Mappe domestiche: la casa e le sue memorie
Marina Brancato (a cura di)
M@gm@ vol.9 n.3 Settembre-Dicembre 2011
I VIDEOGIOCHI E LA CON-FUSIONE PRIVATO/PUBBLICO: DALL’AMBIENTE DOMESTICO ALLO SPAZIO DELLA RETE
Gianpaolo Iannicelli
g.iannicelli@fastwebnet.it
Dottore di ricerca in Teoria e ricerca sociale, Università Federico II di Napoli.
1. Premessa
Il settore dei videogiochi, come vedremo tra breve, rappresenta anzitutto
un fenomeno dalle dimensioni – economiche e sociali – tutt’altro che trascurabili.
A dispetto di tale rilevanza, ci muoviamo su un terreno instabile e poco
consistente dal punto di vista di una sistematica riflessione sociologica
sull’argomento, in particolar modo se si pensa ad un possibile intreccio
tra reperimento, conservazione e fruizione dei videogames da una parte
e domesticità, memoria e identità dall’altra.
Sia chiaro, sui videogiochi si scrive e si pubblica tantissimo. Ma, a
ben vedere, ci si trova di fronte o a una quantità di lavori che ripercorre
semplicemente – anche con grande passione – le tappe dell’evoluzione storica
e tecnologica di questo medium o che danno consigli e suggerimenti di
gioco (D’Hollander, 2005; Laing, 2004); oppure troviamo soprattutto letture
e analisi del videogioco come ‘testo’, di stampo prettamente semiologico,
con parallelismi con il testo cinematografico o col fumetto (Bittanti,
2005; Grigoletto, 2006); o ancora, non potevano certo mancare studi di
carattere psico-pedagogico aventi per oggetto gli effetti del videogiocare
sullo sviluppo della personalità, sui processi cognitivi, e di apprendimento
(Bartolomeo, Carovita, 2005; Tanoni, 2003; Ciofi, Graziano, 2003). Infine,
si avvicinano a prospettive più strettamente sociologiche quei (pochi)
lavori che, sulla scia di un determinismo tecnologico di mcluhaniana memoria,
si sono focalizzati sul rapporto tra videogiochi e trasformazioni tanto
dell’apparato psico-sensoriale, quanto dell’identità degli utenti [1].
Dunque, il mio obiettivo è porre in evidenza le caratteristiche sociali
dei videogiocatori, come specifico gruppo sociale, e soprattutto i processi
identitari che li coinvolgono, analizzando le modalità di interazione
che avvengono tra questi soggetti e il contesto, privato e mediale, dal/nel
quale si muovono. Tali interazioni, partendo da spazi privati (gli ambienti
domestici), si proiettano nello spazio pubblico della Rete attraverso
non soltanto il giocare on line, ma anche attraverso la partecipazione
a forum e comunità virtuali dedicate. Inoltre, questo processo non è unidirezionale:
parte di ciò che avviene e che ‘esiste’ nello spazio pubblico mediale
rifluisce nella sfera privata, con conseguenze ancora tutte da indagare.
Ciò che sembra più chiaro è che tutte queste dinamiche forniscono lo sfondo
e la cornice per la costruzione più o meno consapevole, da parte dei videogiocatori,
della loro identità collettiva ‘di genere’ [2].
2. Storia e dimensioni del fenomeno videoludico [3]
2.1 Cenni storici
L’accettazione dei videogiochi da parte del mercato di massa ha ricevuto
una grossa spinta durante la metà degli anni ’90 grazie al lancio e allo
sviluppo della console casalinga PlayStation della Sony. I videogiochi
come passatempi domestici esistono però da molto tempo prima. Nel 1962
uno studente del MIT di Boston, Steve Russel, programma quello che a tutti
gli effetti è il primo videogioco della storia: Spacewar. Nel 1972, sulla
scia del primo videogioco a gettoni, Nolan Bushnell crea Pong, il primo
grande successo nel mondo dei videogiochi. Proprio Bushnell nel 1974 fonda
Atari e con essa il Pong per uso domestico che diventa un vero fenomeno
di mercato, sia per il favore presso il pubblico che per i brillanti risultati
economici. Durante gli anni ’70 e ‘80 segue un’ondata di console da gioco
che introducono nel mercato alcuni dei primi grossi nomi, tra cui Nintendo.
