La somatizzazione della precarietà
Roberta Cavicchioli e Andrea Pietrantoni (a cura di)
M@gm@ vol.9 n.2 Maggio-Agosto 2011
IL PROBLEMA DELLA RAPPRESENTANZA SINDACALE DEI LAVORATORI ATIPICI: CAUSE, EFFETTI E POSSIBILI RIMEDI
Andrea Pietrantoni
pietrantoniandrea@libero.it
Ricercatore nell'ambito delle relazioni industriali e sindacali, ha conseguito un Phd in “Scienze del Lavoro”, ha collaborato con vari enti e organizzazioni attive nel settore. E' l'autore di studi e inchieste sull'occupazione.
Il problema della rappresentanza dei lavoratori atipici
può essere affrontato da diverse prospettive. Lo si può fare analizzandolo
dal punto di vista del sindacato , dal punto di vista dei lavoratori o
infine dal punto di vista dell’impresa. Gli attori sociali che entrano
in gioco in questa analisi sono appunto tre : il sindacato, i lavoratori
atipici e l’impresa. Quello che segue è un tentativo di argomentare il
problema della rappresentanza sindacale dei lavoratori atipici centrando
il focus dell’analisi sui lavoratori e sui motivi che li spingono a decidere
se aderire o no al sindacato.
In primo luogo, dopo aver trattato dei nuovi rischi del mercato del lavoro
di cui fa parte anche lo stesso problema della rappresentanza dei lavoratori
atipici, cercherò di spiegare i motivi che stanno alla base dell’assenza
di mobilitazione di questo tipo di lavoratori, confermata anche dai dati
empirici. In secondo luogo, mi soffermerò sulle conseguenze derivanti
da questa assenza e sui meccanismi alternativi di protezione dei lavoratori
atipici. In ultimo, cercherò di concludere spiegando che il problema della
rappresentanza dei lavoratori atipici non è solo un problema relativo
a certi diritti di cui sono esclusi i lavoratori ma anche un problema,
non meno importante, relativo alla funzione di coesione sociale del sindacato
per questi stessi lavoratori.
1. La difficoltà di mobilitazione dei lavoratori atipici
Entro la categoria “contratto di lavoro atipico” esiste una pluralità
di tipi di contratto e di condizioni di lavoro difficilmente tra loro
equiparabili: si va dal part-time a tempo determinato fino al nuovissimo
“non contratto” di lavoro pagato in voucher nel settore dei lavori di
cura (Saraceno 2005). Il lavoro atipico si definisce in generale a partire
dall’assenza di una o più caratteristiche del rapporto di lavoro standard,
ovvero la durata indeterminata del rapporto avviato, l’orario a tempo
pieno, la definizione di un preciso status e di una precisa collocazione
in una divisione del lavoro organizzata (Ballarino 2002). Il fenomeno
per cui le forme contrattuali atipiche possono coprire rapporti di lavoro
standard denota che esistono forme contrattuali atipiche senza necessariamente
modalità di rapporto di lavoro atipico.
Il fenomeno risulta eterogeneo e ciò ha un’importante conseguenza costituita
dall’ ulteriore forma di segmentazione del mercato del lavoro e della
forza di lavoro, non solo rispetto ai lavoratori con contratti standard,
ma anche all’interno dei lavoratori atipici. E proprio questo secondo
aspetto risulta importante per l’analisi dell’ assenza di motivazioni
dei lavoratori atipici ad istituire un rapporto di rappresentanza. Prendiamo
in esame i lavoratori a part-time, i lavoratori a tempo determinato, i
lavoratori interinali e infine i lavoratori parasubordinati (collaborazioni
e prestazioni d’opera). Partendo dai primi, si può dire che le difficoltà
relative alla motivazione del lavoratore ad aderire a qualche forma di
rappresentanza sindacale, risiedono non tanto nel rapporto di lavoro che
gode degli stessi diritti del lavoro standard ma nella motivazione stessa
all’adesione. Motivazione che risulta assente in quanto foriera soltanto
di costi in proporzione al tempo dell’investimento lavorativo. Anche per
i lavoratori a tempo determinato si possono trarre le stesse conclusioni
dei lavoratori part-timer anche se in aggiunta va detto che una difficoltà
ulteriore all’iscrizione al sindacato è rappresentata dal timore di questi
lavoratori che un’eventuale adesione comprometterebbe la loro riconferma
da parte dell’azienda. Per i lavoratori interinali il discorso è “sui
generis”. In questo caso gli attori in gioco sono tre: lavoratore, azienda
fornitrice e azienda utilizzatrice. Se è vero che il lavoratore è dipendente
dalla seconda è anche vero che i contenuti giuridici e contrattuali del
rapporto di lavoro e conseguentemente gli eventuali benefici di un’eventuale
contrattazione derivano dalla prima. Quindi, c’è innanzitutto una difficoltà
alla base della struttura di questo tipo di rapporto lavorativo che rende
complicata l’adesione del lavoratore al sindacato. Ma non basta. A complicare
l’adesione del lavoratore al sindacato bisogna aggiungere la dispersione
territoriale dei lavoratori interinali e secondo Ballarino (2005, p. 174-190)
“una mancanza di fiducia nella capacità del sindacato di rappresentare
adeguatamente gli interessi, mancanza di fiducia di cui parlano i lavoratori
atipici vicino al sindacato per motivi personali (politici, ideologici,
familiari) e che cercano di coinvolgere nel loro impegno colleghi privi
di queste motivazioni”. Infine il caso dei lavoratori parasubordinati.
