Raccontare Ascoltare Comprendere
Barbara Poggio - Orazio Maria Valastro (a cura di)
M@gm@ vol.10 n.1 Gennaio-Aprile 2012
PRIMO CONTATTO: SPAZI E PRATICHE NARRATIVE NELL'ACCESSO AI SERVIZI SOCIALI
Paolo Rossi
paolo.rossi@unimib.it
Ricercatore in sociologia dell'organizzazione presso la Facoltà di Sociologia dell'Università di Milano Bicocca. Si occupa di organizzazione dei servizi sociali, con un interesse specifico per le nuove modalità organizzative di gestione dei servizi socio-assistenziali.
Introduzione
In un articolo di alcuni anni fa, Catherine Kohler Riessman e Lee Quinney
[2004] osservarono come, sorprendentemente, le ricerche compiute nel campo
dei servizi sociali che trattavano espressamente di narrazioni fossero
relativamente poche. Il loro stupore era riconducibile a due ragioni principali:
da un lato, la consapevolezza che già all’epoca si potesse parlare di
una “svolta narrativa” nelle scienze sociali; dall’altro, il fatto che
occuparsi di narrazioni è, nelle parole degli autori, il “pane quotidiano”
nel lavoro di molti social workers [1]
[2005: 396].
Per spiegare questa lacuna, Kohler Riessman e Quinney evidenziarono come
il concetto stesso di narrazione sia molto controverso e di difficile
definizione, al punto da risultare vago e sfuggente. Ciò ne ostacolerebbe
il riconoscimento come proprio oggetto di lavoro da parte di numerosi
professionisti. D’altra parte, la difficoltà di individuare e rappresentare
il proprio oggetto di lavoro è particolarmente sentita dai social workers,
immersi in un continuo flusso di relazioni delle quali faticano spesso
a individuare presupposti e finalità [Olivetti Manoukian, 1998].
La dimensione narrativa del lavoro sociale è tuttavia significativa anche
sul piano della configurazione organizzativa e istituzionale di molti
servizi sociali. Difatti, l’implementazione di una serie rilevante di
servizi socio-assistenziali si costruisce attorno all’interazione diretta
tra due attori (cittadino-utente e social worker), il cui fulcro è una
dinamica relazionale di matrice narrativa, che lega tali attori e che
funge da perno per l’evoluzione dello sviluppo di tale relazione. Questa
caratteristica identifica quelle aree del sistema di welfare che si snodano
essenzialmente attraverso dei meccanismi di personal service delivery
[Prior e Barnes 2011]. Da questo punto di vista, i servizi socio-assistenziali
si differenziano (anche in termini organizzativi) da quei servizi di welfare
(come, per esempio, il sistema pensionistico) che vengono implementati
mediante processi amministrativi che, generalmente, non richiedono una
consistente interazione diretta tra utenti ed operatori.
Nei contesti organizzativi dei servizi sociali, la narrazione assume quindi
funzionalmente il senso di una “transazione sociale” [Poggio, 2004: 42]
tra il soggetto narrante e l’organizzazione che funge in questo caso da
audience. Questa audience non è però neutra rispetto alla storia che è
oggetto di una narrazione ma, viceversa, ne può influenzare e condizionare
trama e sviluppo. Il valore della narrazione come forma di transazione
sociale è particolarmente importante nelle fasi di primo contatto tra
cittadino e istituzioni: è in queste fasi che si decide l’eventuale avvio
di una relazione, vale a dire un intervento assistenziale da parte delle
istituzioni.
L’analisi delle narrazioni si rivela dunque un terreno di ricerca proficuo
da più punti di vista: in primo luogo, perché in esse risiedono le informazioni
discriminanti per l’erogazione (o meno) di un intervento socio-assistenziale;
in secondo luogo, perché esse veicolano non solo vissuti e problematiche
individuali, ma anche le prefigurazioni, le interpretazioni e le aspettative
che i cittadini hanno rispetto ai servizi socio-assistenziali. A partire
da tale presupposto, si intende sviluppare una riflessione sulle rappresentazioni
dei servizi socio-assistenziali e, parallelamente, sulle strategie che,
in virtù di specifiche rappresentazioni e interpretazioni, gli utenti
mettono in atto nel rapportarsi a simili servizi. L’analisi verrà svolta
esaminando la fase del primo contatto tra cittadini e servizi socio-assistenziali,
fase che si rivela preliminare ma, al tempo stesso, cruciale per l’accesso
ai servizi e all’eventuale sviluppo di un intervento assistenziale.
Nell’attuale architettura dei servizi socio-assistenziali, il servizio
che, sia in termini professionali che organizzativi e istituzionali, sovrintende
al primo contatto con i cittadini è il servizio di segretariato sociale.
Questo servizio è stato il locus di un percorso di analisi etnografica
svolto in tre differenti contesti territoriali. I risultati della ricerca
metteranno in luce come, a prescindere dalle diverse caratteristiche organizzative
di ciascun setting organizzativo, la percezione della valenza istituzionale
del servizio (e, di conseguenza, dell’accesso ai servizi socio-assistenziali)
si può descrivere distinguendone tre diversi declinazioni.
L’articolo è suddiviso in cinque paragrafi. Nel primo si presentano le
principali caratteristiche dello scenario di fondo nel quale si è mossa
la ricerca, ossia l’articolata configurazione istituzionale, organizzativa
e professionale che sottende all’accesso ai servizi socio-assistenziali.
Il secondo capitolo è invece dedicato alla costruzione di un quadro interpretativo
complessivo per cogliere le peculiarità e le sfaccettature della dimensione
narrativa dei percorsi d’accesso. Nel terzo capitolo si introduce la ricerca,
presentandone metodologia e contesti. Il quarto capitolo offre un’analisi
dei risultati conseguiti attraverso l’indagine etnografica, mentre nelle
conclusioni si discutono alcuni spunti per riflettere sul cambiamento
in atto nelle dinamiche d’accesso ai servizi socio-assistenziali.
1. L’accesso ai servizi socio-assistenziali: livelli di regolazione
e attori in gioco
La regolazione dell’accesso ai servizi socio-assistenziali si snoda lungo
una serie di livelli istituzionali e organizzativi. Saraceno [2004] evidenzia
al riguardo che la richiesta e la conseguente erogazione di un intervento
assistenziale sono l’esito di un percorso molto articolato che, sotto
molti aspetti, può essere interpretato come un processo di “istituzionalizzazione”
[2] dei cittadini che ne saranno beneficiari.
Al contempo, occorre considerare che le finalità degli interventi di assistenza
sociale possono essere diverse e articolate. In termini generali, si può
sostenere che esse mirino a favorire l’inclusione sociale dei cittadini
[Madama 2010; Ferrera 2006] e prevenire (oltre che fronteggiare) i rischi
legati ai vari fenomeni (povertà, emarginazione, malattia, disabilità
ecc.) che possono dare adito a situazioni di esclusione sociale.
L’erogazione di un intervento assistenziale è pertanto un’operazione che
si articola su più piani e che, pur nell’ipotesi di una linearità e coerenza
complessiva, assume progressivamente significati e presupposti peculiari
e talvolta discordanti. In tal senso, è possibile identificare tre principali
livelli di azione: il livello istituzionale, il livello organizzativo
e il livello professionale. Sul piano istituzionale, gli interventi socio-assistenziali
si pongono in primo luogo come il riconoscimento di un diritto sociale:
è per questa ragione che l’assistenza socio-assistenziale si distingue
dall’assistenza intesa in senso generico [Madama, 2010: 20]. Le istituzioni
pubbliche, di carattere nazionale, regionale e locale, hanno quindi il
compito di definire i quadri legislativi e regolamentari che predispongono
l’attuazione degli interventi. In Italia, l’attuale configurazione degli
assetti istituzionali di governo delle politiche socio-assistenziali si
distingue per la sua accentuata enfasi verso la regionalizzazione e la
territorializzazione dei livelli decisionali e programmatori [Kazepov
2009; Costa, 2009]: per effetto di una serie di riforme legislative (tra
le quali è possibile citare la Legge 328/2000 e la Legge di Riforma Costituzionale
3/2001), le competenze in materia di servizi socio-assistenziali sono
infatti assegnate alle Regioni, mentre il ruolo dello Stato risulta residuale.
Tali tendenze si riverberano sul piano organizzativo, delineando una pluralità
di modelli di accesso ai servizi socio-assistenziali. Peraltro, la progressiva
affermazione di logiche di governance [Martelli, 2007; Bifulco, 2006;
Bobbio, 2005] nella programmazione dei servizi sociali (contrapposte a
forme più chiuse e verticistiche di government), ha ulteriormente amplificato
l’eterogeneità delle soluzioni organizzative preposte alla regolazione
dell’accesso all’assistenza sociale: sebbene il Comune rimanga l’ente
nel quale si concentrano le competenze per l’organizzazione e l’erogazione
di numerosi servizi socio-assistenziali (e, in particolare, la gestione
dell’accesso a tali servizi), negli ultimi anni si è assistito a una proliferazione
di forme di innovazione istituzionale, volte sia a favorire politiche
di gestione associata dei servizi [Pesaresi 2006,; Rossi G. e Boccacin,
2009], sia a promuovere e istituzionalizzare raccordi e collaborazioni
con gli stakeholder locali [Centemeri et al, 2006; Borghi, 2006]. Tutto
ciò ha alimentato la differenziazione delle opzioni organizzative per
il presidio e il governo dell’accesso ai servizi socio-assistenziali,
esacerbando la tensione tra l’esigenza di garantire uniformità e universalità
nel riconoscimento di un diritto sociale (l’accesso ai servizi socio-assistenziali)
su scala nazionale e la plasticità e flessibilità delle soluzioni implementative
a livello locale.
Sul piano professionale si gioca invece la partita dell’effettivo incontro
tra cittadini e istituzioni, ossia tra domanda e offerta. Questo incontro,
che nella prospettiva di Normann [1984] assume la veste del “momento della
verità” nell’erogazione del servizio, viene mediato e costruito da una
particolare categoria di professionisti, ossia gli assistenti sociali.
Ad essi, in virtù delle loro competenze professionali, è infatti assegnato
il compito istituzionale di accogliere le richieste dei cittadini, valutarne
condizioni e requisiti e procedere eventualmente verso l’avvio di un intervento
assistenziale. E’ evidente che l’azione degli assistenti sociali non è
isolata e autonoma, ma si riconduce, da un lato, al contesto organizzativo
locale nel quale operano e, dall’altro, al più ampio scenario istituzionale
nel quale si colloca il loro intervento. Questi due ambiti introducono
quindi una molteplicità di vincoli e risorse che, assieme alle culture
professionali proprie di questa categoria di attori sociali e ai relativi
assetti normativi (quali, per esempio, la presenza di un codice deontologico)
plasmano e orientano le pratiche messe in gioco nell’interazione con gli
utenti.
