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  • Lo sport dans les sciences sociales : de chimère à réalité
    Marco Pasini (sous la direction de)

    M@gm@ vol.11 n.1 Janvier-Avril 2013

    ASSEMBLARE IL GENERE NELLO SPORT: IL CASO CONTROVERSO DI CASTER SEMENYA


    Serena Naim

    serena.naim@gmail.com
    Laureata in scienze antropologiche presso l'Università Alma Mater Studiorum di Bologna.

    Questa ricerca mira a indagare le strategie di gestione delle “anomalie” di genere in contesti di forte segregazione tra i sessi. In particolare, il tema che ci interessa trattare in queste pagine riguarda il modo in cui il mondo sportivo affronta, sia in termini tecnico-scientifici sia in termini narrativi, i casi di atlete che, per caratteristiche fisiche di vario tipo, non rientrano negli standard pensati per chi compete nelle categorie femminili. Cercheremo di capire in che modo l'approccio narrativo si intreccia a quello tecnico-scientifico, e quali saranno le possibili soluzioni al problema.

    Lo sport si rivela in questo senso un terreno estremamente favorevole allo svolgimento di questa ricerca, per tre caratteristiche particolari: in primo luogo, come dicevamo, vige una stretta separazione tra uomini e donne; in secondo luogo, è oggetto di grande interesse mediatico e dunque di una florida produzione narrativa; infine, è un ambito fortemente medicalizzato, sia per questioni di salute psico-fisica degli atleti, sia per questioni di controllo del doping. Ed è proprio l'incontro tra queste tre caratteristiche a creare la situazione in cui, per la prima volta, l'opinione pubblica italiana entra in contatto con quelle soggettività che generalmente vengono definite, impropriamente, “ermafrodite”, ossia individui che racchiudono in sé caratteristiche dell'uno e dell'altro sesso. Questi casi vengono indicati, in ambito medico, come “disordini della differenziazione sessuale”, o DSD, ma più in generale si parla di “intersessualità”. Secondo l'Intersex Society of North America (ISNA), il termine intersessualità indica “una molteplicità di condizioni in cui una persona è nata con un'anatomia riproduttiva o sessuale che non sembra adattarsi alle tipiche definizioni di femmina o maschio” [1].

    Questa tematica, che nei manuali medici compare già nei primi decenni del XIX secolo (Money, Hampson e Hampson, 1955), è entrata nel dibattito pubblico nel 1988, quando il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) si trova a gestire il caso di Maria Patiño, un'atleta spagnola nata con la Sindrome di Morris (detta anche AIS, sindrome da insensibilità agli androgeni) e cromosomi XY. Test simili compiuti rivelarono in seguito che il caso di Maria Patiño non era l'unica “anomalia”: alcuni atleti uomini possedevano una formula cromosomica XX (Fausto-Sterling, 2000; Lorber, 1995). Ai fini della ricerca, la scelta è ricaduta, tra i vari casi possibili, sulla vicenda di Caster Semenya, per certi versi affine a quello di Maria Patiño, poiché rappresenta un caso studio ideale per comprendere quali meccanismi normativi vengono messi in atto per risolvere il problema della presenza di atleti/e intersex all'interno delle competizioni.

    La linea di partenza

    Questo progetto di analisi si pone in maniera critica rispetto alla naturalità del binarismo sessuale e del dato sessuale in quanto tali: mettendo in discussione il dimorfismo come dato naturale, e le conseguenti differenze naturali e socio-culturali tra femmina e maschio, questa ricerca si inserisce nell'ambito dei gender studies, e in particolare nel dibattito sviluppato intorno alla queer theory, secondo cui non solo il genere, ma anche il sesso biologico è socialmente costruito.

    L'idea che il dimorfismo sessuale comporti differenze socioculturali tra maschi e femmine è stata a lungo criticata dalle teoriche femministe che, partendo dalla prima formulazione del concetto di sistema sesso/genere elaborata da Rubin (1975), hanno dato impulso alla nascita degli studi di genere. A partire dagli anni '90, il filone dei gender studies comincia a sottoporre a critica anche la naturalità della divisione tra femmine e maschi, fino a giungere a considerare il sesso biologico una conseguenza (e non una causa) delle differenze di genere (Busoni, 2000; Butler, 1993; Fausto-Sterling, 2000).

