Mappe domestiche: la casa e le sue memorie
Marina Brancato (a cura di)
M@gm@ vol.9 n.3 Settembre-Dicembre 2011
OGGETTI E MEMORIA DOMESTICA
Marina Brancato
akirana@hotmail.com
Dottore di ricerca in Scienze antropologiche e docente a contratto
del laboratorio di Giornalismo Internazionale, Università degli studi
di Napoli L’Orientale.
“[…] tre generazioni sono passate per la soffitta,
se ne sono andate e non torneranno
e non ricorderanno nessuna delle cose portate su dalle loro mani
nella speranza che ciò non sia la fine e che la fine non esista”
Hauzmajstor Sulc. Il custode della memoria, M. Jergovic
Premessa
Questo contributo è un ideale viaggio nella memoria attraverso le stanze
che compongono le nostre case. Un itinerario fra gli oggetti che fanno
da sfondo quotidiano alla nostra scenografia domestica. Nello specifico
indagheremo album fotografici, souvenir, ninnoli (mnemoteche domestiche).
Sin dall’inizio abbiamo considerato gli ambienti domestici veri e propri
serbatoi di memorie individuali e collettive. In tali serbatoi i soggetti
depositano tracce delle proprie biografie, esprimendo e confermando progetti
identitari.
Le interviste prese in considerazione in questo paper riguardano, in prevalenza,
trenta-trentacinquenni ambosessi, di varia istruzione, residenti nell’Italia
centro-meridionale (Avellino, Cosenza, Napoli e Roma); sono inoltre presenti
le testimonianze di anziani, e qualche giovane ventenne in quanto ci è
sembrato importante comprenderne sincronie e diacronie. Queste ci hanno
permesso di confermare le ipotesi iniziali del programma di ricerca. Le
mediateche domestiche rappresentano per i soggetti non soltanto depositi
di tracce, ma sistemi dinamici di organizzazione nello spazio delle proprie
conoscenze, dei propri orientamenti temporali e delle proprie identità.
Ovunque lo spazio domestico è un grande deposito mnestico. Tutto ciò che
viene raccolto e conservato ha un ordine, in modo tale da configurare
un teatro della memoria (Yates, 1966): le interviste raccolte confermano
mappe mentali, rappresentazioni del sé e del gruppo famigliare di cui
si fa parte: foto e ninnoli, nello specifico, sono conservati ed esibiti
qualunque sia l’età. L’abitare presuppone l’identificazione con l’ambiente
e l’identificazione significa diventarne amici. Abitare in una casa vuol
dire abitare il mondo e radunarlo in una costruzione concreta. L’uomo
abita quando ha la capacità di concretizzare - conservare, ordinare -
il mondo in cose. Questo è il senso dell’addomesticamento.
1. La casa come luogo affettivo
La parola “abitare” significa qualcosa di più che l’avere un tetto sulla
testa e un certo numero di metri quadrati a disposizione. Innanzitutto
significa incontrare altri esseri umani per scambiare cose, idee e sentimenti:
ossia sperimentare la vita come moltitudine di possibilità. In secondo
luogo significa accettare un certo numero di valori comuni. E infine,
significa essere se stessi, ossia scegliere e mettere in ordine un piccolo
mondo personale.
Secondo G. Bachelard (1975) la casa [1],
nella vita dell’uomo, travalica le contingenze, moltiplica i suoi suggerimenti
di continuità. Se mancasse, l’uomo sarebbe un essere disperso. È quel
punto stabile che trasforma un ambiente in un luogo di abitazione, radunando
significati prescelti che Wittgenstein definisce con “Io sono il mio mondo”.
Tramite la casa si fa amicizia con un mondo e ci si appropria del sostegno
esistenziale necessario all’agire: essa conferma l’auto-identificazione
ed elargisce sicurezza.
L’abitare consiste di orientamento e identificazione. Dobbiamo scoprire
dove siamo e chi siamo affinché la nostra esistenza acquisti di significato.
Uno spazio da abitare che contiene e trattiene: ricettore di esistenze.
Della real life. Con l’altro essere con cui si condivide forzatamente
lo spazio. Se la nostra esistenza è attraversata da parecchi luoghi di
cui abbiamo memoria, la casa è senz’altro il primo di cui ne avremo. Il
punto di riferimento. La sponda a cui tornare. Perché, come confermano
due anziani intervistati, nonostante l’intimità domestica sia qualcosa
di molto personale, di cui forse non è facile rivelare i segreti:
Mi fa piacere parlare della casa mia ( I 11 M).
Nella mia casa tutto è importante secondo me…però si, se ci penso bene
ci sono tante tante cose che stanno là perché sono mie e della mia famiglia,
come vi devo dì signori’ …c’hanno importanza, mi fanno ricorda’ tanti
fatti della vita mia (E I F).
Dunque parlare della propria casa innesca narrazioni più o meno autobiografiche.
