Memoria Autobiografia Immaginario
Maria Immacolata Macioti - Orazio Maria Valastro (a cura di)
M@gm@ vol.10 n.2 Maggio-Agosto 2012
MEMORIA, SOCIETÀ E TERRITORI
Maria Immacolata Macioti
mariaimmacolata.macioti@uniroma1.it
Docente di Sociologia delle religioni e Sociologia della Comunicazione, Dipartimento di Scienze Sociali, Facoltà di
Scienze politiche sociologia e comunicazione, La Sapienza, Università
di Roma; Dirige il Master Immigrati e rifugiati, La Sapienza, Università
di Roma; Coordina il Dottorato in Teoria e Ricerca sociale, Dipartimento
di Sociologia e Comunicazione, La Sapienza, Università di Roma.
Forse perché da lunghi anni mi interesso di sociologia qualitativa, mi
sembra di aver visto crescere l’importanza del tema della memoria, anche
se secondo logiche a volte diverse e contraddittorie, di spinta e accettazione
da un lato, di negazione ed oblio dall’altro. Certamente, di attenzione
e dibattito tra gli studiosi, tra diverse discipline.
Raccoglitori di memorie
Da tempo si interessano di memoria, di memorie, si adoperano per individuarle,
raccoglierle, trasmetterle sia la storia orale [1]
che la sociologia qualitativa. Nel loro ambito si ritrovano, si individuano,
si raccolgono memorie personali e di gruppo, memorie che sono quindi rappresentazioni
sociali [2]. Che vengono ascoltate,
accolte, rielaborate (le memorie vivono dinamiche di ricordo e oblio),
valorizzate e comunicate. E non solo: gli studiosi che ricorrono alla
raccolta di interviste in profondità, intese a fare emergere memorie,
a ricostruire ‘storie di vita’ o magari tranches de vie, quelli che utilizzano
materiali biografici per ricostruire un certo periodo storico, un ambiente,
una tematica, sono, insieme, di regola, anche dei seminatori di memorie.
Seminare memorie
Immagini di Valle Aurelia, Roma (#)
Per quanto mi riguarda ad esempio ho contribuito, in passato, a raccogliere
memorie della seconda guerra mondiale, della resistenza, ma anche di un
lavoro ormai scomparso, quello di fornaciaio, in una zona di Roma chiamata
Valle dell’Inferno [3], ufficialmente
Valle Aurelia (non di rado nomi dati a strade e piazze, a luoghi pubblici
si ricordano, da parte della popolazione, con nomi precedenti o attinenti
ad una descrizione calzante, piuttosto che non con i nomi dati dalla toponomastica
ufficiale; per esempio a Roma piazza della Repubblica è nota piuttosto
come Piazza Esedra). Si trattava di una comunità, di un luogo dove tutti
si conoscevano, dove si viveva e si lavorava, dove esisteva una certa
solidarietà reciproca, andata poi in pezzi con l’assegnazione delle case
popolari e l’abbattimento di quasi tutte le abitazioni precedenti (anni
‘80 del 1900) [4].
Con Franco Ferrarotti ed altri abbiamo raccolto lì numerose memorie; ma
abbiamo, credo, anche seminato memorie: ancora oggi chi si accosta allo
studio della città di Roma, ai temi della povertà e delle borgate durante
i primi decenni del dopoguerra, ai temi della lotta per le case non potrebbe
che imbattersi nelle tante voci da noi raccolte e comunicate [5].
E lo stesso hanno fatto alcuni colleghi storici per altre zone della città.
Immagini di Valle Aurelia, Roma (#)
Un’esperienza analoga l’abbiamo poi vissuta negli anni 2005-2006, con
la replica di precedenti ricerche, ricerche ormai ritenute storiche, svolte
da Ferrarotti su alcune zone periferiche romane nei tardi anni ‘60, nei
primissimi anni ’70: all’Acquedotto Felice, al Quarticciolo, all’Alessandrino
[6], zone allora di estrema periferia,
oggi ritenute parti integranti della città.
Quali gli esiti di queste, di analoghe ricerche? Studi di questo genere
hanno certamente arricchito noi che li abbiamo fatti; hanno, credo, avuto
riscontri favorevoli tra i protagonisti di queste storie, che ancora oggi
se ne ricordano, ci riconoscono con piacere se ci incontrano. Studi come
questi hanno lasciato traccia tra gli studiosi di altre discipline, specie
tra gli storici, gli architetti, gli ingegneri che si interessano ai mutamenti
urbani.