    Il terreno di gara

    La ricerca è volta ad analizzare la produzione narrativa nata intorno al caso di Caster Semenya, e il modo in cui questa si intreccia con le strategie tecnico-scientifiche di gestione dei casi problematici. Per questo motivo, parte della ricerca si baserà su fonti documentali ufficiali (i comunicati della Federazione Internazionale di Atletica), le quali però, come vedremo, sono poche ed estremamente concise. La quantità di articoli di giornale riservati alla vicenda è invece impressionante, e non è facile districarsi all'interno di questa enorme produzione narrativa. La querelle è rimbalzata, e rimbalza tuttora, non solo su quotidiani, riviste e telegiornali (italiani ed esteri, sportivi e generalisti), ma anche su forum di discussione, social network e altre piattaforme di interazione online. Questo offre un'interessante panoramica delle reazioni alla notizia, e dimostra come le soggettività che non si conformano al sistema sesso/genere provochino tuttora la curiosità della gente, ma rende assai complesso fare una cernita dei contributi. La maggior parte del lavoro sarà quindi basata su una cyberetnografia che prenderà in esame solo gli articoli dei due principali quotidiani nazionali di sport (Gazzetta dello Sport e Tuttosport) e quelli del quotidiano nazionale a maggiore tiratura (Corriere della Sera), i quali nella versione online permettono agli utenti di commentare la notizia, offrendo quindi una panoramica interessante, per quanto superficiale, delle reazioni dei lettori.

    Innanzitutto, però, scopriamo chi è Caster Semenya e perché è così interessante per noi.

    La "Golden Girl" Sudafricana

    Caster Semenya nasce in una delle più povere province del Sudafrica (in un paesino nei pressi di  Polokwane) nel 1991 [2]. Alle Olimpiadi di Berlino del 2009  vince l'oro negli 800 metri piani femminili con un ottimo tempo, stabilendo il nuovo record nazionale e stagionale. Non è però la sua prestazione atletica a portarla al centro del dibattito sportivo, quanto la conseguente decisione della IAAF (International Association of Athletics Federations) di sottoporre Caster a una serie di test per verificarne il genere (detto in altre parole, per verificare che Caster sia realmente una donna) [3]. Esplode così il “Caso Semenya”, che in breve tempo, complice l'intramontabile interesse popolare per i freaks (Canestrini, 2000), passa dai media sportivi a quelli generalisti, provocando un dibattito tuttora in corso: Caster Semenya è un uomo o una donna?

    Caster si ritrova, appena diciottenne, al centro della risonanza mediatica internazionale, curiosità che probabilmente non si sarebbe aspettata di provocare, se non altro per i motivi. La querelle prende piede rapidamente: l'atleta italiana Elisa Cusma, intervistata al termine delle gare, afferma senza mezzi termini:

    "Io quella che ha vinto, la sudafricana Semenya, nemmeno la considero, per me non è una donna, e mi dispiace anche per le altre. Deve fare il test della femminilità? Era già successo con la Jelimo, ma intanto a questa gente fanno vincere medaglie. È inutile giocare con queste cose, e non è giusto" [4].

    Immediata la risposta dell'allenatore di Caster, Michael Seme:

    "Telefonate pure alle sue compagne di stanza a Berlino, l’hanno vista in doccia, lì non si può nascondere niente" [5].

    E' in questo clima di e risposta che Caster comincia il suo lungo percorso di test, un'interrogazione che coinvolgerà un ginecologo, uno psicologo, un endocrinologo e un non meglio precisato “esperto di genere” (Il Corriere, 19 agosto 2009). E mentre il dibattito impazza sui media, l'atteggiamento della IAAF rimane estremamente cauto, come testimoniano le parole del portavoce, Nick Davies: “Si tratta di un iter complesso e costoso, oltretutto bisogna seguire la procedura prestando particolare attenzione alla privacy" [6].

