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  • Uno sguardo sistemico sull'interculturalità
    Cecilia Edelstein (a cura di)

    M@gm@ vol.11 n.3 Settembre-Dicembre 2013

    IL CORAGGIO DI ESSERE SISTEMICI: CIRCOLARITÀ E RIFLESSIONE NELLA PRATICA CLINICA IN UN CONTESTO VARIAMENTE CULTURALE


    Orietta Festa

    orietta.festa@virgilio.it
    Psicologa, psicoterapeuta sistemico relazionale specializzata presso il CPTF, Centro Padovano Terapia della Famiglia, con il quale attualmente collabora. Conduce per la Fondazione Capta di Vicenza un Centro Diurno interculturale per minori e promuove progetti di intervento nelle scuole e sul territorio. Il suo lavoro pone particolare attenzione alle problematiche legate alla migrazione, all’integrazione, alle difficoltà scolastiche e familiari.

    Roberta Radich

    roberta.radich@centrocapta.it
    Sociologa, psicologa, psicoterapeuta sistemico relazionale presso Psicologi PER.FA.RE - Persone Famiglie Reti -; presidente della Fondazione Capta onlus di Vicenza. Attua vari progetti in collaborazione con comuni e istituzioni e attraverso le iniziative promosse presso La Casa del Possibile, centro diurno per minori in difficoltà. Svolge attività libero-professionale come psicoterapeuta e si occupa di progettazione, formazione e supervisione in ambito psico-sociale.

    Metodologia della ricerca

    L’obiettivo della ricerca, che verrà qui illustrata, è quello di indagare modalità di lavoro specifiche nella pratica terapeutica con i migranti. Con tale obiettivo, sono stati intervistati psicoterapeuti di approcci diversi con esperienza di clinica con i migranti. In particolare, la domanda che ci siamo poste è se i terapeuti che hanno lavorato con i migranti abbiano modificato il loro modo di operare e, se così fosse, come vengano descritti i cambiamenti relativi a strumenti e modalità di lavoro nell’incontro con gli utenti stranieri. Inoltre, sono stati indagati quali contesti, utenze e problemi i terapeuti abbiano incontrato e quale sia la circolarità tra intervento terapeutico e migranti.

    Abbiamo intervistato otto terapeuti: Alfredo Ancora, Umberta Telfner, Pietro Barbetta e Mauro Gonzo, che fanno parte dell’approccio Sistemico di Milano; Cecilia Edelstein, ideatrice ed esponente dell’approccio Sistemico Pluralista; Marco Mazzetti, appartenente all’approccio di analisi transazionale, ma con degli elementi legati all’approccio etnopsichiatrico; Rosalba Terranova di ambito psicoanalitico; Natale Losi, di matrice etnopsichiatrica, che ha sviluppato successivamente l’approccio etno-sistemico narrativo. (Tab.1)

    Tab. 1: tabella relativa agli 8 terapeuti intervistati, in cui è indicato l’approccio principale di riferimento e ulteriori riferimenti teorici dichiarati.

    Questa ricerca ha utilizzato un approccio ermeneutico, in particolare quello della Grounded Theory, che, a nostro avviso, ben si adatta al concetto di circolarità sistemica. La Grounded Theory, infatti,sistematizza questo approccio circolare, coniugando metodo deduttivo e metodo induttivo. Da una parte, le ipotesi vengono sviluppate con un processo top down, per cui le stesse, derivate dalla teoria, si dividono in alcune categorie di analisi del dato. Dall’altra parte, però, sia la teoria sia le stesse ipotesi della ricerca sono continuamente riscritte, sulla base di quello che il ricercatore trova in fase di analisi, in un processo di co-costruzione costante. Troviamo che questo tipo di metodologia di ricerca qualitativa, si applichi bene alla modalità di pensiero e di lavoro dell’ambito clinico, permettendo una continua revisione dei propri strumenti.

    Le interviste sono state registrate, trascritte e poi esaminate attraverso il software di analisi dei testi ATLAS.ti. Questo programma permette al ricercatore di creare dei codici basati sulla sua teoria che vengono, poi, attribuiti al testo, ma al tempo stesso, questi stessi codici possono essere ri-costruiti durante il lavoro di analisi. Calcolando la frequenza dei codici nominati dai terapeuti, abbiamo condotto un’analisi quantitativa delle interviste.

    Nel dettaglio, questi codici riassumevano quelli che, secondo noi, sono i principali strumenti di intervento dei clinici, usati con i pazienti di altre provenienze culturali. Inoltre, tutti questi codici sono stati modificati in base a quello che si raccoglieva dall’esperienza, dai significati e dalla riflessione sulla competenza acquisita dai terapeuti nel corso della loro attività clinica.

