Comprendere l'utopia: quale(i) utopia(e)?
Georges Bertin (dir.)
M@gm@ vol.10 n.3 Settembre-Dicembre 2012
COMPRENSIONE DI UN’UTOPIA DI SERVIZIO: RICERCA VALUTATIVA SULLA CASA DELLA SALUTE IN ITALIA, DA SPERIMENTAZIONE A MODELLO
Marco Pasini
paso74@libero.it
Master Teoria e Analisi Qualitativa. Storie di vita, biografie e focus group per la ricerca sociale, il lavoro e la memoria - Università di Roma La Sapienza; Stage a Biblioteche di Roma, L’album di Roma. Fotografie private del Novecento; Ricercatore ne Le borgate di Roma come luoghi significativi della memoria urbana, come risorse umane e premessa per il superamento della dicotomia centro-periferia, diretta dalla Prof.ssa Maria Immacolata Macioti; Ricercatore presso Labos – Fondazione Laboratorio per le politiche sociali; Relatore in Conferenze italiane e europee; Autore di pubblicazioni nazionali e internazionali.
Introduzione
L’articolo cerca di mettere in luce un progetto che rientra tra le numerose iniziative ed esperienze utopiche/utopiste che indicano un’altra via possibile dell’essere insieme: utopie comunitarie, sessuali, urbanistiche, ecologiche, monetarie, eco villaggi, utopie urbane, gruppi virtuali, ecc. Insomma, l’utopia, le utopie antiche e attuali ed il loro impiego/attualizzazione nel sociale, nell'economia e nella politica. Mettere in luce, cioè, quelle numerose iniziative ed esperienze utopiche o utopiste che indicano un'altra via possibile dell’essere insieme. L’Utopia, produzione “principe” dell’immaginario, occupa di fatto il centro della scena sociale se consideriamo il gran numero di movimenti che in tutto il mondo si rifanno ad essa e tentano di pensare un mondo più responsabile.
In questa sede si intende presentare la descrizione di una ricerca valutativa su un’idea portata avanti praticamente ma da pochi solo immaginata e da molti addetti ai lavori considerata “utopica”. Un percorso all’interno di una sfera sociale principale, essenziale e quotidiana: la salute.
La riorganizzazione dei servizi costituisce una delle sfide che il Ministero della Salute e le Regioni fronteggeranno nei prossimi anni. Questa ottica impone la costruzione di una nuova struttura polivalente di assistenza sanitaria territoriale: la Casa della Salute. L’ipotesi di realizzazione di questo modello ha ricevuto impulso dagli Accordi sulle cure primarie con il coinvolgimento dei Medici di medicina generale nel governo della domanda e dei percorsi sanitari definiti dalla legge finanziaria del 2007 con cui il Ministro Livia Turco fece approvare uno stanziamento di 10 milioni di euro per avviarne la sperimentazione. La Regione Toscana, la prima a sperimentare tale ipotesi organizzativa, ha commissionato alla Fondazione Labos una ricerca di tipo esplorativo e valutativo per verificare sul campo lo stato di attuazione dei progetti di Casa della Salute.
- Obiettivi e metodologia:
La ricerca, esaminando alcune esperienze in atto di Casa della Salute e quindi le condizioni che le hanno rese possibili e le loro caratteristiche costitutive e di funzionamento, aveva lo scopo di identificarne un modello idealtipico. Avendo altresì un’attenzione particolare al rapporto costi/benefici. L’indagine è stata realizzata con la tecnica del case study per poi comparare le sei esperienze di CdS, distribuite tra la Toscana (Castiglion Fiorentino, Empoli e Pisa) e altre regioni (Dogliani - CN, Portomaggiore – FE - e Casamassima - BA).
In concreto si mirava ad ottenere dati empirici sulla funzionalità delle attuazioni di un “modello” di riorganizzazione delle cure primarie pur sapendo che le esperienze avviate sono ancora in fase di implementazione o di sperimentazione rispetto al progetto iniziale. Si è tentato comunque un primo bilancio rispetto agli esiti di funzionamento e di processo più che di output e di valutazione costi-benefici. La CdS rappresenta una concretizzazione del passaggio dal Welfare State al Welfare Community [1] e quindi dalla sanità alla promozione della salute, rendendo visibile lo spostamento del baricentro dell’intervento dall’ospedale al territorio e dai servizi ai cittadini.