Sul piano accademico, va detto che generazioni di studenti hanno conosciuto
queste memorie, questi luoghi: sono andati a ritrovare i protagonisti,
ad esplorare quanto è rimasto di un mondo ormai scomparso. Generazioni
di ricercatori hanno ascoltato questi racconti, seguito le donne che portavano
armi sotto i grembiuli, simulando gravidanze, partecipato alle dure giornate
lavorative nel caldo delle fornaci, alle pause a fine giornata in tipiche,
ormai scomparse osterie romane; hanno rivissuto gli scontri politici,
ricercato vicende analoghe e diverse in altre zone della città. Hanno
anche potuto valutare il peso del tempo su queste memorie: è evidente
oggi l’enorme differenza del contesto storico e socio-politico, le profonde
diversità in termini socio economici e culturali registrate in Periferie
da problema a risorsa.
Immagini di Valle Aurelia, Roma (#)
Hanno avuto, queste memorie consegnate a un ampio nucleo di fruitori (e
sono state d’aiuto le videoregistrazioni, quindi i DVD che ne sono derivati),
forse minori riscontri nella gestione pubblica: nessuna giunta, qualsiasi
sia il suo colore, ama ricevere critiche circa il proprio operato o circa
la mancata azione, laddove richiesta e necessaria [7].
Da anni gli studiosi offrono, a Roma come, immagino, altrove, ricerche
e riflessioni ad amministratori pubblici che di regola preferiscono ignorarle.
Studi del genere possono seminare quindi, insieme, memorie e oblio. In
particolare quelle su Valle Aurelia e la fine del borghetto, poiché l’assegnazione
delle case popolari è stata imposta dall’alto, in tempi ristretti, provocando
scissioni e tentativi di resistenza nelle abitazioni preesistenti, ricorsi.
Molte tessere del PCI sono state stracciate, dopo l’assegnazione delle
case popolari: un esito che sembrerebbe paradossale, se non si sapesse
che molti abitanti avrebbero voluto un intervento di recupero sul posto,
piuttosto che non un trasferimento altrove: un’idea, quella del risanamento
sul luogo, che si è fatta strada con difficoltà, che ancora oggi non sempre
appare chiaramente compresa e frequentata.
Oggi, a distanza di tanto tempo dalle prime ricerche, mi sembra che si
possano avanzare varie riflessioni in merito, ipotizzare vari percorsi
interpretativi.
Le memorie sociali e il contesto urbano
In primo luogo giova ricordare che siamo, nel caso specifico, in contesto
urbano. Il vivere insieme è il presupposto di memorie sociali, l’impatto
con grandi eventi spesso porta al desiderio di introspezione, all’idea
di fissare su carta le memorie individuali. La città, con le sue molteplici
realtà, con le sue tante storie individuali, familiari, sociali è uno
scenario ideale per la memoria, per le memorie.
Quindi, sempre memorie e contesto sociale, spesso memorie e città.
Memorie e tempo
Ma poi anche memorie e tempo: poiché è evidente che le memorie risentono
del tempo e del luogo, del contesto, insieme.
Immagini di Valle Aurelia, Roma (#)
Le memorie delle borgate romane, di Valle dell’Inferno oggi interessano
soprattutto agli studiosi: poco alle autorità costituite. Costituiscono
un passato scomodo, da dimenticare. Perché un governo presieduto da un
Berlusconi, perché un comune retto da un Alemanno dovrebbero interessarsi
di lontane, passate vicende, di lotte per la casa, di vite marginali?
O, peggio ancora, di zone di sinistra, magari anarchiche? Il tempo che
viviamo oggi non sembra particolarmente favorevole al recupero di memorie
popolari scomode. Anche se è vero che proprio ai nostri giorni sono sorti,
operano piccole associazioni e realtà che invece si adoperano in vario
modo proprio in vista del recupero e la trasmissione di memorie. Ieri
si trattava delle memorie di uomini emigrati soprattutto dal Sud verso
la capitale o verso il Nord, in cerca di lavoro. Oggi, di immigrati che
giungono da più lontani e povere realtà, alla ricerca di lavoro ma anche
di qualificazione professionale o di un luogo dove vivere lontano da carestie,
fame, guerre interne, persecuzioni.