Via via che vengono commercializzati i primi giochi, si verifica anche
un boom del nascente mercato dei computer casalinghi.
Il settore dei videogiochi si frammenta in tre parti che per tutti gli
anni ’80 conoscono sviluppi paralleli. Oltre al mercato dei videogiochi
da sala giochi (Arcade game), irrompono sulla scena gli Home Computer
e le console domestiche di nuova generazione. I primi sono guidati da
Commodore e Spectrum e hanno come punti di forza la tastiera e la conseguente
estrema duttilità dei comandi e delle modalità di gioco. Le seconde, Nintendo
e Sega su tutte, puntano sulla qualità grafica decisamente migliorata.
Negli anni ’90 sono i Pc a sostituire gli Home Computer con cui erano
cresciuti i giovani del decennio precedente. Le console intanto continuano
a migliorare la loro potenza grafica mentre le sale giochi iniziano ad
entrare in una fase di progressivo declino. Il mercato si amplia in maniera
esponenziale tra il 1993 e il 1995, quando un nuovo fenomeno fa fare un
salto di qualità ai videogames proiettandoli verso il mercato di massa:
la commercializzazione della PlayStation.
2.2 Principali piattaforme
Dopo aver fornito alcuni cenni sulle origini dell’industria videoludica,
appare ora opportuno soffermarsi sulla struttura del mercato. Prima di
entrare nel merito dell’analisi, è necessario premettere che dal punto
di vista tecnologico l’industria considerata si sviluppa oggi su due diverse
categorie di piattaforme: i PC e le console.
I PC, nati per scopi diversi dalla possibilità di uso videoludico, hanno
visto una notevole evoluzione anche grazie allo sviluppo di videogame.
L’introduzione dei CD-ROM ha permesso di utilizzare programmi di grafica
ricchi e complessi favorendo lo sviluppo di videogiochi di qualità sempre
migliore. Proprio il mercato dei videogiochi fa da catalizzatore alla
crescita del mercato dei PC, grazie alla richiesta sempre crescente di
periferiche (schede grafiche, supporti per la navigazione, speaker system,
ecc.) in grado di permettere l’utilizzo di giochi sempre più sofisticati.
Le console sono progettate come macchine dedicate, esclusivamente destinate
all’uso videoludico domestico. I loro processori, programmati per ricevere
informazioni da un controller, le elaborano secondo le istruzioni contenute
nel software. I controller sono dispositivi portatili che si collegano
alla piattaforma e dirigono ‘l’azione sullo schermo’. Le principali tipologie
di console, che si distinguono a loro volta in fisse e portatili, sono:
PlayStation, Game Boy/GameCube, Xbox.
2.3 Dimensioni e trend del mercato italiano
Nell’anno fiscale terminato a marzo 2005, considerando le vendite di software
e di hardware, esclusi gli accessori, il mercato videoludico ha raggiunto
un valore complessivo pari a 604.223.610 euro.
Il trend a volume del mercato videoludico in Italia vede un incremento
annuale complessivo del 17% nell’arco dei 12 mesi intercorsi da marzo
2004 a marzo 2005. Il trend a valore del mercato videoludico in Italia
vede un incremento complessivo dell’8% rispetto all’anno precedente (marzo
2005 vs marzo 2004). La parte più dinamica del mercato è comunque costituita
dai canali cosiddetti moderni e in particolare dai punti vendita specializzati.
2.4 Il videogiocatore italiano
Il 36% della popolazione italiana adulta (con più di 14 anni), quindi
circa 18 milioni di individui, gioca, con una frequenza più o meno intensa,
ai videogiochi. Se consideriamo solo chi ha una frequenza di gioco sostenuta
(spesso e abbastanza spesso) tale percentuale scende al 18% della popolazione.
Stiamo quindi parlando comunque di circa 9 milioni e più di individui.
a) Il sesso
Non stupisce che a giocare siano soprattutto i maschi (60%), può invece
stupire il fatto che sul totale dei giocatori la percentuale di donne
non sia trascurabile (40%) e sia in moderata ma continua crescita. L’idea
quindi che le donne non apprezzino i videogames è un luogo comune legato
ancora ai primi tempi di sviluppo dell’industria videoludica, quando la
maggioranza dei giocatori era composta da uomini.
b) L’età
Un altro stereotipo legato al mondo dei videogiochi è che essi interessino
solo ai giovanissimi. In realtà, la fascia di età in cui sono maggiormente
concentrati i giocatori è quella compresa tra i 25 e i 34 anni (27%),
seguita dalla fascia successiva, 34-55 (23%), mentre il peso dei più giovani
sul totale dei giocatori è decisamente minore.