    Nei mesi successivi la IAAF manterrà infatti stretto riserbo, evitando di prendere posizione davanti alle indiscrezioni che nel frattempo iniziavano a comparire sui giornali. Un mese dopo le gare, infatti, l'11 settembre 2009, il quotidiano australiano Daily Telegraph dichiarerà che secondo i test Caster risulta ermafrodita e dunque a rischio squalifica [7]. In assenza di una risposta ufficiale, l'articolo rimbalzerà rapidamente tra le principali agenzie di stampa internazionali riaccendendo il dibattito. Ci vorrà quasi un anno per completare la verifica di genere, e sarà solo nel giugno 2006 che la IAAF interromperà il silenzio stampa con una brevissima nota [8], dichiarando la piena riammissione di Caster alle competizioni femminili (e il mantenimento della medaglia e del record dell'atleta).

    Ciò che più è interessante, nella sintetica dichiarazione dell'IAAF, è la totale assenza di riferimenti ai risultati dei test. In altre parole, la domanda a cui la Federazione risponde non è quella che ha tenuto banco sui media per quasi un anno (“Caster è uomo o donna?”), bensì alla domanda: Caster può o non può competere con le donne? Molto probabilmente la risposta alla prima domanda, semplicemente, non esiste. Il caso di Caster Semenya costituisce un esempio piuttosto chiaro di ciò che intendono le teoriche femministe e queer quando affermano che il sesso biologico, così come il genere, è socialmente costruito. Il sesso, infatti, non è una categoria differenziale chiaramente dimorfica, quanto piuttosto un ventaglio molto ampio di differenze, un continuum tra due poli opposti, che vengono culturalmente forzate all'interno di categorie binarie. Le innovazioni tecnologiche degli ultimi due secoli, e i conseguenti tentativi di separare il sesso dal genere, riportandolo esclusivamente su un campo biologico, hanno rivelato solo nuove difficoltà e, di fatto, l'impossibilità di stabilire con certezza i confini tra i due sessi (Fausto-Sterling, 1985).

    Il sesso biologico è un insieme complesso di caratteristiche, che comprendono:

    • i geni: i cromosomi X e Y;
    • gli ormoni: estrogeni, androgeni, progesterone;
    • le gonadi: ovaie, testicoli;
    • i genitali: pene, vagina, clitoride;
    • le caratteristiche secondarie: distribuzione dei peli e del grasso, seno, spettro vocale.

    Non sempre però le diverse componenti si allineano a formare i soggetti “standard” maschio e femmina, tutt'altro: secondo Dreger (1998), negli Stati Uniti ogni anno circa 1 bambino/a su 2000 nasce con genitali esterni ambigui che non permettono ai dottori di dichiarare indubitabilmente il sesso del/della neonato/a. In termini medici, questi casi rientrano sotto la categoria di “disordini della differenziazione sessuale” (DSD), e in termini più generali possiamo parlare di condizione di intersessualità. Che cosa venga considerato intersessualità non è del tutto chiaro neanche agli addetti ai lavori: i medici stessi non sono universalmente concordi sui vari casi, e questo perché la definizione stessa di intersessualità può dipendere dagli assetti legislativi, dalle tecnologie biomediche a disposizione e dalle tecniche chirurgiche di intervento sul corpo umano, così come dalla percezione scientifica e morale delle differenze di genere e orientamento sessuale.

    Dando credito alle indiscrezioni, il caso di Caster Semenya (impropriamente definito ermafroditismo [9]) potrebbe rientrare in un caso di intersessualità, probabilmente di AIS (Sindrome di insensibilità agli androgeni, detta anche Sindrome di Morris), una condizione in cui il corpo non recepisce gli ormoni maschili e pertanto il soggetto, pur avendo cromosomi XY, sviluppa caratteristiche fenotipiche e organi genitali esterni femminili. Questa teoria potrebbe spiegare gli alti livelli di testosterone risultanti dagli esami, e contemporaneamente smentirebbe l'ipotesi di un vantaggio atletico, poiché il corpo produce sì testosterone, ma non lo assimila (Perilli et al., 2009).