La conversazione attraversa i ricordi. Lo spazio domestico nel racconto
diviene luogo di affetto, ma anche luogo che contiene la memoria famigliare
non solo per le vecchie generazioni ma anche per quelle più giovani:
La mia casa ha le sue storie le pareti sono impregnate di storie, e ti
dirò… mi basta guardarle e rilassarmi pensando che su quella parete…quando
avevo 15 anni ci facevo la verticale,invece su quell’altra ci sta ancora
scritta la dedica che mi fece la mia ex ragazza o per esempio il numero
di telefono di un amico preso una notte con una penna al volo mentre ero
al cellulare e non potendo alzarmi lo annotai li sulla parete…in fondo
queste sono cose che ti rimangono dentro,sembrano stupide ma non lo sono..
La casa è sempre stato il luogo sicuro dove correre quando ne si ha l’esigenza:
indubbiamente prima o poi dovrò andarmene definitivamente e forse quello
sarà veramente un momento difficile .( I 10 M)
Se lo spazio è un vuoto da riempire, il luogo è teatro di eventi: in questo
frammento la casa rappresenta un testo: al cui interno s’inserisce una
storia. La casa rappresenta il nostro primo endocosmo (Maraini, 1999).
Il mondo interiore che raccoglie la nostra intimità, le nostre esperienze
traducendole in storie.
Come scrive Maurice Halbwachs (2002):
(…) dal momento che ogni famiglia ha presto una sua storia, dal momento
che la sua memoria si arricchisce di giorno in giorno, i suoi ricordi,
nella loro forma personale, vengono precisandosi e fissandosi, essa tende
progressivamente ad interpretare a suo modo le concezioni che prende a
prestito dalla società. Finisce per avere la sua logica e le sue tradizioni
che somigliano a quelle della società più ampia, perché derivano da essa
e perché le stesse continuano a regolare i suoi rapporti con quest’ultima,
ma che si distinguono, anche, da quella perché si impregnano a poco a
poco della sua esperienza specifica ed hanno il ruolo di assicurare sempre
più la sua coesione e garantire la sua continuità.
Apparteniamo a un mondo di memorie, di ricordi, di racconti, di storie
(che contestualizzano le parole), che vengono condivisi nella nostra casa
fin dai primi attimi di vita: assieme tracciamo il nostro itinerario nel
mondo. Ogni generazione intervistata concorda sul fatto che la casa è
il proprio mondo, lasciarla o perderla comporta il rischio di perdere
il proprio bagaglio di esperienze. Il proprio mondo interiore. Che riflette
quello esteriore.
2. Gli oggetti domestici tra conservazione e memoria
Lo spazio domestico ha la funzione di radunare e di avvicinare cose utili
e inutili. Gli oggetti che conserviamo hanno la funzione di avvicinare
il mondo [2]. L’interno della casa possiede
quindi una virtù: l’interiorità, che agisce da complemento al nostro essere
più intimo.
Ogni casa fa da sfondo alle storie raccontate. Ogni oggetto lascia tracce
di sé (un viaggio, un evento importante) ma anche di noi stessi trasformando
il profilo della casa, percependo sulla scia di Proust i momenti, i colori
e gli odori di quell’eco lontana.
Al di là del valore estetico e del valore d’uso gli oggetti ci trasmettono
emozioni. Essi sono sillabari esistenziali che saldano in un sottile equilibrio
– quello tra ordine e disordine- il consumismo dilagante e l’antica sensualità
del conservare. Sono tracce di una personale e intima mappa esistenziale
e sentimentale (Bruno, 2002): cuciono il patrimonio mnestico della casa.
Ma, nello specifico, cosa si conserva? Perché? Qual è il senso del conservare?
Ci introduce al tema Maria, una donna di 73 anni :
Io conservo tutto…tutto. Quello che mi può servire e quello importante
per me.(…)
Comunque la parte più legata ai ricordi viene conservata, altre si buttano.
La scelta delle cose da conservare è legata sia al ricordo che al gusto.
(E I F)
Ciascuno possiede modalità diverse di conservazione. Ma tutti dicono di
conservare tutto. A qualunque età si appartenga. Conservare è un po’ come
costruire: primi passi verso l’addomesticamento dello spazio. È sia una
pratica che una capacità, quindi un habitus per dirla con Bourdieu.
Tutto…cioè, secondo me bisogna conservare tutto (I 12 M)
La prima impressione è che si conservi sia per inerzia che per nostalgia.
Ma si conserva anche per necessità, per il futuro. Conservare oggetti
costituisce un momento intermedio in cui si realizzano pezzi di biografia,
episodi di vita personale che, anche se frammentari, sono testimonianze
della propria storia. Si è immersi nel presente; l’atto che produce e
conserva gli oggetti , nel presente, ha la pretesa di costruire pezzi
del futuro. La raccolta di cose , di reperti, di materiali rappresenta
una costruzione parallela della propria storia, orientata a trattenere
frammenti di vita vissuta, testimonianze personali bloccate nel tempo,
ricordi materializzati a cui viene assegnato un valore simbolico.