Anche in questo caso il dato risente però della composizione della popolazione
italiana che, come noto, è una delle popolazioni più vecchie del mondo.
Il peso delle fasce giovani, sul totale Italia è infatti decisamente minore
rispetto al peso delle fasce mature-anziane. È necessario quindi leggere
congiuntamente i dati della composizione italiana per fasce anagrafiche
e la predisposizione a giocare per ciascuna fascia.
Se valutiamo, infatti, il peso dei giocatori su ciascuna fascia d’età
risulta chiaro come l’interesse per i videogiochi vada decrescendo al
crescere dell’età. Considerando ad esempio la fascia di età 14-19 anni,
si osserva come a totale Italia rappresenti solo il 17% della popolazione,
ma questo 17% gioca per la stragrande maggioranza ai videogiochi (88,3%).
Dunque la diffusione dei videogiochi in questa fascia raggiunge livelli
quasi plebiscitari. La fascia 35-44 anni, che come si è detto rappresenta
la seconda per importanza sul totale giocatori, in realtà, fatta eccezione
per gli over 65, rappresenta la fascia che sul totale Italia pesa di più
(18%). Di questa, poco meno della metà gioca (46.8%), quindi non stupisce
che arrivi a rappresentare una parte considerevole sul totale giocatori.
c) aree geografiche
Dai dati suddivisi per area geografica emerge come la maggioranza dei
giocatori viva nel Sud del Paese. Questo dato è tuttavia il risultato
della maggior popolosità del Meridione rispetto alle altre aree del paese.
Se consideriamo infatti il peso dei giocatori per ciascuna area, il Nord
Ovest risulta la zona d’Italia in cui si gioca di più, seguito dal Centro.
d) Il livello di istruzione
Infine, la distinzione per il livello di istruzione vede una concentrazione
dei giocatori con Licenza Media seguita dalla Licenza Media Superiore.
Anche in questo caso il dato risente del livello di istruzione medio italiano.
La percentuale di laureati sul totale Italia è del 7,5%, quindi la quota
di laureati sul totale giocatori è sostanzialmente allineata alla media
italiana. Lo spostamento invece si osserva dalla licenza elementare verso
la licenza media e soprattutto verso la licenza media superiore.
Se osserviamo infatti la predisposizione a giocare per gli individui all’interno
di ciascuna fascia di istruzione si nota come essa sia maggiore tra chi
è in possesso del Diploma di Scuola Media Superiore.
2.5 Spesa per i videogiochi
Rispetto al 2004 è aumentato del 15% il numero di videogiocatori che dichiara
di acquistare videogiochi rispetto ad altre modalità con cui si può pervenire
ad averne: farseli prestare dagli amici, riceverli in regalo, scaricarli
da Internet o noleggiarli. Infatti ben il 62% dichiara di averli acquistati
nel 2005 contro il 47% l’anno precedente.
La spesa media annua per videogiochi vede un acquirente di videogiochi
su tre (34%) in una soglia di prezzo che va dai 31 ai 75euro, ma uno su
quattro (28%) si attesta sulla fascia di prezzo più bassa (11-30€).
La larga parte dei videogiocatori infine (66%) dichiara un acquisto annuo
di un numero di videogiochi oscillante da 1 a 5. Un 10% di appassionati
acquista invece da 6 a 10 videogiochi all’anno e un 5% addirittura da
11 a 15. Il 17% pur giocando non ha acquistato nell’arco dell’anno.
2.6 Tempo medio di gioco
In merito al tempo medio dedicato giornalmente da ciascun utente di videogiochi,
osserviamo come la distribuzione del tempo non cambi significativamente
tra giorni feriali e giorni festivi. La grande maggioranza dei giocatori
dedica meno di mezz’ora al giorno ai videogame.
Nei giorni festivi quindi, quando c’è a disposizione più tempo, c’è una
leggera diminuzione di chi dedica poco tempo a favore di chi dedica da
1 a 2 ore e da 2 a 3 (nel complesso il 19% dei giocatori nei giorni feriali
e il 27% nei giorni festivi).