    Risultati

    Contesto di intervento, metodologia di lavoro, tipo di domanda, setting, ruolo del terapeuta, strumenti, epistemologia di riferimento

    Un primo ambito rispetto al quale abbiamo raccolto riflessioni e svolto indagini riguarda i contesti di intervento. In particolare, per quanto riguarda l’ambito privato (Fig.1), abbiamo riscontrato nelle interviste una netta maggioranza di riferimenti al Privato sociale, seguiti da quelli di tipo psicoterapeutico più classico; successivamente troviamo gli interventi in ambito formativo, in centri convenzionati, soprattutto con il sistema sanitario e, infine, in ambito di supervisione.

    Fig. 1: il grafico mostra la percentuale dei contesti d’intervento nominati dai terapeuti per quanto riguarda l’ambito privato.

    Per quanto concerne la sfera pubblica (Fig. 2), la maggior parte degli interventi riguarda i Centri di Salute Mentale (CSM).

    Fig. 2: il grafico illustra la percentuale dei contesti d’intervento nominati dai terapeuti rispetto l’ambito pubblico.

    Più in generale, possiamo affermare che si è parlato per metà di interventi in contesti non terapeutici e per l’altra in contesti terapeutici (Fig. 3). E’ tuttavia importante evidenziare il fatto che il 45% degli interventi nei contesti non terapeutici sono considerati innovativi o sono oggetto di riflessione teorica e epistemologica da parte dai terapeuti intervistati.

    Fig. 3: nel grafico è possibile vedere la percentuale di interventi relativi a contesti terapeutici e non terapeutici.

    Ulteriore obiettivo della ricerca era quello di riflettere, insieme alle persone intervistate, sui cambiamenti riguardanti l’ambito terapeutico nell’approccio con i migranti. Tuttavia, l’elevato numero di argomentazioni relative a contesti non terapeutici, può essere considerato un importante dato in grado di confermare la nostra ipotesi, a sostegno del cambiamento continuo rispetto al modo di fare terapia. La riflessione sugli interventi in contesti non terapeutici, inoltre, era quella maggiormente associata a un altro codice, che ha acquistato sempre più importanza in questa ricerca, ovvero il fatto che il cambiamento nel proprio modo di lavorare con questa utenza sia correlato anche a un cambiamento delle proprie premesse e metodologie in generale. Per cui, a differenza di sessioni più canoniche e più classiche, l’intervento con i migranti sembra essere quello che maggiormente stimola chi opera in questo campo a fare delle riflessioni più generali sulla propria pratica.

    Un altro aspetto che è stato interessante rilevare nei colloqui con questi professionisti riguarda i problemi maggiormente riscontrati con l’utenza. In particolare, confermando alcune ipotesi formulate, abbiamo rilevato che il 70% delle problematiche individuate riguarda difficoltà di tipo sociale e socio-relazionale, senza sintomatologie specifiche (Tab. 2 e fig. 4). Comunque, anche quando esse sono presenti, spesso è più facile individuare motivazioni sottostanti di tipo sociale e socio-culturale.

    Tab. 2: la tabella ci mostra le diverse problematiche di tipo sociale e socio-relazionale senza sintomatologie specifiche.

    Fig. 4: il grafico ci illustra le percentuali dei diversi problemi socio-relazionali citati dai terapeuti.

    Per quanto riguarda i setting utilizzati con i migranti, ne sono stati rilevati diversi, contrariamente a quanto ipotizzato all’inizio della ricerca: quello classico individuale; quello familiare, centrale nella metodologia sistemica; le “ecosedute” - termine coniato da Igino Bozzetto - che fanno riferimento al coinvolgimento delle persone e delle famiglie attraverso una condivisione della problematica e della progettazione dell’intervento; infine, il setting gruppale. (Fig. 5).

    Fig. 5: il grafico mostra le percentuali dei diversi tipi di setting.

    L'identificazione di un utilizzo così considerevole di quest’ultimo tipo di setting da parte dei professionisti è in linea con la nostra idea, secondo cui lo stesso si identificherebbe con il contesto più adeguato per trattare certi tipi di problematiche. Inoltre, sei terapeuti su otto parlano di gruppalità come setting di riferimento per i migranti (ma non solo), sia in contesti terapeutici che non terapeutici.

    Il termine setting gruppale sottende tre tipi di gruppalità: l’utenza straniera o italiana, monoculturale o pluriculturale, che comprende anche gli utenti nativi; gruppalità intesa come famiglia allargata, nell’indirizzo del dispositivo etnoclinico di Nathan, ovvero portando anche persone non strettamente familiari; infine, gruppalità di più professionisti - non necessariamente psicologi o counselor - che si collegano per cercare di risolvere la problematica. Emerge, quindi, che la gruppalità presenta vari tipi di connotazione e non deve essere intesa esclusivamente come psicoterapia di gruppo.