A casa dei miei (…) Un armadio pieno di vestiti, che mia mamma non osa
buttare (…) Secondo lei potrebbero servire a mia figlia (I1F).
Per quanto riguarda gli oggetti, si conserva soprattutto per ricordare.
La loro forza evocatrice ci aiuta a ricordare. Sono necessari alla nostra
memoria. Nello stesso tempo gli oggetti vanno anche esibiti nella ribalta
della nostra casa, che è un po’ una vetrina della nostra identità. Come
dice chiaramente questa intervistata:
… specialmente nella credenza nella sala da pranzo (…) Più la tenevi bene,
più ti potevi vanta’ con gli altri…con chi ti veniva a trovare in casa.
Perché qua dentro, vedi…dovevi fare bella figura…qua ci mettevi i biscotti,
le caramelle… le cose per servire il caffè…che poi pigliavi e offrivi…
(E1F).
Anche per i trentenni il senso del conservare è ugualmente legato al sé:
Conservo molto…conservo un sacco di cose e mi rendo conto anche che ho
difficoltà a buttare via cose…Conservo roba che mi incuriosisce, cose…
(E5M).
Conservo ciò che ritengo importante, a cui sono legata. Ricordi, sì. Molto
in generale direi: libri, dischi, oggettini vari, sui mobili, come vedi.
Le foto. Ho una casa molto piccola come vedi, quindi cerco di non riempirla…
(I1F).
Anche il soggetto che tende meno a conservare, che predilige forme di
arredamento più essenziali e legate alle tendenze di design, contiene
e trattiene un ordine degli oggetti e un senso del conservare sempre legato
ai ricordi. L’hic et nunc della casa viene sempre messo in rapporto con
il mondo delle memorie:
(…) conservo poco…ora, ma da ragazzina conservavo di tutto…bambole, bamboline,
pupazzetti, peluche… poi crescendo ho imparato a buttare di più e a conservare
l’indispensabile. Non che butti tutto, intendiamoci! Ci sono cose che
non butterei per niente al mondo, che ne so… ricordi soprattutto. Ma meglio
conservare poco. Si tende ad accumulare e poi non voglio essere troppo
legata alle cose (I2F).
Siamo circondati di cose: non esiste spazio domestico vuoto. In casa si
trovano gli oggetti che conosciamo e prediligiamo, “cose” che abbiamo
portato con noi dall’esterno, e con cui viviamo, perché rappresentano
il”nostro mondo”. Li usiamo nel nostro quotidiano: guardandoli, prendendoli
tra le mani e godendo del loro significato.
gli oggetti poggiati sui mobili, sono regali oppure qualcuno come questo
[un vaso] li abbiamo comprati in viaggio. Ti ripeto: sono un’appassionata
di souvenir di viaggio… ma non di quelli classici di solito sono pacchiani.
Adoro invece, che ne so…portarmi dietro una pianta, una pietra…anche semplicemente
i bicchieri per la birra di un pub[ride]… (I2F).
Per altri conservare significa anche riutilizzare:
Mi piace conservare tutti i ricordi dei posti dove vado: cartoline, ritagli,
foto, depliant. Qualsiasi cosa. Anche, diciamo, libri, libretti particolari
dove ci sono immagini che mi possono interessare. Poi vabbe’ qualsiasi
tipo di cianfrusaglie perché vabbe’ ne sono piena. Ma oggetti particolarmente
inutili che non hanno nessun tipo di scopo, che mi piacciono a livello
estetico. Per esempio ci sono un sacco di[breve pausa]ma poi alla fine
neanche tanti oggetti… diciamo che io tendo a conservare gli oggetti poi
per riutilizzarli. Per esempio io non c’ho un comodino: ho conservato
un forno a microonde e c’ho fatto il comodino; non c’ho un tavolino: mi
sono presa un divieto di sosta e c’ho fatto il tavolino…quindi qualsiasi
tipo di oggetto, sostanzialmente, che poi posso riutilizzare. Però, diciamo,
non c’è un qualcosa di specifico. Conservo un po’ di tutto, conservo anche
quaderni, libri, che ne so, posa-ceneri. Qualsiasi tipo di cosa (I13F).
Il rapporto tra l’uomo e gli oggetti che gli stanno intorno è un rapporto
storicamente complicato. Hanno segnato e continueranno a segnare il percorso
dell’umanità. L’oggetto rappresenta una realtà autonoma sfuggente, articolata.
Ci fanno compagnia e ci danno sicurezza. Gli oggetti, scrive Jedlowski
(2005), come le merci servono per desiderare. Sono ancore della nostra
identità (ibidem, p. 121).
Gli oggetti sono portatori di un animismo che è all’origine di quel rapporto
singolare che intrattengono con gli uomini. Micropresenze dei fondamenti
domestici ci trasmettono sicurezza. Forse perché viviamo nelle cose che
ci circondano. Ci rassicurano compensando il tempo che fugge. Se la casa
per dirla con Hall (1968) è il nostro corpo inorganico allora gli oggetti
domestici sono il prolungamento della nostra esistenza. Raccontano di
noi.
