costruito su fonti “ufficiali” scritte e orali come verbali, dibattiti, carte di polizia, interviste, soggiorni «immersivi» nei territori della camorra, producendo quindi un connubio perfetto tra letteratura e giornalismo. Certamente, i contenuti, quelli di fondo, rimandano a fatti realmente accaduti e vissuti, ma tutto è ricondotto alla prospettiva individuale del narratore-autore che diventa protagonista letterario, rinunciando alla consueta narrazione in terza persona dei reportage o delle inchieste. Ecco, in questo senso il giornalismo narrativo è un ibrido che condivide con l’inchiesta giornalistica l’oggetto di rappresentazione e il metodo d’indagine: la realtà verificabile e verificata su precisi documenti e testimonianze; poi, però, per raccontare questa realtà, raggiungendo un maggior impatto emotivo, si avvale della strumentazione retorica della narrativa.
Il giornalismo narrativo non è naturalmente solo impegno civile militante, ma può essere efficace strumento per penetrare tutta la realtà che ci circonda.
Per Padre Francesco Occhetta, giornalista, scrittore di Civiltà Cattolica e autore de “Le tre soglie del giornalismo”) oggi lo scopo del giornalismo «non è più vendere la notizia, replicata all’infinito dai vari canali, ma la fiducia», attraverso «la costruzione e la narrazione dei territori e la connessione di mondi che non comunicano tra loro»: insomma, «la contestualizzazione e l’interpretazione».
Una rivoluzione copernicana: dalle vecchie cinque W (who, what, when, why, where) alle nuove cinque C (context, conversation, curation, community, collaboration). Un modo per superare la notizia e, attraverso le storie narrate, comprendere e far comprendere un fenomeno più da vicino (come, al cinema l’alternarsi di campi lunghi e primi piani compone la sequenza), permettendo di raccontare non solo i dati, ma esperienze, personaggi, panorami e storie.
Osservando, innanzitutto, facendo esperienza, e poi rielaborando e scrivendo. Facendo proprio lo slogan di Al Jazeera English: «Hear the human story, we believe humanity should always be reflected in our reporting».
E non dimenticando di metterci anche l’anima. «Simpatia, empatia ed esperienza - dice Raffaele Luise, giornalista Rai e vaticanista - sono le tre parole chiave per raccontare. Le uniche che permettono al giornalista di dilatare la sua umanità».
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