Se quanto visto finora attiene alle dinamiche di regolazione dell’accesso,
occorre considerare come stia mutando, in termini quantitativi e qualitativi,
la domanda ai servizi socio-assistenziali. E’ infatti opportuno segnalare
che l’aumentata fragilità sociale di molti individui e famiglie abbia
esteso la gamma dei potenziali destinatari di interventi socio-assistenziali
[Madama, 2010]: laddove fino a qualche anno fa l’esclusione sociale era
una condizione circoscrivibile a una serie di categorie ristrette, ora
essa può interessare un insieme più ampio di individui. In particolare,
il rischio di cadere in una situazione di povertà si è notevolmente acuito
e riguarda anche fasce di individui che, tradizionalmente, ne erano estranei.
Più che come condizione ascrittiva e/o assoluta, la povertà si pone oggi
come condizione di difficoltà che può scaturire a seguito di particolari
eventi della vita (perdita del lavoro, divorzio, nascita di figli ecc.)
che scardinano l’esistenza di un individuo e che faticano a essere assorbiti
in assenza di un sostegno assistenziale. Questi mutamenti si manifestano
e avvertono nei luoghi di accesso [Cutini 2010].
1.1 L’organizzazione dell’accesso: i servizi di segretariato sociale
L’accesso dei cittadini ai servizi socio-assistenziali, fatto salvo i
casi di accesso coatto [3], passa generalmente
attraverso i cosiddetti servizi di segretariato sociale. Questi servizi
sono tendenzialmente offerti e predisposti dalle Amministrazioni Comunali
(o, in aggiunta, da altre istituzioni locali, come Aziende Sanitarie,
Consultori pubblici, strutture residenziali per anziani ecc.) e rappresentano
la “porta d’accesso” alla rete dei servizi socio-assistenziali disponibili
in un territorio [4].
La funzione dei servizi di segretariato sociale è, per molti versi, ambivalente
[Lippi, 2007]. Infatti, essi rappresentano sia una “sede di informazione
e orientamento” per i cittadini che intendono richiedere e usufruire di
un servizio socio-assistenziale, sia il primo luogo di filtro e verifica
delle condizioni e dei requisiti per l’esigibilità di numerosi servizi
socio-assistenziali. Di conseguenza, il segretariato sociale si presenta
sotto una duplice veste: da un lato, esso è un servizio in sé, in quanto
fornisce ai cittadini informazioni e assistenza per l’accesso a servizi
e prestazioni socio-assistenziali più specifiche; dall’altro, esso si
pone come una soglia per l’accesso a quei servizi che, per vincoli di
risorse, implicano la selezione dei destinatari. In termini organizzativi,
il segretariato si configura pertanto sia come sportello informativo,
che come gateway per l’accesso ai servizi socio-assistenziali; da questo
punto di vista, i professionisti che vi operano al suo interno (gli assistenti
sociali, ma anche il personale amministrativo, responsabili e coordinatori,
nonché i dirigenti) si pongono come gatekeepers, collocati sulla front-line
nel contatto con l’utenza.
La duplicità delle funzioni di questo servizio lo contraddistingue nel
confronto con gli altri servizi di matrice socio-assistenziale. Questi
sono infatti servizi rivolti generalmente a specifici target di utenza:
anziani, minori, disabili, migranti ecc. Viceversa, il segretariato sociale,
per vocazione storica [Lippi, 2007] e per esplicito mandato istituzionale
[5], è un servizio ad accesso universale,
del quale ossia possono usufruire tutti i cittadini, a prescindere dalle
proprie condizionali sociali, famigliari, anagrafiche. La caratteristica
di universalità attiene tuttavia esclusivamente alla funzione informativa
del segretariato sociale, perché l’eventuale erogazione di interventi
assistenziali più specifici (per effetto di una valutazione di idoneità
e necessità da parte dell’assistente sociale) segue la tipica selezione
e canalizzazione per aree di utenza.
Dal punto di vista professionale, il servizio di segretariato sociale
consiste in un colloquio tra cittadino e professionista [Fabbri, 2007].
Questo colloquio deve avere una durata contenuta, in quanto rappresenta
un’occasione di primo contatto e non un momento di approfondimento della
condizione complessiva di un utente. Tuttavia, esso diviene uno snodo
fondamentale nella relazione tra cittadino e istituzioni, in quanto è
a seguito di questo colloquio che l’assistente sociale valuterà, a seconda
della richiesta posta da un cittadino e in base alle prime informazioni
che gli consentono di valutare l’urgenza e/o la gravità della sua problematica,
l’avvio di un intervento assistenziale di medio-lungo periodo (ciò che
nel gergo del lavoro sociale si definisce “presa in carico”). E’ quindi
in questa fase che matura la “trasformazione” del cittadino in utente
dei servizi sociali [6].
2. La regolazione dell’accesso: pratiche e framework interpretativi
Come si è visto, il baricentro organizzativo, istituzionale e professionale
sul quale poggia l’accesso dei cittadini ad interventi e prestazioni socio-assistenziali
è il servizio di segretariato sociale. Questo servizio ha dunque una notevole
rilevanza nell’alveo dell’implementazione delle politiche socio-assistenziali
e, in virtù della sua valenza trasversale, può assumere valenze e significati
diversi. Per esaminarne le caratteristiche e studiarne le dinamiche che,
su più piani, lo connotano, è possibile adottare uno sguardo multi-prospettico,
che faccia ossia riferimento ad pluralità di framework interpretativi.
In primo luogo, il segretariato sociale può essere inteso come l’espressione
di una pratica discorsiva istituzionalizzata [Bruni e Gherardi, 2007].
Si parla di pratica discorsiva perché essa si articola sulle relazioni
discorsive che due o più soggetti intrattengono in un contesto professionale.
Per definire ulteriormente simili pratiche, Bruni e Gherardi propongono
il concetto di “conversazione istituzionale”, atto a distinguere quei
“modelli di interazione che danno stabilità alle pratiche lavorative”
[Bruni e Gherardi, 2007, p. 124]. Le conversazioni istituzionali presentano
tre caratteristiche distintive:
a) hanno una natura strumentale, in quanto almeno uno dei partecipanti
ha una relazione istituzionale con il contesto nel quale la conversazione
ha luogo (o al quale essa fa riferimento);
b) l’interazione viene a svilupparsi entro una serie di vincoli (logistici,
temporali, mediatici ecc.) che possono tuttavia fungere anche da risorse
per la conversazione;
c) la conversazione acquisisce senso in funzione di uno (o più) schemi
interpretativi che contraddistinguono il contesto istituzionale in questione.
Bruni e Gherardi sottolineano come ogni conversazione istituzionale, a
prescindere sia dalle specifiche codificazioni e impostazioni metodologiche,
sia dalle finalità e dai presupposti che la ispirano, dia luogo ad un
processo di “produzione di identità sociali situate” [2007: 129]. In altre
parole, l’interazione che si svolge nell’arco di una conversazione istituzionale,
quale può essere il colloquio di segretariato, non fornisce soltanto elementi
e informazioni utili per la definizione della situazione di un utente
(e quindi degli eventuali interventi attuabili da parte di un ente), ma
delinea il profilo istituzionale dell’utente (che viene, per esempio,
classificato in una specifica classe o categoria di intervento: area anziani,
famiglie, minori ecc.) e, seppur in misura minore, dell’operatore (che
può porsi come case manager, come professionista di riferimento, oppure
come mera “interfaccia” dell’istituzione).
In secondo luogo, il segretariato sociale può essere considerato come
un contesto nel quale prende forma il concetto di street-level bureacracy,
coniato originariamente da Michael Lipsky [1980]. Con tale concetto, Lipsky
[1980], metteva in luce come una serie di professionisti (insegnanti,
agenti di polizia, giudici, assistenti sociali ecc.), impegnati in prima
persona nell’erogazione di servizi pubblici, potessero intervenire discrezionalmente
nei processi decisionali che orientano l’esecuzione delle proprie attività,
distaccandosi da quelli che sono norme e procedure formalizzate e le aspettative
istituzionali. La tesi di Lipsky è che il grado di discrezionalità di
cui questi professionisti godono è tale da farli assurgere al ruolo di
policy maker nei confronti dei cittadini che sono destinatari delle loro
attività, affiancandosi o sostituendosi ai decisori politici che hanno
istituzionalmente il compito di delineare presupposti e contenuti dei
servizi pubblici. Gli street level bureacrats possono quindi ridefinire
sostanzialmente, arrivando anche a sovvertirle, le finalità dei servizi
che sono chiamati ad erogare, deformando in tal senso la rappresentazione
delle istituzioni per le quali lavorano.
Le riflessioni di Lipsky sono state riprese più volte negli ultimi decenni,
sia per discuterne alcuni degli assunti di fondo, sia per verificarne
la validità e plausibilità rispetto all’evoluzione degli assetti organizzativi
dei servizi pubblici [Evans e Harris, 2004; Ellis, 2011]. Il concetto
di street-level bureacracy offre comunque una prospettiva interpretativa
essenziale per comprendere le modalità con le quali l’azione di una categoria
di professionisti si riverbera sul piano istituzionale. In quest’ottica,
è possibile ampliare lo sguardo analitico per esaminare come gli utenti
stessi possano, alla pari dei professionisti, mettere in campo specifiche
opzioni di agency che, da un lato, incidono sull’esito degli interventi
dei quali sono destinatari e, dall’altro, incidono sulla valenza istituzionale
del servizio [Prior e Barnes]. Prior e Barnes segnalano in tal senso due
delle principali opzioni che gli utenti possono mettere in atto: la ricerca
di soluzioni alternative rispetto a quelle proposte dai professionisti
e il rifiuto di prender parte a programmi e iniziative assistenziali,
pur in presenza dei requisiti e delle condizioni necessarie per il loro
avvio.
Un terzo framework interpretativo si può delineare attorno al concetto
di sensemaking [Weick, 1995]. Gli attori (utenti e professionisti) che
interagiscono in un servizio di segretariato sociale creano attraverso
la loro interazione una relazione che, a prescindere dalla sua potenziale
proiezione verso interventi di maggiore durata e complessità (come le
prese in carico), si basa essenzialmente su una dinamica di attribuzione
di senso: da un lato, l’utente deve attribuire senso al contesto nel quale
si trova e rispetto al quale può presentare la propria situazione e avanzare
delle richieste; dall’altro, l’operatore deve attribuire senso alle richieste
dell’utente, decodificandole e prefigurando possibili interventi. L’incrocio
tra questi due processi di attribuzione di senso (che sono sì individuali
e disgiunti tra loro, ma che devono essere calati e situati all’interno
di uno specifico contesto organizzativo) da luogo a un più articolato
processo di organizing. Da questo punto di vista, lo svolgimento e l’esito
di un colloquio di segretariato sociale, possono essere considerati complessivamente
come un articolato processo di sensemaking organizzativo. Una simile interpretazione
fa riferimento ad alcune caratteristiche essenziali dei processi di sensemaking,
così come proposte da Weick e colleghi in uno studio successivo [Weick
et al, 2005]:
- il sensemaking prende le mosse da flussi caotici di impressioni ed esperienze
e mira a fornirne una trama organizzata, focalizzando l’attenzione su
alcuni passaggi ritenuti più significativi e/o coerenti;
- il sensemaking è un’attività che presuppone la classificazione e la
categorizzazione degli eventi, nonché l’attribuzione di nomi ed etichette
(labeling) per stabilizzare i flussi di esperienze;
- il processo di sensemaking si muove in un’ottica retrospettiva (reinterpretando
dati e segnali già presenti) e sistemica (lo sviluppo di un processo di
sensemaking implica infatti di prendere in considerazione una varietà
di fattori sociali che, a diverso titolo, possono intervenire nell’articolazione
dei significati da attribuire ad eventi e circostanze);
- il sensemaking è un’attività strettamente connessa all’azione: l’attribuzione
di un senso non è un’operazione astratta ed estemporanea, bensì diviene
il presupposto per le prossime attività che un individuo o un’organizzazione
devono compiere. Come spiegano Weick e colleghi, “capire cosa è successo”
è solo la prima parte di un processo di sensemaking, alla quale segue
un’attività che prende spunto dall’interrogativo “cosa fare ora?” [Weick
et al, 2005: 412].