Per gli studiosi è importante quella che si chiama ‘ricerca longitudinale’,
fatta nella stessa zona, a distanza di tempo (a volte, non nel nostro
caso, con gli stessi protagonisti): essa permette meglio di altri strumenti
la valutazione del mutamento occorso nell’ambito preso in esame, nelle
persone, nello stesso ambiente urbano e sociale [8].
Ieri lo si faceva su zone di periferia abitate da migranti italiani. Oggi,
le stesse zone vedono altri migranti, forse più in difficoltà di quanto
non lo fossero i loro predecessori. Che almeno non dovevano preoccuparsi
in continuazione del permesso di soggiorno, legato a un lavoro troppo
spesso precario. E, quindi, a rischio.
Le memorie e le riletture politiche
Immagini di Valle Aurelia, Roma (#)
E veniamo a un altro punto, di particolare importanza. Le memorie hanno
molto a che vedere con la politica e con il potere. Il potere induce memorie
e induce oblio. Crea rivisitazioni, introduce diverse, magari inedite
narrazioni. Le memorie quindi come tipicamente legate allo spazio sociale,
al tempo. Ma anche alla politica e alla gestione del potere. E quindi,
naturalmente, ai media: poiché è importante la rappresentazione della
memoria, è rilevante la modalità della sua comunicazione. Quindi un tempo
la penna, oggi registratori, possibilmente digitali, telecamere e computer
sono armi potenti per la ricostruzione delle memorie, per il ristabilimento
di un certo tipo di memorie e vengono ampiamente utilizzate, insieme a
coloro che le adoperano, per costruire o demolire un certo tipo di memorie,
in relazione a certe scelte politiche.
Ciò che maggiormente conta, in queste vicende, è perciò il potere politico,
che recupera alcune memorie, le consolida, ci costruisce sopra, magari,
una identità nazionale; oppure, al contrario, le combatte, ne mina l’efficacia,
le minimizza, cerca di farle dimenticare, di lasciarsele dietro, se e
in quanto memorie scomode, non in linea con i diversi progetti del momento,
con la diversa visione del pubblico: un po’ come sta accadendo oggi in
Italia nei confronti della Costituzione. Opera non poi troppo difficile,
avendone capacità e mezzi, ché le memorie possono essere labili, possono
essere molto strettamente coniugate con la tendenza all’oblio.
Memorie storiche, memorie inventate
Immagini di Valle Aurelia, Roma (#)
Le memorie possono essere variamente vissute, viste, interpretate. Essere
soggette a revisioni, a rielaborazioni. Ora, è vero che è sempre difficile
parlare di verità assolute. Ma come dimenticare che esistono memorie che
hanno salde radici nella storia così come ne esistono altre che ne prescindono,
che sono memorie inventate?
In Italia abbiamo esempi famosi in merito. Basti pensare al bagaglio «culturale»
della Lega Nord, in cui con una certa disinvoltura si accostano leggende
sul dio fiume Eridano (antico nome del Po) con il folclore celtico, per
poi condire il tutto in salsa di medioevo comunale: il risultato è un
prodotto nuovo, inedito. Una paccottiglia che può far rabbrividire uno
storico o un qualsiasi serio studioso. Ma che è, per molti, a quanto sembra,
accattivante. Trainante: la Lega non avrebbe altrimenti il successo politico
che ha avuto, che tuttora continua ad avere. Si tratta di un insieme di
‘memorie’, invenzioni, narrazioni che, a sua volta, crea forti aspettative,
che promuove reazioni di vario segno; che attiva -e semina, a sua volta-
nuove memorie.
Esistono, naturalmente, esempi intermedi. Penso, ad esempio, alla Festa
del Duca in Urbino, festa inventata nella seconda metà del Novecento (un
esempio tra i tanti possibili) in cui si rievocano accadimenti storici.