La mission della proposta progettuale
La costruzione di tale nuova struttura di assistenza sanitaria extra-ospedaliera costituisce il “consolidamento” del secondo “pilastro” del Sistema Sanitario Nazionale che andrà ad affiancare la rete di assistenza ospedaliera.
La “casa della salute” è un’ipotesi di innovazione organizzativa che facilita l’accesso alle cure primarie attraverso una struttura polivalente che opera in un ristretto ambito territoriale (bacino di 5-10.00 persone), essa:
- garantisce la continuità assistenziale e terapeutica nell’arco delle 24 ore e sette giorni su sette;
- assicura un punto unico di accesso dei cittadini alla rete dei servizi e la presa in carico della domanda;
- opera per programmi condivisi, sulla base del Programma delle Attività Territoriali del distretto (PAT), del Piano sociale di Zona (PSZ) e del Piano integrato di salute (PIS) laddove adottato;
- promuove e valorizza la partecipazione dei cittadini, soprattutto delle loro organizzazioni, assicurando forme di programmazione dei servizi e di valutazione dei risultati nei vari presidi e servizi;
- contribuisce alla ricomposizione delle separazioni storiche esistenti tra le professioni sanitarie, realizza concretamente l’attività interdisciplinare tra medici, specialisti, infermieri, terapisti ed integra operativamente le prestazioni sanitarie con quelle sociali;
- organizza e coordina le risposte da dare al cittadino nelle sedi più idonee, privilegiando il domicilio e il contesto sociale delle persone;
- sviluppa programmi di prevenzione per tutto l’arco della vita, basati su conoscenze epidemiologiche e sulla partecipazione informata dei cittadini;
- mantiene, tramite il distretto, rapporti regolari di collaborazione con l’ospedale di riferimento, anche in relazione alla definizione di protocolli per accessi e dimissioni programmate e protette;
- favorisce il controllo collegiale delle attività, e la valutazione degli outcomes interno ed esterno ai servizi;
- offre occasioni di formazione permanente degli operatori.
La Casa della salute rappresenta, quindi, un modo per integrare e facilitare i percorsi e i rapporti tra i servizi e i cittadini e restituire alla popolazione una visione unitaria del concetto di “salute”. Le politiche di welfare non si condensano più esclusivamente nello Stato; ma, come già avviene nelle situazioni più avanzate, si avvalgono di nuovi soggetti che cogestiscono l’intervento sociale, come il volontariato, il terziario sociale e i cittadini in generale. La promozione dell’ “empowerment” dei cittadini nei confronti della propria salute e dei servizi diviene quindi una condizione essenziale per una efficace “governance” dei processi ci cura e di assistenza.
Si tratta di una iniziativa che impegna tutti come ha sottolineato l’assessore alla sanità della regione Toscana Enrico Rossi durante l’Incontro Nazionale “La Casa della Salute” : “Attivare la casa della salute richiede ai cittadini un impegno collettivo per la salute, quindi una loro più alta responsabilità; agli operatori una nuova pratica professionale; ai Comuni una nuova capacità progettuale, quindi una nuova cultura di governo. Tutto per il fine della salute e del benessere sociale dei cittadini.”
La Casa della Salute ha trovato la sua prima progettazione in Italia a Castiglion Fiorentino, in provincia di Arezzo, dove tutto è partito da un convegno che si è tenuto nel dicembre 2003. L’idea è stata quella di un presidio socio-sanitario territoriale decentrato a disposizione della comunità locale per la promozione della salute, per la cooperazione e l’integrazione dei servizi sanitari e sociali e per la partecipazione diretta dei cittadini e delle loro associazioni al compimento degli obiettivi.
Da questa data il modello si è diffuso in altre realtà territoriali e regionali che ne hanno verificato l’agibilità partendo da modelli di riorganizzazione delle cure primarie sviluppatisi autonomamente. La realizzazione della Casa della Salute a Castiglion Fiorentino trova un impegno convinto e congiunto del Comune (12.000 abitanti), dell’Azienda sanitaria 8 di Arezzo e della Regione Toscana.