Sparsi nelle nostre case rappresentano un riferimento quotidiano fondamentale
nello spazio domestico. Sono icone che accompagnano silenziosamente la
nostra vita (Ciriello, Gnocchi, Molteni 2008). Sono memoria: ricordi che
sopravviveranno. In qualche modo sono il nostro barlume di eternità.
Gli oggetti domestici sono memoria materializzata (Maldonado, 2005); la
casa rappresenta l’hortus conclusus della nostra vita privata, attraverso
il riconoscimento e il ricordo di spazi e oggetti, si riaffermano il senso
di appartenenza e la certezza che questo costituisca parte della propria
essenza di vita
Essi continueranno a vivere nonostante la nostra finitudine.
(…) infatti sono importanti. Però non infinite. Perché la fine che faremo
è sempre una…e non possiamo portarci dietro tutto…l’importante è lasciare
le “cose” a chi resta. Io penso solo a mio figlio, a ciò che gli trasmetterò.
Poi le cose vengono dopo…è normale che sia importante lasciare tracce,
come dici tu…in effetti fare tutti i video a mio figlio ne è un esempio…Ma
io mi riferisco a cose materiali che possono rompersi o perdersi col tempo.
E poi va bene lo confesso…ritorno sempre all’ordine e alla mia poca volontà
di fare le faccende domestiche (I2F).
3. L’assurdità dell’ordine
Gli oggetti e l’ordine che gli conferiamo nell’esporli in determinati
spazi, piuttosto che in altri, sono il filtro della complessità della
nostra esistenza.
Tutti gli intervistati si proclamano più o meno disordinati, poiché il
disordine è sempre l’ordine di un altro (Pasquinelli, 2004):
(…) immediatamente ti risponderei: non impazzire. Mio padre è una persona
molto disordinata… ed io credo di aver sviluppato degli anticorpi al suo
disordine. A casa dei miei avevo una certa fissazione nel mettere ordine.
Per me oggi, però significa soprattutto non impazzire nella ricerca delle
cose. Mi piace classificare, archiviare, mettere in fila le cose. Ma non
sempre è possibile. La fretta, la vita di tutti i giorni non me lo permette
come vorrei.( I 1F)
… Domanda difficile. Non lo so…l’ordine è personale, è individuale. Non
saprei proprio come risponderti. Certo è che io mi ritengo una persona
ordinata. O faccio di tutto per esserlo. Cerco di non perdermi in cataste
di cose (I 3M).
Fare ordine? Significa tanto…soprattutto tenere sotto controllo, non rimanere
sommersi. Ma penso sia una questione soggettiva. Ognuno bene o male è
ordinato seguendo un proprio schema di classificazione. Che può essere
meno ordinato di un altro…o più ordinato…Non saprei ( I4M).
… Ordinata nel mio disordine. Io sono disordinata per gli altri, ma so
esattamente dove sono le mie cose, anche se apparentemente è il puro caos.
Si, però io sono disordinata, perché oggettivamente c’è disordine, si,
nella mia stanza chi entra vede il disordine (I9F).
Per me è l’ordine è più che altro un ordine mentale che deve esserci,
l’ordine materiale deve seguirti. Anche se proprio non perfetto non me
ne frega niente (I15M).
Per un anziano, è lo stesso:
Non lo so se sono ordinato…ci sono periodi in cui non lo sono. Poi è logico,
è relativo. Cosa significa per te fare ordine…[breve pausa] Ma… in queste
cose dei libri, dei dischi, delle foto…devo esserlo…fa parte della cura
che si ha per la casa. Sembra quasi una domanda che esige una riposta
filosofica! È complicata! Credo che fare ordine, perdona la ripetizione,
significa anche fare ordine nella nostra vita. Vedi anche questa cosa
di cambiare ordine ai libri, alle cose che mi stanno intorno, in casa…ad
esempio, rispecchia il fatto che ho bisogno di continui cambiamenti. Fare
ordine vuol dire anche cambiare schema mentale a volte. Credo sia così…ma
ci devo pensare ancora un po’…(I11M)
Sul significato del concetto di ordine sembra esserci una contiguità tra
ordine domestico e ordine morale.
Mettere in ordine la casa appartiene ai fondamenti stessi del nostro essere-nel-mondo.
Heidegger sosteneva che essere significa abitare nel mondo, e riprendendolo
Ernesto De Martino (1977) vedeva nell’atto stesso di mettere in ordine
una forma di appaesamento, che fa del mondo qualcosa di familiare in cui
riconoscersi. Ordinare la propria casa diventa un atto ontologico (Pasquinelli,
2004): la maniera in cui il soggetto si radica nel mondo - lo abita -
e in qualche modo lo fonda, nel senso che se ne appropria interiorizzandolo
e nel contempo lo colonizza proiettandovi una parte di sé.
