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  • Mappe domestiche: la casa e le sue memorie
    Marina Brancato (a cura di)

    M@gm@ vol.9 n.3 Settembre-Dicembre 2011

    I VIDEOGIOCHI E LA CON-FUSIONE PRIVATO/PUBBLICO: DALL’AMBIENTE DOMESTICO ALLO SPAZIO DELLA RETE

    Gianpaolo Iannicelli

    g.iannicelli@fastwebnet.it
    Dottore di ricerca in Teoria e ricerca sociale, Università Federico II di Napoli.

    1. Premessa

    Il settore dei videogiochi, come vedremo tra breve, rappresenta anzitutto un fenomeno dalle dimensioni – economiche e sociali – tutt’altro che trascurabili. A dispetto di tale rilevanza, ci muoviamo su un terreno instabile e poco consistente dal punto di vista di una sistematica riflessione sociologica sull’argomento, in particolar modo se si pensa ad un possibile intreccio tra reperimento, conservazione e fruizione dei videogames da una parte e domesticità, memoria e identità dall’altra.

    Sia chiaro, sui videogiochi si scrive e si pubblica tantissimo. Ma, a ben vedere, ci si trova di fronte o a una quantità di lavori che ripercorre semplicemente – anche con grande passione – le tappe dell’evoluzione storica e tecnologica di questo medium o che danno consigli e suggerimenti di gioco (D’Hollander, 2005; Laing, 2004); oppure troviamo soprattutto letture e analisi del videogioco come ‘testo’, di stampo prettamente semiologico, con parallelismi con il testo cinematografico o col fumetto (Bittanti, 2005; Grigoletto, 2006); o ancora, non potevano certo mancare studi di carattere psico-pedagogico aventi per oggetto gli effetti del videogiocare sullo sviluppo della personalità, sui processi cognitivi, e di apprendimento (Bartolomeo, Carovita, 2005; Tanoni, 2003; Ciofi, Graziano, 2003). Infine, si avvicinano a prospettive più strettamente sociologiche quei (pochi) lavori che, sulla scia di un determinismo tecnologico di mcluhaniana memoria, si sono focalizzati sul rapporto tra videogiochi e trasformazioni tanto dell’apparato psico-sensoriale, quanto dell’identità degli utenti [1].

    Dunque, il mio obiettivo è porre in evidenza le caratteristiche sociali dei videogiocatori, come specifico gruppo sociale, e soprattutto i processi identitari che li coinvolgono, analizzando le modalità di interazione che avvengono tra questi soggetti e il contesto, privato e mediale, dal/nel quale si muovono. Tali interazioni, partendo da spazi privati (gli ambienti domestici), si proiettano nello spazio pubblico della Rete attraverso non soltanto il giocare on line, ma anche attraverso la partecipazione a forum e comunità virtuali dedicate. Inoltre, questo processo non è unidirezionale: parte di ciò che avviene e che ‘esiste’ nello spazio pubblico mediale rifluisce nella sfera privata, con conseguenze ancora tutte da indagare. Ciò che sembra più chiaro è che tutte queste dinamiche forniscono lo sfondo e la cornice per la costruzione più o meno consapevole, da parte dei videogiocatori, della loro identità collettiva ‘di genere’ [2].

    2. Storia e dimensioni del fenomeno videoludico [3]

    2.1 Cenni storici

    L’accettazione dei videogiochi da parte del mercato di massa ha ricevuto una grossa spinta durante la metà degli anni ’90 grazie al lancio e allo sviluppo della console casalinga PlayStation della Sony. I videogiochi come passatempi domestici esistono però da molto tempo prima. Nel 1962 uno studente del MIT di Boston, Steve Russel, programma quello che a tutti gli effetti è il primo videogioco della storia: Spacewar. Nel 1972, sulla scia del primo videogioco a gettoni, Nolan Bushnell crea Pong, il primo grande successo nel mondo dei videogiochi. Proprio Bushnell nel 1974 fonda Atari e con essa il Pong per uso domestico che diventa un vero fenomeno di mercato, sia per il favore presso il pubblico che per i brillanti risultati economici. Durante gli anni ’70 e ‘80 segue un’ondata di console da gioco che introducono nel mercato alcuni dei primi grossi nomi, tra cui Nintendo. Via via che vengono commercializzati i primi giochi, si verifica anche un boom del nascente mercato dei computer casalinghi.

