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  • Un regard systémique sur l'interculturalité
    Cecilia Edelstein (sous la direction de)

    M@gm@ vol.11 n.3 Septembre-Décembre 2013

    INCONTRIAMOCI: DISPOSITIVI INNOVATIVI IN UN PROGETTO PER L’INTEGRAZIONE DI MINORI STRANIERI


    Ilaria Baldin

    posta.baldin@gmail.com
    Psicologa scolastica ed Educatrice di comunità, opera da tempo in ambito interculturale.

    Rosalma Gaddi

    rosalma.gaddi@ordinepsicologiveneto.it
    Psicologa scolastica e psicoterapeuta, opera da tempo in ambito interculturale.

    Il “Progetto Incontriamoci

    Il “Progetto Incontriamoci”, elaborato da Chiara Moretti, è promosso dalla Cooperativa Sociale “Una casa per l’uomo” di Montebelluna, cittadina che si colloca nella zona pedemontana della provincia di Treviso. Nell’anno scolastico 2013/14 il progetto è giunto alla sua decima edizione. Da otto anni Ilaria Baldin e Rosalma Gaddi vi lavorano come psicologhe scolastiche e Mirela Ismaili come mediatrice linguistico culturale, madrelingua macedone.

    Nella prima parte dell’articolo si presentano le azioni del progetto, nella seconda parte si espone il resoconto di una situazione scolastico- territoriale incontrata durante l’attuazione di questo progetto, presentandone alcuni aspetti operativi.

    Il “Progetto Incontriamoci” si sviluppa in un’ottica di lavoro di rete: è realizzato, infatti, grazie ad un finanziamento regionale (L.R. 9/1990); i capofila progettuali sono la Conferenza dei Sindaci dei 30 Comuni del territorio di Asolo, Montebelluna, Castelfranco Veneto e l’Azienda U.L.S.S. n°8.

    Il “Progetto Incontriamoci”, realizzato in ambito scolastico con alunni delle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado, ha come obiettivo generale favorire e promuovere, a livello scolastico e territoriale, l’accoglienza e l’integrazione dei minori stranieri e delle loro famiglie. Tale scopo viene realizzato attraverso il lavoro d’équipe svolto dagli insegnanti della “Rete per l’integrazione di alunni stranieri Scuolacolori”, dalle psicologhe e dalle mediatrici linguistico-culturali della Cooperativa.

    Le azioni riguardano:

    • interventi di mediazione linguistico-culturale di prima e seconda accoglienza soprattutto nella scuola primaria;
    • interventi di mediazione a supporto degli enti locali;
    • interventi che riguardano gli alunni in situazione di disagio che frequentano la scuola secondaria di primo e di secondo grado, consistenti nella creazione di percorsi individualizzati costruiti ad hoc, che utilizzano le psicologhe scolastiche come tutor.

    Quest’ultima area d’intervento prevede che siano gli insegnanti a evidenziare degli indicatori di difficoltà o di disagio e a inviare alla Rete per l’integrazione di alunni stranieri una segnalazione. Sono gli insegnanti che raccontano ciò che vedono e che portano la sensazione dell’esistenza di un disagio di un singolo alunno o del gruppo classe. La segnalazione può evidenziare difficoltà in più ambiti, non escludentisi tra loro: le relazioni (anche familiari, ma ovviamente non solo), la frequenza scolastica, gli apprendimenti, la socializzazione, lo svolgimento dei compiti scolastici.

    L’insegnante, attraverso un modulo fornito dalla Rete, ha la possibilità di dare indicazioni di massima rispetto all’osservazione effettuata. Dopo la segnalazione, lo psicologo contatta l’insegnante e da questo momento si attivano percorsi differenziati a seconda della situazione, delle dinamiche relazionali in essere, della scuola in cui ci troviamo e delle risorse presenti, tenendo conto anche di quelle esistenti nel territorio.