Prezioso è l’apporto dei medici di famiglia, che si sono resi disponibili a trasferire i loro studi nello spazio comune della Casa della salute, anticipando l’idea dell’Unità di cure primarie, che poi ha trovato conferma nella Convenzione nazionale. Lo spazio utilizzato è quello del dimesso ospedale di Castiglion Fiorentino (in seguito alla realizzazione dell’ospedale della Fratta come ospedale unico della Valdichiana aretina). In questa struttura si sono accorpati i servizi che erano nelle sedi del Distretto, della Rsa e degli ambulatori specialistici.
“Utopia e realtà” sono le due parole-chiave emblematiche dell’esperienza aretina che sedimenta una cultura favorevole all’innovazione culturale e organizzativa del sistema dei servizi. La Casa della Salute è costituita da équipe territoriali (composte dai medici di famiglia e dai pediatri di libera scelta insieme ai medici della continuità assistenziale), servizi amministrativi, servizi infermieristici territoriali, servizi distrettuali, servizi sociali, prestazioni medico-specialistiche, servizi consultoriali e di degenza extra-ospedaliera. La Casa della salute si configura in una sede fisica e costituisce un centro attivo e dinamico della comunità locale, che raccoglie la domanda dei cittadini e organizza le risposte nelle forme e nei luoghi più appropriati.
Attraverso strumenti quantitativi e qualitativi di indagine, si intendeva raggiungere una serie di informazioni sullo stato dell’arte, gli esiti di performance e le prime ricadute sui cittadini di questo modello di intervento. In concreto, dati empirici sulla funzionalità del “modello” per quanto concerne: la capacità di risposta alla “domanda” di servizi locale, il “valore aggiunto” dell’integrazione dei servizi socio-sanitari e dell’operatività in rete - con il coinvolgimento dei cittadini singoli e associati - la valutazione dei punti di forza e delle criticità, nonché degli esiti di tale sperimentazione.
Il progetto consentirà di estendere la conoscenza in termini descrittivi anche ad altre forme di aggregazione dei servizi socio-sanitari-assistenziali che configurano ad esempio, il modello delle “Società della Salute”, esaminando le innovazioni che sono in via di sperimentazione sia in Toscana che nelle altre regioni italiane, ed evidenziando connessioni e sviluppi nel raccordo con le Case della Salute. Obiettivo secondario del progetto, ma solo in quanto consequenziale al primo, consiste nel fornire alla Regione Toscana informazioni utili per la valutazione in termini di efficienza e di efficacia, nonché di economicità di tale modello nella prospettiva di creare nuove Case della Salute sul territorio regionale.
Metodi di rilevazione e risultati
La rilevazione è stata condotta in tre fasi o stadi di avanzamento, consequenziali tra di loro. Un primo step di ricerca di sfondo è consistito nella raccolta di materiale e documentazione per impostare una desk analisys, utile a inquadrare il fenomeno, a evidenziare i requisiti culturali, tecnici e organizzativi di tale innovazione e a fornire un input alla fase di indagine sul campo. Il metodo di rilevazione ha le caratteristiche dello “studio di caso”, quindi di tipo eminentemente qualitativo e con un approccio relazionale con gli “addetti ai lavori” per raccogliere informazioni, dati, valutazioni che possono aiutare ad analizzare e comprendere meglio l’esperienza.
Tale strumento permette di analizzare in profondità ogni singola esperienza e di evidenziare somiglianze e divergenze tra le diverse realizzazioni. Si basa sul reperimento di documenti illustrativi dell’esperienza, di dati quantitativi sulla tipologia delle prestazioni effettuate, sull’utenza, sugli attori coinvolti (operatori socio-sanitari, enti e organizzazioni dei cittadini), sull’impegno finanziario e sugli aspetti di tipo organizzativo-gestionali della Casa. Inoltre consiste nella realizzazione di una serie di interviste in profondità agli attori del processo (utenti compresi) e ai responsabili delle attività della Casa [2].
Il secondo step di ricerca è consistito proprio nell’inviare ai referenti previamente identificati di tali esperienze un questionario con domande quantitative e descrittive sulla struttura e sul suo stato di avanzamento. Infine il terzo step della ricerca è consistito nella visita in loco alla struttura per raccogliere, sulla base di una griglia orientativa di domande, opinioni e valutazioni dei diretti interessati cercando di mettere intorno ad un tavolo tutte le componenti autorevoli e responsabili dei servizi delle CdS.