Una invenzione recente, quindi, ma basata su solide memorie storiche,
su una documentazione ritenuta più che attendibile. Su fonti tramandate
nei secoli. Per arrivare al giorno della festa, dei cortei storici, dei
banchetti dalle elaborate, numerose portate, per arrivare alle cerimonie
fastose, si consultano ponderosi tomi, si studiano oggetti e materiali
dell’epoca, forme e colori, tessuti. Si creano prodotti nuovi su modelli
antichi: dietro vi è un lavoro di scavo e ricostruzione che offre attendibilità
a memore di fatto scomparse o semi dimenticate nella cittadinanza, che
così invece intende riproporle, rilanciarle. Perché ci sono memorie che
si legano bene al turismo, che potrebbero contribuire a un certo benessere
collettivo.
Nel caso di Urbino un attento lavoro di scavo condotto su memorie storiche
ormai lontane nel tempo, non più vive e sentite, fa sì che esse vengano
riproposte e rilanciate con riguardo al presente. Non era una festa storica
come tante ne ha conosciute l’Italia, ma è una festa inventata nell’oggi,
che vuole però avere dietro di sé memorie storiche.
Non tutte le memorie ‘storiche’ sono tali, hanno un ugual peso. Ma tutte
acquistano rilievo, danno via a diversi susseguenti percorsi, se incontrano
un humus favorevole, il favore di un pubblico. Se rispondono ad aspettative
popolari.
Le ragioni del presente
Immagini di Valle Aurelia, Roma (#)
A seconda dell’epoca, del contesto politico, le memorie possono quindi
essere rivisitate, riproposte; o, al contrario, offuscate, chiamate in
causa attraverso processi di sottrazione di credibilità, attraverso memorie
di segno inverso e contrario e, infine, cancellate. Oggi, come ricordavo,
si tende ad esempio a far dimenticare, a far cadere nell’oblio, a contraddire
il periodo di elaborazione, il clima culturale e politico da cui è nata,
a suo tempo, la Costituzione italiana.
Sono, lo hanno detto, lo hanno scritto in tanti, le ragioni del presente
che consentono o negano la narrazione, l’interpretazione, le memorie del
passato. Che contribuiscono, se del caso, alla sua cancellazione. Alla
mancata maturazione di un comune bagaglio di memorie. L’Italia ad esempio
è uno stato di recente istituzione, il cui processo di unificazione è
stato duramente contraddetto dalle vicende della seconda guerra mondiale,
dalle lacerazioni interne.
A partire dagli anni ’50 del ‘900 si sarebbe forse potuto ipotizzare un
percorso identitario maggiormente condiviso, comune. Il consolidamento
di condivise memorie sociali. Ma non sempre questa linea è stata perseguita
consapevolmente, con chiarezza. Gli ultimi dieci anni poi sono andati
in senso decisamente contrario, poiché non si investe nella cultura ma,
al contrario, si negano risorse alle università pubbliche, agli istituti
di ricerca più rinomati, agli enti che gestiscono un patrimonio di memorie.
La volontà politica di cancellazione di certe memorie, di sostituzione
con diversi tipi di ricordi, si incontra con naturali tendenze all’oblio.
Su piano poi delle memorie collettive, tipiche di gruppi più ristretti,
possono intercorrere anche altri fattori che complicano ulteriormente
il quadro: tra questi, la ricerca di una cornice significativa in cui
collocare certi eventi. O, anche, una certa identificazione con memorie
altrui. Pochi esempi basteranno a dar conto di quanto intendo.
Memorie da vagliare, da controllare
Immagini di Valle Aurelia, Roma (#)
Chiunque raccolga ricordi, memorie sa che si tratta sempre di un materiale
di grande interesse ma che va comunque attentamente rivisto, vagliato,
controllato: un po’ come dovrebbe essere, del resto, per tutte le fonti,
poiché non esiste una fonte così certa e onniavvolgente da potersi assumere
come unica fonte di verità.
Le memorie sono narrazioni, non testimonianze giurate date in un tribunale,
magari con la mano protesa a toccare la Bibbia. Vanno anch’esse vagliate,
valutate con attenzione, messe a confronto tra loro e con altrew memorie
e con altre fonti. Le città italiane ci forniscono interessanti spunti
di riflessione al riguardo.