    Il settore dei videogiochi si frammenta in tre parti che per tutti gli anni ’80 conoscono sviluppi paralleli. Oltre al mercato dei videogiochi da sala giochi (Arcade game), irrompono sulla scena gli Home Computer e le console domestiche di nuova generazione. I primi sono guidati da Commodore e Spectrum e hanno come punti di forza la tastiera e la conseguente estrema duttilità dei comandi e delle modalità di gioco. Le seconde, Nintendo e Sega su tutte, puntano sulla qualità grafica decisamente migliorata. Negli anni ’90 sono i Pc a sostituire gli Home Computer con cui erano cresciuti i giovani del decennio precedente. Le console intanto continuano a migliorare la loro potenza grafica mentre le sale giochi iniziano ad entrare in una fase di progressivo declino. Il mercato si amplia in maniera esponenziale tra il 1993 e il 1995, quando un nuovo fenomeno fa fare un salto di qualità ai videogames proiettandoli verso il mercato di massa: la commercializzazione della PlayStation.

    2.2 Principali piattaforme

    Dopo aver fornito alcuni cenni sulle origini dell’industria videoludica, appare ora opportuno soffermarsi sulla struttura del mercato. Prima di entrare nel merito dell’analisi, è necessario premettere che dal punto di vista tecnologico l’industria considerata si sviluppa oggi su due diverse categorie di piattaforme: i PC e le console.

    I PC, nati per scopi diversi dalla possibilità di uso videoludico, hanno visto una notevole evoluzione anche grazie allo sviluppo di videogame. L’introduzione dei CD-ROM ha permesso di utilizzare programmi di grafica ricchi e complessi favorendo lo sviluppo di videogiochi di qualità sempre migliore. Proprio il mercato dei videogiochi fa da catalizzatore alla crescita del mercato dei PC, grazie alla richiesta sempre crescente di periferiche (schede grafiche, supporti per la navigazione, speaker system, ecc.) in grado di permettere l’utilizzo di giochi sempre più sofisticati.

    Le console sono progettate come macchine dedicate, esclusivamente destinate all’uso videoludico domestico. I loro processori, programmati per ricevere informazioni da un controller, le elaborano secondo le istruzioni contenute nel software. I controller sono dispositivi portatili che si collegano alla piattaforma e dirigono ‘l’azione sullo schermo’. Le principali tipologie di console, che si distinguono a loro volta in fisse e portatili, sono: PlayStation, Game Boy/GameCube, Xbox.

    2.3 Dimensioni e trend del mercato italiano

    Nell’anno fiscale terminato a marzo 2005, considerando le vendite di software e di hardware, esclusi gli accessori, il mercato videoludico ha raggiunto un valore complessivo pari a 604.223.610 euro.

    Il trend a volume del mercato videoludico in Italia vede un incremento annuale complessivo del 17% nell’arco dei 12 mesi intercorsi da marzo 2004 a marzo 2005. Il trend a valore del mercato videoludico in Italia vede un incremento complessivo dell’8% rispetto all’anno precedente (marzo 2005 vs marzo 2004). La parte più dinamica del mercato è comunque costituita dai canali cosiddetti moderni e in particolare dai punti vendita specializzati.