La costituzione di un comitato scientifico e l’indagine conoscitiva di sfondo - desk analisys - hanno consentito di predisporre un primo questionarioper la raccolta di dati sugli aspetti descrittivi e gli indicatori di struttura e, successivamente, una griglia per l’intervista di tipo qualitativo-valutativo da realizzare in loco con i responsabili che operano all’interno delle Case della Salute esaminate.
Le informazioni acquisite da ciascuna di esse riguardano i seguenti punti di analisi:
- condizioni necessarie per la sua realizzazione;
- requisiti minimi di stato e di funzionamento di tale struttura;
- indicatori di processo;
- indicatori per un modello idealtipico di CdS;
- indicatori di successo.
Tab. 1 - INDICATORI DI SUCCESSO DELLA CASA DELLA SALUTE |
- la popolazione conosce bene la struttura e le sue funzioni/prestazioni (Carta dei servizi) |
- i cittadini sono soddisfatti delle prestazioni che ricevono |
- le organizzazioni dei cittadini partecipano alle decisioni della CdS oltre a svolgere delle Attività complementari a quelle dei servizi della CdS |
- i vertici delle istituzioni pubbliche sostengono attivamente e concretamente la sperimentazione o l’avvio dell’esperienza |
- vi è una effettiva presa in carico dei problemi di salute del territorio (non solo del singolo paziente, profilo sanitario della comunità, identificazione di problemi su cui intervenire e |
- dialogo con tutti gli stakeholder del territorio (istituzioni pubbliche, altri servizi pubblici e privati, associazioni di volontariato e nonprofit, dei migranti, rapporto con aziende, scuole, |
- riduzione degli accessi al pronto soccorso e dei ricoveri impropri |
- minor/miglior uso di farmaci (in totale ed eventualmente per tipologia, es, antibiotici, aumento dei farmaci generici) |
- riduzione della lista di attesa per qualsiasi prestazione diagnostica o specialistica |
Da quanto emerge in modo lineare dagli studi di caso, la CdS permette altresì una riduzione dei costi della salute in termini di economicità per tutto il sistema - almeno dal medio periodo - e un maggiore beneficio in termini di efficienza organizzativa e di efficacia delle prestazioni, estendendone la fruizione, ma riducendo significativamente sprechi (es. controllo della spesa farmaceutica) e risposte inappropriate, sia per il drenaggio dei ricoveri che per una maggior tempestività dell’intervento e quindi di intensità tecnico-assistenziale mediamente inferiore. La ricerca termina con l’identificazione delle caratteristiche minime indispensabili o di un comune denominatore di CdS, sapendo che vi possono essere diversi modelli regionali di realizzazione.
Essi si basano comunque sul paradigma dell’iniziativa ovvero sul principio di avvicinamento verso i cittadini, a partire dai soggetti più fragili (con malattie cronico-degenerative). Ciò richiede un viraggio della cultura sanitaria nel segno delle tre “P”: prevenzione delle patologie - previo profilo di salute della popolazione e registrazione dei casi - promozione attiva della salute come “bene comune” e partecipazione responsabile dei cittadini e delle loro formazioni, anche come coprotagonisti nell’elaborazione delle politiche della salute, dell’attuazione degli interventi e della valutazione dei risultati.
Riflessioni conclusive
Elementi significativi che caratterizzano un'organizzazione utopica, rilevate attraverso fonti orali e documentarie:
- Immaginario istituente; la “visione” di alcuni addetti ai lavori che, partendo dalle loro multiple esperienze e dalle necessità locali e territoriali riscontrate, hanno fortemente voluto costruire una tale dimensione socio-politico-sanitaria.
- Tecniche a rinforzo della dimensione utopica; la nascita di network inizialmente solo virtuali, ma ben radicati nel territorio e professionalmente.
- Presenza di un ritorno alle origini; la qualità, la sicurezza, la comodità in virtù della rivalutazione del ruolo del Medico di base come punto di incontro tra la domanda e l’offerta di cure primarie.