Attraverso l’ordine degli oggetti noi addomestichiamo lo spazio. Naturalmente,
la conservazione e l’ordine dipendono dalla qualità e dalla quantità dello
spazio:
Non avendo un soggiorno, ad esempio, è la cucina lo spazio dove espongo
i soprammobili, ad esempio[ indica delle mensole]. Quelle invece sono
le passioni di mio marito: ggetti antichi. È un appassionato di antiquariato.
Ma ogni volta che andiamo in giro per mercatini devo ricordargli di quanto
piccola è la nostra casa. Quadri pochi. Un paio ricevuti in regalo per
il matrimonio, da mio padre. Poi… conservo gli anelli di mia madre, che
me li ha regalati. E poi i disegni dei bambini…cerco di conservarli tutti.
Alcuni, come vedi, li appendiamo per la casa. Da piccola io amavo disegnare…mio
padre li ha conservati tutti, ed io cerco di fare lo stesso con i miei
figli (I1F).
Ma ordinare e collocare gli oggetti vuol dire anche ancorare lo spazio
alla storia della famiglia. Esporlo sulla scena, della casa. Ciò conferma
le ipotesi che vedono lo spazio domestico un vero e proprio teatro della
memoria.
Come dice Salvatore, a 73 anni:
Là sopra [su una mensola della libreria, dentro un vaso] ci sono i fiocchi
che stavano nel pan brioche uno della prima comunione di Luca e l’altro
del battesimo di Gaia e Marco. Lì [su un mobile bar accanto al tavolo]
ci sono le spighe che stavano sull’altare della prima comunione di Luca.
Questi poi [su una mensola dietro il divano] sono i melograni che stavano
sull’altare quando si sono sposati Luca e Silvia (I15M).
Una delle condizioni dell’ordine è scegliere e scartare. Gli oggetti non
sono solo quelli visibili, esposti sulla ribalta domestica. Cantine, soffitte
sono il rovescio, il retroscena sospeso, il magazzino degli attrezzi della
casa:
… un garage, ma non lo usiamo per parcheggiare la macchina. Ci conserviamo
cose che non usiamo più. I passeggini ad esempio, che ne so… la culla.
Qualche elettrodomestico. Collezioni di DVD per bambini che non vediamo
più. E poi, vabbe’ le conserve…Poi, poi vestiti, coperte. Ad ogni cambio
di stagione. Insomma ci manteniamo ordinati in casa. Ah sì… i giocattoli.
Naturalmente quelli che non usano più (I1F).
… in mansarda. Lì ci tengo libri vecchi italiani, il mio cavallo a dondolo…Giocattoli
miei e di mio fratello. Anche mobili vecchi, abbiamo comprato, con gli
anni altri mobili mano a mano che la casa finiva di essere costruita…ma
visto che la mansarda è grande e che potrebbe starci benissimo un altro
appartamento abbiamo pensato di non mettere alla rinfusa le cose vecchie,
quindi i mobili sono conservati i modo da mettere in ordine le cose che
non usiamo più (I2F).
Il letto della mia stanza da letto era tutto scassato io l’ho impacchettato
bello bello… e l’ho portato giù in cantina (…) Ci sta un trenino dei miei
figli, una culla di 40 anni fa, tutta la camera oscura di mio marito,
e la sua bicicletta… ha vinto pure delle coppe, perché faceva le gare…le
coppe stanno nella sala da pranzo [me le mostra] (…). Però la cantina
è ordinatissima. Vero. Lì ci sta tutta la mia vita e ogni tanto ci vado.
Però ogni tanto (E1F).
Cantine e soffitte sono uno spazio dotato di purezza della capacità rievocativa
(Starace, 2004), un luogo in cui il tempo si è fermato ed in cui l’ordine
segue significati diversi. Forse qui c’è la prima negoziazione domestica.
Che è una negoziazione spaziale; riguarda l’ordine dello spazio, la sua
capacità di memoria: non osiamo buttare quell’oggetto e lo collochiamo
in un mondo sospeso.
4. Album e foto di famiglia
Come per gli oggetti di famiglia e le eredità materiali, le fotografie
sono tracce del passato che possono mantenere una funzione oppure perderla,
essere abbandonate o dimenticate. Tra gli oggetti domestici le foto di
famiglia [3] sono vie di scampo dall’oblio
(Formanti, 2000) che consentono una rivisitazione in ogni momento.
Esse assumono un ruolo di testimonianza - documento che è insieme sia
pubblico che privato, sono una messa in scena per sé ma anche per gli
altri. Hanno una funzione speciale poiché costituiscono un’area intermedia
tra gli oggetti in generale e i prodotti mediali.
Grazie agli album di famiglia è possibile tracciare il cammino storico-
sociale della famiglia, stabilire differenze, passaggi, trasformazioni.