2.1 La dimensione narrativa nelle fasi di accesso ai servizi sociali
In linea con la tesi avanzata da Riessman e Quinney [2005], è possibile
sostenere che uno dei principali ambiti di sviluppo della ricerca narrativa
sia focalizzato su un aspetto centrale del lavoro sociale, vale a dire
le interazioni che si susseguono nel corso di una relazione tra due o
più individui. Una simile relazione può prendere la forma della “relazione
d’aiuto” che, come già detto, rappresenta l’oggetto di lavoro quotidiano
per i social workers.
Per comprendere appieno il senso di questa affermazione, occorre fare
un passo indietro e interrogarsi sul significato del concetto di narrazione.
A tal fine, si può riprendere la definizione proposta da Poggio, che considera
la narrazione come “una forma specifica di discorso […] connotata principalmente
dal fatto di mettere in relazione degli eventi, di costruire delle connessioni
tra azioni ed avvenimenti” [Poggio, 2004: 28]. La narrazione, aggiunge
Poggio, può assumere forme diverse: si possono avere resoconti frammentari,
oppure discorsi più articolati e strutturati [ibidem]; il presupposto
essenziale è che “qualcuno dica ad un altro che è successo qualcosa” [Herrnstein
Smit, cit. in Poggio, 2004: 28].
La configurazione tipica dei servizi di segretariato sociale, consolidata
sia in chiave organizzativa e che professionale, prevede che il primo
contatto tra cittadino e professionista debba avere una durata temporale
limitata (generalmente inferiore ai venti minuti) [De Ambrogio et al,
2006]. Nel corso di questo breve colloquio, l’utente può, tra le altre
cose, avanzare una richiesta di intervento assistenziale: in questo caso,
la richiesta deve essere generalmente “corredata” dalla presentazione
della propria condizione socio-economica (per verificare la presenza dei
requisiti per il godimento dell’eventuale intervento) e dei fattori che
la motivano (per permettere di definire al professionista l’intervento
più adeguato). Questi due presupposti determinano che l’interazione assuma,
perlomeno per quanto riguarda l’utente, una forma narrativa.
La dimensione narrativa delle interazioni che hanno luogo in un contesto
di segretariato sociale, ossia nel primo contatto tra cittadino e professionista,
hanno però alcune caratteristiche peculiari. Queste si possono riassumere
nei due punti seguenti:
a) la configurazione organizzativa e professionale dell’accesso ai servizi
sociali rende il primo contatto uno “spazio narrativo condensato”, vincolato
sia dalla limitatezza dell’orizzonte temporale, sia dalle esigenze funzionali
del servizio stesso: l’utente è chiamato, tendenzialmente, a narrare e
sintetizzare la propria condizione fornendone il maggior numero possibile
di e informazioni e dettagli; l’assistente sociale, viceversa, deve qualificare
la domanda dell’utente, sintetizzarla a sua volta e canalizzarla all’interno
di una particolare categoria di utenza (anziani, minori, stranieri ecc.)
e per fare ciò deve intervenire nella narrazione dell’utente, al fine
di cogliere le informazioni necessarie per la sua valutazione;
b) l’interazione tra i due attori assume pertanto un valore proto-relazionale;
questa interazione potrà evolvere in una relazione più approfondita qualora
l’assistente sociale ritenga opportuno procedere a successivi colloqui
di approfondimento.
L’interazione che scandisce il primo contatto tra cittadino ed istituzioni
rivela dunque una dimensione narrativa specifica, che si contraddistingue
per la sua frammentarietà e circoscrizione, nonché per la sua strumentalità.
In tal senso, è possibile sostenere che la narrazione divenga uno degli
strumenti d’accesso ai servizi, sebbene non dia luogo ad una compiuta
relazione né sul piano individuale, né in termini professionali, organizzativi
e istituzionali.
3. Il percorso di ricerca
Si è visto come l’incontro tra cittadini e istituzioni nel campo delle
politiche socio-assistenziali sottenda una molteplicità di finalità e
possa essere inquadrato da altrettante prospettive analitiche. L’obiettivo
di questo contributo è quindi quello di mettere in evidenza come il momento
del “primo contatto” sia una fase densa di significati e interpretazioni
(anche talvolta contrapposte e divergenti) e che tale “densità” riveli
come l’accesso ai servizi socio-assistenziali sia una questione che non
si risolve sinteticamente entro le categorie dell’esclusione e dell’inclusione
sociale. Il processo di accesso ai servizi sociali, più che essere una
transizione tra status binari e antitetici (“in carico/non in carico”),
è dunque un percorso che, perlomeno nello stadio del primo contatto, è
aperto a numerose definizioni e opzioni di sviluppo. In esso, operatori
ed utenti svolgono ruoli analogamente attivi, in una relazione che conoscitiva
e di confronto, prima ancora che di aiuto e supporto.
In linea con questi presupposti, le domande di ricerca che ci si è posti
sono principalmente due:
a) Quali significati può assumere il servizio di segretariato sociale
(inteso come spazio di primo contatto), al di là delle sue funzioni e
finalità istituzionali?
b) Attraverso quali strategie relazionali, si definiscono le possibilità
di accesso (o di esclusione) dai servizi socio-assistenziali nell’ambito
di un servizio di segretariato sociale?
Se la prima domanda ha un carattere più esplorativo, la seconda è invece
finalizzata a studiare come il segretariato sociale costituisca, provocatoriamente
rispetto alle logiche di uniformità sul piano istituzionale, una sorta
di arena negoziale, nella quale i criteri di accesso ed esclusione assumono
contorni più sfumati e provvisori.
3.1 Contesto e metodologia della ricerca
Le riflessioni che vengono proposte in questo contributo maturano a partire
da una più ampia ricerca condotta sui servizi di segretariato sociale
[7], volta a studiare la pluralità
ed eterogeneità delle dinamiche organizzative di tali servizi, a fronte
delle aspettative di uniformità proposte dal dettato legislativo. La ricerca
ha voluto esaminare come, pur in presenza del medesimo quadro normativo
e istituzionale, le logiche organizzative degli enti che offrono servizi
di segretariato sociale e le culture professionali degli operatori che
vi operano siano assai divergenti, al punto da sviluppare quasi declinazioni
contrapposte dello stesso servizio.
Per studiare questo fenomeno, sono state realizzate tre etnografie organizzative
presso altrettanti Comuni di una Regione del Nord Italia. Il ricercatore
ha avuto la possibilità di svolgere un’attività di osservazione etnografica
durante i colloqui di segretariato sociale, affiancando gli assistenti
sociali che svolgevano tale servizio. La ricerca si è sviluppata lungo
un arco temporale di cinque mesi, durante i quali il ricercatore ha alternato
la propria presenza nei tre Comuni.
I Comuni in questione (che per ragioni di riservatezza verranno identificati
con gli pseudonimi di Monte Bosco, Castel Giallo e Villa Viola) differiscono
per molte ragioni [8]. La Tabella 1
riassume alcuni dati demografici e una serie di informazioni sull’organizzazione
dei servizi di segretariato sociale nei tre centri. Il dato che si vuole
qui sottolineare e che verrà ripreso è che, a prescindere dalle pur forti
differenze, molte dinamiche e comportamenti (sia per quanto riguarda i
professionisti che gli utenti) sono stati riscontrati similarmente e individuano
quindi delle tendenze significative (in alcuni casi più consolidate, in
altri emergenti) nelle pratiche di accesso ai servizi socio-assistenziali.
Come anticipato, la ricerca è stata compiuta seguendo la metodologia dell’osservazione
etnografica. In particolare, si è fatto riferimento alle tecniche di ricerca
etnografica nelle organizzazioni [Bruni 2003]. Sono stati effettuati dei
periodi di osservazione etnografica della durata media di due mesi in
ciascun contesto. Il ricercatore ha assistito a una serie di colloqui
(riassunti nella Tabella 2) tra operatore e utente e ha quindi potuto
confrontarsi con gli operatori realizzando una serie di interviste etnografiche
(che per la loro estemporaneità non possono essere quantificate numericamente
e che risultano dunque come note di campo). Inoltre, è stato possibile
avere accesso ad una serie di materiali documentativi (piani di zona,
bilanci sociali, reportistica interna ecc.) per approfondire la comprensione
delle dinamiche organizzative dei servizi studiati e della loro evoluzione
nel corso degli anni. Infine, i dati raccolti nelle osservazioni sul campo
sono stati discussi con operatori e responsabili dei servizi nei tre Comuni,
al fine di avere una validazione delle ipotesi interpretative, sulla stregua
di quel processo di members’ validation suggerito da diversi metodologi
[Lincoln e Guba, 1985].
Il lavoro di osservazione ha implicato, da un lato, un notevole sforzo
di distacco ma, dall’altro, comportava un alto grado di immersione nel
setting organizzativo e relazionale di un simile servizio: i colloqui
di segretariato sociale si svolgono generalmente alla presenza di due
attori (l’utente e l’operatore), in spazi che garantiscano riservatezza
all’interazione. L’introduzione di un soggetto terzo ha pertanto alterato
l’equilibrio relazionale tipico di questo servizio. Per questa ragione,
il ricercatore, conscio della “ingombrante” visibilità della sua presenza,
ha cercato di combinare le esigenze di mimetizzazione nel setting organizzativo
(per non distrarre eccessivamente operatore ed utente) ad uno stile di
osservazione attento e “parzialmente” partecipante: benché il ricercatore,
per accordi progettuali, non avesse la possibilità di interagire direttamente
con gli utenti, la sua presenza nel contesto del servizio diveniva, di
per sé, un atto comunicativo [Watzlawick et al, 1967]. Per questo motivo,
si ritiene che sia lecito descrivere l’attività di ricerca come un processo
di osservazione semi-partecipante.