    2.4 Il videogiocatore italiano

    Il 36% della popolazione italiana adulta (con più di 14 anni), quindi circa 18 milioni di individui, gioca, con una frequenza più o meno intensa, ai videogiochi. Se consideriamo solo chi ha una frequenza di gioco sostenuta (spesso e abbastanza spesso) tale percentuale scende al 18% della popolazione. Stiamo quindi parlando comunque di circa 9 milioni e più di individui.

    a) Il sesso
    Non stupisce che a giocare siano soprattutto i maschi (60%), può invece stupire il fatto che sul totale dei giocatori la percentuale di donne non sia trascurabile (40%) e sia in moderata ma continua crescita. L’idea quindi che le donne non apprezzino i videogames è un luogo comune legato ancora ai primi tempi di sviluppo dell’industria videoludica, quando la maggioranza dei giocatori era composta da uomini.

    b) L’età
    Un altro stereotipo legato al mondo dei videogiochi è che essi interessino solo ai giovanissimi. In realtà, la fascia di età in cui sono maggiormente concentrati i giocatori è quella compresa tra i 25 e i 34 anni (27%), seguita dalla fascia successiva, 34-55 (23%), mentre il peso dei più giovani sul totale dei giocatori è decisamente minore.

    Anche in questo caso il dato risente però della composizione della popolazione italiana che, come noto, è una delle popolazioni più vecchie del mondo. Il peso delle fasce giovani, sul totale Italia è infatti decisamente minore rispetto al peso delle fasce mature-anziane. È necessario quindi leggere congiuntamente i dati della composizione italiana per fasce anagrafiche e la predisposizione a giocare per ciascuna fascia.

    Se valutiamo, infatti, il peso dei giocatori su ciascuna fascia d’età risulta chiaro come l’interesse per i videogiochi vada decrescendo al crescere dell’età. Considerando ad esempio la fascia di età 14-19 anni, si osserva come a totale Italia rappresenti solo il 17% della popolazione, ma questo 17% gioca per la stragrande maggioranza ai videogiochi (88,3%). Dunque la diffusione dei videogiochi in questa fascia raggiunge livelli quasi plebiscitari. La fascia 35-44 anni, che come si è detto rappresenta la seconda per importanza sul totale giocatori, in realtà, fatta eccezione per gli over 65, rappresenta la fascia che sul totale Italia pesa di più (18%). Di questa, poco meno della metà gioca (46.8%), quindi non stupisce che arrivi a rappresentare una parte considerevole sul totale giocatori.

    c) aree geografiche
    Dai dati suddivisi per area geografica emerge come la maggioranza dei giocatori viva nel Sud del Paese. Questo dato è tuttavia il risultato della maggior popolosità del Meridione rispetto alle altre aree del paese.

    Se consideriamo infatti il peso dei giocatori per ciascuna area, il Nord Ovest risulta la zona d’Italia in cui si gioca di più, seguito dal Centro.

    d) Il livello di istruzione

    Infine, la distinzione per il livello di istruzione vede una concentrazione dei giocatori con Licenza Media seguita dalla Licenza Media Superiore.

    Anche in questo caso il dato risente del livello di istruzione medio italiano. La percentuale di laureati sul totale Italia è del 7,5%, quindi la quota di laureati sul totale giocatori è sostanzialmente allineata alla media italiana. Lo spostamento invece si osserva dalla licenza elementare verso la licenza media e soprattutto verso la licenza media superiore.

    Se osserviamo infatti la predisposizione a giocare per gli individui all’interno di ciascuna fascia di istruzione si nota come essa sia maggiore tra chi è in possesso del Diploma di Scuola Media Superiore.

    2.5 Spesa per i videogiochi

    Rispetto al 2004 è aumentato del 15% il numero di videogiocatori che dichiara di acquistare videogiochi rispetto ad altre modalità con cui si può pervenire ad averne: farseli prestare dagli amici, riceverli in regalo, scaricarli da Internet o noleggiarli. Infatti ben il 62% dichiara di averli acquistati nel 2005 contro il 47% l’anno precedente.

    La spesa media annua per videogiochi vede un acquirente di videogiochi su tre (34%) in una soglia di prezzo che va dai 31 ai 75euro, ma uno su quattro (28%) si attesta sulla fascia di prezzo più bassa (11-30€).