Essi contribuiscono all’autobiografia domestica. La fotografia esiste
in virtù della sua funzione famigliare, o meglio della funzione che le
conferisce il gruppo famigliare: solennizzare ed eternare i grandi momenti
della vita famigliare (Bourdieu, 1972). L’album di famiglia esprime, dunque,
la verità del ricordo sociale.
Gli anziani, come alcune donne trentenni prediligono la vecchia fotografia.
Talvolta strizzando l’occhio al digitale e liberando la strada all’impalpabile:
ti dicevo che le salvo sul CD. Ma a dirti la verità non amo molto questa
tecnologia. Per me la foto rimane quella classica. La vecchia foto. [va
a prendere delle scatole e degli album]… Vedi quante ne ho. Della mia
infanzia, la mia famiglia, il matrimonio, la nascita di Luigi e Agnese.
Tutto qui. E poi ci piace guardarle insieme. Soprattutto i bimbi, le prendono
e cominciano a guardarle. Adorano chiedere della mia infanzia. È come
ascoltare delle storie per loro (I 1F).
Descrivere i ricordi di casa è un’importante operazione dei sentimenti,
è un patrimonio di gesti, parole, scelte che influiranno inevitabilmente
sul futuro di chi ci sta intorno. Così come ricostruire volti e luoghi
con parole o immagini aiuta a capire chi siamo.
Alcune sono negli album, altre sono ammucchiate così.. in una scatola
nell’ armadio. Senza ordine, perché ogni tanto le tiriamo fuori e le riguardiamo(...)
Nella sala da pranzo ci sono i miei fratelli nel giorno del matrimonio,
i miei nipotini, prime comunioni, battezzi. Nella mia stanza invece ci
sono foto della mia gioventù [risata], di mio padre. Papà amava fotografare
ogni fase della vita famigliare. Da quando eravamo piccoli fino a quando
ha potuto (E1F).
Quelle in cui ero piccolissimo parlavano da sole…non potevo ricordarmi.
Mia madre mi ha aiutato. Quelle che ne so delle gite scolastiche sì, della
prima comunione…allora le ho raccontato chi c’era, mi sono venute in mente
situazioni divertenti (I 8M).
Album, foto, in quanto prodotti home made sono tentativi di costruzione
autobiografica, e a volte anche progetti di trasmissione della memoria:
Quando è nato Giuseppe abbiamo comprato una videocamera digitale. Ed ora
ci stiamo sbizzarrendo a riprenderlo (…) sono tutti classificati per data
e momenti… Mi piace pensare che da grande si vedrà amato…e girato in ogni
piccolo momento della sua vita (I2F).
Per altri, invece, proprio come in un teatro della memoria, esporre le
foto significa condividere e fa parte di una forma molto particolare di
ospitalità :
Foto ce ne sono abbastanza: è un’altra cosa che è uscita dopo. Un po’
le cose sono legate ai ricordi. Quelle delle foto è il ricordo con Fausta
di Perugia, loro hanno questa cosa qua delle foto. Che poi è una cosa
anche carina, che mi sono accorto quando fra un anno vai a trovarli loro
tirano fuori delle foto, nell’accoglienza no?! Nel mettere in qualche
angolo della casa anche delle foto che sono in comune. Mi sono accorto
che sono diverse poi, le cambiano, le mettono quando tu stai per arrivare…,
fanno parte dell’accoglienza: questa cosa la metti lì, fa sentire una
condivisione (E 4M).
Ci sembra però che il loro ordine dipenda dalla trasformazione tecnologica:
con il digitale si tende ad essere più ordinati, a tenere sotto controllo
l’accumulo:
a me piacciono tanto le foto. Infatti ogni tanto abbiamo un paio di cassettoni
proprio pieni di foto, solo il fatto che sono tutte non molto ordinate[ride]
sono messe un po’ alla rinfusa. Io ogni tanto me le vado a guardare e
me le vado a rubare qualche foto da mettere in camera mia.
(…) Ad esempio capita che uno fa tante foto in una circostanza che ne
so un compleanno, allora uno scrive “compleanno tizio” e ci mette tutte
le foto; pure “ferragosto 2008” e ci mette tutte le foto del ferragosto[ride]giusto
così, per avere un po’ di ordine all’interno del computer (I 13 F).
Le foto sono tutte al computer. Le trasferisco dalla macchina fotografiche
direttamente al computer. Stesso procedimento: cartella, foto. Raggruppo
per giorno, momento particolare, festa(…)Le foto di famiglia le conserva
mia madre. Qualche album anche mio padre. Ma gli album sono giù dopo ti
faccio vedere, se vuoi. Mia mamma è una persona molto ordinata, è capace
di raccogliere tutto e ordinarle per bene (I8M).
Si assiste, quindi, almeno per quanto riguarda i giovani, ad un veloce
adattamento delle pratiche al cambiamento dei supporti. Tuttavia le foto
con la loro capacità immediata di evocare storie e ricordi sono molto
legate ad un altro tipo di rapporto, quello tra conservazione e morte.