3. Retrogaming e abandonware
Dopo questa sintetica ma doverosa rassegna di dati necessaria a mettere
in cornice il composito universo videoludico, volgiamo lo sguardo agli
aspetti centrali di questa ricerca. A tal riguardo, le domande più pertinenti
da porsi mi paiono le seguenti: attraverso quali processi e dinamiche
il predetto universo può fungere da base per la costruzione di ‘archivi’
densi di elementi biografici significativi? Si può supporre che tali archivi
intrattengano un rapporto dinamico con la memoria personale e con l’identità
dei soggetti coinvolti? Inoltre, se ripensiamo la Rete non come un ‘altrove’
a sé stante, bensì, in questo caso, in relazione dialettica con lo spazio
domestico, cambia anche il modo con cui dobbiamo approcciare la dialettica
privato/pubblico?
Ebbene, nel tentativo di fornire un qualche primo accenno di risposta,
mi sono imbattuto in alcuni fenomeni molto significativi. Uno di questi
è il cosiddetto retrogaming. Con tale neologismo si indica la coltivazione
da parte di un certo numero di persone della passione per i videogames
caduti in disuso, essenzialmente per l’obsolescenza tecnologica dei loro
supporti. Queste persone continuano a giocare ai giochi editi e diffusi
anni fa, o utilizzando ancora le console e le apparecchiature dell’epoca,
oppure attraverso dei remake e degli emulatori. Quindi, oltre al software,
in molti si dedicano all'hardware comprando le vecchie console per videogiochi
come Atari 2600 o Home computer come Commodore 64. La stessa prima PlayStation
è ormai diventata un oggetto di desiderio per i retrogamer. Sono numerosi
e facilmente rintracciabili in Internet i siti dedicati all’argomento,
nonché i forum cui gli appassionati stanno dando luogo [4].
Invece, il termine abandonware (contrazione di abandoned e software) indica
generalmente un insieme di software datato, uscito dalla commercializzazione
e non più supportato dal produttore. A causa dell'evoluzione della tecnologia
informatica, i prodotti software (sistemi operativi, applicazioni, videogiochi)
vanno incontro a rapida obsolescenza o non incontrano più i nuovi gusti
degli utenti. In molti casi si tratta di prodotti ancora perfettamente
funzionanti ed utilizzabili, apprezzati in particolare dagli appassionati
di retrocomputing e retrogaming.
Inoltre, va sottolineato che la concorrenza tra Microsoft, Sony e Nintendo
– i tre colossi mondiali dell’elettronica e dei videogame – si sta dipanando,
per larga parte, proprio sul campo dei servizi di download di videogiochi
‘classici’. “Queste librerie online consentono agli utenti ‘maturi’ (secondo
le statistiche, l'età media dei fruitori di videogame è di 29-30 anni)
di rivivere i fasti della belle epoque ludica all'interno degli spazi
domestici: si tratta, in altre parole, di vere e proprie macchine del
tempo” [5].
Il più noto tra gli emulatori dei vecchi giochi è il MAME (Multiple Arcade
Machine Emulator. ‘Arcade’ è il termine inglese che indica la sala giochi).
Mi sembra significativo sottolineare che, nato da un’iniziativa di cooperazione
internazionale – e senza fini di lucro! –, esso è volto unicamente alla
preservazione, archiviazione e condivisione di contenuti digitali a rischio
d’estinzione. Tanto che qualcuno ha sostenuto che “il movimento dell'emulazione
ludica rappresenta un'applicazione letterale della nozione di intelligenza
collettiva formulata dal filosofo francese Pierre Levy” [6].
Insomma, un altro indicatore dell’ossessione memoriale (Cavicchia Scalamonti,
2004) tipicamente moderna e tardo-moderna, vissuto in uno spazio che è
contemporaneamente pubblico e privato, che si costruisce dialetticamente
all’interno e all’esterno dell’ambiente domestico: “Gli archivi videoludici
[…] trasportano in un contesto domestico la dimensione pubblica dei videogame,
ormai quasi estinta. Grazie al database interattivo online, la sala casalinga
diventa sala giochi, anche se nel passaggio qualcosa si conserva e qualcos'altro
si perde. Per esempio, si smarrisce completamente la natura chiassosa
e disorientante dell'arcade, senza dimenticare quell'aspetto vagamente
sedizioso reso popolare da numerose pellicole cinematografiche. La natura
stessa dell'oggetto archiviato ne esce profondamente alterata: il gioco
collocato nel deposito virtuale acquista nuove modalità, nuove forme d'essere,
nuove caratteristiche. Tale trasmutazione, a sua volta, genera nuovi ricordi,
ricordi artificiali. S'innesca un meccanismo perverso per cui l'esperienza
passata e quella del passato-ri-attualizzato si fondono e si confondono”
[7].