    Spesso la scelta di utilizzare il gruppo origina sia da una progettazione pensata sia da un’innovazione riflessiva che avviene in corso d’opera. Abbiamo visto che certe modifiche nascono proprio all’interno della pratica stessa, in maniera, a volte, disorganizzata. Alcuni terapeuti effettuavano delle riflessioni nel momento in cui venivano poste loro certe domande: era un’occasione per esporre e organizzare alcuni cambiamenti, alcune innovazioni necessarie alla pratica.

    Un ulteriore aspetto indagato è quello del ruolo del terapeuta. E’ una codifica avvenuta completamente in modalità bottom up, perché ci siamo trovate a rilevare questa differenziazione proprio nel corso delle riflessioni con i terapeuti stessi. In particolare, è emerso che il ruolo di conduttore è sentito come determinante, accompagnato da una tendenza a utilizzare metodi più direttivi all’interno della seduta classica, e ad abbandonarli per assumere il ruolo di facilitatore della comunicazione all’interno dei gruppi. In quest’ultimo tipo di setting il conduttore tende a sentirsi sempre meno attivo, ma è l’incontro stesso a definire gli aspetti emergenti.

    Rispetto ai livelli di intervento, oltre a quelli classici di emozione, cognizione e azione, emerge quello spirituale. I terapeuti iniziano a introdurre questo livello interiore grazie agli utenti stranieri, non solamente nel corso delle sedute con loro, ma anche con utenti italiani.

    Un ulteriore aspetto interessante è la ripartizione: con gli utenti stranieri abbiamo notato uno spostamento dal livello cognitivo-simbolico ai livelli di azione, spiritualità ed emozione.

    La sfera del corpo è al centro del processo terapeutico, a qualunque livello sia fatto: è il corpo che parla una lingua diversa e che richiede al terapeuta un altro approccio, meno mentalizzato e più concreto.

    L’analisi degli strumenti di intervento (Tab. 3) ne evidenzia alcuni particolarmente adatti e altri che richiedono una modificazione nella pratica clinica. I codici sono stati via via costruiti: come si evince dalla tabella n. 3, molti si riferiscono alla cibernetica di primo ordine, a quella di secondo ordine, al costruttivismo e relativismo. Abbiamo notato che, nell’utilizzo degli strumenti terapeutici con i migranti, c’è un 67% di continuità e un 33% di discontinuità.

    Tab. 3: la tabella riassume i diversi strumenti d’intervento in ambito sistemico.

    La circolarità riflessiva è riscontrabile soprattutto nel momento in cui si utilizza uno strumento particolarmente adatto. Abbiamo inoltre notato che alcuni strumenti vanno necessariamente estremizzati, ed è per questo che abbiamo intitolato il lavoro “Il coraggio di essere sistemici” (Tab. 4). Infatti, all’interno di contesti di lavoro con immigrati, è necessario essere coraggiosi e riuscire a portare ai massimi livelli gli strumenti dell’approccio sistemico.

    Tab. 4: la tabella evidenzia gli strumenti estremizzati in ottica sistemica.

    Le innovazioni possono riferirsi alla flessibilità del setting: si può fare terapia al ristorante, a un funerale, nelle fiere paesane, nelle sagre, nei bar, negli incontri per strada o mentre una mamma aspetta di parlare con gli insegnanti. Sono quelli che la sociologia classica definisce “contesti micro sociologici”, spazi interstiziali.

    È importante guardare in un'ottica sistemica i rituali co-costruiti, sia da noi sia dai colleghi di approccio culturalista stretto, che utilizzano rituali tradizionali non più funzionali. Si rende quindi necessario trovare strumenti terzi di condivisione.

    Quello che abbiamo visto è che, rispetto alla circolarità tra azione e riflessione, vi sono tre risposte diverse da parte dei terapeuti. La prima è l’eclettismo, che supera l’insufficienza dell’approccio tradizionale, accostando approcci diversi senza ridefinire gli strumenti tradizionali. La seconda è la circolarità, che avviene su due livelli: epistemologico e teorico. Il livello epistemologico porta alla consapevolezza delle proprie premesse culturali e al coraggio di innovazione del proprio approccio. Quello teorico, invece, conduce alla terza risposta: il pluralismo.

    La circolarità riflessiva si riscontra inoltre su quattro livelli: il cambiamento, il problema, la mente e il sé e la relazione. Questa circolarità porta a rivedere le premesse epistemologiche, quindi la cornice stessa, entro cui ci muoviamo.

    In sintesi, essere coraggiosi in termini sistemici prevede l’utilizzo di setting gruppali e di tecniche attive, flessibilità del setting in contesti non terapeutici, sbilanciamento sul livello di azione e sul livello spirituale, una maggior evidenza delle problematiche socio-relazionali e, quindi, maggior attenzione alla depatologizzazione, un'accentuazione della riflessione epistemologica e teorica, una maggior attenzione ai propri pregiudizi e premesse culturali, una co-costruzione degli interventi e una moltiplicazione dei punti di vista.



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    M@gm@ ISSN 1721-9809
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