Tutti i rituali che hanno a che fare con la morte si sono lentamente de-ritualizzati
(Elias 1987). Quando è meno chiaro cosa fare si danno risposte individuali
specifiche. Le foto diventano fuggevoli resurrezioni, attimi altrimenti
perduti. Forse per questo motivo c’è chi, in situazioni di assenze dolorose,
preferisce occultarle in luoghi difficilmente raggiungibili all’occhio
e al ricordo.
Non faccio più foto. Le mie sono tutte in questa scatola, sono foto che
vanno dall’infanzia all’adolescenza e così via…fino ad una decina d’anni
fa. Non ho foto digitali (…) Le altre quelle della mia famiglia sono nascoste
da mia madre. In un ripiano della credenza, e forse qualche album nella
sua stanza. Ma non le vediamo mai.(…) Be’ sì nascoste, sai di mio fratello.
Rivedere quelle foto, è doloroso per tutti. Ancora oggi che sono passati
tredici anni (I4M).
Per le vecchie generazioni invece il ricordo dei defunti era e continua
ad essere un atto di fede, di devozione:
Poi ci stanno le foto di mio marito, di mamma e papà e dei mie suoceri.
[Un tipico altarino commemorativo n.d.r.]. Mia figlia dice che i morti
vanno ricordati allegramente, invece come li metto io gli fanno paura.
Ma io sono abituata così, così li voglio ricordare. In casa mia, quand’ero
giovane, così si ricordavano i morti… (E1F).
Foto e album di famiglia racchiudono sia il senso delle relazioni che
stabiliamo con gli altri, sia la nostra concezione di pubblico e di privato;
può trattarsi, infatti, di qualcosa che ha a che fare con il mostrare
e l’apparire, del gruppo famigliare come per il singolo,se ci teniamo
a trovargli una giusta collocazione in modo che possa essere ammirato.
Spesso le foto possono generare censure, come abbiamo visto: situazioni
spiacevoli o imbarazzanti portano a nasconderne, occultarne le tracce
o semplicemente a sbarazzarsene.
5. Negoziazioni, conflitti e censure: memoria individuale versus
memoria collettiva
Oltre ad essere un mondo di significati lo spazio domestico è anche un
mondo di relazioni, spesso conflittuali e complesse. Uno spazio messo
di continuo in discussione, segnato da corpi ma anche da molteplici memorie.
La memoria individuale trova luogo ed espressione negli spazi più intimi,
nella propria camera o nello spazio dedicato al lavoro.
Nella mia camera conservo le mie foto i miei poster di moto soprattutto,
come vedi (I10M)
In camera mia non ce ne sono quadri di mia madre, anche perché non me
li farebbe mettere visto che è molto gelosa delle sue cose. E poi penso
che le faccia più piacere averli qua, dove alla fine[breve pausa]…diciamo
al di fuori della mia stanza non mi sento molto libera di poter aggiungere
oggetti, di poter spostare o combinare i mobili come voglio io nel resto
della casa(I 13F)
La memoria individuale è più forte tra i giovani, mentre i trenta-quarantenni
sposati sono più protesi ad una naturale condivisione. Talvolta questo
dipende anche dalla capacità dello spazio:
negli altri spazi non stiamo anche perché…diciamo che mia madre si fa
principalmente i fatti suoi. Per tutto il resto del giorno, cioè non è
che ci sta sempre…però poi alla fine l’ambiente è quello che è. Insomma
in casa t’incontri, non è che…[ride] quindi sostanzialmente stiamo sempre
in camera mia. Sempre. Anche perché poi abbiamo pensato a lasciarci dentro
tutte le cose possibili per non andare a cercare fuori altre cose. Infatti
c’è Sky, Playstation, computer, stereo, musica. C’è tutto, quindi…siamo
barricati là (I13F).
Sulla ribalta – sala, salotto, soggiorno – si rappresenta, l’ideale di
armonia famigliare, socialmente definito e unito: è la parte dell’interno
domestico che si può aprire al mondo esterno. Qui viene esposta la memoria
collettiva del gruppo famigliare.
Foto in casa le conserva mia madre nel comò del salotto…dove ha tutte
quegli oggettini che ti regalano... vabbe’ le bomboniere (I10M).
Laddove c’è condivisione, soprattutto tra i giovani, c’è qualche forma
di negoziazione:
Perché alla fine non è che gli importi molto a lui di quello che c’è dentro
la stanza a livello estetico di immagine, però alla fine, certo, se lui
mi fa una proposta mi dice: “perché non mettiamo questo, quello?” per
me non ci sono problemi. avevamo organizzato sulle pareti con tutti questi
ritagli, queste cose la mappa, l’itinerario del viaggio che avevamo fatto.