Insomma, il retrogaming evoca ricordi. Ricordi di ore, pomeriggi, serate
passati a giocare nel bar accanto alla scuola, o nella sala giochi del
luogo di villeggiatura; ricordi di adunate e competizioni in gruppo, così
come di momenti solitari e assorti nella realtà altra del videogame; di
simili situazioni e scenari riprodotti nell’intimità domestica. E così
La recherche du temps perdu passa attraverso la ricerca di emulatori che,
come la proustiana madeleine, ridischiudano un mondo. È un processo dialettico:
giocando ricordo, nel ricordare attualizzo il giocare che fu, tengo in
vita ricordi e vecchi giochi, li uso, li conservo, compongo un archivio.
Ricordi comuni, memorie comuni. Proprio nei termini in cui ne parla Jedlowski
(2002): esistono, invero, determinati ricordi che seppur possano essere
considerati comuni, non danno vita a una memoria collettiva (halbwachsianamente
intesa), in quanto non sono stati sottoposti alla selezione, all’elaborazione,
all’interpretazione e al vaglio del gruppo che li condivide in ragione
dei propri interessi e del sistema di rilevanza attuali. In questo senso,
tali ricordi non appartengono a nessuna comunità specifica, ma hanno un
carattere, per così dire, ‘trasversale’, trattandosi di tutti quei ricordi
che individui appartenenti a ceti, classi, categorie professionali e gruppi
d’interesse anche molto diversi hanno in comune per il fatto di essere
stati esposti ai medesimi messaggi mediali. Tali ricordi formano quella
che viene definita una memoria comune, ovvero una memoria di carattere
personale ma anche condivisa, laddove i canali principali attraverso i
quali si determina questa comunanza sono i media.
Nella fattispecie il medium in questione, ovviamente, è il videogioco,
ma non solo: non sfugga, infatti, che in Italia esistono non meno di trenta
riviste cartacee specializzate (alcune di esse possono vantare una tiratura
notevole), dedicate esclusivamente ai videogiochi, alle quali vanno aggiunte
quelle – ancor più numerose – on line. Ma il dato rilevante non è tanto
di ordine quantitativo, bensì relativo all’elemento che più di ogni altro
accomuna tali riviste, ovvero “il loro esplicito tentativo di forgiare
una serie di valori che contribuiscano a far sentire i giocatori come
un gruppo di pari appartenente a uno stesso sistema di riferimento. Questo
elemento è particolarmente visibile nell’uso di uno specifico linguaggio
– in alcuni casi quasi un codice – talvolta inintelligibile per i lettori
non iniziati. L’identità comune passa dunque attraverso la condivisione
di un linguaggio molto specialistico – sia a livello lessicale che sintattico
– che oltre a ricoprire una funzione di differenziazione, sembra soprattutto
possedere le caratteristiche di chi intende rivendicare una propria dignità,
che si contrappone con forza a certe rappresentazioni sociali negative
generalmente rivolte nei confronti dei videogiochi e dei loro utenti.
Alle ricorrenti generiche accuse di chiusura verso l’esterno, di scarsa
partecipazione alla vita di gruppo, di forte tendenza all’isolamento,
di demotivazione scolastica, di predisposizione alla violenza, che vengono
spesso rivolte ai videogiocatori da parte delle generazioni meno giovani
e da una certa pedagogia tradizionalista, la stampa video-ludica oppone
dei modelli di rappresentazione in cui i videogame appaiono al contrario
come utili alla formazione di una cultura di gruppo, alla compartecipazione,
alla discussione aperta, allo scambio, al gusto della scoperta scientifica,
allo stimolo della curiosità e alla promozione di un’intelligenza elastica
e adatta al mondo circostante” (Pecchinenda, 2003, 112-113).