    La larga parte dei videogiocatori infine (66%) dichiara un acquisto annuo di un numero di videogiochi oscillante da 1 a 5. Un 10% di appassionati acquista invece da 6 a 10 videogiochi all’anno e un 5% addirittura da 11 a 15. Il 17% pur giocando non ha acquistato nell’arco dell’anno.

    2.6 Tempo medio di gioco

    In merito al tempo medio dedicato giornalmente da ciascun utente di videogiochi, osserviamo come la distribuzione del tempo non cambi significativamente tra giorni feriali e giorni festivi. La grande maggioranza dei giocatori dedica meno di mezz’ora al giorno ai videogame.

    Nei giorni festivi quindi, quando c’è a disposizione più tempo, c’è una leggera diminuzione di chi dedica poco tempo a favore di chi dedica da 1 a 2 ore e da 2 a 3 (nel complesso il 19% dei giocatori nei giorni feriali e il 27% nei giorni festivi).

    3. Retrogaming e abandonware

    Dopo questa sintetica ma doverosa rassegna di dati necessaria a mettere in cornice il composito universo videoludico, volgiamo lo sguardo agli aspetti centrali di questa ricerca. A tal riguardo, le domande più pertinenti da porsi mi paiono le seguenti: attraverso quali processi e dinamiche il predetto universo può fungere da base per la costruzione di ‘archivi’ densi di elementi biografici significativi? Si può supporre che tali archivi intrattengano un rapporto dinamico con la memoria personale e con l’identità dei soggetti coinvolti? Inoltre, se ripensiamo la Rete non come un ‘altrove’ a sé stante, bensì, in questo caso, in relazione dialettica con lo spazio domestico, cambia anche il modo con cui dobbiamo approcciare la dialettica privato/pubblico?

    Ebbene, nel tentativo di fornire un qualche primo accenno di risposta, mi sono imbattuto in alcuni fenomeni molto significativi. Uno di questi è il cosiddetto retrogaming. Con tale neologismo si indica la coltivazione da parte di un certo numero di persone della passione per i videogames caduti in disuso, essenzialmente per l’obsolescenza tecnologica dei loro supporti. Queste persone continuano a giocare ai giochi editi e diffusi anni fa, o utilizzando ancora le console e le apparecchiature dell’epoca, oppure attraverso dei remake e degli emulatori. Quindi, oltre al software, in molti si dedicano all'hardware comprando le vecchie console per videogiochi come Atari 2600 o Home computer come Commodore 64. La stessa prima PlayStation è ormai diventata un oggetto di desiderio per i retrogamer. Sono numerosi e facilmente rintracciabili in Internet i siti dedicati all’argomento, nonché i forum cui gli appassionati stanno dando luogo [4].

    Invece, il termine abandonware (contrazione di abandoned e software) indica generalmente un insieme di software datato, uscito dalla commercializzazione e non più supportato dal produttore. A causa dell'evoluzione della tecnologia informatica, i prodotti software (sistemi operativi, applicazioni, videogiochi) vanno incontro a rapida obsolescenza o non incontrano più i nuovi gusti degli utenti. In molti casi si tratta di prodotti ancora perfettamente funzionanti ed utilizzabili, apprezzati in particolare dagli appassionati di retrocomputing e retrogaming.

    Inoltre, va sottolineato che la concorrenza tra Microsoft, Sony e Nintendo – i tre colossi mondiali dell’elettronica e dei videogame – si sta dipanando, per larga parte, proprio sul campo dei servizi di download di videogiochi ‘classici’. “Queste librerie online consentono agli utenti ‘maturi’ (secondo le statistiche, l'età media dei fruitori di videogame è di 29-30 anni) di rivivere i fasti della belle epoque ludica all'interno degli spazi domestici: si tratta, in altre parole, di vere e proprie macchine del tempo” [5].

