Quante case nella nostra vita avremo vissuto e abitato ma mai dimenticate? Belle, brutte, colorate, autentiche, artefatte, pensate, fredde, di pregio, inutili, rare, appariscenti, ornate, minimi, uniche, tante. Noi siamo la luce delle case, e la luce è una conquista che le case si devono meritare: per come sono fatte, per il carico di sentimenti che proiettiamo su di loro, per le storie che costruiamo intorno, i significati o i messaggi che gli affidiamo, e no non c'è bisogno che scomodiamo Proust per la memoria, tutto è molto più semplice, e le case senza oggetti e persone sono scatole vuote.
Questo contributo ruota intorno ai risultati di una ricerca collettiva che riguarda i rapporti fra alcuni oggetti della casa e le memorie di chi li raccoglie. Il tema di sfondo della ricerca è molto ampio. Nelle case ci sono mobili e soprammobili, fotografie e manifesti, quadri, e infiniti altri oggetti. Possiamo dire che la casa intera è un deposito di “mnemoteche”, di teche della memoria, che è la stessa disposizione dello spazio domestico a fungere da dispositivo mnestico. Rispetto a tutto ciò, abbiamo scelto quelli che hanno a che fare con il mondo dei media. Ci siamo occupati cioè di come vengono raccolti, selezionati, conservati, usati e scartati oggetti come libri, dischi, videocassette, CD e DVD, e anche file sui computer, telefonini e lettori portatili (audio-video). Si tratta di un insieme di oggetti la cui analisi consente di comprendere sia diversi aspetti dei rapporti che le persone intrattengono con le proprie memorie, sia alcuni dei modi in cui spazi privati e pubblici si interconnettono. Poiché questi prodotti hanno a che fare con le industrie mediali, abbiamo chiamato l’insieme di questi oggetti mediateche domestiche.
Questo contributo è un ideale viaggio nella memoria attraverso le stanze
che compongono le nostre case. Un itinerario fra gli oggetti che fanno
da sfondo quotidiano alla nostra scenografia domestica. Nello specifico
indagheremo album fotografici, souvenir, ninnoli (mnemoteche domestiche).
Sin dall’inizio abbiamo considerato gli ambienti domestici veri e propri
serbatoi di memorie individuali e collettive. In tali serbatoi i soggetti
depositano tracce delle proprie biografie, esprimendo e confermando progetti
identitari.
Chi scrive questo articolo ricorda che nella sua vita professionale
si è sempre imbattuto in questo problema, quello della casa appunto.
Si è arrovellato con una serie di domande: come fare a trovare casa
agli ospiti di un manicomio? Come fare a trovare casa agli ospiti
– si fa per dire – del dormitorio pubblico? Come fare a trovare
casa per chi si separa e non ce l’ha più? come fare a trovare casa
per chi scappa da paesi in guerra o oltremodo poveri? Come trasformare
il come in cosa fare e dunque con quali risorse. Tutte domande che
anni fa trovavano la distanza abissale dalle attenzioni delle pubbliche
assistenze. (...) Per me, per noi la casa era (ed è) il primo mediatore
positivo del bisogno ontologico della protezione o sicurezza. Dove
si riproduce il sé. (...) La casa, anche quando diventa mediatore
dei soggetti “poveri”, entra nella paesaggistica di una città, di
un territorio e diventa momento centralissimo del paesaggio dei
sé.
Il mio obiettivo è porre in evidenza le caratteristiche sociali dei videogiocatori, come specifico gruppo sociale, e soprattutto i processi identitari che li coinvolgono, analizzando le modalità di interazione che avvengono tra questi soggetti e il contesto, privato e mediale, dal/nel quale si muovono. Tali interazioni, partendo da spazi privati (gli ambienti domestici), si proiettano nello spazio pubblico della Rete attraverso non soltanto il giocare on line, ma anche attraverso la partecipazione a forum e comunità virtuali dedicate. Inoltre, questo processo non è unidirezionale: parte di ciò che avviene e che ‘esiste’ nello spazio pubblico mediale rifluisce nella sfera privata, con conseguenze ancora tutte da indagare. Ciò che sembra più chiaro è che tutte queste dinamiche forniscono lo sfondo e la cornice per la costruzione più o meno consapevole, da parte dei videogiocatori, della loro identità collettiva ‘di genere’.