    In particolare, nel primo incontro la psicologa costruisce con l’insegnante una lettura del segnale di disagio e del contesto in cui questo si gioca. L’équipe programma successivamente delle azioni concordate, con l’eventuale coinvolgimento di altre figure che hanno contatti con la classe nella quale si è attivata la segnalazione.

    Il confronto rispetto alla costruzione di ipotesi (da falsificare e/o confermare nel tempo) avviato con gli insegnanti disponibili, serve anche a dare voce alle loro ipotesi, e lascia spazio, se richiesto, alle loro risonanze emotive in quanto ritenute utili alla costruzione di significato. Quando ritenuto necessario e possibile, l’équipe coinvolge l’assistente sociale del Comune, importante nodo della rete che può partecipare allo scambio di informazioni e all’attivazione delle azioni che vengono individuate.

    L’équipe cerca di incontrare e di lavorare, quindi, con i sistemi nei quali l’alunno segnalato è inserito, attraverso anche l’importante collaborazione del mediatore linguistico culturale, grazie al quale è possibile prendere contatto e costruire relazioni significative con le famiglie degli alunni. Le mediatrici culturali sono ben inserite nel territorio perché collaborano da anni con i servizi e spesso riescono a fare da tramite con le famiglie d’origine grazie a precedenti incontri avuti nel territorio o presso i servizi: essere mediatori linguistico culturali così radicati nel territorio diventa facilitante.

    Quando gli operatori hanno coinvolto la famiglia, la scuola, il territorio per condividere possibili significati attribuibili a ciò che sta accadendo, è possibile costruire o proporre azioni utili che possano attivare cambiamento in quel sistema.

    I riferimenti all’epistemologia sistemica aiutano l’équipe a formulare delle ipotesi che riescano a dare senso al disagio segnalato, e che tengano conto del percorso migratorio che la famiglia ha svolto o sta vivendo. Spesso il segnale dato dal figlio e dall’alunno, ha qualcosa a che fare con il ruolo da esso giocato all’interno della famiglia e negli altri contesti di vita, tra cui la comunità di appartenenza. Riuscire a co-costruire con la famiglia, con gli insegnanti e con gli operatori delle ipotesi dall’interno, e a condividere poi delle azioni che possano agire sul sistema, diventa un lavoro di rielaborazione, di presa di consapevolezza rispetto agli aspetti della storia della famiglia e dell’alunno. Ciò consente di attribuire un significato diverso a quello che normalmente potrebbe essere letto solo come un’anomalia rispetto all’andamento generale della classe. L’alunno, quindi, viene visto come risorsa, perché il significato che può avere il suo comportamento può essere letto come significato relazionale all’interno delle dinamiche di classe, oltre che all’interno del sistema familiare.

    Gli interventi vengono cadenzati e costruiti a seconda della specificità della situazione (o del caso) e della necessità.

    Ogni équipe interistituzionale si ritrova a metà e alla fine del percorso per verificare quali ricadute si sono verificate attraverso le azioni proposte e se il processo messo in atto ha prodotto delle situazioni di cambiamento. Si analizzano le ipotesi da cui si è partiti e che hanno guidato le attività successive, e viene effettuata un’azione di follow-up nel corso dell’anno scolastico successivo a quello di segnalazione, contattando gli insegnanti per valutare l’eventuale cambiamento nella situazione dell’alunno e della classe.

    Segue la descrizione di una situazione seguita da una psicologa scolastica e da una mediatrice linguistico culturale, ad esemplificazione della prassi operativa fin’ora descritta.

    Applicazioni pratiche


    Al Convegno Nazionale “L’approccio sistemico in ambito interculturale” (promosso dal Centro SHINUI a Bergamo, il 26 e 27 Maggio 2012) l’équipe progettuale sceglie di presentare la situazione di disagio di un’alunna immigrata, segnalata dai docenti di una scuola secondaria di I grado.