Qui le difficoltà all’adesione risiedono nella mancanza della tutela dei
diritti sindacali, nella regolazione giuridica del rapporto di lavoro
e nella conseguente difficoltà per l’instaurazione del rapporto di rappresentanza
che richiederebbe alla base una forte motivazione volontaristica sia da
parte del lavoratore che da parte del sindacato. Le cose si complicano
per i prestatori d’opera con partita IVA che formalmente sono imprenditori
e non lavoratori e ciò complica la comunicazione tra lavoratore e sindacato
e rilancia l’organizzazione di questi interessi nella competizione tra
sindacato dei lavoratori e organizzazioni datoriali.
A livello generale bisogna poi citare la teoria delle aspettative di status
che influisce sulla mobilitazione dei lavoratori atipici. È il caso delle
intervistatrici del settore delle ricerche di mercato e dei sondaggi di
opinione concentrato nazionalmente a Milano che a fronte delle negative
condizioni lavorative si sono mobilitate consentendo l’accordo Assirm-Nidil,
che può essere visto come il primo contratto nazionale di lavoro per lavoratori
non dipendenti. Ed è il caso anche degli istruttori di nuoto del Comune
di Milano che nonostante le loro condizioni lavorative peggiori di quelle
delle intervistatrici non si sono mobilitati. La spiegazione di questo
diverso comportamento va ricondotta al fatto che le intervistatrici hanno
presentato maggior disponibilità alla mobilitazione per il maggior investimento
nel lavoro che le caratterizza. Esse non hanno grandi possibilità di trovare
un lavoro migliore, e sono soddisfatte della loro attività in quanto tale.
Al contrario gli istruttori di nuoto sono giovani e istruiti e con buone
prospettive di carriera in un mercato del lavoro teso come quello milanese.
Non vi è reale investimento nel lavoro, se non funzionale alla loro indipendenza
economica dalla famiglia. Le aspettative di status cercano risposta nella
carriera universitaria e nella vita sociale che la circonda, in attesa
di un lavoro adeguato (Ballarino 2002). Ciò conferma le acquisizioni della
teoria sociologica dell’azione collettiva secondo cui, diversamente dal
senso comune, non sempre si mobilita chi ne avrebbe più bisogno, anzi
spesso l’azione collettiva parte dai livelli medio-alti della stratificazione
occupazionale (Pizzorno 1980).
A conferma di queste tendenze soggettive relative alla mobilitazione dei
lavoratori atipici, sono i dati relativi agli iscritti alle organizzazioni
apposite per gli atipici, relativamente autonome ma inserite nel complesso
dell’organizzazione sindacale [1].