Nel loro articolo in questo numero di “M@gm@”, Olimpia Affuso e Simona Isabella riassumono i risultati di una ricerca su quelle che insieme abbiamo chiamato le “mediateche domestiche”. Si tratta delle raccolte di libri, dischi, video e così via che conserviamo nelle nostre abitazioni, più o meno con ordine o alla rinfusa, riempiendo scaffali e altri spazi. Oggetti che ci siamo procurati e che abbiamo “consumato” leggendo, ascoltando o guardandoli, ma il cui uso e il cui significato, e le pratiche che vi sono associate, non si limitano all’acquisto e neanche al mero consumo: conservandoli li carichiamo di un valore diverso. Se ci guardiamo attorno, sui nostri scaffali è inscenato una specie di “teatro della memoria”: oggetti che rammentano per noi e che ci rammentano altro, che a volte riprendiamo in mano ma che comunque segnano la nostra impronta sull’ambiente, e che parlano di noi a chi venga in visita.
Casa, città e memoria sono dimensioni fortemente intrecciate dell’esperienza di ciascuno di noi. In quanto comunità immaginata o “localizable idea” la casa incarna l’essenza del radicamento nei luoghi come ancora dell’esperienza sociale. Fare casa significa mettere in atto una serie di pratiche di appropriazione dello spazio che ci permettono di sentirci sicuri, protetti, a nostro agio e di definire uno spazio come nostro. Tali pratiche sono sempre meno contenibili entro i rigidi confini dello spazio domestico. Superata la rigida partizione dicotomica attraverso cui il modello borghese ha rappresentato la domesticità (pubblico/privato, interno/esterno) la casa dissolve i propri confini e, come altre dimensioni dell’esperienza sociale, si frammenta, si delocalizza, si rilocalizza. Le modificazioni spazio-temporali legate alle nuove tecnologie della comunicazione e il processo di globalizzazione producono nuove spazialità domestiche.
Uomini e donne non ricordano allo stesso modo. Gli atteggiamenti nei confronti della memoria e del passato si differenziano nei soggetti in base ad alcune variabili, come l’età, le esperienze biografiche di ciascuno, la posizione, la relazione che intercorre tra le persone e, non ultime, le differenze di genere. Il presente contributo intende esplorare la prospettiva del genere nello spazio domestico, per comprendere come possano instaurarsi sull’asse uomo/donna conflitti e negoziazioni rispetto agli oggetti domestici.
Obbiettivo di questa proposta editoriale è esplorare un campo di ricerca - il domestico - non troppo frequentato dalle scienze sociali. Lo spazio domestico è uno spazio doppio: il suo perimetro recinge, circoscrive, trattiene; la sua estensione accoglie, ospita, contiene. Visto come vuota cavità può definirsi semplicemente come interno, in cui si può solo intuire la sua potenziale interiorità che fonda l’esperienza dell’abitare. Nello specifico gli oggetti domestici di cui ci circondiamo rappresentano quell’addomesticamento dello spazio caro alle scienze sociali, che ridefiniscono continuamente la dialettica natura vs cultura. Gli oggetti lambiscono lo spazio rappresentando la precisazione dei nebulosi contorni del desiderio: se ne impossessano e lo rilanciano in un progetto di vita. Osservarne le modalità di conservazione è penetrare nel cuore della casa, scandagliarne i confini estremi, individuarne i recessi, costruire una laboriosa stratificazione di cose, risorse, certezze, memorie.
La casa si configura come osservatorio privilegiato delle trasformazioni
che attraversano la vita quotidiana, rendendo le routine sempre
più fittamente intrecciate ad infrastrutture e dispositivi tecnologici.
Essendo per eccellenza l'ambito della domesticità e dell’addomesticamento
come processo di progressiva familiarizzazione con il nuovo, la
casa costituisce un punto di snodo e un confine storicamente significativo
dei percorsi attraverso i quali non solo la vita quotidiana, ma
anche consolidate distinzioni (pubblico-privato, estraneo-familiare,
mobile-stanziale, visibile-invisibile, produzione-consumo) sono
soggette a ristrutturazione.