    Si opera la scelta di riferire in prima persona del percorso seguito dalla psicologa e dall’équipe interdisciplinare da essa attivata; l’approccio autobiografico narrativo si pone come paradigma per la ricerca di significati attorno al segnale di disagio espresso dall’alunna e per la ricerca di cambiamenti funzionali all’interno dei sistemi di vita dei minori presi in carico. Anche il processo vissuto e così raccontato dall’operatore, all’interno del lavoro d’équipe, è significativo e aiuta a leggere i processi innescati attraverso un intervento sistemico-relazionale e pluralista.

    La segnalazione è arrivata all’équipe a Ottobre 2011, nel periodo immediatamente successivo al Corso di Counseling e Terapie Interculturali, condotto da Cecilia Edelstein e frequentato da una delle autrici, Ilaria Baldin, a Treviso, presso l’Istituto Veneto di Terapia Familiare. La segnalazione, fatta dalla coordinatrice della classe prima della Scuola secondaria di I grado di Vidor (Tv), esprimeva la preoccupazione dell’intero consiglio di classe in merito alle difficoltà di apprendimento di una ragazzina macedone della stessa classe. Gli insegnanti ponevano inizialmente la loro attenzione esclusivamente sul disagio relativo al rendimento scolastico.

    Per favorire la nostra conoscenza dell’alunna abbiamo incontrato tutti gli insegnanti del consiglio di classe, coinvolgendo l’assistente sociale e la mediatrice linguistico culturale di nazionalità macedone. Da questi incontri è emerso che oltre alle difficoltà di apprendimento, anche la socializzazione era vissuta dagli insegnanti come difficile per la ragazza e per il gruppo classe. Gli insegnanti raccontavano che la ragazzina trascorreva tutto il tempo dell’intervallo esclusivamente con le quattro compagne macedoni, parlando solo in lingua madre. Gli insegnanti erano molto stupiti che questo avvenisse. A noi è parso normale e, riflettendo con l’assistente sociale del Comune di Vidor rispetto alla storia di vita migratoria delle madri di queste ragazze, abbiamo riscontrato una grande coerenza tra le due generazioni nelle rispettive modalità di socializzazione. Abbiamo quindi ipotizzato l’esistenza di un mandato familiare trasmesso per via femminile, di madre in figlia, ipotesi fondata sul racconto della mediatrice e dell’assistente sociale secondo le quali queste mamme si relazionavano e trascorrevano tutto il loro tempo come casalinghe all’interno dello stesso condominio, in una via di questo piccolo paese della provincia di Treviso. Allo stesso modo, era possibile che le figlie cercassero di trascorrere il maggior tempo possibile con le connazionali, in particolare a scuola durante la ricreazione, come se fossero nel loro condominio.

    Abbiamo quindi concordato con gli operatori scolastici e territoriali di verificare tale ipotesi di lavoro e, così, di tentare di apportare un cambiamento nel funzionamento dei sistemi di vita delle ragazze. A tale scopo, abbiamo scelto di avviare tre azioni e percorsi paralleli: un intervento di sostegno scolastico, un intervento nel gruppo classe e uno, infine, nel territorio.

    1) Il percorso intrapreso con la ragazzina segnalata aveva l’obiettivo di sostenerla nei compiti, inserendola in un piccolo gruppo di ragazzine italiane, cinesi e macedoni, seguite da un volontario del Comune perché potesse avere un’esperienza di socializzazione e di apprendimento protetta.