    Il più noto tra gli emulatori dei vecchi giochi è il MAME (Multiple Arcade Machine Emulator. ‘Arcade’ è il termine inglese che indica la sala giochi). Mi sembra significativo sottolineare che, nato da un’iniziativa di cooperazione internazionale – e senza fini di lucro! –, esso è volto unicamente alla preservazione, archiviazione e condivisione di contenuti digitali a rischio d’estinzione. Tanto che qualcuno ha sostenuto che “il movimento dell'emulazione ludica rappresenta un'applicazione letterale della nozione di intelligenza collettiva formulata dal filosofo francese Pierre Levy” [6]. Insomma, un altro indicatore dell’ossessione memoriale (Cavicchia Scalamonti, 2004) tipicamente moderna e tardo-moderna, vissuto in uno spazio che è contemporaneamente pubblico e privato, che si costruisce dialetticamente all’interno e all’esterno dell’ambiente domestico: “Gli archivi videoludici […] trasportano in un contesto domestico la dimensione pubblica dei videogame, ormai quasi estinta. Grazie al database interattivo online, la sala casalinga diventa sala giochi, anche se nel passaggio qualcosa si conserva e qualcos'altro si perde. Per esempio, si smarrisce completamente la natura chiassosa e disorientante dell'arcade, senza dimenticare quell'aspetto vagamente sedizioso reso popolare da numerose pellicole cinematografiche. La natura stessa dell'oggetto archiviato ne esce profondamente alterata: il gioco collocato nel deposito virtuale acquista nuove modalità, nuove forme d'essere, nuove caratteristiche. Tale trasmutazione, a sua volta, genera nuovi ricordi, ricordi artificiali. S'innesca un meccanismo perverso per cui l'esperienza passata e quella del passato-ri-attualizzato si fondono e si confondono” [7].

    Insomma, il retrogaming evoca ricordi. Ricordi di ore, pomeriggi, serate passati a giocare nel bar accanto alla scuola, o nella sala giochi del luogo di villeggiatura; ricordi di adunate e competizioni in gruppo, così come di momenti solitari e assorti nella realtà altra del videogame; di simili situazioni e scenari riprodotti nell’intimità domestica. E così La recherche du temps perdu passa attraverso la ricerca di emulatori che, come la proustiana madeleine, ridischiudano un mondo. È un processo dialettico: giocando ricordo, nel ricordare attualizzo il giocare che fu, tengo in vita ricordi e vecchi giochi, li uso, li conservo, compongo un archivio. Ricordi comuni, memorie comuni. Proprio nei termini in cui ne parla Jedlowski (2002): esistono, invero, determinati ricordi che seppur possano essere considerati comuni, non danno vita a una memoria collettiva (halbwachsianamente intesa), in quanto non sono stati sottoposti alla selezione, all’elaborazione, all’interpretazione e al vaglio del gruppo che li condivide in ragione dei propri interessi e del sistema di rilevanza attuali. In questo senso, tali ricordi non appartengono a nessuna comunità specifica, ma hanno un carattere, per così dire, ‘trasversale’, trattandosi di tutti quei ricordi che individui appartenenti a ceti, classi, categorie professionali e gruppi d’interesse anche molto diversi hanno in comune per il fatto di essere stati esposti ai medesimi messaggi mediali. Tali ricordi formano quella che viene definita una memoria comune, ovvero una memoria di carattere personale ma anche condivisa, laddove i canali principali attraverso i quali si determina questa comunanza sono i media.