Nella cultura moderna, la casa è comunemente intesa come un “fisso
e chiaramente delimitato essere spaziale”. E’ in virtù di tali caratteristiche
che essa appare come un ambito privilegiato della memoria dei singoli
e della comunità che vi risiede. La fisicità di tale “essere spaziale”
rende visibili le tracce lasciate dallo scorrere della vita al suo
interno; la sua precisa delimitazione, consente di raccogliere “cose”,
immagini e segni, preservandoli dal rischio di dispersione; la stabilità,
implicita nella sua fissazione territoriale, garantisce la conservazione
nel tempo di queste testimonianze, a condizione che gli abitanti
della casa ne abbiano cura.
La cultura penetra la dimensione dell'abitato garantendo così per
la sua stessa continuità. Una continuità che non si risolve nell'
“immobilità” o nella “arretratezza” dei suoi tratti ma che sembra
tradursi in un sforzo singolare di autoconservazione che anche nelle
pratiche del risiedere spinge il singolo a ritagliarsi la parte
di mondo che gli spetta, facendo della casa ogni volta suo “primo
universo”.
La drammatizzazione delle sofferenze umane, colta nel movimento metaforico delle scritture di sé e negli stili narrativi utilizzati dai loro autori, sacralizza l’esistenza metamorfosizzando la vita nella forma estetica della scrittura. La scrittura della storia di vita diventa cerca di senso nella contemplazione dell’esistenza e nella speranza mitica di riunire ciò che è stato separato, il corpo in sofferenza con il corpo sociale, attraverso la creazione autopoietica dei soggetti che si autorizzano a divenire gli autori della propria autobiografia. Il viaggio nella scrittura autobiografica, divenendo discesa nell’intimità dell’essere, sollecita lo schema della discesa che genera l’archetipo della dimora mitica. L’immagine della dimora che alimenta lo spazio profano delle scritture di sé, le autobiografie di persone comuni, ordinando e strutturando la drammatizzazione di un corpo autobiografico.
Marina Brancato
Quante case nella nostra vita avremo vissuto e abitato ma mai dimenticate? Belle, brutte, colorate, autentiche, artefatte, pensate, fredde, di pregio, inutili, rare, appariscenti, ornate, minimi, uniche, tante. Noi siamo la luce delle case, e la luce è una conquista che le case si devono meritare: per come sono fatte, per il carico di sentimenti che proiettiamo su di loro, per le storie che costruiamo intorno, i significati o i messaggi che gli affidiamo, e no non c'è bisogno che scomodiamo Proust per la memoria, tutto è molto più semplice, e le case senza oggetti e persone sono scatole vuote.
Olimpia Affuso e Simona Isabella
Questo contributo ruota intorno ai risultati di una ricerca collettiva che riguarda i rapporti fra alcuni oggetti della casa e le memorie di chi li raccoglie. Il tema di sfondo della ricerca è molto ampio. Nelle case ci sono mobili e soprammobili, fotografie e manifesti, quadri, e infiniti altri oggetti. Possiamo dire che la casa intera è un deposito di “mnemoteche”, di teche della memoria, che è la stessa disposizione dello spazio domestico a fungere da dispositivo mnestico. Rispetto a tutto ciò, abbiamo scelto quelli che hanno a che fare con il mondo dei media. Ci siamo occupati cioè di come vengono raccolti, selezionati, conservati, usati e scartati oggetti come libri, dischi, videocassette, CD e DVD, e anche file sui computer, telefonini e lettori portatili (audio-video). Si tratta di un insieme di oggetti la cui analisi consente di comprendere sia diversi aspetti dei rapporti che le persone intrattengono con le proprie memorie, sia alcuni dei modi in cui spazi privati e pubblici si interconnettono. Poiché questi prodotti hanno a che fare con le industrie mediali, abbiamo chiamato l’insieme di questi oggetti mediateche domestiche.
Marina Brancato
Questo contributo è un ideale viaggio nella memoria attraverso le stanze che compongono le nostre case. Un itinerario fra gli oggetti che fanno da sfondo quotidiano alla nostra scenografia domestica. Nello specifico indagheremo album fotografici, souvenir, ninnoli (mnemoteche domestiche). Sin dall’inizio abbiamo considerato gli ambienti domestici veri e propri serbatoi di memorie individuali e collettive. In tali serbatoi i soggetti depositano tracce delle proprie biografie, esprimendo e confermando progetti identitari.