3.2 L’analisi della dimensione narrativa: note metodologiche
Il materiale raccolto (note di campo, interviste etnografiche, dati emersi
nelle restituzioni, materiale documentario di vario genere) è stato esaminato
ed elaborato seguendo un percorso che, per molti versi, si può accostare
a quello della grounded theory [Glaser e Strauss, 1967]. Infatti, trattandosi
di una ricerca esplorativa, si è privilegiata un’ottica induttiva nella
lettura dei fenomeni osservati, costruendo a partire dai raccolti ipotesi
interpretative.
L’accostamento alla grounded theory va però precisato. In primo luogo,
si è fatto riferimento ad una logica “costruzionista” [Charmaz, 2000]
nel trattamento dei dati e nella loro interpretazione, presumendo che
questi non “parlino da soli”, né rispecchino fedelmente una porzione di
realtà. I dati raccolti vanno invece ricompresi nell’ambito di un particolare
processo analitico, rispetto al quale il ricercatore interviene significativamente,
“producendo” i dati anziché limitandosi a raccoglierli [Tarozzi, 2008].
Anche in virtù di questo orientamento, la metodologia della grounded theory
è stata seguita parzialmente e in modo non ortodosso: per esigenze e vincoli
progettuali, non è stato possibile, per esempio, condurre esaustivamente
delle operazioni di campionamento teorico (theoretical sampling), né è
stato possibile ritornare ciclicamente su alcuni luoghi di osservazione
o interagire più volte con alcuni dei membri delle organizzazioni studiate.
Per questi motivi, si può parlare di una grounded theory “spuria”.
E’ inoltre importante dedicare alcune brevi riflessioni all’approccio
seguito per esaminare la dimensione narrativa delle interazioni che hanno
luogo nei colloqui di segretariato sociale e all’uso che è stato fatto
dei dati raccolti. Per la particolare configurazione che, in termini narrativi
(si veda il § 2.1), assume questa fase di primo contatto, si è deciso
di utilizzare i dati raccolti attraverso l’etnografia come spunti o, per
altri versi, frammenti, descrittivi e rappresentativi delle principali
dinamiche che sono state osservate in relazione alle domande di ricerca.
Per questa ragione, non si è condotta una ricerca narrativa “ortodossa”
dal punto di vista metodologico [Fraser 2004]. Le narrazioni degli utenti
sono state considerate come unità di analisi tematizzate, parzialmente
esaminate nella loro costruzione sequenziale, temporale e retorica. Ogni
colloquio osservato è stato complessivamente trattato come un frammento
narrativo unitario, riconducibile in tal senso ad una serie di categorie
analitiche tematiche, non predefinite ma emergenti nel corso dell’analisi.
La collocazione di un colloquio all’interno di una categoria non esclude
la possibilità di un suo accostamento ad altre categorie: d’altra parte,
ciascun colloquio contiene una molteplicità di spunti ed elementi analitici;
tuttavia, ogni colloquio sarà qui presentato in funzione descrittiva di
una particolare categoria.
4. Pratiche di accesso ai servizi socio-assistenziali: i risultati
della ricerca
Come anticipato nel precedente paragrafo, i dati raccolti nella ricerca
sono stati esaminati e interpretati creando delle categorie che, se in
un primo momento avevano una funzione descrittiva e di sintesi, progressivamente
hanno assunto una valenza esplicativa ed interpretativa. Si è giunti in
tal senso all’elaborazione di tre macro-categorie analitiche, che riassumono
le principali valenze che un servizio di segretariato di sociale può assumere.
Tali categorie delineano il segretariato sociale come:
a) luogo di approdo;
b) spazio di trasformazione (del cittadino in utente dei servizi sociali);
c) arena negoziale.
Ciascuna di queste tre categorie contiene al suo interno una serie di
sotto-categorie che specificano ulteriormente il senso della categoria
principale. Come già detto, tali categorie sono trasversali ai contesti
studiati e sono da ricondurre a quelle situazioni che sono state osservate
più frequentemente. Occorre precisare che le categorie non sono state
create utilizzando come unità di misura la frequenza di comparsa di situazioni
similari, né la sequenza temporale delle fasi che scandiscono il colloquio
di segretariato. Viceversa, le categorie evidenziano gli aspetti che sono
apparsi più significativi per comprendere il senso delle interazioni che
hanno luogo in un servizio di segretariato sociale.
Nei prossimi paragrafi si illustrerà il significato di queste categorie,
riportando sinteticamente i passaggi di alcuni colloqui (così come trascritti
nelle note di campo) che appaiono emblematici per descriverne il significato.
4.1 Il segretariato sociale come luogo di approdo
Questa prima categoria analitica enfatizza il valore dei servizi di segretariato
sociale come meta per quei cittadini che hanno necessità di un intervento
assistenziale e che, come accade spesso, non conoscono i servizi disponibili
e le relative condizioni e modalità d’accesso. Ciò determina un forte
disorientamento, amplificato in molti casi dall’urgenza e/o gravità delle
problematiche sociali ed economiche che possono spingere a richiedere
un sostegno da parte delle istituzioni. Il segretariato sociale diviene
pertanto un luogo di approdo, che per alcuni versi può prendere la forma
di un’ipotetica ancora di salvezza in una condizione di disagio.
L’approdo non è tuttavia sempre facile, pertinente e lineare. Le difficoltà
in tal senso possono essere numerose e attengono sia alla rappresentazione
che l’utente fa della propria situazione e del servizio, sia alle modalità
organizzative dello stesso servizio. Per illustrare più specificamente
le complessità del segretariato sociale inteso come luogo di approdo,
è possibile esaminare quattro sotto-categorie, che mettono a fuoco una
serie di aspetti che contraddistinguono le dinamiche di accesso, sottolineandone
peculiarità e contraddittorietà.
4.1.1 Il segretariato sociale come spazio di sfogo personale
Al di là delle specifiche problematiche e situazioni, è frequente che
un cittadino si rechi in un servizio di segretariato sociale quando percepisca
di essere al culmine di uno stato di disagio, oppure ritenga che sia inderogabile
un supporto per affrontare una situazione critica che. Ciò trasfigura
spesso il senso del segretariato sociale e, in particolare, del colloquio
tra assistente sociale ed utente: il colloquio diviene infatti un’occasione
di sfogo per l’utente. Prima ancora di una richiesta d’aiuto, l’utente
ha infatti necessità di esternare e condividere le proprie difficoltà
e il proprio disagio. Un colloquio osservato presso il Comune di Castel
Giallo è emblematico al riguardo.
Estratto 1. – Segretariato sociale di Castel Giallo
L’utente è una donna di circa quarant’anni, con una figlia di sette.
Conosce abbastanza il mondo dei servizi, perché in passato aveva lavorato
come inserviente nella mensa comunale. Si presenta da sola all’assistente
sociale per chiedere esplicitamente un contributo economico. Ha delle
difficoltà lavorative (attualmente è disoccupata ma probabilmente tra
qualche mese inizierà un nuovo lavoro) e denuncia una situazione di forte
difficoltà economiche, anche perché l’ex-marito non le paga i contributi
che le spetterebbero. La donna dichiara di essere “a terra” e dopo essere
scoppiata in lacrime chiede se fosse possibile anche parlare con uno psicologo,
per avere un sostegno anche sotto il profilo emotivo e psicologico.
In questo estratto emerge chiaramente come il segretariato sociale possa
rappresentare per un utente ben più di uno spazio informativo e di orientamento.
L’utente è una persona informata e competente rispetto al servizio e sa
quale tipo di servizi e prestazioni è possibile richiedere, tanto da avanzare
direttamente una richiesta di contributo economico. Il colloquio con l’operatore
diviene però un’occasione di sfogo rispetto ad una condizione esistenziale
che, più complessivamente, risulta essere molto sofferta e difficile per
l’utente. A questo si ricollega l’ipotesi del segretariato sociale come
“spazio di possibilità”: oltre a chiedere un contributo economico, l’utente
avanza già una seconda richiesta, più personale rispetto alla prima (che
è volta alle necessità di sostentamento anche della figlia).
4.1.2 Il segretariato sociale come spazio di recriminazione contro
le istituzioni
Il servizio di segretariato è, come detto, un luogo di primo contatto
tra cittadini e istituzioni. Il rapporto tra ogni cittadino e le istituzioni
che interessano la sua vita e il suo lavoro esula comunque dall’ambito
del segretariato sociale e, più in generale, non è circoscrivibile esclusivamente
alla sfera dei servizi socio-assistenziali. Nonostante questo, il servizio
di segretariato sociale viene visto da alcuni cittadini come uno spazio
nel quale avanzare delle recriminazioni rispetto al comportamento di una
serie di enti istituzionali (per servizi non prestati o inadeguati, “promesse”
non mantenute, presunte o reali disparità di trattamento ecc.) Tali recriminazioni
accompagnano in molti casi le richieste che vengono poste al segretariato
sociale, nella veste di “giustificazioni”, oppure nella veste di elementi
rinforzativi che dovrebbero supportare la richiesta e aumentare le probabilità
di intervento.
L’estratto 2 mostra una situazione abbastanza ricorrente in tal senso,
inerente le problematiche di accesso alle case popolari
Estratto 2. – Segretariato sociale di Monte Bosco
L’utente è un signore anziano, che ha delle difficoltà nel pagamento
dell’affitto della sua attuale abitazione. Si rivolge al segretariato
sociale per chiedere come partecipare al bando delle case popolari. Si
lamenta di aver girato tutti gli uffici del Comune senza aver trovato
nessuno che gli desse una risposta. Ripete che in passato ha lavorato
presso l’impresa di un assessore e che non merita di essere trattato in
questo modo. Si lamenta della disorganizzazione del Comune, del fatto
che “nessuno sappia niente”, sospettando che “nessuno voglia dirgli niente”.
L’assistente sociale telefona all’Ufficio Case del Comune per sapere quando
uscirà il nuovo bando, ma la data di pubblicazione non è ancora stata
stabilita. Cerca di spiegare all’utente che finché non verrà pubblicato
il bando non saranno noti nemmeno i criteri di assegnazione e quindi non
può fornirgli maggiori informazioni. L’assistente sociale invita inoltre
l’utente a rivolgersi all’Ufficio Case del Comune (indicandogli la sua
ubicazione) per avere informazioni precise, spiegandogli che la gestione
delle case popolari non è di competenza dei servizi sociali.
Le recriminazioni avanzate dall’utente denotano indubbiamente l’esigenza
di uno sfogo personale che tuttavia, al contrario di quanto mostrato nell’estratto
1, è indirizzato verso delle istituzioni, colpevoli, a detta dell’utente,
di omettere informazioni e servizi. L’analisi di queste situazioni, assai
ricorrenti nelle dinamiche osservate nei servizi di segretariato sociale,
è molto complicata, poiché è difficile individuare la valenza della recriminazione:
in alcuni casi, essa ha una funzione intenzionalmente strumentale, di
sostegno ad una richiesta, quasi come se il rapporto tra cittadino e istituzione
si configurasse secondo una logica rivendicativa (a tal fine, si veda
il § 4.3.1); in altri casi, la recriminazione è la manifestazione di un
disagio che, ostacolando il rapporto tra l’istituzione e il cittadino,
acuisce le difficoltà di quest’ultimo e ne diviene parte integrante: la
recriminazione non assume pertanto in simili casi una valenza strumentale,
bensì è parte del vissuto del cittadino e diviene una delle cause delle
sue esigenze.