    Nella fattispecie il medium in questione, ovviamente, è il videogioco, ma non solo: non sfugga, infatti, che in Italia esistono non meno di trenta riviste cartacee specializzate (alcune di esse possono vantare una tiratura notevole), dedicate esclusivamente ai videogiochi, alle quali vanno aggiunte quelle – ancor più numerose – on line. Ma il dato rilevante non è tanto di ordine quantitativo, bensì relativo all’elemento che più di ogni altro accomuna tali riviste, ovvero “il loro esplicito tentativo di forgiare una serie di valori che contribuiscano a far sentire i giocatori come un gruppo di pari appartenente a uno stesso sistema di riferimento. Questo elemento è particolarmente visibile nell’uso di uno specifico linguaggio – in alcuni casi quasi un codice – talvolta inintelligibile per i lettori non iniziati. L’identità comune passa dunque attraverso la condivisione di un linguaggio molto specialistico – sia a livello lessicale che sintattico – che oltre a ricoprire una funzione di differenziazione, sembra soprattutto possedere le caratteristiche di chi intende rivendicare una propria dignità, che si contrappone con forza a certe rappresentazioni sociali negative generalmente rivolte nei confronti dei videogiochi e dei loro utenti. Alle ricorrenti generiche accuse di chiusura verso l’esterno, di scarsa partecipazione alla vita di gruppo, di forte tendenza all’isolamento, di demotivazione scolastica, di predisposizione alla violenza, che vengono spesso rivolte ai videogiocatori da parte delle generazioni meno giovani e da una certa pedagogia tradizionalista, la stampa video-ludica oppone dei modelli di rappresentazione in cui i videogame appaiono al contrario come utili alla formazione di una cultura di gruppo, alla compartecipazione, alla discussione aperta, allo scambio, al gusto della scoperta scientifica, allo stimolo della curiosità e alla promozione di un’intelligenza elastica e adatta al mondo circostante” (Pecchinenda, 2003, 112-113).

    Tornando alla memoria comune, si tratta, dunque, di una memoria non legata all’identità di nessun gruppo o comunità particolari, non è propriamente una memoria collettiva, ma, allo stesso tempo, e in una certa misura, si tratta di una memoria abbastanza stabile, sedimentata, ‘viva’, anche perché viene costantemente attualizzata: in generale, per il fatto che i testi mediali, essendo spesso autoreferenziali – ovvero attingendo a materiali appartenenti alla stessa produzione dei media, ad esempio attraverso le citazioni del proprio passato, i revival, il riproporre periodicamente trasmissioni degli anni addietro – rievocano di continuo i contenuti della memoria dei loro fruitori; nel nostro caso, invece, l’attualizzazione avviene proprio grazie alle pratiche di retrogaming e di recupero dell’abandonware. Parallelamente, questi nuovi contesti dell’esposizione ai messaggi mediali e le nuove esperienze di fruizione costruiscono anche dei quadri sociali (Halbwachs, 1925) utili per la conservazione e il richiamo ddei ricordi. “È così che anche la memoria comune diventa parte integrante della vita quotidiana, rappresentando una risorsa cui le persone possono riferirsi – e di fatto lo fanno – per la costruzione e il consolidamento delle loro identità” (Iannicelli, 2006, 24).

    E di tutto ciò ne parlo, costruisco delle rappresentazioni, delle narrazioni, personali sì, ma dotate di senso intersoggettivo. Se affermando ciò non siamo troppo lontani dal vero, allora ci sembra pertinente richiamare ancora un altro concetto teorico con il quale inquadrare questi discorsi: la metamemoria (Candau, 2002), che indica – come si può intuire in parte già dal termine impiegato – sia l’idea, la rappresentazione che ogni individuo si fa della propria memoria, la conoscenza che ne ha, sia ciò che egli ne dice. Discutere delle particolarità della propria memoria, della sua robustezza, dell’utilità, delle manchevolezze, vuol dire fare dei discorsi metamemoriali. In questa accezione la metamemoria è una meta-rappresentazione, cioè una “rappresentazione d’ordine superiore della rappresentazione di uno stato di cose” (Jacob, 1997).

    4. Musei dei videogame

    Per di più, nonostante il videogame abbia appena una quarantina d’anni circa, esistono già svariati musei ad esso dedicati. Molti di questi sono on-line, presentano la storia dell’evoluzione dei dispositivi videoludici corredandola con foto, documenti e percorsi ipertestuali molto dettagliati; alcuni ospitano forum e danno spazio a commenti e discussioni, anche ad opera di studiosi ed esperti del settore [8]. Ma non sono mancate nemmeno esposizioni e manifestazioni in luoghi fisici, come quella allestita in una delle ultime edizioni del Futureshow di Bologna e la mostra Play tenutasi nell’aprile del 2002 a Roma. È significativo che, nel corso della manifestazione bolognese, le vecchie piattaforme, le console e i giochi del passato abbiano ricevuto dai visitatori un’attenzione pari, se non superiore, alle attuali regine del mercato: Xbox e PlayStation2.