Tornando alla memoria comune, si tratta, dunque, di una memoria non legata
all’identità di nessun gruppo o comunità particolari, non è propriamente
una memoria collettiva, ma, allo stesso tempo, e in una certa misura,
si tratta di una memoria abbastanza stabile, sedimentata, ‘viva’, anche
perché viene costantemente attualizzata: in generale, per il fatto che
i testi mediali, essendo spesso autoreferenziali – ovvero attingendo a
materiali appartenenti alla stessa produzione dei media, ad esempio attraverso
le citazioni del proprio passato, i revival, il riproporre periodicamente
trasmissioni degli anni addietro – rievocano di continuo i contenuti della
memoria dei loro fruitori; nel nostro caso, invece, l’attualizzazione
avviene proprio grazie alle pratiche di retrogaming e di recupero dell’abandonware.
Parallelamente, questi nuovi contesti dell’esposizione ai messaggi mediali
e le nuove esperienze di fruizione costruiscono anche dei quadri sociali
(Halbwachs, 1925) utili per la conservazione e il richiamo ddei ricordi.
“È così che anche la memoria comune diventa parte integrante della vita
quotidiana, rappresentando una risorsa cui le persone possono riferirsi
– e di fatto lo fanno – per la costruzione e il consolidamento delle loro
identità” (Iannicelli, 2006, 24).
E di tutto ciò ne parlo, costruisco delle rappresentazioni, delle narrazioni,
personali sì, ma dotate di senso intersoggettivo. Se affermando ciò non
siamo troppo lontani dal vero, allora ci sembra pertinente richiamare
ancora un altro concetto teorico con il quale inquadrare questi discorsi:
la metamemoria (Candau, 2002), che indica – come si può intuire in parte
già dal termine impiegato – sia l’idea, la rappresentazione che ogni individuo
si fa della propria memoria, la conoscenza che ne ha, sia ciò che egli
ne dice. Discutere delle particolarità della propria memoria, della sua
robustezza, dell’utilità, delle manchevolezze, vuol dire fare dei discorsi
metamemoriali. In questa accezione la metamemoria è una meta-rappresentazione,
cioè una “rappresentazione d’ordine superiore della rappresentazione di
uno stato di cose” (Jacob, 1997).
4. Musei dei videogame
Per di più, nonostante il videogame abbia appena una quarantina d’anni
circa, esistono già svariati musei ad esso dedicati. Molti di questi sono
on-line, presentano la storia dell’evoluzione dei dispositivi videoludici
corredandola con foto, documenti e percorsi ipertestuali molto dettagliati;
alcuni ospitano forum e danno spazio a commenti e discussioni, anche ad
opera di studiosi ed esperti del settore [8].
Ma non sono mancate nemmeno esposizioni e manifestazioni in luoghi fisici,
come quella allestita in una delle ultime edizioni del Futureshow di Bologna
e la mostra Play tenutasi nell’aprile del 2002 a Roma. È significativo
che, nel corso della manifestazione bolognese, le vecchie piattaforme,
le console e i giochi del passato abbiano ricevuto dai visitatori un’attenzione
pari, se non superiore, alle attuali regine del mercato: Xbox e PlayStation2.
Come recita un articolo ancora consultabile sul sito di Rai Educational:
«Non solo prodotto di consumo: il videogame è ormai considerato degno
di essere studiato e conservato (…) Il videogioco ha quarant'anni e li
dimostra. Fino a qualche tempo fa veniva considerato, con sufficienza
se non addirittura disprezzo, solo roba da ragazzi. Ora, invece, comincia
a essere percepito come una forma di espressione ormai matura, gli si
riconosce una dignità culturale, viene ritenuto meritevole di essere studiato
e conservato affinché, nel corso veloce del progresso tecnologico, non
si perda la memoria dell'evoluzione di questo linguaggio» [9].
Sull’evento romano, curato da Jaime D’Alessandro, è stato invece scritto:
«La mostra fa molto di più che proporre una serie di software e di piattaforme
da gioco: ne coglie i collegamenti con la cultura contemporanea. Nel presentare
lo sviluppo di questa forma espressiva viene costantemente posta l'attenzione
non solo sugli avanzamenti tecnici ma sull'evoluzione della relazione
uomo-macchina. La storia, ormai quarantennale, dei videogame non si esaurisce,
quindi, nell'illustrazione del progressivo potenziamento degli strumenti
ma è sottoposta a una lettura che evidenzia gli aspetti concettuali, sociologici
ed economici». E non solo quegli aspetti relativi al mercato, al rapporto
tra innovazione e cambiamenti dell’immaginario, o, ancora, alle intersezioni
e alle ibridazioni con altri linguaggi quali quello cinematografico, quello
musicale e quello pubblicitario – pur di fondamentale importanza per la
sociologia in generale e per lo studio dei processi culturali in particolare.