L’adesione dei lavoratori atipici al sindacato è dunque un problema complesso
che al di là delle scelte soggettive dei singoli è riconducibile in ultima
analisi all’elemento oggettivo dell’eterogeneità dell’universo atipico
che indebolisce gli incentivi identitari, che hanno un ruolo importante
e a volte determinante ai fini dell’azione collettiva e, quindi della
stessa rappresentanza sindacale (Pizzorno, 1980). Tuttavia, la scelta
dei singoli soggetti nell’aderire o no al sindacato è razionale in termini
di costi-benefici: “rational, self-interested individuals will not act
to achieve their common or group interests” (Olson 2005). Ma il problema
non è a livello micro dove appunto le scelte sono razionali, ma a livello
macro. Infatti le decisioni auto-interessate dei singoli soggetti atipici
non portano a un’azione collettiva che a sua volta potrebbe avere esternalità
positive a livello micro del singolo soggetto. I motivi di questa azione
collettiva mancata rientrano nel problema più generale che riguarda anche
l’adesione dei lavoratori standard al sindacato. Infatti, in assenza di
informazione, benefici selettivi, vincoli morali e coercitivi ci troviamo
di fronte alla scelta del singolo come attore che si comporta da “free
rider” e che preferisce il meccanismo di uscita ai meccanismi di lealtà
o protesta che presuppongono l’azione collettiva e l’adesione al sindacato.
Quindi, andando oltre il problema delle scelte motivazionali dei singoli
lavoratori atipici, passando dal problema dell’eterogeneità, si arriva
infine a considerare, a mio avviso, il problema dell’azione collettiva
in cui rientrano anche le scelte dei lavoratori standard nell’adesione
al sindacato. Ma il problema dell’azione collettiva dei lavoratori atipici,
è ben più grave di quello dei lavoratori standard. Infatti, se nel caso
dei lavoratori standard il problema è ridimensionabile per la ormai lunga
e consolidata tradizione del sindacato che riveste un ruolo autorevole
di primaria importanza (anche se leggermente in diminuzione se guardiamo
i dati relativi alla densità sindacale in tutta Europa) nella regolazione
delle relazioni industriali e che ha consentito forme di protezione per
quel tipo di lavoratori, nel caso dei lavoratori atipici in assenza di
diritti e garanzie, il problema si fa più pesante, almeno per ora. Inoltre,
a differenza di quanto avviene per i lavoratori standard, nel caso dei
lavoratori atipici è sempre l’eterogeneità ad avere un ruolo di primaria
importanza nella spiegazione della mancata adesione al sindacato di questi
lavoratori. Perché, come già detto, è proprio l’eterogeneità dei lavoratori
atipici ad indebolire gli incentivi identitari e conseguentemente l’azione
collettiva facendo ricadere la scelta di aderire al sindacato all’interno
delle diverse motivazioni individuali. L’eterogeneità dei lavoratori atipici
potenzia il problema del “free rider”, comune anche ai lavoratori standard,
e depotenzia la possibilità dell’azione collettiva. Rifacendomi al contributo
della “the theory of the critical mass”, la partecipazione degli attori
all’azione collettiva è inversamente proporzionale all’eterogeneità tra
i membri del gruppo nella disponibilità di risorse e/o interesse e all’interdipendenza
tra gli attori intesa come interazione in cui le decisioni hanno luogo
in maniera sequenziale, e cioè dove le precedenti scelte di alter possono
influenzare il comportamento attuale di ego (Marvel 1993). L’interdipendenza
rappresenta così un vincolo reciproco in cui l’influenza interpersonale
è intesa come una limitazione alla libertà di scelta ed il successo dell’azione
collettiva dipende dal fatto che le forme di regolazione sociale che inducono
alla cooperazione siano più forti dell’inclinazione che spinge alla defezione
(Kim 1997). Interdipendenza che a sua volta sarà minore dove maggiore
sarà l’eterogeneità perché le differenti risorse e i differenti interessi
riducono la possibilità di influenza reciproca.
Quindi l’eterogeneità dei lavoratori atipici comprende e sta prima delle
motivazioni individuali e del problema dell’azione collettiva nello spiegare
la mancata adesione al sindacato di questi lavoratori. Come dire, le motivazioni
individuali dei lavoratori atipici relativamente alla scelta di non iscriversi
al sindacato stanno alla razionalità individuale come l’eterogeneità sta
all’azione collettiva e alla razionalità collettiva. Pertanto, in primo
luogo, concettualizzando l’insieme dei lavoratori atipici come primo livello
macro si può dire, a mio parere, che essendo questo insieme caratterizzato
dall’eterogeneità, l’azione collettiva e conseguentemente la costituzione
di un secondo livello macro, il sindacato, risultano problematici. In
secondo luogo, la mancata azione collettiva dei lavoratori atipici ha
ricadute al primo livello macro sulla stessa percezione identitaria di
gruppo. In ultimo, la mancata azione collettiva ha ricadute anche a livello
micro dei singoli lavoratori facendone sopportare i costi e il sindacato
non fa altro che riprodurre l’eterogeneità dei lavoratori atipici frammentandosi
in sigle sindacali rivolte prevalentemente chi a un gruppo di lavoratori
atipici chi a un altro.