    2) In parallelo, in qualità di psicologa, affiancata da una mediatrice linguistico culturale madrelingua, Baldin ha svolto con la classe un laboratorio articolato in quattro incontri insieme agli insegnanti, per costruire un’occasione di socializzazione privilegiata, uno spazio in cui favorire la narrazione di storie di vita (Caillé, Rey, 1998), un percorso per la co-costruzione di una storia di classe. Abbiamo utilizzato anche un gioco relazionale attraverso la scelta e la condivisione attorno a un “oggetto metaforico” (Andolfi e Angelo, 1988), carico di significati autobiografici. L’attività con il gruppo classe è mutuata da strumenti più ampiamente esplorati nell’ambito terapeutico famigliare. Luigi Onnis, nell’introduzione al testo di Caillé (1998), descrive come la concezione della metafora introdotta dalla “teoria dell’interazione” renda possibile la delineazione di questo strumento come cognitivo in quanto permette «l’interazione dei significati ordinari delle parole» e aggiunge, citando Ricoeur, che «i processi immaginativi ed emotivi evocati dalla metafora nel soggetto producono quelle singolari attribuzioni di significato che, al di là del riferimento letterale delle parole usate, danno luogo a nuove concettualizzazioni e visioni di realtà» (Onnis, in Caillé 1998, p.11). Onnis evidenzia quindi come l’elemento metaforico sia intermediario tra i due tipi di pensiero semantico e analogico. È in questo essere intermedio che Caillé definisce la caratteristica di questi oggetti fluttuanti di «occupare uno spazio intermedio tra terapeuta e famiglia» che non appartiene né alla famiglia né al terapeuta, ma deriva dalla storia della famiglia e dalla rilettura che propone il terapeuta (Caillé e Rey, 1998, p. 18 ).

    L’influenza del costruttivismo ha riportato in primo piano l’idea che la propria esperienza non sia costituita da realtà oggettive, ma dalle costruzioni personali che l’individuo si dà della propria esperienza traendo spunto anche dalle emozioni che accompagnano tali esperienze, oltre che dal contesto socio-culturale in cui ci si muove. «Sulla scia delle influenze costruttiviste il concetto di narrazione entra nell’epistemologia sistemica e mette in evidenza come il nostro modo di metterci in contatto con il mondo, di costruire il nostro Sé, la nostra identità, e di permettere che evolva, avviene attraverso la elaborazione e la ri-elaborazione di storie, che si dipanano nell’arco della nostra vita» (ibidem, p. 19).

    Nel corso del laboratorio in classe, abbiamo successivamente realizzato la seguente attività di collage per immagini (Edelstein, 2007): abbiamo chiesto ai ragazzi della prima media incontrata di condividere delle immagini ritagliate dalle riviste per raccontare quali fossero i loro desideri e propositi per costruire e vivere un buon clima di classe e quali fossero le aspettative rispetto al crescere e diventare grandi. All’interno di questo percorso ci ha colpito il fatto che le ragazzine macedoni abbiano iniziato a lavorare in gruppo solo tra loro e successivamente, invece, si siano aperte a lavorare all’interno del gruppo misto. Progressivamente si sono sensibilmente sciolti i confini dei sottogruppi esistenti e, in uno spazio che ha favorito l’ascolto e lo scambio, le ragazze macedoni hanno potuto stare anche con i compagni di altre nazionalità. Gli stessi alunni e insegnanti hanno vissuto l’esperienza come un’occasione, come un modo per potersi mescolare, conoscersi e scoprire di poter parlare delle abitudini delle diverse famiglie d’origine.

    Gli insegnanti hanno cercato di dare continuità al percorso avviato dal “Progetto Incontriamoci” costruendo ogni due settimane una condivisione in cerchio attraverso la metodologia del “circle time”. Quest’ultima è una metodologia adottata per la costruzione di un setting in ambito scolastico; è un metodo di lavoro, ideato dalla Psicologia Umanistica negli anni ’70, che si può proporre sia alle classi delle scuole sia ai gruppi che hanno uno scopo comune; è uno strumento efficace per aumentare la vicinanza emotiva e per gestire dinamiche relazionali complesse. Lo strumento si rivela particolarmente efficace nella prevenzione, per stimolare i giovani ad acquisire conoscenza e consapevolezza delle proprie e altrui emozioni, per gestire le relazioni sociali sia con i pari sia con gli adulti. Il “circle time” è quindi un gruppo di discussione su argomenti di diversa natura, con lo scopo principale di migliorare la comunicazione e far acquisire ai partecipanti le principali abilità comunicative. «La conduzione in 'circle time' facilita e sviluppa la comunicazione circolare, favorisce la conoscenza di sé, promuove la libera ed attiva espressione delle idee, delle opinioni, dei sentimenti e dei vissuti personali e, in definitiva, crea un clima di serenità e di condivisione facilitante la costituzione del gruppo classe» (Manzi, 2009).