Esistono memorie storiche che attengono a fatti leggendari, come la fondazione
di Roma da parte di Remo e Romolo, (ma la memoria vacilla: vi è chi ha
parlato di Remolo e di Romolo). Altre forme di memoria si legano ad accadimenti
relativamente più recenti: le quattro giornate di Milano; il rastrellamento
del ghetto di Roma e così via. Ma già certe memorie in merito agli anni
’40 vanno offuscandosi. Lo documenta Alessandro Portelli, in un suo testo
sulla città di Roma. In un bar di Largo Montezemolo lo studioso chiede
infatti il perché di questa denominazione, legata a Giuseppe Cordero Lanza
di Montezemolo, rimasto nella capitale, dopo la fuga del re e dello stato
maggiore a Brindisi, nel tentativo di coordinare i resti dell’esercito
e la resistenza ai tedeschi, finito poi in prigione a via Tasso, ucciso
alle Fosse Ardeatine. Ma le risposte che riceve Portelli si rivolgono
invece a un noto membro della famiglia piemontese ai nostri giorni: forse,
dicono nel bar, è per via di Luca Montezemolo. Diverso ancora un altro
caso individuato dallo stesso Portelli in un suo studio su Terni, cittadina
nota per le industrie metallurgiche e tessili, in crisi per la chiusura
di tante fabbriche. Egli si era imbattuto, nelle sue ricerche, nella raccolta
di memorie di quei tempi, nella storia di un giovane uomo, se non erro
Luigi Trastulli, la cui morte veniva in genere raccontata come avvenuta
durante una manifestazione di protesta degli operai, in un certo anno,
davanti a una data fabbrica. Portelli scopre, consultando la stampa dell’epoca,
andando a vedere la lapide al cimitero, che la morte di Luigi Trastulli
è avvenuta in un luogo, in un contesto, in un periodo diversi da quanto
narra la voce comune. Posti di fronte a queste contraddizioni, gli intervistati
spiegano allo studioso che pensavano di dare così maggior risalto e più
importanti significati all’accadimento.
Nella stessa Valle dell’Inferno/Valle Aurelia ci eravamo imbattuti anche
noi in memorie di fatti realmente occorsi, come nel caso di un memorabile
ceffone dato da una donna, Jolandona, al sindaco democristiano Rebecchini
andato a parlare di case popolari alla vigilia di una tornata elettorale,
fatto sempre ricordato e narrato con gaudio e soddisfazione; ma ci siamo
anche imbattuti in memorie di fatti chiaramente attinenti all’immaginario:
racconti di tedeschi fatti sparire nelle bocche delle fornaci; racconti
di una visita, evidentemente mai avvenuta, di Lenin in Valle, ecc. Si
trattava di memorie inesatte, non basate su fatti realmente occorsi: ma
anche di racconti interessanti, significativi, che dicono molto di coloro
che li ripropongono, delle loro scelte, delle loro opzioni.
Ultimamente del resto, studiando la storia degli IMI (i militari italiani
deportati in Germania [9]), storia che
si basa soprattutto su scarni diari dell’epoca, su alcune memorie scritte
in anni recenti [10], quindi a molta
distanza dagli accadimenti narrati, abbiamo appreso di un caso in cui
alcuni uomini di una certa età, molto amici di uno che era stato effettivamente
un IMI, si erano così immedesimati nella sua storia da viverla, da raccontarla
come fosse occorsa a loro: e i ricercatori si erano trovati di fronte
alla stessa storia narrata da tre uomini diversi. Una storia vera: salvo
che per due di loro non si trattava di una storia vissuta ma ascoltata.
Memorie ufficiali, memorie popolari
Immagini di Valle Aurelia, Roma (#)
Molte quindi le complessità con cui bisogna fare i conti, quando si tratta
di memorie. Né si è con ciò esaurita la lista. Nelle memorie sociali esistono
infatti le memorie ufficiali e quelle che con l’ufficialità, invece, poco
o nulla hanno a che fare. Le celebrazioni del 2 giugno, ad esempio, con
tanto di cerimonie ufficiali, alte uniformi, centro storico di Roma bloccato,
poco o nulla hanno a che vedere con la memoria popolare in merito [11].
Penso ad esempio al bel lavoro di Ascanio Celestini, lavoro in un primo
tempo teatrale, poi riportato in DVD, dal titolo Scemo di guerra [12].