Sorgono allora le seguenti domande. Quali sono le conseguenze dell’azione
collettiva mancata dei lavoratori atipici e della conseguente non possibilità
di usufruire potenzialmente di diritti e di qualche forma di protezione
attraverso un sindacato che li rappresenti e che costituisca per loro
una funzione identitaria? Di fronte a questa vulnerabilità, quali sono
le reti di protezione attivate dai lavoratori atipici? E’ da qui che bisogna
partire per capire conseguenze che non investono solo direttamente il
comportamento dei lavoratori atipici ma che li superano per avere un importante
rilievo a livello sociale.
2. I rischi dei lavoratori atipici
Le conseguenze dell’azione collettiva mancata pongono i lavoratori atipici
di fronte a rischi rilevanti. Sono presenti individui che rimangono intrappolati
in occupazioni instabili e che non riescono a fuoriuscire da una spirale
viziosa di precarietà e di esclusione sociale (Gallino 2001). Come molte
analisi documentano, i lavoratori atipici hanno più probabilità di rimanere
invischiati in impieghi precari e marginali caratterizzati da una minor
protezione sociale e standard salariali più bassi. Allo stesso modo, paiono
scarse per alcuni le opportunità di crescita professionale e di miglioramento
del proprio status. In assenza di un sindacato che contratti e che cerchi
di migliorare tale situazione si configura, come sostiene Rizza, “un contesto
dominato da logiche di mercato foriere di esiti squilibrati e fortemente
precarizzanti per alcuni soggetti. Parrebbe emergere, da questo punto
di vista, un orizzonte regolativo del lavoro non-standard profondamente
individualizzato e retto principalmente dalla “legge” di mercato della
domanda e dell’offerta” (Rizza 2005, p. 58). Dunque non solo mancanza
di diritti ma anche isolamento e individualizzazione dei lavoratori atipici.
In riferimento al secondo aspetto, secondo Zucchetti, (2005, p. 28) “sembra
sgretolarsi la “gabbia di acciaio” di cui parlava Weber, ovvero quelle
realtà, tipiche della società industriale che abbiamo lasciato alle nostre
spalle , come il luogo di lavoro, le grandi organizzazioni, le grandi
chiese e appartenenze ideologiche, i grandi partiti di massa, ecc. La
“gabbia di acciaio” schiacciava in qualche modo l’individuo, ma consentiva
anche la costruzione di una biografia continua e prevedibile: attorno
al lavoro si programmavano la vita e il tempo libero. Nella società postfordista,
invece, il lavoro e la produzione tendono a organizzarsi su spazi economici
e politici complicati e non coincidenti, per il venir meno della sovrapposizione
tra gli ambiti istituzionali della politica, dell’economia e della cultura”.
La non adesione dei lavoratori atipici al sindacato e la loro mancata
azione collettiva si traducono in spinte individualizzanti che contrastano
con un destino collettivo sul mercato del lavoro che diventa disoccupazione
di massa e dequalificazione intesi non soltanto come eventi sociali in
senso statistico ma anche in termini di vissuto individuale e che conseguentemente,
cadendo sulle spalle dei singoli, diventa destino personale. È il risultato
dell’aggregazione delle scelte individuali che non si traducono in azione
collettiva. In questo senso i lavoratori atipici sono esposti ad un mercato
del lavoro in cui l’assunzione del rischio si fa individuale e che, non
essendo dunque sostenuto a livelli organizzativi ed istituzionali, può
enfatizzare il senso di provvisorietà individuale (stato di incertezza,
di precarietà, di fallibilità). Oggi il lavoratore atipico corre il rischio
di diventare l’uomo radar, “ di non emergere (ex-sistere), ma di adattarsi;
vive come se avesse un radar sulla testa che gli dice di continuo ciò
che gi altri si aspettano da lui. Questo uomo radar trae le proprie motivazioni
e direttive dagli altri; al pari di colui che descrisse se stesso come
un insieme di specchi, egli è in grado di rispondere ma non di scegliere;
non ha un effettivo centro di movimenti suo proprio” ( Rollo 1992). In
un’ottica più generale, “il mancato cristallizzarsi di significative forme
di opposizione sociale nell’ambito del lavoro flessibile sarebbe riconducibile
al fatto che il conflitto generato dalle contraddizioni del capitalismo
si è trasferito all’interno del soggetto, frammentandone il sé e rendendo
impossibile la fissazione di un’identità ovvero di un punto stabile da
cui interpretare il mondo, sapersi collocare consapevolmente in esso e
definire i propri interessi.