    3) In parallelo, nel territorio comunale vidorese in équipe tecnico-politica, abbiamo lavorato con la comunità macedone del paese. Con la consulenza della mediatrice linguistico culturale, abbiamo incontrato tutti gli uomini macedoni che abitano nel condominio dove vive la ragazza, attraverso una convocazione presso la sala della giunta comunale da parte dell’Assessore (uomo) del Comune e dell’Assistente sociale (donna). Quest’ultima era da anni nota alla comunità macedone perché, pur senza risultato, aveva ripetutamente inviato le mogli e le madri macedoni al Gruppo Donne per l’apprendimento dell’italiano come L2, avviato dal Comune e dal Centro scolastico Territoriale Permanente (C.T.P.). Durante l’incontro con la parte politica e tecnica del Comune, gli uomini macedoni hanno chiesto uno spazio dedicato a loro presso le sedi municipali, per poter celebrare delle feste popolari. L’assessore ha chiesto a questi uomini di sollecitare e motivare le mogli alla frequenza del gruppo donne attivato ogni anno dal comune e dal C.T.P., affinché potessero apprendere meglio l’italiano, conoscere donne di altre nazionalità e conoscere i volontari italiani del paese, così da poter seguire meglio i figli nei compiti ed essere più autonome nella relazione con gli insegnanti. Il percorso è iniziato e le donne hanno aderito all’iniziativa.

    Durante il percorso, tuttavia, il Comune e il C.T.P. si sono trovati costretti a tagliare i finanziamenti destinati all’avvio del Gruppo Donne, per cui ora le occasioni in cui il Comune può incontrare la popolazione macedone sono destrutturate, non hanno uno spazio e un contesto dedicato. L’assistente sociale racconta che, a distanza di anni, permangono tuttavia relazioni forti e significative tra i membri della comunità che fanno pensare che il lavoro abbia seminato delle possibilità di cooperazione tra comunità.

    Conclusioni


    - Sulla valenza e il significato di una lettura relazionale e olistica, sulla forza del pensiero ipotetico.

    La scelta del modello sistemico pluralista come modello teorico sul quale basare i nostri pensieri e il nostro agire, ci sembra sempre molto utile soprattutto quando vediamo che le letture che questo modello ci permette di compiere aiutano noi e le persone che richiedono il nostro intervento a uscire da un circolo vizioso di pensieri che non riesce a dare risposte alternative al disagio presentato.

    «Dobbiamo renderci conto che la società complessa e multiculturale è una realtà che ci circonda e non possiamo continuare a pensare alle persone provenienti da culture altre come utenti di bisogni essenziali, bensì persone che devono confrontarsi anche con il disagio prodotto dalla loro migrazione o dalla loro doppia appartenenza, o meglio, dalla complessità stessa» (Francini, 2010, p. 2).

    Le parole di Francini ci aiutano ad esprimere l'idea che la lettura relazionale delle situazioni che ci vengono proposte è efficace nell'ampliare la visione, allargare il campo di osservazione per includere più attori possibili (dall'individuo, alla famiglia, alla comunità), in modo da rendere questa osservazione più ricca, e anche più complessa, e offrendo più possibilità di creare ipotesi, attribuire significati a ciò che sta succedendo e trovare risorse ed energie che altrimenti non potrebbero essere riconosciute e attivate.