    In assenza di dichiarazioni ufficiali da parte della Federazione, in ogni caso, dobbiamo limitarci alle supposizioni. Quello che è certo è che casi come questo mettono in luce l'arbitrarietà delle categorie e la durezza di un sistema che impone una scelta. La scienza, però, come abbiamo visto, si rivela uno strumento decisionale inefficace: non fornisce una risposta univoca. In questo caso, la conclusione è stata frutto di una “negoziazione tra Caster, i suoi legali, la IAAF e anche i media” (Virgili, 2012:35).

    Un problema di Fair Play...

    Per capire a fondo le implicazioni di questa negoziazione, però, dobbiamo fare un passo indietro e analizzare i principi cardine su cui si basa l'etica sportiva. Elemento essenziale è il cosiddetto fair play, il gioco corretto, declinato sia nei termini di confronto leale con gli avversari, sia (ed è questo il caso che più ci interessa) nel senso di non ricorrere a sostanze dopanti per migliorare le proprie prestazioni. La vittoria deve dipendere esclusivamente dalle proprie capacità (in parte frutto di caratteristiche fisiche e in parte esercitate attraverso gli allenamenti). Questa contrapposizione tra genetica (le caratteristiche fisiche) e chimica (il doping) è un passaggio cruciale: possedere caratteristiche fisiche favorevoli, come ad esempio essere di alta statura in sport come il basket o la pallavolo) è considerato un vantaggio onesto, poiché condizione naturale, mentre assumere steroidi anabolizzanti è un vantaggio disonesto, poiché forniscono all'atleta caratteristiche che in realtà non possiede.

    È interessante notare come i test di “verifica del genere” assomiglino più ai controlli antidoping che alla semplice constatazione di una condizione fisica eventualmente favorevole. La cosa curiosa è che, pur non avendo prove che una condizione di intersessualità costituisca un vantaggio (o, viceversa, uno svantaggio), essa non viene considerata caratteristica naturale, ma rientri invece in una specie di zona grigia intermedia in cui è necessario stabilire (anche se non è chiaro su quali basi) se si tratti o meno di un imbroglio. Non è un caso, infatti, che molte delle accuse rivolte a Caster, a partire dal commento a caldo di Elisa Cusma, insinuino più o meno velatamente il sospetto che l'atleta abbia tentato di gareggiare in una categoria più favorevole, al punto da spingere la Federazione a specificare più volte che il problema riguardava semmai una condizione medica, e non un imbroglio [10].

    “Leggendo gli articoli di giornale che riguardavano questa storia, e soprattutto le dichiarazioni di altri atleti, sembrava al contrario che fosse stata Caster a commettere qualche colpa, a cercare di imbrogliare un meccanismo che di per sé non ha difetti, o quanto meno dev'essere preso come valido” (Virgili, 2012:95).

    I test di genere nascono in effetti con lo scopo di garantire una competizione “onesta”, per impedire cioè che degli uomini possano gareggiare in categorie femminili e presumibilmente vincere. Durante tutti gli anni Sessanta e Settanta, in risposta ai tentativi (in particolare da parte dell'Unione Sovietica) di inserire atleti maschi nelle categorie femminili al fine di ottenere più medaglie, gli esami di verifica del sesso divennero prassi consolidata, tanto che alle Olimpiadi di Montreal del 1976 ogni atleta venne sottoposto al test (Virgili, 2012). Negli anni seguenti, in ogni caso, complice l'invenzione di strumenti di indagine sempre più complessi e costosi, questa prassi fu pian piano abbandonata, e attualmente si opta per il test solo in caso di segnalazioni o dubbi (Virgili, 2012).

    Analizziamo quindi i motivi che hanno portato Caster a doversi sottoporre a questi esami. La sua performance sportiva alle Olimpiadi di Berlino è certo stata ottima, ma non tanto da risultare incredibile o inspiegabile (rimane di circa due secondi inferiore al record mondiale, che dal 1983 appartiene a Jarmila Kratochvílová), quindi perché mettere in discussione il suo diritto a competere nella categoria femminile? Il problema, in effetti, sembra essere legato più alla performance di genere, che a quella sportiva. È infatti il corpo a creare scompiglio: un corpo estremamente asciutto e muscoloso, accompagnato da una voce baritonale e senza accenno di seno. Piuttosto distante, insomma, dai delicati tratti femminei che ci si aspetta da una giovane donna. Il modo in cui Caster si presenta non appare coerente con quello dichiarato (che i genitori hanno subito confermato fornendo il certificato di nascita [11]), ed è su questa base che si svilupperà, come vedremo, gran parte del dibattito mediatico. Al di là delle valutazioni sulle prestazioni sportive e sulla legittimità di gareggiare con le donna, il nodo problematico si rivela essere in realtà “Caster Semenya è abbastanza femminile?” (Brady, 2011).