Augusto Debernardi
Chi scrive questo articolo ricorda che nella sua vita professionale si è sempre imbattuto in questo problema, quello della casa appunto. Si è arrovellato con una serie di domande: come fare a trovare casa agli ospiti di un manicomio? Come fare a trovare casa agli ospiti – si fa per dire – del dormitorio pubblico? Come fare a trovare casa per chi si separa e non ce l’ha più? come fare a trovare casa per chi scappa da paesi in guerra o oltremodo poveri? Come trasformare il come in cosa fare e dunque con quali risorse. Tutte domande che anni fa trovavano la distanza abissale dalle attenzioni delle pubbliche assistenze. (...) Per me, per noi la casa era (ed è) il primo mediatore positivo del bisogno ontologico della protezione o sicurezza. Dove si riproduce il sé. (...) La casa, anche quando diventa mediatore dei soggetti “poveri”, entra nella paesaggistica di una città, di un territorio e diventa momento centralissimo del paesaggio dei sé.
Gianpaolo Iannicelli
Il mio obiettivo è porre in evidenza le caratteristiche sociali dei videogiocatori, come specifico gruppo sociale, e soprattutto i processi identitari che li coinvolgono, analizzando le modalità di interazione che avvengono tra questi soggetti e il contesto, privato e mediale, dal/nel quale si muovono. Tali interazioni, partendo da spazi privati (gli ambienti domestici), si proiettano nello spazio pubblico della Rete attraverso non soltanto il giocare on line, ma anche attraverso la partecipazione a forum e comunità virtuali dedicate. Inoltre, questo processo non è unidirezionale: parte di ciò che avviene e che ‘esiste’ nello spazio pubblico mediale rifluisce nella sfera privata, con conseguenze ancora tutte da indagare. Ciò che sembra più chiaro è che tutte queste dinamiche forniscono lo sfondo e la cornice per la costruzione più o meno consapevole, da parte dei videogiocatori, della loro identità collettiva ‘di genere’.
Paolo Jedlowski
Nel loro articolo in questo numero di “M@gm@”, Olimpia Affuso e Simona Isabella riassumono i risultati di una ricerca su quelle che insieme abbiamo chiamato le “mediateche domestiche”. Si tratta delle raccolte di libri, dischi, video e così via che conserviamo nelle nostre abitazioni, più o meno con ordine o alla rinfusa, riempiendo scaffali e altri spazi. Oggetti che ci siamo procurati e che abbiamo “consumato” leggendo, ascoltando o guardandoli, ma il cui uso e il cui significato, e le pratiche che vi sono associate, non si limitano all’acquisto e neanche al mero consumo: conservandoli li carichiamo di un valore diverso. Se ci guardiamo attorno, sui nostri scaffali è inscenato una specie di “teatro della memoria”: oggetti che rammentano per noi e che ci rammentano altro, che a volte riprendiamo in mano ma che comunque segnano la nostra impronta sull’ambiente, e che parlano di noi a chi venga in visita.
Giuliana Mandich
Casa, città e memoria sono dimensioni fortemente intrecciate dell’esperienza di ciascuno di noi. In quanto comunità immaginata o “localizable idea” la casa incarna l’essenza del radicamento nei luoghi come ancora dell’esperienza sociale. Fare casa significa mettere in atto una serie di pratiche di appropriazione dello spazio che ci permettono di sentirci sicuri, protetti, a nostro agio e di definire uno spazio come nostro. Tali pratiche sono sempre meno contenibili entro i rigidi confini dello spazio domestico. Superata la rigida partizione dicotomica attraverso cui il modello borghese ha rappresentato la domesticità (pubblico/privato, interno/esterno) la casa dissolve i propri confini e, come altre dimensioni dell’esperienza sociale, si frammenta, si delocalizza, si rilocalizza. Le modificazioni spazio-temporali legate alle nuove tecnologie della comunicazione e il processo di globalizzazione producono nuove spazialità domestiche.