    Ciò che viene presentato come problema o disagio viene rivestito da “forme espressive culturali” (ibidem) perciò diventa efficace cercare un linguaggio comune e comprensibile al sistema in cui ci stiamo muovendo per trovare la cura, o meglio, la gestione diversa di una comunicazione che, se letta e compresa (da cum-prendere, quindi prendere con) in modi diversi può cessare di esprimere un disagio.

    - Sull’importanza dell’équipe multidisciplinare, sul passaggio all’interdisciplinarietà.

    Quando gli operatori prendono in carico un disagio, si pongono sempre di fronte all'assunzione di responsabilità, che vuol anche dire ricercare e approfondire metodi e approcci che tengano conto dell'influenza della cultura. La conoscenza reciproca implica quindi il mettere insieme le visioni dei molti attori che abbiamo incontrato allargando lo scenario di osservazione. Questo avviene anche grazie alla disponibilità degli operatori a incontrarsi in équipe multidisciplinari e ad attivare azioni che vedano la collaborazione di professionalità diverse.

    Questa modalità di operare ci pone su un piano di confronto e scambio interdisciplinare che presenta molte similitudini con lo scambio tra culture a cui tendiamo con l'intervento sul sistema: iniziamo quindi a confrontare punti di vista diversi tra gli operatori per dare spazio ad una realtà che ha molte sfaccettature, tutte possibili, integrabili e significative, e per dare poi il via ad azioni che sappiano contenere il senso e la ricchezza della diversità (Edelstein, 2010).

    Il lavoro d’équipe facilita il «riconoscimento degli inevitabili pregiudizi esistenti in noi operatori, passaggio utile affinché questi diventino nostri strumenti di lavoro» (Baldin e Favretto, 2012, p. 79). Non ci si può davvero spogliare dei propri pregiudizi, bisogna piuttosto usarli, essi sono i nostri occhiali e non si possono togliere: sono dunque necessari. Il suggerimento, pertanto, è quello di partire dalle proprie premesse, dai propri pregiudizi, dalla consapevolezza che ogni stereotipo e pregiudizio ha in sé una funzione. Nel passaggio dalla neutralità alla curiosità (Cecchin, 1988), lo scarto si ha non solo nell’avere la consapevolezza che gli occhiali ci servono, ma nell’avere altrettanta consapevolezza che ci si deve adoperare per integrare e ampliare le proprie premesse, ossia, la capacità di vedere e interrogarsi sui propri punti di vista. La curiosità produce come effetto un aumento degli strati di conoscenza e consapevolezza (più domande ci poniamo più conosciamo).

    Marie-Rose Moro (2007) parla della curiosità in questi termini « (...) curiosità vivace per come va il mondo, per l’apprendimento, per l’infinita diversità del tempo, dei luoghi, di ciò che cambia, di ciò che è immutabile. Una passeggiata nella diversità è un immenso regalo che abbiamo a portata di mano (...) L’attitudine alla differenza e lo sguardo che portiamo su coloro che la incarnano, è la più grande sfida della modernità (...) si tratta, nel rispetto dell’universalità dell’umano, di considerare che la differenza è costitutiva e che è il nostro sguardo che bisogna cambiare (...) Ciò implica una effettiva confidenza, un vero scambio. Se il lontano diventa vicino, ci si sentirà allora meno minacciati da ciò che vivremo come più familiare, in uno scambio di reciprocità». (Moro, 2007, pp. 9-11).

    Per noi operatori coinvolti nel progetto, questo ha significato lasciarsi contaminare dalle storie che emergevano negli incontri con le famiglie macedoni. Ascoltare i loro racconti ci ha aiutato a conoscere alcune realtà, ci ha permesso di imparare, creare spazio di riflessione, ci ha dato la possibilità di ricevere informazioni, le loro storie e i loro sentimenti. È stato possibile capire di cosa possono aver bisogno, perché a volte gli interventi di aiuto rischiano di non portare benessere laddove sarebbe sufficiente porre maggiore attenzione, ascoltare. Le narrazioni ci hanno dato anche un rimando di come queste persone potrebbero sentirsi dopo un nostro intervento.