4.1.3 Approdi “sbagliati”: le richieste non pertinenti
L’estratto 2 evidenzia come spesso l’accesso ai servizi di welfare si
possa tradurre in un metaforico attraversamento di un labirinto per il
cittadino. Molti cittadini ignorano infatti la suddivisione istituzionale
(sia inter che intra-organizzative) delle competenze relative ai vari
interventi di welfare (relativi a problematiche di natura sociale, sanitaria,
lavorativa, abitativa, scolastica ecc.). Paradossalmente, una delle premesse
più ricorrenti negli atti che definiscono i servizi di segretariato sociale
è invece quella di favorire l’integrazione e la convergenza delle sedi
informative, al fine di evitare al cittadino di perdersi alla ricerca
dello sportello più competente per le sue esigenze.
Il processo di ricerca sul campo ha messo in luce come il servizio di
segretariato sociale viva, anche da questo punto di vista, una sostanziale
ambivalenza. Da un lato, questi servizi risultano essere aperti e accessibili
per ogni tipo di richiesta, sebbene, d’altro lato, le aree sulle quali
gli operatori possono effettivamente intervenire (sia in termini informativi
che con l’avvio di interventi più sostanziali) sono molto più circoscritte.
D’altra parte, il servizio di segretariato sociale è un’emanazione dei
Servizi Sociali Comunali e le aree sulle quali i professionisti possono
agire coincidono con le aree di competenza di questa unità organizzativa.
Peraltro, la suddivisione e l’attribuzione delle competenze che spettano
ai servizi sociali all’interno di un Comune non è stabilita legislativamente,
né da specifici atti regolamentativi a livello regionale, ma emerge a
livello locale.
Questa situazione genera una sequenza di “approdi sbagliati”, ossia di
utenti che pongono richieste che non sono pertinenti rispetto alle competenze
del segretariato sociale, né in termini informativi, né rispetto all’attivazione
di specifici interventi. Il segretariato sociale soffre quindi questa
ambivalenza, che ne produce un’immagine distorta: da un lato, esso si
presenta come uno sportello informativo ad ampio raggio, dall’altro come
una soglia d’accesso a un set molto più ristretto di servizi.
I professionisti hanno sviluppato una serie di pratiche per fronteggiare
queste situazioni. Sentendo comunque la responsabilità di fornire una
risposta agli utenti, essi hanno preparato alcuni “pacchetti informativi”
di base inerenti alcune richieste che, seppur non pertinenti, vengono
frequentemente poste durante i colloqui di segretariato. Un caso emblematico
sono le richieste riguardanti le problematiche lavorative e la ricerca
di una occupazione: molti utenti si recano ai servizi sociali presumendo
di potervi trovare soluzioni per la ricerca di un lavoro. Non avendo (come
è stato verificato nei casi osservati) competenze in materia, ma sforzandosi
di fornire comunque un aiuto e un orientamento, in tutti i Comuni gli
assistenti sociali avevano preparato un kit informativo composto da materiale
di diverso genere, che generalmente includeva:
* i recapiti delle più agenzie di lavoro interinale del territorio;
* un elenco di portali web di annunci di lavoro;
* gli indirizzi di imprese impegnate nel settore delle pulizie (che sono
spesso alla ricerca di personale);
* un elenco di corsi di formazione, offerti gratuitamente da vari enti
istituzionali (come Provincia o Centri per l’impiego) da frequentare per
poter acquisire nuove competenze.
Questo kit rappresentava una soluzione per evitare di far uscire a mani
vuote l’utente dal colloquio. L’efficacia di queste informazioni era parziale:
nella maggior parte dei casi gli utenti conoscevano già queste risorse.
Tuttavia, esse costituivano un segno materiale dell’attenzione che le
istituzioni (o, più correttamente, i professionisti) riponevano nei confronti
delle problematiche degli utenti. Per altri versi, un simile kit rappresenta
un mezzo per ampliare (oltre le attribuzioni formali) la gamma delle competenze
del segretariato sociale e per trasformare quindi accessi e richieste
formalmente non pertinenti in accessi comunque rientranti nell’alveo delle
materie trattate.
4.1.4 La difficoltà di chiedere, tra giustificazioni, pudore e
vergogna
La richiesta di un intervento di assistenza sociale è, per molti cittadini,
un atto difficile da compiere, in quanto implica il superamento di uno
stigma culturale e può essere percepito come l’ammissione di un fallimento,
personale o famigliare. Una simile difficoltà è maggiore nelle richieste
di contributi economici, che presuppongono il riconoscimento di una condizione
di povertà o comunque di difficoltà economiche.
E’ dunque frequente, in simili casi, osservare come molti utenti tendano
a volersi giustificare e scusare per la richiesta che pongono, illustrando
e motivando le ragioni che li hanno portati a dover accedere al servizio
e a chiedere un sostegno economico. Al tempo stesso, nell’esposizione
e nella narrazione delle proprie vicende, emerge il tentativo di sottolineare
come la situazione attuale sia frutto di contingenze estranee alla propria
volontà e ai propri valori. L’estratto 3 riporta una tipica situazione
di questo genere.
Estratto 3 – Segretariato sociale di Castel Giallo
L’utente è una donna giovane, che ha delle difficoltà economiche per
la perdita del lavoro e che ha contratto una serie di debiti con parenti
e conoscenti. Chiede quindi un contributo economico, sottolineando però
di “non volersi sentire una poveretta” e dichiarando che sta svolgendo
molti colloqui di lavoro, ma che il momento è molto difficile, ci sono
molte ditte che chiudono, ma lei sarebbe disposta a fare qualunque lavoro.
Conclude la narrazione della sua situazione affermando di sentirsi “veramente
nella cacca”.
Un altro comportamento che si riscontra in simili situazioni è la riluttanza
a esprimere una richiesta d’aiuto. Molte persone, per pudore o per vergogna,
si recano a questo servizio e, su sollecitazione dell’assistente sociale,
illustrano la propria situazione, aspettando tuttavia che sia quest’ultimo
a materializzare, nominandola, una richiesta d’aiuto. Una situazione di
questo genere si può leggere nell’estratto 4.
Estratto 4 – Segretariato sociale di Villa Viola
L’utente è una donna, con due figli. Il marito, che in famiglia è
l’unica persona che lavora, è al momento in cassa integrazione. La donna
illustra la condizione economica della famiglia, elencando le varie spese
che gravano al momento e accennando timidamente la richiesta di un aiuto
economico:
“Io vorrei sapere se è possibile… fare qualcosa… non so… mi hanno detto
che ai servizi sociali mi possono aiutare… magari un aiuto… non so…”
L’assistente sociale, notando il suo imbarazzo, interviene:
“Possiamo richiedere un contributo economico, il Comune le può fornire,
per alcuni mesi, una certa cifra per le esigenze quotidiane. Poi può fare
richiesta per il Fondo Sostegno Affitti, che è un contributo specifico
per il pagamento dell’affitto…”
Non è chiaro se la reticenza e l’imbarazzo che l’utente mostra nell’avanzare
esplicitamente una richiesta di aiuto economico siano legati alla vergogna
e al pudore che connotano una simile azione, oppure ad una limitata conoscenza
degli interventi esigibili e quindi della possibilità di un contributo
economico. Vi è comunque in questo passaggio l’evidenza di come sia l’assistente
sociale a dover “agganciare” l’utente al mondo dei servizi socio-assistenziali,
illustrando e prefigurando le possibilità di intervento. In questo caso,
l’approdo dell’utente al servizio di segretariato è quindi insufficiente
per l’attivazione di un percorso assistenziale (a prescindere dalla conformità
ai requisiti che andranno verificati in seguito): l’intervento del professionista
è indispensabile per co-costruire il servizio, vagliando le varie possibilità
e definendo quelle più opportune per l’utente. E’ opportuno ribadire che
l’azione del professionista non presuppone né garantisce l’attivazione
dell’intervento (ossia l’erogazione dei contributi economici): il ruolo
del professionista, in questa fase, è quella di proiettare scenari di
possibili intervento. Questa operazione è, per molti versi, preliminare
e costitutiva rispetto alle attività che rientrano nella seconda categoria
di significati individuati per comprendere le dinamiche di accesso ai
servizi socio-assistenziali.
4.2 Il segretariato sociale come spazio di trasformazione
Questa seconda categoria prende in considerazione quell’insieme di passaggi
che delinea il ruolo istituzionale del segretariato sociale come soglia
d’accesso ad interventi socio-assistenziali più specifici. In altre parole,
nel corso di un colloquio di segretariato sociale, si assiste ad una sorta
di trasformazione del cittadino in utente – classificato e categorizzato
– del sistema dei servizi socio-assistenziali.
Dal punto di vista professionale, ciò è l’esito di quel processo di “decodifica”
della domanda che ogni assistente sociale deve compiere durante un colloquio
con un utente [Allegri et al, 2006; Campanini, 2002]. E’ notorio che spesso
gli utenti dei servizi di segretariato sociale esprimano un disagio confuso,
motivato in molti casi da una somma di problematiche e privo di un chiaro
sbocco verso una richiesta netta e conforme rispetto alle tipologie di
servizi erogabili [Olivetti Manoukian, 1998]. Il compito professionale
dell’assistente sociale è, sinteticamente, quello di individuare e circoscrivere
la problematica principale sulla quale intervenire e cercare dunque di
proporre un intervento coerente con essa. Le metodologie di lavoro sollecitano
gli assistenti sociali a far riconoscere e dichiarare all’utente quella
che può essere la sua esigenza prioritaria. Nelle pratiche di lavoro,
questa sollecitazione si traduce nel porre espressamente una domanda molto
precisa all’utente: “di che cosa ha bisogno?”.
Una simile domanda costituisce una sorta di “giro di boa” nel corso di
un colloquio. Questa domanda viene posta generalmente dopo che l’utente
ha concluso la narrazione della propria situazione e dopo che l’assistente
sociale, riassumendo stringatamente quanto ha sentito, si è fatto un quadro
sufficientemente chiaro della condizione dell’utente. La risposta a questa
domanda chiude, metaforicamente, la fase di approdo al servizio e introduce
una fase successiva, nella quale si avvia (con esiti che possono essere
diversi) la transizione dell’utente del segretariato sociale dallo status
di cittadino allo status di utente dei servizi sociali (che si raggiunge
qualora si definisca una “presa in carico”).