Quindi anche lui ogni tanto si cimenta, però poi sono sempre io che appiccico
qualcosa che inserisco cose nuove. Poi, lui dipende perché anche lui mi
ha portato tanti oggetti da mettere in stanza. Per esempio dei ricordi
di alcuni viaggi dei suoi amici, anche li mi ha portato … ecco dei poster,
però vabbe’ dipende… la scelta di quello che ci sta dentro… sono aperte
qualsiasi tipo di proposte (I13F).
Per altri invece addirittura divieti:
Io poi sono molto riservata, non terrei cose mie in uno spazio condiviso,
se non per necessità, perché le mie cose mi piace tenerle riservate, mi
piace tenerle per me (I9F).
Le altre quelle della mia famiglia sono nascoste da mia madre. In un ripiano
della credenza, e forse qualche album nella sua stanza. Ma non le vediamo
mai.(…) Be’ sì nascoste, sai di mio fratello. Rivedere quelle foto, è
doloroso per tutti. Ancora oggi che sono passati tredici anni.
Ci sono poi le memorie dei figli che sono andati via, le cui stanze rimangono
ingessate nel tempo, ma da cui ogni tanto si può anche attingere:
Però tanti mobili, ad esempio, quelli della camera delle mie sorelle sono
tutti rimasti sopra, cioè gli armadi, le reti, i letti, i comodini… tanti
oggetti che loro avevano in camera loro e che poi sono passati all’interno
della mia stanza. Scatole, insomma cianfrusaglie varie. Sono sempre rimaste
(I13F).
Cantine e soffitte, invece, riuniscono il senso del noi (anche se in modo
per lo più involontario): qui s’incontrano memorie individuali e memorie
collettive.
Lì ci tengo libri vecchi italiani, il mio cavallo a dondolo…Giocattoli
miei e di mio fratello. Anche mobili vecchi, abbiamo comprato, con gli
anni altri mobili mano a mano che la casa finiva di essere costruita…ma
visto che la mansarda è grande e che potrebbe starci benissimo un altro
appartamento abbiamo pensato di non mettere alla rinfusa le cose vecchie,
quindi i mobili sono conservati i modo da mettere in ordine le cose che
non usiamo più (I 2 M).
La casa appare come uno spazio organizzato simbolicamente, in cui gli
oggetti fissano i significati e li rendono visibili ai membri della famiglia
e ai suoi visitatori esterni. Ma anche uno spazio intersecato da innumerevoli
dinamiche, intime, di comunicazione e condivisione interpersonale e sociale.
Qualunque sia l’oggetto domestico, esso incarna produzioni di significato
all’interno delle relazioni famigliari. Ci sono infatti significati più
e meno condivisi all’interno del gruppo famigliare: gli oggetti e la loro
collocazione ci parlano così di conflitti, mediazioni, e a volte censure.
Nonostante l’evidente immersione in una cultura che invita al consumismo,
gli oggetti nelle case continuano ad accumularsi.
Note
1] Sul tema della casa rimandiamo
a: Ariés, Ph., Duby, G.1985-87; Pasquinelli, 2004; Cieraad, 1999.
2] Per una più ampia argomentazione
in proposito rimandiamo a Bartoletti 2001, 2002; Leonini 1999; Jedlowski
2005, Semprini 1999).
3] Rimandiamo a Bourdieu, 1972;
De Luna, G. et al. , 2002; Demetrio 2002.
Bibliografia
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Bachelard, G. (1975): La poetica dello spazio, Bari, Dedalo.
Bartoletti, R. (2002): La narrazione delle cose. Analisi socio-comunicativa
degli oggetti, Milano, Angeli.
Bartoletti, R. (2001): Uso simbolico degli oggetti e negoziazione dello
spazio domestico, in P. Faccioli (a cura di) In altre parole. Idee per
una sociologia della comunicazione visuale, Milano, Angeli.
Bourdieu, P. (a cura di) (1972): La fotografia. Usi e funzioni sociali
di un’arte media, Rimini, Guaraldi.
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Syracuse, Syracuse University Press.
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domani. Oggetti Icone, Milano, Panini.
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Meltemi.
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apocalissi culturali, Torino, Einaudi.
Elias, N.(1987): La solitudine del morente, Bologna, Il Mulino (ed. or.
1939).
Fabietti, U. , Matera, V. (a cura) (1999): Memorie e identità. Simboli
e strategie del ricordo, Roma, Meltemi.
Leonini, L. (1991): Gli oggetti del ricordo, il ricordo degli oggetti,
in P. Jedlowski, M. Rampazi (a cura), Il senso del passato, Milano, Angeli.
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e routine, Bologna, Il Mulino.
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prospettiva digitale, Milano, Feltrinelli.
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la casa, Milano, Baldini e Castoldi.
Perec, G. (1989): Specie di spazi, Torino, Bollati Boringhieri.
Semprini, A. (a cura) (1999): Il senso delle cose. I significati sociali
e culturali degli oggetti quotidiani, Milano, Angeli.
Starace G. (2004): Il racconto della vita. Psicoanalisi e autobiografia,
Torino, Bollati Boringhieri.
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