    - Sulla funzione della rete in generale e, nello specifico, in ambito interculturale.

    Il duraturo lavoro d’équipe ha maturato la consapevolezza dell’importanza di un’attenta mappatura, attivazione, manutenzione della rete di cooperazione tra i seguenti nodi: la scuola, i servizi sociali, il privato sociale, le associazioni locali sia di italiani che di migranti, le famiglie degli alunni e le reti informali di sussidiarietà tra queste.

    È di fondamentale importanza lavorare all’insegna dell’integrazione e della concertazione delle risorse disponibili. Solo così si possono attivare grandi possibilità e risorse che possono provenire partendo dal basso, cioè, partendo dai bisogni effettivi del territorio, facendo rete intorno al disagio sociale evitando, in questo modo, che possa trasformarsi in esclusione sociale.

    Paola Toniolo Piva, nei suoi contributi in merito alla rete di servizi, pone l’accento sulla necessità di conciliare l’apporto di metodologie diverse e il contributo di distinte figure professionali per rispondere in modo efficiente ai nuovi bisogni sociali. È auspicabile che l’operatore di rete entri nelle relazioni in cui le persone o il nucleo in difficoltà è compreso: collaborando con questa rete di legami si riaccendono gli scambi significativi che erano diventati disfunzionali (2001).

    Bisogna lavorare affinché si potenzi e si sviluppi la rete esistente o catalizzare la formazione di nuove reti. All’interno di questo cambiamento di mentalità, l’operatore cerca di riattivare le competenze necessarie a fronteggiare le situazioni di bisogno, trasmettendole ai soggetti che fanno parte della rete, oppure cerca di ingrandire la rete stessa favorendo la collaborazione esterna, dando origine in tal modo a interventi decentrati. Il lavoro di rete in contesti multiculturali esige la padronanza di specifiche abilità professionali. E’ pertanto opportuno sostenere l’importanza di una continua formazione per gli operatori, stimolo per una maturazione di competenze relazionali interculturali.

    Bibliografia


    Andolfi M., Angelo C. 1988, Tempo e mito in psicoterapia familiare, Bollati Boringhieri, Torino.
    Baldin I., Favretto T. 2012, Ci vuole tempo a connettersi con famiglie migranti, «Animazione Sociale», mensile per gli operatori sociali, (264), pp. 79-88.
    Caillé P., Rey Y. 1998, C’era una volta. Il metodo narrativo in terapia sistemica, Franco Angeli, Milano.
    Cecchin G. 1988, Revisione dei concetti di Ipotizzazione, Circolarità, Neutralità: un invito alla curiosità, «Ecologia della Mente» (5), pp. 29–41.
    Edelstein C. 2007, Il counseling sistemico pluralista. Dalla teoria alla pratica, Erickson, Trento, 2007.
    Edelstein C. 2010, Interdisciplinarietà e reti di professionisti. Il lavoro clinico con i migranti, «Riflessioni Sistemiche», (3), rivista elettronica ad accesso libero.
    Francini G. 2010, Servizio Intercultura, «L’incontro e la cura», www.itff.org, Firenze.
    Manzi G. 2009, Il circle time: insegnare la condivisione a scuola, «Educare.it» Anno IX, (6), rivista elettronica ad accesso libero.
    Moro M. R. In: Bruni C. 2007, Ascoltare altrimenti. Adolescenti stranieri a scuola, «Italia», pp. 9-11.
    Toniolo Piva P. 2001, I servizi alla persona. Manuale Organizzativo, Carocci, Roma.

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    M@gm@ ISSN 1721-9809
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