Tale transizione è il risultato di un processo di “trasformazione”, che
si snoda spesso in forme non-lineari e che diviene il terreno di incontro
di una serie di fattori che, molto frequentemente, appaiono discordanti
e inconciliabili. Si può in tal senso parlare di un processo di costruzione
dell’utente [Rosenthal e Peccei, 2006]. Per quanto l’utente non sia un
attore passivo in questa dinamica (come si vedrà più dettagliatamente
nel § 4.3), questa è la fase nella quale entra maggiormente in gioco il
peso della discrezionalità del professionista [Lipsky, 1980]. I fattori
e i passaggi che concorrono a questo percorso di trasformazione verranno
ora illustrati.
4.2.1 Sintetizzare, filtrare e circoscrivere le aspettative degli
utenti
Un passaggio essenziale nel percorso di “costruzione” degli utenti consiste
nel fronteggiare le aspettative che questi possono avere nei confronti
dei servizi sociali. Se, come si è visto, spesso gli utenti faticano a
pronunciare esplicitamente le richieste che intendono porre, ciò non toglie
che possano nutrire aspettative significative rispetto ai servizi che
potrebbero ottenere. In molti casi, le aspettative sono irrealistiche
ed eccessive e vengono alimentate da flussi di passaparola che mitizzano
le potenzialità e le risorse dei servizi sociali, dipingendoli e fuorviandoli
come luoghi nei quali si trovano soluzioni ad ogni genere di problema.
L’estratto 5 descrive una situazione particolarmente emblematica da questo
punto di vista.
Estratto 5 – Segretariato sociale di Castel Giallo
L’utente è un uomo giovane, attualmente disoccupato. Si presenta al
segretariato sociale “tanto per provare”, perché ha sentito (accentuando
un certo tono polemico) che lì “gli stranieri trovano lavoro”.
L’assistente sociale smentisce questa tesi, spiegando che questo servizio
non si occupa di ricerca di lavoro, né che gli stranieri abbiano un trattamento
preferenziale.
L’estratto 5 riporta una situazione che, per molti versi, è facilmente
gestibile: le aspettative dell’utente non possono essere soddisfatte perché
non corrispondono ad una competenza assegnata al servizio. Tuttavia, la
richiesta dell’utente si distingue proprio perché è disallineata rispetto
al ruolo del servizio e, in seconda battuta, perché viene giustificata
sulla base di un “sentito dire”. L’immagine del servizio che questa richiesta
veicola è quindi, da un lato, inappropriata in termini sostanziali e,
d’altro lato, rivela una percezione ancor più fuorviante dei servizi sociali,
raffigurati come enti che lavorano in modo discriminatorio rispetto alla
totalità degli utenti potenziali.
La costruzione dell’utente prevede pertanto un primo passaggio di conformazione
delle richieste alle tipologie possibili di intervento. Nell’estratto
appena discusso, il percorso di costruzione termina subito, ma vi sono
altri casi nei quali questa operazione di matching tra domanda e offerta
è più articolata e complessa: in simili situazioni, le aspettative dell’utente
devono essere “decostruite”, al fine di individuare quelle che possono
risultare conformi ad un intervento o più probabilmente esaudibili. Questi
casi non sono però di facile gestione, anche perché frequentemente l’assistente
sociale deve fronteggiare situazioni di particolare urgenza e gravità,
come si può vedere nel prossimo paragrafo.
4.2.2 Gestire le urgenze
La costruzione dell’utente è un percorso che, per essere svolto con cura
e attenzione, richiede tempo. La variabile temporale assume qui un duplice
significato: il tempo è sia la scansione del ritmo del colloquio, sia
la velocità di scorrimento degli eventi nella vita dell’utente. Il tempo
risulta comunque essere sempre scarso: per molti assistenti sociali occorrerebbe
più tempo sia per l’analisi e la valutazione del caso (laddove invece
i colloqui seguono un ritmo frenetico, visto l’alto numero di utenti),
sia per fronteggiare materialmente le richieste degli utenti, che talvolta
si presentano come particolarmente gravi ed urgenti. L’estratto 6 illustra
un episodio che rientra in questa categoria.
Estratto 6 – Segretariato sociale di Castel Giallo
L’utente è una signora anziana, che ha come unico fonte di reddito
la pensione civile. Si presenta per la prima volta al segretariato sociale,
denunciando di avere ricevuto un’ordinanza di sfratto dalla propria abitazione,
a causa dell’accumulo di una serie di morosità nel pagamento degli affitti.
Mostra all’assistente sociale i documenti, che confermano la gravità e
l’urgenza della situazione: si tratta di un’ordinanza esecutiva, formalmente
inderogabile.
L’assistente sociale chiede come mai l’utente non avesse contattato prima
i servizi sociali e cerca di informarsi sull’esistenza di parenti o amici
che potrebbero ospitarla o fornire una sistemazione provvisoria alternativa.
L’utente esclude queste possibilità (i figli abitano lontani e sono molto
distaccati da lei).
L’assistente sociale si muove su tre piani. In primo luogo, apre una cartella
per l’utente, facendo di fatto partire subito una presa in carico. Quindi
cerca di contattare il padrone di casa dell’utente, verificando la possibilità
di trovare un accordo che rinvii l’applicazione della sentenza. Infine,
ricerca indirizzi di dormitori che possano ospitare l’utente in caso di
esito negativo del tentativo di accordo con il padrone di casa.
Questo estratto mostra chiaramente due aspetti: in primo luogo, l’assoluta
urgenza e gravità della situazione, rispetto alla quale il professionista
deve attivare subito più linee di intervento, stravolgendo le consuete
dinamiche e sequenze di lavoro con l’utente. In secondo luogo, l’estratto
evidenzia come il professionista si trovi ad avere che fare con un utente
che, suo malgrado, ha delle aspettative eccessive nei confronti dei servizi
sociali: in sostanza, l’utente (a fronte di una situazione disperata)
chiede di risolvere un problema che sembra però aver ormai superato le
possibilità di intervento. In questo caso, non si tratta di una situazione
di non conformità della domanda, bensì di una sua presentazione tardiva:
questo ritardo ha ridotto il tempo per ogni intervento, riducendo enormemente
le possibilità di sostegno.
4.2.3 Dalla rappresentazione narrativa alla rappresentazione documentativa
Un passaggio fondamentale nel processo di costruzione dell’utente riguarda
la predisposizione della documentazione che accompagnerà l’iter di elaborazione
della richiesta avanzata dall’utente stesso. La documentazione può variare
in base alla tipologia della richiesta dell’utente e serve ad attestare
e qualificare la condizione dell’utente, rispetto alla quale verrà eventualmente
stilato un intervento assistenziale (in rapporto alle risorse complessivamente
disponibili e alle altre richieste pervenute). La documentazione si compone
di elementi diversi, che possono riguardare:
- la condizione socio-economica dell’utente, valutabile attraverso documenti
come la certificazione ISEE [9], una
copia dell’estratto conto bancario, eventuali debiti contratti (morosità
nel pagamento di utenze, affitti, mutui ecc.) e ogni documento che possa
illustrare i redditi (lavoro, pensione ecc.) di cui l’utente può usufruire;
- la situazione lavorativa, attestabile con documenti quali il contratto
di lavoro o eventuali lettere di licenziamento o di messa in cassa d’integrazione;
- lo stato di salute, che si delinea con certificazioni di invalidità
ed altre certificazioni mediche di vario genere;
- la cittadinanza e la residenza nel Comune, che si possono ricavare dal
certificato di residenza e, per gli utenti di provenienza extra-comunitaria,
dal possesso del permesso di soggiorno.
Questi documenti, nel loro insieme, non solo servono a “costruire” l’utente
ma, per certi versi, divengano parte integrante del suo “caso”: essi costituiscono
il materiale che andrà a dare consistenza alla cartella sociale dell’utente,
che rappresenta il registro che accompagnerà l’utente nel suo percorso
assistenziale. Il senso dell’utilizzo di questa documentazione è duplice:
da un lato, essa serve a dare una rappresentazione “oggettiva” della situazione
dell’utente, a certificarne (rispetto a una serie di parametri) il livello
di gravità e la conseguente misura della necessità di un intervento; dall’altro,
la documentazione diviene una traccia storica dell’evoluzione del rapporto
tra utente e istituzioni, assumendo il valore di memoria formale del rapporto.
Nell’ambito dei servizi di segretariato sociale esaminati, la documentazione
assume un valore particolare. Se, da un lato, vi sono utenti che si presentano
già al colloquio di segretariato con una serie di documenti, per dare
un riscontro formale alle proprie richieste, d’altra parte la richiesta
di predisporre una specifica documentazione (da esibire nei successivi
colloqui) rappresenta simbolicamente l’avvio del processo di transizione
dallo status di cittadino a quello di utente. Negli step successivi, la
richiesta dell’utente (e quindi il suo “caso”) non saranno più supportati
unicamente dalla sua narrazione, ma saranno affiancati dalla documentazione
esibita, che riconfigurerà la condizione dell’utente e le specificità
della sua condizione.
Il percorso di costruzione di un utente si delinea pertanto come una traslazione,
che parte da una rappresentazione narrativa per giungere a una rappresentazione
più composita ed articolata. In questo passaggio interviene l’assistente
sociale, che diviene co-autore di questa nuova rappresentazione: le sue
osservazioni e valutazioni risultano infatti essenziali per la definizione
della condizione dell’utente. Vi sono infatti molti elementi che solo
l’assistente sociale può recepire e introdurre:
a) quelle informazioni che esulano dalla documentazione formale: per esempio,
gli eventuali redditi percepiti irregolarmente (“in nero”) da un individuo;
si tratta di informazioni che, pur non potendo essere attestate ufficialmente,
rientrano nella documentazione complessiva che descrive il caso dell’utente;
b) le valutazioni professionali dell’assistente sociali, che orientano
la sua presa di decisione e divengono essenziali per l’attuazione o meno
di un intervento assistenziale.
La rappresentazione documentativa non è quindi solo il frutto dell’aggregazione
di attestazioni e certificazioni ufficiali; in essa, giocano un ruolo
rilevante le annotazioni dell’assistente sociale, che contribuiscono a
forgiare la nuova identità istituzionale del soggetto-utente.
4.2.4 Prospettare limiti e difficoltà degli interventi
Si è visto come uno dei passaggi principali che il processo di costruzione
dell’utente implica è la ridefinizione delle aspettative dell’utente stesso,
che vanno rese conformi sia alle competenze che alle possibilità dei servizi
socio-assistenziali. Un aspetto complementare a questo passaggio è la
comunicazione dei limiti degli interventi socio-assistenziali, nonché
l’incertezza rispetto alla loro effettiva erogazione.
Delineare i limiti degli interventi significa informare l’utente che una
determinata prestazione assistenziale (i particolare nei casi di contributi
economici) potrà fornire solo un aiuto parziale e provvisorio rispetto
alla situazione dell’utente, il quale dovrà comunque cercare di provvedere
(nei limiti delle proprie possibilità) a superare autonomamente le proprie
difficoltà. Al tempo stesso, la prefigurazione di un intervento assistenziale,
in sede di colloquio di segretariato sociale, non garantisce la sua erogazione:
queste risorse, che sono sempre più scarse e diluite, vengono assegnate
sulla base di graduatorie che privilegiano le situazioni più gravi. Il
possesso dei requisiti per presentare una domanda di sussidio economico
non garantisce pertanto la sua erogazione.