L’inesistenza del sostegno del sindacato, enfatizza sul piano individuale
i disagi personali dei lavoratori atipici. I lavoratori atipici sono “deboli”
e la loro incapacità di tradurre tale debolezza sul piano collettivo li
rende ancor più vulnerabili. Quali sono allora le reti di protezione messe
in atto dai lavoratori atipici per fronteggiare tale situazione?
3. I meccanismi alternativi di protezione dei lavoratori atipici
Il sistema di welfare non può assurgere al ruolo di protezione dei lavoratori
atipici . Infatti, per quanto riguarda il caso italiano, esso ha preso
forma contestualmente all’espansione della grande industria manufatturiera
a conduzione manageriale e a una società a pieno impiego caratterizzata
da rapporti di lavoro standard che poggiava sull’occupazione del maschio
adulto capofamiglia a crescente produttività (breadwinner). È a questo
soggetto che i programmi di welfare erano diretti (Zanetti 2005). Ed è
ancora su questo soggetto che si fondano attualmente i programmi di welfare
che entrano in gioco soltanto in un secondo momento, cioè quando la famiglia,
poggiante sul breadwinner, non può fornire la protezione sufficiente.
Le politiche di protezione dell’impiego del breadwinner erano e sono ancora
politiche di protezione del posto fisso. Quindi, il sistema di welfare
non riesce a far fronte all’attuale segmentazione del mercato del lavoro
caratterizzato dal diffondersi dei lavori atipici (Rizza 2005).
Sono necessari altri meccanismi di protezione. La famiglia è uno di questi.
Essa svolge una funzione positiva integrando redditi inadeguati, sostituendo
ammortizzatori sociali inesistenti e consentendo la ricerca di un lavoro
più sicuro, o più soddisfacente, o più remunerativo, o tutte e tre queste
cose. Vivere con i propri genitori costituisce per i giovani interinali
o collaboratori una garanzia in caso di lunghi periodi senza missioni
o commesse per malattia o contrazione della domanda di lavoro. Altri,
che hanno costituito un nucleo famigliare, si appoggiano sul reddito del
partner per avere una stabilità economica. Una collaboratrice, secondo
un’indagine, ha parlato del proprio partner come di uno sponsor che con
il suo reddito sicuro le permette di avere un’attività gratificante, ma
instabile (Reyneri 2002). La famiglia però, non si limita ad avere soltanto
una funzione positiva. Infatti nei confronti delle donne con responsabilità
famigliare e con contratti di lavoro atipici non ci sono le stesse protezioni
che esistono per donne con la stessa responsabilità famigliare ma con
contratti standard. Dunque la famiglia assume un ruolo come risorsa e
come vincolo, perché svolge un’importante funzione di protezione per i
lavoratori atipici là dove non riescono a farlo sindacato e welfare.
Specificatamente poi al caso degli interinali, l’agenzia svolge un ruolo
“protettivo”. Essa infatti può assicurare loro un flusso quasi continuo
di missioni qualora posseggano professionalità molto richieste o siano
disposti a svolgere qualsiasi lavoro. Già l’aver portato a termine con
successo una missione rende probabile essere inviati in un’altra, per
un effetto cumulativo della fiducia (Reyneri 2002).
Un ulteriore e ultimo meccanismo di protezione utilizzato dai lavoratori
atipici è quello che fa riferimento all’attivazione delle reti informali.
È un meccanismo di protezione che si distingue dagli altri in quanto è
l’unico, a parte quello problematico dell’adesione al sindacato, che mette
direttamente in gioco i lavoratori nell’affrontare la loro vulnerabilità.