    Come recita un articolo ancora consultabile sul sito di Rai Educational: «Non solo prodotto di consumo: il videogame è ormai considerato degno di essere studiato e conservato (…) Il videogioco ha quarant'anni e li dimostra. Fino a qualche tempo fa veniva considerato, con sufficienza se non addirittura disprezzo, solo roba da ragazzi. Ora, invece, comincia a essere percepito come una forma di espressione ormai matura, gli si riconosce una dignità culturale, viene ritenuto meritevole di essere studiato e conservato affinché, nel corso veloce del progresso tecnologico, non si perda la memoria dell'evoluzione di questo linguaggio» [9]. Sull’evento romano, curato da Jaime D’Alessandro, è stato invece scritto: «La mostra fa molto di più che proporre una serie di software e di piattaforme da gioco: ne coglie i collegamenti con la cultura contemporanea. Nel presentare lo sviluppo di questa forma espressiva viene costantemente posta l'attenzione non solo sugli avanzamenti tecnici ma sull'evoluzione della relazione uomo-macchina. La storia, ormai quarantennale, dei videogame non si esaurisce, quindi, nell'illustrazione del progressivo potenziamento degli strumenti ma è sottoposta a una lettura che evidenzia gli aspetti concettuali, sociologici ed economici». E non solo quegli aspetti relativi al mercato, al rapporto tra innovazione e cambiamenti dell’immaginario, o, ancora, alle intersezioni e alle ibridazioni con altri linguaggi quali quello cinematografico, quello musicale e quello pubblicitario – pur di fondamentale importanza per la sociologia in generale e per lo studio dei processi culturali in particolare.

    Ma ci sembra, per di più, di riscontrare ancora una volta quegli elementi in grado di costituire una memoria comune e una metamemoria: da un lato abbiamo l’evocazione, l’esposizione e la condivisione dei medesimi oggetti e testi mediali a livello intra e intergenerazionale; dall’altro troviamo sia la costruzione di discorsi sulla memoria, sia strategie esplicite e consapevoli di conservazione di un passato comune (nel duplice senso del termine: condiviso e banale), ma anche personale e soggettivamente rilevante in quanto legato, più o meno strettamente, all’identità collettiva e individuale. In altre parole, ci troviamo di fronte a una fruizione di quelli che sono a tutti gli effetti dei testi mediali, la quale permette di recuperare un certo passato e attualizzarlo, rendendolo ancora disponibile per chi lo ha vissuto a suo tempo e per le nuove generazioni. È come se questi musei facessero, ancora una volta, da quadri sociali per la memoria dei loto utenti.

    E se nel caso delle esposizioni fisiche ci troviamo di fronte a musei di concezione classica – il che ci porterebbe probabilmente un po’ lontano dal concetto di mediateca domestica qui in oggetto – i musei on-line, fruibili nello e dallo spazio domestico, non solo vanno presi in considerazione in quanto danno luogo a pratiche di consumo, acquisizione e conservazione (ad esempio, del materiale scaricabile) del tutto analoghe a quelle relative a tanti altri oggetti mediali, ma ci obbligano a ripensare il concetto di domesticità e la dialettica pubblico/privato. Ci sembra questo, a buon diritto, uno di quei fenomeni che stanno destrutturando i luoghi, i tempi e i ruoli che, in passato, rendevano forse più agevole circoscrivere e separare concettualmente l’ambito pubblico e quello privato, mettendone in discussione i confini.

    Chiuderei dunque ponendo alcuni interrogativi che mi sembrano assai pertinenti in relazione a quanto appena sostenuto e all’obiettivo generale di questa sintetica ricognizione sul rapporto tra videogiochi, mediateche e identità: dove sono realmente quando, dal mio ambiente domestico, mi trovo connesso alla Rete col mio PC ed esploro altri “luoghi”? Quanta parte di me, e con quali modalità, proietto su tali luoghi producendo appaesamento (Pasquinelli, 2004)? Quanta parte di essi, viceversa, rifluisce nel mio spazio fisico e relazionale? Come e quanto di tutto ciò conservo, organizzo e riutilizzo, anche off line?