Si tratta di presupposti essenziali nel lavoro professionale degli assistenti
sociali. Il processo di costruzione di un utente non è, d’altra parte,
solo l’avvio di un iter burocratico: utente e professionista stipulano
una sorta di contratto che sancisce e definisce un progetto assistenziale,
rispetto al quale l’utente si impegna a compiere un percorso e, parallelamente,
l’istituzione (nella veste dell’assistente sociale) fornisce un supporto.
Tale supporto deve risultare strumentale però al percorso dell’utente
e non costituirne l’essenza. L’estratto 7 mette in luce una simile situazione.
Estratto 7 – Segretariato sociale di Monte Bosco
L’utente è una persona giovane, che chiede un contributo economico
perché è attualmente disoccupata. Questa persona vive con la madre, che
percepisce una pensione di anzianità che costituisce l’unico reddito del
nucleo famigliare
L’assistente sociale informa della possibilità di un intervento in termini
di contributi economici, ma avvisa l’utente che si tratterebbe di una
soluzione temporale e con un importo piuttosto basso, vista la sua condizione
complessiva. Inoltre, comunica all’utente che l’assegnazione del contributo
dipende dalla posizione che otterrà nella graduatoria, nella quale compariranno
però delle persone che, sottolinea l’assistente sociale, hanno situazioni
anche più gravi rispetto alla sua. Nel frattempo, l’assistente sociale
invita l’utente a cercare più intensamente lavoro [fornendo il kit di
informazioni standard sulla ricerca di lavoro].
La costruzione dell’utente si conferma essere un processo di natura sociale.
Lo status di utente è infatti un costrutto sociale, perché esso non attiene
esclusivamente alle caratteristiche individuali di un cittadino, ma emerge
in rapporto alle possibilità (e ai limiti) degli interventi assistenziali
disponibili. Questa è, sotto altri punti di vista, una declinazione di
quel principio di “universalismo selettivo” che è alla base della riforma
quadro dei servizi socio-assistenziali, vale a dire la Legge 328/00: ad
ogni cittadino viene riconosciuto il diritto all’accesso alle prestazioni
socio-assistenziali, senza tuttavia che questo diritto si tramuti automaticamente
in una garanzia di godimento delle stesse. Il diritto sociale delinea
quindi la possibilità di divenire utenti, ma questo status si acquisisce
al termine di una serie di passaggi selettivi. Da una prospettiva professionale,
ciò significa inoltre che l’eventualità e la possibilità di divenire utenti
dei servizi socio-assistenziali non deve trasfigurarsi in una situazione
di dipendenza da questi.
4.3 Il segretariato sociale come arena negoziale
Il concetto di arena negoziale viene qui chiamato in causa per illustrare
come l’accesso ai servizi sociali sia un processo che vede attivamente
coinvolto l’utente: come evidenziano Prior e Barnes [2011], anche gli
utenti possono d’altra parte esercitare una specifica agency nel rapportarsi
ai servizi socio-assistenziali, già nella fase del primo contatto con
le istituzioni e i professionisti che ne presidiano e regolamentano l’erogazione.
Considerarli esclusivamente come meri destinatari di un servizio è quindi
riduttivo e inappropriato.
E’ dunque necessario evidenziare come un utente possa muoversi strategicamente
sia nella ricerca di un intervento socio-assistenziale (qualora, oltre
alle istituzioni pubbliche, esistano più potenziali fornitori, ciascuno
con i relativi canali d’accesso), sia nelle dinamiche specifiche che governano
l’accesso attraverso il segretariato sociale. La manifestazione delle
capacità ed opzioni di agency degli utenti si può collocare pertanto su
due livelli: da un lato, su un livello macro, considerando come il passaggio
dal segretariato sociale sia uno delle diverse traiettorie che un individuo
può seguire nella ricerca dell’aiuto che ritiene più adeguato (oppure
per assommare più interventi); ciò porta pertanto a relativizzare il peso
del segretariato sociale, adottando uno sguardo più ampio sulle risorse
di welfare presenti in un territorio (considerando, per esempio, il ruolo
di enti religiosi, soggetti del terzo settore, reti amicali ecc.). D’altro
lato, si può rimanere su un’ottica più micro (che non è comunque alternativa
alla precedente), per considerare quali strategie un individuo possa mettere
in gioco per ottenere l’accesso a determinate prestazioni socio-assistenziali
o, più semplicemente, per valutarne l’entità e le caratteristiche. Nel
secondo caso, il contesto è circoscritto alla relazione che si sviluppa
tra cittadino e professionista nell’ambito del colloquio di segretariato.
La ricerca condotta ha permesso di individuare una serie di elementi concernenti
la dimensione micro di questo processo, vale a dire quella che ruota attorno
al colloquio di segretariato. Da essa è possibile trarre comunque una
serie di indicazioni rispetto alla percezione che alcuni utenti hanno
della collocazione del servizio di segretariato sociale, all’interno di
un quadro più ampio di opzioni di costruzione del welfare socio-assistenziale.
Gli spunti che in tal senso saranno messi in luce sono due: in primo luogo,
l’analisi di dinamiche espressamente negoziali nella definizione di un
intervento socio-assistenziale; in secondo luogo, l’esame del rifiuto
(senza la definizione di soluzioni alternative) delle proposte di intervento
prospettate dall’assistente sociale.
4.3.1 La negoziazione dell’intervento, tra “carte scoperte” e
“carte coperte”
La narrazione che un utente offre della propria condizione (o, alternativamente,
la narrazione fatta da un caregiver rispetto alla situazione di un terzo
soggetto per il quale richiede un intervento) può presentare passaggi
contraddittori, zone di chiaroscuro, omissioni e altri elementi che ne
offuscano una rappresentazione coerente ed ostacolano una piena comprensione,
da parte del professionista, delle esigenze dell’utente. Molto spesso,
simili problematiche vengono ricondotte alla difficoltà dell’utente di
individuare le proprie esigenze primarie, dando invece sfogo a un disagio
confuso che il professionista deve interpretare e decodificare [Olivetti
Manoukian, 1998]
Accanto a questa evenienza, è possibile però sostenere che vi siano situazioni
nelle quali gli utenti introducano consapevolmente e strumentalmente elementi
di ambiguità nelle proprie narrazioni o, parimenti, forniscano rappresentazioni
parziali e abbozzate. Questa strategia diviene l’asse portante di un processo
di negoziazione del possibile intervento, che può avere diverse finalità.
In primo luogo, un utente può volontariamente omettere alcune informazioni
sulla propria condizione per timore che possano pregiudicare l’accesso
ad un servizio; in secondo luogo, si può ipotizzare che un utente voglia
fornire una rappresentazione parziale della propria condizione per “esplorare”
i possibili interventi che il professionista può offrirgli, introducendo
eventualmente nel corso del colloquio altre informazioni che consentano
di tarare l’intervento o, in alternativa, di intraprendere ricerche in
altri contesti. In altri termini, si può metaforicamente sostenere che
l’utente scopra progressivamente le proprie “carte” durante il colloquio,
a seconda di come il professionista reagisce alla sua narrazione. Una
simile situazione si può riscontrare nell’estratto 8.
Estratto 8 – Segretariato sociale di Monte Bosco
L’utente che si reca al servizio è il figlio di una signora anziana,
che sta iniziando ad accusare problemi di non autosufficienza e che, vivendo
da sola, necessita di assistenza. L’utente illustra la condizione della
madre e chiede all’assistente sociale quali interventi il Comune può offrire.
L’assistente sociale esamina il caso e chiede all’utente se egli abbia
già ipotizzato una soluzione. L’utente risponde negativamente e l’assistente
sociale replica quindi che, nel lungo termine, la prospettiva che le sembra
più funzionale è quella del ricovero in una RSA [Residenza Sanitaria Assistita].
L’utente risponde però che la madre è contraria a questa soluzione: hanno
visitato una RSA e ha detto di non volerci andare, perché le sembra un
“posto da vecchi”.
L’utente chiede se ci siano soluzioni alternative e l’assistente sociale
propone allora l’ipotesi del CDI [Centro Diurno Integrato], che può fornire
un’assistenza nelle ore diurne. L’utente replica nuovamente che la madre
è contraria anche a questa soluzione, sempre per la stessa ragione. L’assistente
sociale domanda quindi all’utente quale tipo di intervento avesse in mente
e l’utente chiede se è possibile ottenere un contributo per il pagamento
di una badante.
L’estratto 8 mostra un tipico caso di negoziazione tra utente e professionista.
In questo caso, l’utente ha già in mente una richiesta precisa, ma non
la avanza direttamente all’assistente sociale: la strategia che sembra
mettere in scena ha una finalità esplorativa, perché egli sembra interessato
principalmente a vagliare la gamma dei possibili interventi che l’assistente
sociale può proporre. Solo quando si accerta che non vi siano soluzioni
che lo aggradino o che non conosca, pone direttamente quella che sembrava
essere la sua richiesta originaria. Il meccanismo è, metaforicamente,
quello di una partita a carte, nella quale si osservano due giocatori
che, mediante una serie di rilanci, svelano gradualmente le proprie carte.
In questo caso, i ruoli sembrano rovesciati: a condurre la “partita” è
l’utente che, quasi con una strategia maieutica, invita l’assistente sociale
a svelare le proprie carte. In una situazione di questo genere, la negoziazione
consiste dunque nell’esplorazione della gamma di interventi possibili,
nell’auspicio di individuare quella che risulti conforme alle proprie
aspettative.
4.3.2 Il rifiuto come strategia di negoziazione
Prior e Barnes [2010] rilevano come una delle opzioni di agency degli
utenti di un servizio socio-assistenziale consiste nel rifiuto dell’intervento
che viene loro proposto dalle istituzioni (così come è veicolato dai professionisti
che le rappresentano). Questa ipotesi può essere, per altri versi, letta
come una strategia di negoziazione dell’intervento e si può verificare
anche in sede di colloquio di segretariato sociale. Essa denota come la
dicotomia tra inclusione ed esclusione sociale, quali poli antitetici
della relazione tra cittadini e istituzioni, assuma invece sfumature e
declinazioni assai più plastiche. L’intervento socio-assistenziale è,
infatti, un intervento di sostegno nella vita di un individuo o di una
famiglia che, tuttavia, può comportare cambiamenti anche drastici nello
stile di vita, nelle abitudini e nei comportamenti dei destinatari. Questi
cambiamenti possono essere però osteggiati dagli stessi destinatari che,
rifiutando l’intervento proposto, sollecitano nuove soluzioni.