- Idea di purezza o rinnovamento del sociale; la prima caratteristica nel senso di chiarezza delle procedure burocratiche attraverso uno snellimento delle stesse, la seconda grazie ad un’idea nuova che permette e promuove la connessione di diversi attori, realtà associative e istituzionali in ambiti logistici riqualificati e accessibili.
- Isolamento al di fuori del tempo e dello spazio; grazie all’intuizione che supera i limiti amministrativi/gestionali consueti e all’aspirazione allargata insita e a respiro internazionale.
Lo studio di caso ha definito in cosa l'organizzazione oggetto della ricerca sia "utopica": facendo emergere una struttura politico-sociale creata per venire a capo di vizi e problemi concreti. Una realtà, quindi, che può realizzarsi in modo positivo e rinnovarsi in linea alle mutazioni della società nel pieno rispetto del più ampio significato di libertà; un esempio di modello “eccellente” e replicabile.
Tab. 2 - INDICATORI PER UN MODELLO IDEALTIPICO DI CdS |
- realizzazione della programmazione annuale (con definizione di modalità, incontri, rappresentanze) e progettazione mirata e continua degli interventi |
- valutazione dei bisogni sulla base di un periodico profilo di salute del territorio |
- attivazione di strumenti di ricerca epidemiologica, sui casi clinici, sui bisogni socio-sanitari della popolazione, di follow up sull’utenza… |
- iniziative di promozione ed educazione alla salute (specifiche campagne informative) |
- interventi di prevenzione di specifici rischi socio-ambientali per la salute |
- partecipazione delle organizzazioni di volontariato ai momenti decisionali, programmatori e di valutazione delle attività e/o forme di collaborazione a seguito di una comune intesa o coprogettazione |
- rapporto con l’utenza in carico: elaborazione di un piano assistenziale personalizzato |
- definizione di modalità/procedure per la continuità di presa in carico (es. dei pazienti dimessi dall’ospedale da parte dei servizi territoriali) |
- numero di protocolli clinico-terapeutici elaborati e condivisi dai medici |
- numero di atti condivisi sulla somministrazione farmacologia (es. contenimento e indirizzo farmacologico verso i genericabili) |
- modalità di confronto inter/multi professionale: integrazione delle competenze e lavorare insieme da parte da parte degli operatori |
- modalità consueta di collegamento (anche per via telematica) dei medici della CdS con i medici ospedalieri |
- valorizzazione della figura dell’infermiere nelle forme del Case manager o riconoscendole specifiche responsabilità gestionali (es. ADI) |
- modalità di supporto all’autocura/autogestione delle malattie croniche dei pazienti o formazione dei familiari esperti (family learning) e di gruppi di auto aiuto |
- attività di valutazione delle attività svolte con raccolta sistematica e informatizzata di dati su |
- utilizzo di strumenti di gradimento dei servizi da parte dell’utenza (soddisfazione e qualità percepita nell’uso dei servizi): quanti strumenti, per quali servizi |
- uso sistematico e generalizzato di tecnologie informatiche con cartelle cliniche condivise e ricorso ordinario al teleconsulto |
- collegamento/connessione dei servizi/interventi della CdS con la programmazione dei Piani di Zona di o Piano Integrato di Salute |
- la risposta alle emergenze ambulatoriali attraverso l’attivazione di un triade infermieristico (risposta ai codici bianchi i verdi) |
- attività di prevenzione primaria con particolare attenzione a stili di vita (educazione sanitaria) |
La definizione “utopica” di tale assetto scaturisce dalle stesse voci dei protagonisti. Pur certi della buona riuscita della sperimentazione a medio-lungo termine, hanno constatato alcune preoccupazioni per il buon esito futuro ed auspicato, che ne potrebbero ostacolare il percorso da parte delle autorità ufficiali:
- costi non ammortizzabili in breve periodo, con scarsa veridicità della suddivisione per competenze e gestioni;
- difficoltà di inserimento nei programmi sanitari già presenti;
- diffidenza nell’accettare un ammodernamento di pensiero e di fatto;
- impedimenti nel reperire e ristrutturare gli impianti edili.