In esso Celestini ripropone il giorno della liberazione visto con gli
occhi di un ragazzino del popolo. Siamo al Quadraro, zona di Roma che
ha subito un celebre rastrellamento. Ma qui emergono vicende di vita quotidiana,
come ad esempio i tentativi di impadronirsi di una cipolla (bene inestimabile,
in un’epoca di fame) o le preoccupazioni per le sorti di un maiale, importantissimo
perché fonte di approvvigionamento e sopravvivenza per molti. Un racconto
popolato di mosche, di macerie, di donne e di uomini spaventati, affamati.
Il giorno della Liberazione è molto diverso, nei ricordi delle autorità
e nei ricordi di chi ha vissuto questi avvenimenti al Quadraro o di coloro
che hanno il Quadraro nel loro background. Qui liberazione vuol dire confusione,
carri armati, cannoni, distribuzione di cioccolata e caramelle da parte
dei soldati americani.
Una memoria popolare che poco o nulla ha a che vedere con la memoria ufficiale,
istituzionale. Che pure esiste, ha certamente una sua funzione, si riflette
sulla struttura urbana, sulla cultura. Anche se nel caso della memoria
ufficiale il rischio è quello di una rarefazione, di un distacco dai sentimenti,
dalle memorie individuali e familiari: tanto che alla fine si può perdere
il significato di monumenti, lapidi, rievocazioni più o meno sonore, rumorose.
Cosa tanto più vera se queste memorie non sono riuscite a porsi come un
patrimonio comune, condiviso, a dare unità al paese.
Le vicende risorgimentali, le memorie delle due guerre mondiali del 1900
ad esempio avrebbero potuto giocare un ruolo di questo tipo in Italia:
ma tanti anni di politica contraria non sono passati senza effetti.
Le memorie locali
Oggi più che una visione comune in Italia sembrano avere spazio e cittadinanza
memorie divise e contrapposte. Memorie legate magari al singolo territorio,
gelosamente cercate e riproposte da ricercatori e studiosi, comunicate
magari attraverso internet, attraverso percorsi alternativi, piuttosto
che non attraverso la grande distribuzione, i media nazionali. Penso ad
esempio al tanto lavoro svolto dall’Eco museo del litorale romano, che
ha aperto spazi museali con filmati e DVD, con conferenze e dibattiti.
Che ha ricostruito molti antichi mestieri, modi di vivere, di trascorrere
il tempo libero, ecc. Che ha ricostruito la memoria, pressoché scomparsa,
di una Cooperativa di case popolari, fatta da operai: una cooperativa
che ha di fatto costruito varie zone della città. Come da noi c’è l’Ecomuseo
del Litorale, come ci sono tanti appassionati storici, sociologi, antropologi
che cercano di trasmettere un certo tipo di memoria che rischierebbe,
altrimenti, la cancellazione, così ci sono molte simili iniziative sparse
un po’ per tutta la penisola. Anche qui a Catania del resto ci sono cultori
di ricerche qualitative intese alla conservazione, alla comunicazione
delle memorie. C’è ad esempio Magma, il cui operato, ormai da molti anni,
va proprio nella direzione del recupero, della rivalutazione, della trasmissione
di un patrimonio culturale che andrebbe, altrimenti, perduto. C’è l’associazione
Le stelle in tasca.
Per nostra fortuna, queste iniziative di cui ho fatto cenno, quella ormai
molto nota dei Diari di Pieve Santo Stefano e tante altre non sono solo
memorie locali: gli studiosi di regola si interessano a questi archivi,
ne traggono materiali, li comunicano. I materiali autobiografici lasciano
il luogo d’origine, si fanno spazio in terre altre, nell’immaginario di
diversi luoghi e tempi. Divengono fonte del sapere.
Ma c’è da interrogarsi circa l’esistenza di una memoria sociale in Italia,
anche nel senso di luogo di confronti tra diverse memorie. Sull’eccesso
di memorie che può condurre all’oblio, come ipotizzato da Ferrarotti ne
La tentazione dell’oblio [13] Sul divario
tra memoria pubblica e memoria viva, sentita, condivisa. In questo senso
hanno certamente ragione coloro che, come già Todorov, mettono in guardia
contro ‘gli abusi della memoria’. Nessun dubbio che la feticizzazione
delle memorie, le memorie idolatrate possano indurre e giustificare in
vario modo persino i genocidi che anche nella storia più recente dell’Europa
si sono verificati. E tuttavia resta vero che, nonostante le grandi varietà
delle memorie, se ne fossimo privi saremmo un nulla in senso assoluto.