    …o di pomo d'Adamo?

    La cosa interessante del dibattito mediatico è che sia i difensori che i detrattori di Caster attingono dagli stessi stereotipi, ed entrambe le parti danno inconsapevolmente precedenza al genere rispetto al sesso [12], basando le loro argomentazioni sulle caratteristiche di genere socialmente accettare. In particolare, gran parte dei commenti riguardano la bellezza e la grazia nelle movenze, simbolo e  garanzia di femminilità. A corredo dell'articolo “Berlino, il «mistero» Semenya vince gli 800 femminili” del quotidiano Tuttosport (19 agosto 2009), troviamo commenti come: 

    "Davvero un bel bocconcino......” (Everonlyjuve, 20 agosto 2009)

    "...E' UN INCROCIO TRA UOMO E GORILLA...ma di donna non ha proprio nulla!" (LAJUVESIAMONOI, 20 agosto 2009)

    E allo stesso modo, sulla Gazzetta (“Cresce il mistero Semenya. Schwarzer: «Portiamole rispetto»”, (20 agosto 2009):

    "poveretta... è brutta come la fame ma secondo me è donna... o almeno spero..." (boston22)

    “certo non è una bellezza da copertina, ma col sorriso nel video di fianco già migliora. Conosco donne molto piu' brutte” (Paxson)

    sentitela parlare... troppo un uomo...è scandaloso!!!” (Beckslash)

    Caster Semenya,se pur muscolosa,mi sembra una donna Bisogna astrarre dai canoni estetici e dal conformismo dei PREGIUDIZI:la sua gestualità è FEMMINILE.” (Giporossonero)

    Non è tanto bella. Ma i lineamenti del viso in alcuni tratti sn femminili e anke la voce nn mi sembra così da   uomo come sentivo dire... Ne ho viste alcune messe molto peggio insomma...” (user_2001342)

    Anche gli utenti che criticano le dichiarazioni dell'atleta Elisa Cusma [13] utilizzano lo stesso registro:
    “e poi non è che lei [Elisa Cusma] sia un fiorellino” (rossotucano)
    “Cusma, non sei mica tanto bella, te l'hanno mai detto?” (Member_189044)

    Ma al di là della bellezza, in che modo si può scoprire se è una donna? Le opinioni su quale sia la caratteristica dirimente sono varie:

    • I muscoli:
    Guardate... la foto dell'arrivo. Guardate gli addominali. Sono di una donna, gli uomini li hanno differenti.” (Member_28615)
    • Gli ormoni:

    Hanno voglia a dire e spergiurare che sia una donna, potrà anche avere organi femminili ma se dentro c'ha gli estrogeni c'è poco da fare, la medaglia gli viene tolta, la natura ha voluto così punto e basta.” (Claudioviola)

    • Le caratteristiche sessuali secondarie:

    Apparte il fatto che basterebbe vedere se ha il pomo d'adamo,non certo una parte anatomica invisibile negli uomini.” (Federossonera86)

    • I cromosomi:

    ma i che state parlando??? Ormoni? voce? fattezze?.. la facciamo troppo difficile... basta un esame cromosomico del DNA. Se una donna incinta alla settima settimana può sapere il sesso del nascituro non ancora formato possiamo are della filosofia? Se i cromosomi sono xx è donna. Punto. Diversamente non lo è! mi sembra molto semplice. Ormoni e altro non c'entrano. Solo i CROMOSOMI” (mabrux8083)

    E mentre i suoi difensori parlano di una ragazza “sconvolta” [14], “crudelmente umiliata”[15], “ferita”[16], Caster si dimostra tutt'altro che una vittima indifesa, e risponde alle accuse “mostrando i muscoli, proprio quei muscoli che la potrebbero tradire” [17], commentando con un agguerrito “Me ne frego!” [18].