Tab. 3 - IPOTESI DI FUTURO PER LA CdS |
- rimodulazione dei carichi di servizio tra i massimalisti e gli altri |
- superamento della figura del medico di Guardia e modello unico di medico pubblico in quanto la normativa nazionale lo consentirà |
- revisione o superamento del CUP e responsabilizzazione del medico di MG nello stabilire l’agenda delle prenotazioni in base all’urgenza per i pazienti in carico in particolare da patologie cronicizzati |
- responsabilità gestionale accordata all’infermiere da valorizzare come risorsa (Case manager) |
- apertura di biblioteche sulla salute nelle strutture e organizzazioni di conferenze sui temi dell’educazione alla salute e prevenzione |
- la realizzazione di un “Punto unico” di accesso, di pre-presa in carico e di primo orientamento ai servizi di accesso con conseguente avvio del percorso di continuità assistenziale |
- rivisitazione dell’attività specialistica ambulatoriale (con rivalutazione del ruolo dell’infermiere professionale) |
- la creazione di un sistema informativo per il monitoraggio e la valutazione dell’efficacia e dell’efficienza della attività svolte dalla CdS |
- punto prelievi e radiologia con strumentazione per l’attività diagnostica di base |
Come afferma Benigni [3], la sfida più difficile è il cambiamento culturale che si vuole portare con la sanità pubblica, mutamento che si vuole portare da una fase immaginaria/utopica ad una condizione quotidiana tangibile e fruibile. Un aspetto importante è la partecipazione dei cittadini alle scelte e ai programmi della CdS attraverso le loro organizzazioni. Per ora la partecipazione è potenziale, perché l’esperienza è in una fase iniziale e non è ancora stata fatta una programmazione annuale concertata e condivisa in modo da passare dall’attuale forma embrionale di partecipazione, attraverso incontri ed assemblee, alla consultazione e con decisione sulle attività programmate.
«È un punto fondamentale perché non c’è CdS senza partecipazione. Bisogna costruire i percorsi partecipativi affinché ci sia consapevolezza per rivendicare e contrattare. Una versione partecipativa nuova è fondata sulla conoscenza. Occorre mobilitare i gruppi di popolazione interessati agli obiettivi che ci proponiamo. Il Chronic Care Model che affronta il tema della promozione per ridurre la cronicità in alcune fasce di popolazione sollecita un tipo di partecipazione singola, delle persone e delle famiglie che devono essere informati per essere in grado di autogovernarsi. Fino a giungere ad una partecipazione nella programmazione. La CdS è un modello flessibile, attento e sensibile che si modella sui bisogni della popolazione che la può gestire perché piccola. Questa è una proposta dove a tavolino torna tutto, ma quando si passa dalla teoria alla pratica non ci vuole niente a trasformarla in un presidio fine a se stesso».
Riferimenti
Convegno nazionale Nuovi modelli di Governance in Sanità e integrazione socio-sanitaria. Ipotesi di confronto tra alcune Regioni italiane.Sessione: 2 – L’evoluzione dei sistemi di welfare regionali in Italia: la centralità del territorio. L’organizzazione dei servizi territoriali (le macro strutture del territorio, i Distretti fra produzione diretta e committenza, il ruolo dei MMG nell’organizzazione delle cure primarie, la “Casa della Salute”); Università degli Studi di Bologna Polo Scientifico-didattico di Forlì Ce.Um.S. (Centro di Studi Avanzati sull’Umanizzazione delle Cure e sulla Salute Sociale), Società Italiana di Sociologia della Salute; FIASCO (Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere). 8-9/04/2011, Ravenna.
Note
1] Il concetto di “welfare community” è nato nei laboratori del lavoro sociale della Fondazione Labos sin dalla sua istituzione, nell’anno 1985, quando contemporaneamente si affermava il concetto di esclusione sociale dietro la spinta dell’emergenza dei nuovi bisogni relazionali e della caduta del legame comunitario.
2] L’indice comprendeva: origine, istituzione e identità della CdS; descrizione di struttura, aree di intervento e risorse investite; funzionamento, organizzazione e processi; stato di avanzamento e sviluppo futuro; valutazione dell’esperienza; valutazione dei responsabili per alcuni aspetti di processo; bilancio in itinere.
3] Referente e ideatore della CdS di Castiglion Fiorentino, prima applicazione in Italia con un progetto pilota risalente al 2003.
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