Noi siamo infatti ciò che sia mo stati. O, detto con maggior precisione,
siamo ciò che ricordiamo di essere stati. Siamo memorie personificate.
Senza memorie si aprirebbe, per l’umanità, l’insignificanza. Si aprirebbe
il vuoto assoluto.
Co-tradizioni culturali
Oggi, le città italiane vivono profonde trasformazioni, legate in parte
al generale processo di depauperamento, alla precarietà lavorativa e ai
processi di migrazione. Gli immigrati (un tempo, quelli che si muovevano
dal sud d’Italia. Oggi, quelli che vengono in Occidente partendo da paesi
altri, dall’America latina, dall’Africa, da paesi del medio ed estremo
Oriente. Ma anche dall’Est d’Europa) vivono oggi nelle nostre città, popolano
anche altri luoghi più vicini all’agricoltura. Le loro presenze mutano
i paesaggi italiani ed europei: sorgono moschee, templi buddhisti, hinduisti.
Edifici e simboli, culture un tempo lontane sono oggi a noi meno estranee,
più vicine. Ci si può imbattere in esse percorrendo strade urbane, vie
campestri. Si formano, a volte, inedite forme di convivenza, per cui accanto
a famiglie autoctone da più generazioni troviamo immigrati giunti da pochi
anni, altri che sono ormai cittadini italiani, che hanno figli nati in
Italia. Possono esservi matrimoni misti. Conversioni. Certamente vi sono
importanti mutamenti socio-culturali [14].
Si creano, insieme, nuove memorie condivise. Molto del nostro futuro dipenderà
dagli spazi che queste memorie sapranno conquistarsi, in contrapposizione
a memorie conflittuali e di separatezza o di vera e propria esclusione.
Viviamo oggi in un’epoca di divisioni e, insieme, di sforzi di tipo comunitario,
di contrapposizioni e attriti, ma anche di ricerca di nuovi equilibri
più condivisi. Viviamo in un ambito di demolizione di antichi patrimoni
di memorie e di tentativi di rivalorizzazione di altre. Si moltiplico
i localismi e si allargano, insieme, gli scenari. Un’epoca certamente
di grande interesse, in cui sono possibili diverse scelte, molteplici
scenari. Allargamenti di orizzonti. Forse potranno aiutarci in questo
senso antiche e più moderne memorie: sempre che non si parli di memorie
pietrificate, legate a integralismi, a micro nazionalismi. Sempre che
non si preferisca, invece, l’Alzheimer della memoria.
Note
1 Basti ricordare l’Associazione
Italiana di Storia Orale, presieduta da Gabriella Gribaudi, associazione
che fa parte della rete internazionale. Per la sociologia, il comitato
di ricerca della ISA, International Sociological Association, dedicato
a Biography and Society.
2 Gérard Namer ha proposto una
definizione di memorier collettive come insieme di rappresentazioni sociali
attinenti al passato, prodotte, istituzionalizzate, custodite e trasmesse
dai vari gruppi attraverso l’interazione dei membri. Di regola si ritiene
che la memoria collettiva favorisca la coesione, garantisca l’identità
di un gruppo.
3 Il nome viene attribuito all’arrivo
in Roma dei Lanzichenecchi , nel Cinquecento, da quel lato della città:
da cui il sacco di Roma, il terrore, i morti e i prigionieri, le richieste
di riscatto, la fame. Altre interpretazioni si rifanno invece alla natura
del luogo: una valle incassata, con un fiumiciattolo nel mezzo. Umida,
fredda, sgradevole come clima d’inverno, molto calda d’estate. O, ancora,
si parlava del fumo delle fornaci, che oscurava l’aria e faceva pensare
all’inferno. Ma la dizione è sicuramente precedente, si trova già in alcune
mappe del XVI secolo.
4 Maria I. Macioti, La disgregazione
di una comunità urbana. Il caso di Valle Aurelia a Roma, Siares, Roma
1988
5 In questo senso, è importante
la ‘resa’ a chi si è prestato a ricordare, a raccontare le proprie memorie.