    I discorsi dei difensori sono estremamente interessanti, poiché mettono in luce molto chiaramente il fatto che, per tutta la durata della querelle, la posta in gioco non era Caster, né il suo diritto a gareggiare, quanto piuttosto il mantenimento di un ordine normativo basato sul genere. Pur schierandosi dalla sua parte, i sostenitori cercano costantemente di incasellarla entro confini che non le appartengono, e che lei stessa dimostra più volte di infrangere.

    L'inefficacia dei tentativi di “femminilizzare” Caster si mostra in tutta la sua chiarezza nella copertina del settimanale sudafricano YOU del 10 settembre 2009 (il dibattito sull'identità sessuale di Caster è appena cominciato), in cui campeggia in caratteri maiuscoli la scritta “WOW, LOOK AT CASTER NOW!” [19] e l'atleta compare in primo piano pesantemente truccata e ingioiellata. Lo scopo è chiaramente quello di dimostrare che anche Caster può essere femminile, se lo vuole, ma il risultato che questa femminilità esasperata ottiene è l'esatto opposto: Caster appare più simile a una drag queen che a una donna qualunque, e le caratteristiche androgine del suo aspetto fisico risultano paradossalmente amplificate.

    Un traguardo incerto

    Abbiamo visto che la divisione tra i sessi nelle competizioni sportive viene introdotta al fine di evitare alle donne l'obbligo di competere contro i colleghi maschi, considerati naturalmente avvantaggiati. Analizzando il caso di Caster Semenya, abbiamo visto come un principio di equità si riveli in realtà principio di esclusione e violenza nel momento in cui non si rispettano le aspettative legate ai ruoli di genere.

    Abbiamo visto anche come tutti i tentativi di disciplinare la sua identità di genere falliscano: né il dispositivo medico-scientifico né quello narrativo funzionano. Caster sfugge dagli schemi, e tutti gli sforzi per ingabbiarla non solo sono inefficaci, ma finiscono per enfatizzare la sua ambiguità.

    Anche l'apparato legislativo si rivela inadeguato. Già nel 2004 il Comitato Internazionale Olimpico approva una legge che permette agli atleti e alle atlete transessuali di competere nelle categorie del sesso di elezione [20], mentre tuttora, a distanza di quasi vent'anni, il destino delle atlete intersessuali continua a essere stabilito caso per caso.

    Per poter immaginare una soluzione al problema, è necessario mettere in discussione l'utilità e la legittimità di una divisione instabile basata su principi (le differenze di genere) altrettanto instabili.

    Va in questa direzione la riflessione di Judith Butler (2009) proprio in riferimento al caso Semenya.

    “Se la norma risulta essere basata, per esempio, sui livelli ormonali, e si decide che per gareggiare negli sport femminili una persona non può superare determinati livelli di testosterone, allora una concorrente potrebbe comunque essere una “donna” in senso culturale e sociale e, sicuramente, anche in senso biologico, ma non risulterebbe qualificata per competere all'interno di queste norme” (traduzione dell'autrice).

    In qualche modo, la scelta della federazione di lasciar cadere nel vuoto le domande riguardanti l'identità sessuale di Caster, fornendo piuttosto una risposta normativa sulla legittimità della medaglia ottenuta, si rivela essere l'unica soluzione possibile, almeno finché non si cambieranno i termini della questione.