    Note

    1] A tal riguardo, se escludiamo quelle ricerche che hanno indagato la relazione tra un più generico uso del computer, la frequentazione di mondi e comunità virtuali e giochi on line, da un lato, e i processi di costruzione del Sé, dall’altro, il volume di G. Pecchinenda (2003) rappresenta un vero unicum.
    2] La definisco in questo modo pensando e rifacendomi alla letteratura di genere, non certo alle questioni legate al gender.
    3] Cfr. Primo Rapporto Annuale sullo Stato dell’Industria Videoludica in Italia, pubblicato dall’AESVI nel settembre 2005 (https://www.aesvi.it/cms/view.php?dir_pk=1100&cms_pk=19).
    4] Cercando retrogaming su Google si ottengono – al 24/09/2008 – ben 2.980.000 risultati!
    5] M. Bittanti, La febbre degli archivi ludici (https://www.videoludica.com/news.php?news=559).
    6] Ibid.
    7] Ibidem.
    8] I più completi e noti sono: www.classicgaming.com/museum; www.retroplayers.com/consolemuseum; www.vgmuseum.com; www.phantomcastle.it.
    9] www.mediamente.rai.it/articoli/20020515c.asp (corsivi miei).

    Bibliografia

    Bartolomeo A., Carovita S. (2005), (a cura di) Il bambino e i videogiochi. Implicazioni psicologiche e cognitive, Edizioni Carlo Amore, Roma.
    Bittanti M. (2005), (a cura di) Gli strumenti del videogiocare. Logiche, estetiche e (v)ideologie, Costa e Nolan, Milano.
    Candau J. (1998), Memoire et identité, PUF, Paris [tr. It. La memoria e l’identità, Ipermedium libri, Napoli, 2002].
    Cavicchia Scalamonti A. (2004), “Il peso dei morti ovvero dei dilemmi di Antigone”!, in Kattan E., Il dovere della memoria, Ipermedium libri, Napoli.
    Ciofi R., Graziano D. (2003), Giochi pericolosi? Perché i giovani passano ore tra videogiochi online e comunità virtuali, Franco Angeli, Milano.
    D’Hollander P. (2005), Game Classic, Mondadori informatica, Milano.
    Grigoletto F. (2006), Videogiochi e cinema. Interattività, temporalità, tecniche narrative e modalità di fruizione, Clueb, Bologna.
    Halbwachs M. (1925), Les cadres sociaux de la mémoire, Librairie Félix Alcan, Paris [tr. it. I quadri sociali della memoria, Ipermedium, Napoli, 1997].
    Iannicelli G. (2006), I percorsi della memoria, le ragioni di un oblio, in Höbel A., Iannicelli G., La strage del treno 904. Un contributo dalle scienze sociali, Ipermedium libri, Napoli.
    Jacob P. (1997), Pourquoi les choses ont-elles un sens?, Éd. Odile Jacob, Paris.
    Jedlowski P. (2002), Memoria, esperienza e modernità. Memorie e società nel XX secolo, Franco Angeli, Milano.
    Laing G. (2004), Digital Retro: The Evolution and Design of the Personal Computer, Ilex, Cambridge [tr. it. Digital Retro, Mondadori informatica, Milano, 2004].
    Pasquinelli C. (2004), La vertigine dell’ordine. Il rapporto tra Sé e la casa, Baldini Castoldi Dalai, Milano.
    Pecchinenda G. (2003), Videogiochi e cultura della simulazione. La nascita dell’“homo game”, Laterza, Bari-Roma.
    Tanoni I. (2003), Videogiocando s'impara. Dal divertimento puro al divertimento-apprendimento, Centro Studi Erickson, Gardolo (TN).



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