Il rifiuto di un intervento può essere anche la conseguenza dell’opposizione
ad uno dei suoi presupposti. L’estratto 9 riporta una situazione emblematica
da questo punto di vista, evidenziando come la mancata accettazione di
quello che viene vissuto come un vincolo da parte dell’utente conduce
la relazione tra l’utente stesso e l’operatore in un vicolo cieco, a causa
dell’impossibilità di trovare sbocchi alternativi per l’avvio di un intervento
assistenziale.
Estratto 9 – Segretariato sociale di Castel Giallo
Al servizio di segretariato sociale si presenta un cittadino straniero,
che ha ricevuto un’ingiunzione di sfratto a causa dell’accumulo di una
serie di morosità nel pagamento dell’affitto. L’assistente sociale afferma
che l’utente potrebbe ricevere un sostegno economico da parte del Comune,
ma deve prima cercare di bloccare lo sfratto. Al momento, l’unica soluzione
che sembra praticabile è quella di cercare un accordo con il proprietario
dell’appartamento. L’utente tuttavia si rifiuta di parlare con questa
persona, asserendo di aver ricevuto l’ingiunzione di sfratto per non aver
pagato l’affitto per due mesi perché disoccupato, dopo anni in cui ha
pagato regolarmente.
L’assistente sociale insiste nel sollecitare una mediazione che porti
ad un accordo, ma l’utente si rifiuta ostinatamente di accettare di parlare
con questa persona, dalla quale si sente tradito.
Nell’estratto 9 la situazione, ancor che sbloccarsi, sembra avvolgersi
a spirale. Peraltro, a detta dell’assistente sociale, l’utente avverte
due problemi: da un lato, l’incombenza materiale dello sfratto, dall’altro
quella che reputa una “ferita dell’orgoglio”, che rappresenta il principale
freno ad ogni ipotesi di accordo negoziale con il proprietario dell’appartamento.
Il rifiuto dell’utente è dunque legato alla sua opposizione rispetto a
uno dei presupposti dell’intervento suggerito dall’assistente sociale,
anziché alla contrarietà rispetto agli effetti che l’intervento potrebbe
produrre. In questo caso, si tratta di una strategia di negoziazione dell’intervento
che parte da un rifiuto assoluto dei presupposti dell’intervento. L’efficacia
di una simile strategia di negoziazione è molto relativa, in quanto può
rappresentare un veto insormontabile rispetto anche a possibili soluzioni
alternative.
5. Conclusioni
L’accesso ai servizi assistenziali è un processo articolato e composito.
Esso non può essere risolto nella semplice analisi della presenza di risorse
in un territorio [Fasol, 2007] e delle loro opzioni di accesso. Sia dal
lato dell’utente che in una prospettiva organizzativa e professionale,
il senso dell’accesso assume una valenza soggettiva e quindi si presta
a declinazioni e rappresentazioni mutevoli. Esso si esprime pertanto nella
forma di una pratica situata, che vede due categorie di attori, collettivi
e individuali, confrontarsi: da un lato, istituzioni, organizzazioni e
professionisti che cooperano (non senza sovrapposizioni e/o contrapposizioni)
nel processo di costruzione sociale dell’utente [Rosenthal e Peccei, 2006,
Saraceno, 2004]; dall’altro, l’utente, che non si pone come mero target
di un intervento assistenziale, ma interviene come soggetto attivo nella
relazione con le suddette categorie di attori, mettendo in gioco diverse
opzioni di agency nella definizione della propria posizione nel percorso
relazionale [Prior e Barnes, 2011].
Sulla base di tali premesse, l’obiettivo di questo articolo era quindi
illustrare come il momento del primo contatto tra cittadini e istituzioni,
spesso considerato una semplice anticamera dell’accesso ai servizi, oppure
uno sportello informativo e di orientamento, risulti invece uno snodo
essenziale non solo per l’erogazione fattiva di un intervento, ma per
la (ri)definizione del ruolo sociale dei servizi stessi e delle loro finalità.
In questo senso, il primo contatto, costruito attorno al servizio di segretariato
sociale, assume connotazioni diverse:
a) è un luogo di approdo, meta di traiettorie spesso confuse o rese incerte
dalla complessità della configurazione della rete di offerta di servizi
socio-assistenziali;
b) è uno spazio di lavoro, nel quale ha luogo una parte consistente dell’articolato
e complesso processo di trasformazione del cittadino in utente “qualificato”
dei servizi sociali, ossia la cosiddetta costruzione sociale dell’utente;
c) infine, è un’arena negoziale, nella quale i potenziali interventi non
vengono semplicemente erogati, ma esplorati, discussi e vagliati, sia
dagli utenti che dai professionisti.
La lettura complessiva di queste prospettive analitiche consente di comprendere
come le dinamiche di accesso non si risolvano quindi nel passaggio da
una situazione di esclusione sociale verso un percorso di inclusione sociale,
condotto con il supporto di enti, organizzazioni e professionisti. Gli
stessi concetti di inclusione ed esclusione meritano in tal senso declinazioni
più attente e plastiche [Reggio, 2005]: in sostanza, è necessario propendere
per una dilatazione del valore semantico di questi costrutti e, parallelamente,
favorire una diluizione dei loro confini, nell’ottica di una concezione
più relativistica del ruolo che i servizi di welfare possono svolgere
nell’equilibrio dei rapporti tra individui e società.
Accanto a ciò, i dati emersi dalla ricerca consentono di trarre alcune
indicazioni sulla metamorfosi che sta subendo il servizio di segretariato
sociale, inteso come gateway per l’incontro tra domanda ed offerta di
servizi sociali. Per molti versi, quello che si presenta come un luogo
di primo contatto sta assumendo il ruolo di un “pronto soccorso sociale”.
Questa è indubbiamente una conseguenza della grave crisi economica che
sta affliggendo anche l’Italia e che produce un aumento, quantitativo
e qualitativo, della domanda di servizi assistenziali. Durante l’indagine
sul campo è emerso come il principale segnale di questa trasformazione
sia l’aggravarsi dell’urgenza e della gravità delle problematiche degli
utenti; la tipologia classica degli utenti dei servizi sociali sta cambiando
e questo mutamento si può leggere, nuovamente, nel superamento della dicotomia
tra esclusione ed inclusione sociale: ai soggetti che tradizionalmente
si presentavano ai servizi sociali, classificabili in condizioni di grave
esclusione sociale, si affiancano oggi soggetti che rischiano, a causa
di eventi improvvisi (problematiche lavorative, famigliari, economiche
ecc.), di ritrovarsi in condizioni di difficoltà che possono trasfigurarsi
in situazioni di esclusione sociale. La “pressione” di questi utenti,
spesso ben consapevoli della loro condizione e competenti rispetto al
sistema dei servizi sociali, si nota soprattutto considerando il segretariato
sociale come luogo d’approdo: in questo senso, si può parlare di questo
servizio come di una nuova frontiera dell’emergenza sociale [Previdi e
Rossi, 2011].
Infine, è possibile svolgere alcune considerazioni sulla dimensione narrativa
delle pratiche d’accesso, viste sia dal versante organizzativo e professionale
che da quello degli utenti. Si è detto che l’uso della narrazione, sebbene
costitutivo nel lavoro sociale, nel caso del segretariato sociale assuma
un valore fortemente strumentale che, per molti versi, è proto-relazionale;
in tal senso, si è parlato del primo contatto come uno spazio narrativo
condensato, vale a dire di uno spazio che deve assolvere essenzialmente
a una funzione informativa, più che come base relazionale del rapporto
(che eventualmente si andrà a costruire) tra utente e professionista.
Tuttavia, questo apparente deficit di relazionalità sul piano professionale
mette in evidenza la rilevanza della dimensione narrativa per comprendere
il significato che, in termini istituzionali ed organizzativi, può essere
attribuito al “primo contatto”. Infatti, in questa fase di incontro, l’assenza
di una relazione matura e “condizionante” tra operatore ed utente, consente
di cogliere la prefigurazione che quest’ultimo si è fatto del servizio,
delle sue aspettative e delle strategie che intende (con diversi gradi
di consapevolezza ed intenzionalità) mettere in atto per chiedere ed ottenere
un intervento. Quindi, descrivere, attraverso l’analisi narrativa delle
interazioni tra utenti e professionisti, il segretariato sociale come
luogo di approdo, spazio di trasformazione e arena negoziale permette
di avere tre angolature diverse (e non corrispondenti alla semplice distinzione
tra livelli istituzionali, organizzativi e professionali) per studiare
la costruzione del rapporto tra cittadini e istituzioni: dal momento del
primo contatto, sino all’elaborazione di percorsi assistenziali più strutturati
e duraturi.
Note
1] L’espressione social workers
può essere tradotta in italiano con “assistente sociale”. Tuttavia, essa
fa riferimento, in termini più ampi, a tutti i professionisti che si occupano
di servizi alla persona (tra i quali possiamo quindi anche includere educatori,
operatori sociali, psicologi e altri esponenti di diverse categorie professionali
impegnati nell’erogazione di servizi sociali.
2] Il concetto di istituzionalizzazione
può avere significati diversi. Nella letteratura del servizio sociale,
esso richiama quelle strutture che, sulla stregua delle istituzioni totali
descritte da Goffman, prevedevano l’allontanamento di un individuo dal
proprio contesto di vita e la sua “costrizione” all’interno di specifiche
strutture assistenziali. Qui si fa invece riferimento ad un’interpretazione
che si fa rifà al concetto di istituzionalizzazione come processo di tipizzazione
di eventi e azioni in un determinato contesto sociale [Berger e Luckmann,
1966].
3] Questi si riferiscono, per
esempio, ai casi di minori segnalati dall’Autorità Giudiziaria, oppure
ai condannati ammessi a pene alternative alla detenzione.
4] Si parla espressamente di “porta
d’accesso” nel Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali
2001-2003 predisposto dal Governo Italiano nel 2001.
5] La Legge 328/2000 (“Legge quadro
per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”)
qualifica il servizio di segretariato sociale come livello essenziale
di assistenza sociale che deve essere garantito uniformemente sul territorio
nazionale (Art. 22, comma 4, lettera a).
6] Occorre comunque ricordare
che, in riferimento alla funzione informativa del segretariato sociale,
qualunque cittadino che ne usufruisca è utente di tale servizio, a prescindere
dall’esito del colloquio con l’assistente sociale.
7] Si tratta della ricerca “Comunicazione
organizzativa e professionalità nei servizi sociali: una ricerca etnografica
dell’interazione tra enti, operatori ed utenti”, promossa dal Dipartimento
di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Milano Bicocca.
8] Per un approfondimento sulle
caratteristiche dei tre Comuni, delle rispettive modalità organizzative
dei servizi sociali e dei fattori che hanno inciso nella loro scelta si
veda Rossi [2011].
9] ISEE è acronimo di Indicatore
di Scala Economica Equivalente. Si tratta di una certificazione che attesta
le risorse economiche (includendo redditi e patrimoni mobiliari ed immobiliari)
a disposizione del nucleo famigliare di un individuo.
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