Ma ci sembra, per di più, di riscontrare ancora una volta quegli elementi
in grado di costituire una memoria comune e una metamemoria: da un lato
abbiamo l’evocazione, l’esposizione e la condivisione dei medesimi oggetti
e testi mediali a livello intra e intergenerazionale; dall’altro troviamo
sia la costruzione di discorsi sulla memoria, sia strategie esplicite
e consapevoli di conservazione di un passato comune (nel duplice senso
del termine: condiviso e banale), ma anche personale e soggettivamente
rilevante in quanto legato, più o meno strettamente, all’identità collettiva
e individuale. In altre parole, ci troviamo di fronte a una fruizione
di quelli che sono a tutti gli effetti dei testi mediali, la quale permette
di recuperare un certo passato e attualizzarlo, rendendolo ancora disponibile
per chi lo ha vissuto a suo tempo e per le nuove generazioni. È come se
questi musei facessero, ancora una volta, da quadri sociali per la memoria
dei loto utenti.
E se nel caso delle esposizioni fisiche ci troviamo di fronte a musei
di concezione classica – il che ci porterebbe probabilmente un po’ lontano
dal concetto di mediateca domestica qui in oggetto – i musei on-line,
fruibili nello e dallo spazio domestico, non solo vanno presi in considerazione
in quanto danno luogo a pratiche di consumo, acquisizione e conservazione
(ad esempio, del materiale scaricabile) del tutto analoghe a quelle relative
a tanti altri oggetti mediali, ma ci obbligano a ripensare il concetto
di domesticità e la dialettica pubblico/privato. Ci sembra questo, a buon
diritto, uno di quei fenomeni che stanno destrutturando i luoghi, i tempi
e i ruoli che, in passato, rendevano forse più agevole circoscrivere e
separare concettualmente l’ambito pubblico e quello privato, mettendone
in discussione i confini.
Chiuderei dunque ponendo alcuni interrogativi che mi sembrano assai pertinenti
in relazione a quanto appena sostenuto e all’obiettivo generale di questa
sintetica ricognizione sul rapporto tra videogiochi, mediateche e identità:
dove sono realmente quando, dal mio ambiente domestico, mi trovo connesso
alla Rete col mio PC ed esploro altri “luoghi”? Quanta parte di me, e
con quali modalità, proietto su tali luoghi producendo appaesamento (Pasquinelli,
2004)? Quanta parte di essi, viceversa, rifluisce nel mio spazio fisico
e relazionale? Come e quanto di tutto ciò conservo, organizzo e riutilizzo,
anche off line?
Note
1] A tal riguardo, se escludiamo
quelle ricerche che hanno indagato la relazione tra un più generico uso
del computer, la frequentazione di mondi e comunità virtuali e giochi
on line, da un lato, e i processi di costruzione del Sé, dall’altro, il
volume di G. Pecchinenda (2003) rappresenta un vero unicum.
2] La definisco in questo modo
pensando e rifacendomi alla letteratura di genere, non certo alle questioni
legate al gender.
3] Cfr. Primo Rapporto Annuale
sullo Stato dell’Industria Videoludica in Italia, pubblicato dall’AESVI
nel settembre 2005 (https://www.aesvi.it/cms/view.php?dir_pk=1100&cms_pk=19).
4] Cercando retrogaming su Google
si ottengono – al 24/09/2008 – ben 2.980.000 risultati!
5] M. Bittanti, La febbre degli
archivi ludici (https://www.videoludica.com/news.php?news=559).
6] Ibid.
7] Ibidem.
8] I più completi e noti sono:
www.classicgaming.com/museum; www.retroplayers.com/consolemuseum; www.vgmuseum.com;
www.phantomcastle.it.
9] www.mediamente.rai.it/articoli/20020515c.asp
(corsivi miei).
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Centro Studi Erickson, Gardolo (TN).
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