Lia Luchetti
Uomini e donne non ricordano allo stesso modo. Gli atteggiamenti nei confronti della memoria e del passato si differenziano nei soggetti in base ad alcune variabili, come l’età, le esperienze biografiche di ciascuno, la posizione, la relazione che intercorre tra le persone e, non ultime, le differenze di genere. Il presente contributo intende esplorare la prospettiva del genere nello spazio domestico, per comprendere come possano instaurarsi sull’asse uomo/donna conflitti e negoziazioni rispetto agli oggetti domestici.
Marco Pasini
Obbiettivo di questa proposta editoriale è esplorare un campo di ricerca - il domestico - non troppo frequentato dalle scienze sociali. Lo spazio domestico è uno spazio doppio: il suo perimetro recinge, circoscrive, trattiene; la sua estensione accoglie, ospita, contiene. Visto come vuota cavità può definirsi semplicemente come interno, in cui si può solo intuire la sua potenziale interiorità che fonda l’esperienza dell’abitare. Nello specifico gli oggetti domestici di cui ci circondiamo rappresentano quell’addomesticamento dello spazio caro alle scienze sociali, che ridefiniscono continuamente la dialettica natura vs cultura. Gli oggetti lambiscono lo spazio rappresentando la precisazione dei nebulosi contorni del desiderio: se ne impossessano e lo rilanciano in un progetto di vita. Osservarne le modalità di conservazione è penetrare nel cuore della casa, scandagliarne i confini estremi, individuarne i recessi, costruire una laboriosa stratificazione di cose, risorse, certezze, memorie.
Giuseppina Pellegrino
La casa si configura come osservatorio privilegiato delle trasformazioni che attraversano la vita quotidiana, rendendo le routine sempre più fittamente intrecciate ad infrastrutture e dispositivi tecnologici. Essendo per eccellenza l'ambito della domesticità e dell’addomesticamento come processo di progressiva familiarizzazione con il nuovo, la casa costituisce un punto di snodo e un confine storicamente significativo dei percorsi attraverso i quali non solo la vita quotidiana, ma anche consolidate distinzioni (pubblico-privato, estraneo-familiare, mobile-stanziale, visibile-invisibile, produzione-consumo) sono soggette a ristrutturazione.
Marita Rampazi
Nella cultura moderna, la casa è comunemente intesa come un “fisso e chiaramente delimitato essere spaziale”. E’ in virtù di tali caratteristiche che essa appare come un ambito privilegiato della memoria dei singoli e della comunità che vi risiede. La fisicità di tale “essere spaziale” rende visibili le tracce lasciate dallo scorrere della vita al suo interno; la sua precisa delimitazione, consente di raccogliere “cose”, immagini e segni, preservandoli dal rischio di dispersione; la stabilità, implicita nella sua fissazione territoriale, garantisce la conservazione nel tempo di queste testimonianze, a condizione che gli abitanti della casa ne abbiano cura.
Silvia Romano
La cultura penetra la dimensione dell'abitato garantendo così per la sua stessa continuità. Una continuità che non si risolve nell' “immobilità” o nella “arretratezza” dei suoi tratti ma che sembra tradursi in un sforzo singolare di autoconservazione che anche nelle pratiche del risiedere spinge il singolo a ritagliarsi la parte di mondo che gli spetta, facendo della casa ogni volta suo “primo universo”.
Orazio Maria Valastro
La drammatizzazione delle sofferenze umane, colta nel movimento metaforico delle scritture di sé e negli stili narrativi utilizzati dai loro autori, sacralizza l’esistenza metamorfosizzando la vita nella forma estetica della scrittura. La scrittura della storia di vita diventa cerca di senso nella contemplazione dell’esistenza e nella speranza mitica di riunire ciò che è stato separato, il corpo in sofferenza con il corpo sociale, attraverso la creazione autopoietica dei soggetti che si autorizzano a divenire gli autori della propria autobiografia. Il viaggio nella scrittura autobiografica, divenendo discesa nell’intimità dell’essere, sollecita lo schema della discesa che genera l’archetipo della dimora mitica. L’immagine della dimora che alimenta lo spazio profano delle scritture di sé, le autobiografie di persone comuni, ordinando e strutturando la drammatizzazione di un corpo autobiografico.