Il tema delle reti informali è riconducibile alla teoria dell’ ”embeddedness”
di Granovetter secondo cui i rapporti economici tra i soggetti sono radicati
nei rapporti sociali. Alla base delle transazioni economiche non ci sarebbero
meri comportamenti autointeressati ma la reciprocità fra i soggetti. Ma
la teoria di Granovetter è importante e utile anche per quanto riguarda
le relazioni di lavoro. In questo senso l’incontro tra domanda e offerta
di lavoro sarebbe garantito da reti di relazioni sociali, che spesso si
sono sviluppate al di fuori dell’ambito economico e le ricerche empiriche
confermano questa tendenza dimostrando che le reti informali di relazioni
familiari e amicali costituiscono la via più efficace per trovare lavoro
(Reyneri 2002). Se allora tale meccanismo è utilizzato ed è importante
per tutti i soggetti del mercato del lavoro, per i lavoratori atipici
diventa un “salvagente” fondamentale per difendersi dalla precarietà dei
rapporti di lavoro.
Conclusioni
I meccanismi di protezione dei lavoratori atipici, alternativi a un sindacato
che li rappresenti adeguatamente, costituiscono soltanto una “secon best
solution” che non dà una risposta efficace al problema della vulnerabilità
dei lavoratori di questo tipo. Se da un lato, i meccanismi di protezione
alternativi al sindacato possono in qualche modo assurgere alla funzione
di garantire una certa protezione ai lavoratori atipici dal punto di vista
economico, dall’altro, non possono compensare la mancanza di una rappresentanza
collettiva che soltanto il sindacato può dare. E abbiamo visto come la
mancanza di una rappresentanza collettiva ha conseguenze sui lavoratori
atipici in termini di isolamento e spinte individualizzanti. Ma non solo.
Allargando l’angolatura di analisi, l’assenza di un sindacato che rappresenti
adeguatamente i lavoratori atipici ha conseguenze anche in termini della
più generale coesione sociale. Utile in questo senso è richiamarsi al
pensiero di Durkheim. Secondo il sociologo francese, l’organizzazione
del lavoro è il pilastro della società in grado di diffondere la solidarietà
organica fra gli individui che la compongono. Ma proprio questo autore
classico suggeriva attraverso le parole di Nisbet (Nisbet 1996, p. 219)
“che una solidarietà più profonda fra gli individui doveva essere ricercata
nelle corporazioni che sarebbero state, e in questo consiste la loro vera
rilevanza rispetto alle esigenze economiche e sociali, dei depositi di
autorità morale sufficienti a frenare gli impulsi egoistici (e quindi
suicidogeni) degli uomini, attualmente dispersi come granelli di polvere”.
È in questo senso che il sindacato potrebbe giocare una funzione fondamentale
per i lavoratori atipici, fondandone una base identitaria collettiva,
(sebbene, secondo Giddens (1998, p. 53), “i sindacati, così come sono
organizzati oggi, non adempiono a questa funzione. Essi anticipano sicuramente
le organizzazioni di mestiere, ma operano solo come gruppi rivendicativi
e non come comunità morali”). Credo che ciò, oggi, sia che mai necessario
in un mercato del lavoro “frammentato” caratterizzato dall’indebolimento
della solidarietà organica su cui poggia in ultima analisi la coesione
sociale.
Note
1] Esse sono tre: il Nidil-Cgil,
l’Alai-Cisl, il Felsa- Cisl e il Cpo-Uil. La Cgil ha creato il Nidil
(Nuove Identità di lavoro) nel 1997, partendo da un gruppo auto-organizzato
di giovani professionisti milanesi e romani (Caa:Collaboratori e consulenti
associati), nato nel 1995, in un primo momento federatosi al sindacato,
poi trasformato (inizialmente con il nome di Pegaso) in una struttura
trasversale ma molto simile a quella di categoria. L’Alai-Cisl (Associazioni
lavoratori autonomi e interinali) è nata nel 1998 ed è organicamente collegata
con diverse iniziative orientate al mercato del lavoro create dall’associazionismo
cattolico. Infine, la Uil seguendo le altre due confederazioni ha riconvertito
la propria organizzazione di disoccupati, il Cpo (Coordinamento per l’occupazione),
estendendola alla rappresentanza dei lavoratori atipici.
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Saraceno, C. 2005 Le differenze che contano tra i lavoratori atipici,
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flessibile e il problema del consenso alle nuove forme di lavoro, in “Sociologia
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Zucchetti, E. 2005 Un mercato del lavoro plurale: tra “vecchi” e “nuovi”
equilibri, in “Sociologia del Lavoro” n.97.
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