Per questa ricerca alcuni dei protagonisti sono stati invitati a incontrare
gli studenti all’università, si è organizzata una grande mostra fotografica
delle tante famiglie che avevano vissuto in quella zona, prese in diversi
momenti (bambini e adulti; fornaciai e dopolavoro, uomini e donne ecc.).
Pubblicazioni sono state date ai principali protagonisti, i ricercatori
hanno partecipato a numerose presentazioni e dibattiti sulle case popolari
a Roma, nei municipi, in varie biblioteche comunali, ecc.
6 F. Ferrarotti, Roma da capitale
a periferia, Laterza, Roma-Bari, 1971; le repliche cui si fa riferimento
hanno prodotto alcuni DVD fatti da Carlo Boni e il libro di F.Ferrarotti
e M.I. Macioti, Periferie da problema a risorsa, Sandro Teti editore,
Roma 2009.
7 Per la verità Gianni Borgna,
che aveva commissionato la ricerca degli anni 2005-6, ha lasciato l’assessorato
alle politiche culturali il giorno dopo la consegna, da parte nostra,
del rapporto finale. Di Francia, che ne ha preso il posto, non ha mostrato
un particolare interesse in merito. Sembrava invece molto interessato
l’assessore alle politiche lavorative e alle periferie Pomponi: ma la
giunta di cui faceva parte ha avuto poco tempo davanti a sé ed è scomparsa
poco dopo che era stato consegnato da una associazione scelta dal comune
un DVD con percorsi interattivi con alcune delle interviste da noi registrate
all’Alessandrino, all’Acquedotto Felice, al Quarticciolo. È quindi mancato
il tempo e il modo di discutere con l’assessorato i risultati del lavoro.
8 A Valle Aurelia eravamo stati
nei primi negli anni ’70 e poi nei primi anni ’80, quando il comune rese
operativa la decisione di abbattere l’antico borghetto, caratterizzato
dalla compresenza di belle case in muratura (si trattava pur sempre di
muratori e fornaciai) e di povere baracche di fortuna, prive di acqua
e di luce. Nelle zone già studiate da Ferrarotti invece siamo tornati
a circa 50 anni di distanza.
9 Circa 600mila persone. Molti
sottoufficiali erano sui venti anni, non avevano mai visto un episodio
bellico in precedenza. Dalle accademie finiscono al fronte e poi sui treni
che li portano nei campi, in Germania e in Polonia. Alta sarà la percentuale
di coloro che resisteranno alle pressioni per farli entrare nell’esercito
tedesco, alla speranza di un rientro in Italia, dalla parete dei tedeschi
e della Repubblica di Salò.
10 I diari sono di regola scritti
in contemporanea. Qui, in genere, si tratta di poche, scarne notazioni,
poiché mancava la carta né era il caso di farsi sequestrare annotazioni
compromettenti. Le memorie invece sono scritte a posteriori, a distanza
di anni. In questo caso, di decenni: varie memorie sono state pubblicata
alla fine del 1900, da parte di uomini ormai anziani che volevano spiegare
ai nipoti la loro storia, che volevano lasciarne traccia prima di scomparire.
11 Si tratta di tracce ufficiali.
Queste possono portare anche all’apertura di un museo, ad un monumento:
segni, tutti, tracce che rinviano a fatti collettivi vissuti in passato,
ma che possono essere ormai rimossi, staccati da sé.
12 Ascanio Celestini, Scemo
di guerra. Il diario 2006-1944, Einaudi, Torino2006; il diario si accompagna
al DVD. Qui le memorie hanno una forte carica di criticità nei confronti
dell’ufficialità.
13 F.Ferrarotti, La tentazione
dell’oblio, Laterza, Roma-Bari, 2000 (4).
14 In certe zone della Sicilia
gli studi di Massimo Introvigne, di Zoccatelli, di Carmelina Chiara Canta
hanno ampiamente documentato il mutamento occorso, per cui troviamo oggi
accanto a forme di culto tradizionali luoghi legati a credenze di origine
orientale o anche dall’America Latina.
Immagini
Le foto di Valle Aurelia che risalgono agli anni '80 sono del Prof.re
Franco Ferrarotti, le altre sono state donate dalle Famiglie alla Prof.ssa
Maria Immacolata Macioti.
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