    Bibliografia

    Bourdieu, P. (1998) La domination masculine, Seuil, Paris, (trad it: Il dominio maschile, Feltrinelli, Milano, 2009).
    Busoni, M. (2000) Genere, sesso, cultura: uno sguardo antropologico, Carocci, Roma.
    Butler, J. (1993) Bodies that matter. On the discoursive limits of “sex”, Routledge, New York-London, (trad it: Corpi che contano: i limiti discorsivi del “sesso”, Feltrinelli, Milano, 1996).
    Butler, J. (2009) Wise Distinctions, London Review of Books, London.
    Brady, A. (2011) “"Could This Women’s World Champ Be a Man?": Caster Semenya and the Limits of Being Human”, in AntePodium, Victoria University Press, Wellington.
    Canestrini, D. (2000) Freaks. Antropologia dell'anomalia, Annali del Museo Civico di Rovereto, vol.14.
    Cavanagh, S., Sykes, H. (2006) “Transsexual bodies at the olympics: the International Olympic Committee's policy on transsexual athletes at the 2004 Athens Summer Games”, in Body & Society, vol. 12, pp. 75-102, Thousand Oaks.
    Dreger, A. D. (1998a) “Ambiguous sex – or ambivalent medicine?”, in The Hastings Center Report, 28.
    Fausto-Sterling (1985) Mith of gender, Basic Books, New York.
    Fausto-Sterling, A. (2000) Sexing the body: gender politics and the construction of sexuality, Basic Book, New York.
    Isaacs, N. (1978) Jock Culture, Norton, New York.
    Lorber, J. (1995) Paradoxes of gender, New Haven, CT (trad it: L'invenzione dei sessi, Il Saggiatore, Milano, 1995).
    Money, J., Hampson, J., Hampson, J. (1955) Hermaphroditism: Recommendations concerning assignment of sex, change of sex and psychologic management, Bull. Johns.
    Nyong'o, T. (2010) The unforgivable transgression of being Caster Semenya,.Women & Performance: a journal of feminist theory, Vol. 20, No. 1, March 2010, 95–100 Routledge, New York.
    Perilli, A., Simonelli, C., Vizzari, V. (2009) La sindrome di Morris, in Rivista di sessuologia clinica, Franco Angeli, Milano.
    Rubin, G. (1975) “The traffic in Women: Notes on the 'Political Economy' of Sex”, in Reiter, R. (a cura di), Toward an anthropology of women, Monthly Rewiew Press, London, 1975:157-211.
    Virgili, E. (2012) Olimpiadi. L'imposizione di un sesso, Mimesis, Milano.

    Note

    1] https://www.isna.org/faq/what_is_intersex (traduzione mia).

    2] Ariel Levy, “Either/or – Sport, sex, and the case of Caster Semenya”, The New Yorker, 30 novembre 2009.

    3] È interessante notare già dal nome del test (“gender verification test”) come di fatto l'accento sia sul genere e non sul sesso biologico.

    4] “Semenya oro con giallo”, Gazzetta dello Sport, 29 agosto 2009.

    5] Ibidem.

    16] Idibem.

    7] “Caster Semenya has male sex organs and no womb or ovaries”, Daily Telegraph, 11 settembre 2009.

    8] “Caster Semenya may compete”, 6 giugno 2010, https://www.iaaf.org/news/iaaf-news/caster-semenya-may-compete.

    9] “Caster Semenya has male sex organs and no womb or ovaries”, Daily Telegraph, 11 settembre 2009.

    10] “Gender test after a gold-medal finish”, The New York Times, 20 agosto 2009; “Is Caster Semenya really a man? The answer won't be simple”, Time, 25 agosto 2009.

    11] “La Semenya si sente ferita, «non voleva salire sul podio»”, La Gazzetta dello Sport, 21 agosto 2009.

    12] Riguardo alla costruzione socio-culturale del sesso biologico, che non ci è possibile approfondire in questa sede, si veda Bourdieu (1998), Busoni (2000), Butler (1993), Fausto-Sterling (2000).

    13] Cfr. nota 4.

    14] “Semenya, bugie sudafricane”, La Gazzetta dello Sport, 19 settembre 2009.

    15] “Cresce il mistero Semenya. Schwarzer: «Portiamole rispetto»”, 20 agosto 2009.

    16]  “La Semenya si sente ferita, «non voleva salire sul podio»”, La Gazzetta dello Sport, 21 agosto 2009.

    17] “Berlino e il caso Semenya, oro negli 800”, Sport News, Corriere della Sera, 21 luglio 2010.

    18] Ibidem.

    19] “Wow, guardate Caster com'è adesso!” (traduzione dell'autrice).

    20] Sebbene con alcune limitazioni: aver compiuto l'operazione del cambio di sesso da almeno due anni, aver ottenuto la modifica dei documenti d'identità, e seguire una terapia ormonale che minimizzi i “vantaggi collegati al genere” (Cavanagh e Sykes, 2006).

     



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