La somatizzazione della precarietà
Roberta Cavicchioli e Andrea Pietrantoni (a cura di)
M@gm@ vol.9 n.2 Maggio-Agosto 2011
MIGRAZIONE & SALUTE
Marco Pasini
paso74@libero.it
Laurea in Sociologia (Territorio e Ambiente), Università di Roma La Sapienza;
Diploma di Master Teoria e Analisi Qualitativa. Storie di vita, biografie e focus group per la ricerca sociale, il lavoro e la memoria, Dipartimento di Sociologia e Comunicazione – Università di Roma La Sapienza; Borsista Corso di Alta Formazione Ideazione e management di progetti/eventi sportivi locali ed europei, Facoltà di Scienze della Comunicazione – Università di Roma La Sapienza; Rilevatore nel 14° censimento della popolazione, delle abitazioni, delle industrie e dei servizi, Comune di Roma; Ricercatore ne Le borgate di Roma come luoghi significativi della memoria urbana, come risorse umane e premessa per il superamento della dicotomia centro-periferia, Comune di Roma, Resp. Scient. Prof. Emerito di Sociologia - Università di Roma La Sapienza F. Ferrarotti; Curatore sezione Microstorie nel progetto di biblioteca digitale Album di Roma. Fotografie private del novecento, Biblioteche di Roma; Ricercatore per check-In Architecture; Attualmente Ricercatore presso Labos – Fondazione Laboratorio per le politiche sociali; Relatore a diverse Conferenze nazionali e internazionali (Erasmus/Socrates Intensive Course, European Association Sociology of Sport, International Visual Sociology Association, International Association Philosophy of Sport, Institut of Historical Research, European Sociology Association, European Commette for Sport History, Agence pour l’Education par le Sport); Autore di pubblicazioni nazionali e internazionali su tematiche di ricerca sociale: memoria, sport e visual.
Premessa
Il seguente articolo prende le mosse dal progetto di ricerca “Migrazione
e Salute”, ovvero un monitoraggio sul sistema di accoglienza verso la
popolazione immigrata dei servizi sanitari e la verifica dell’osservanza
del diritto alla salute di queste popolazioni.
Per comprendere meglio la situazione il Ministero del Lavoro, della Salute
e delle Politiche Sociali ha promosso e finanziato questo progetto, con
la responsabilità scientifica e il coordinamento dell’Istituto Superiore
di Sanità, e attraverso la partecipazione di diversi enti tra cui Labos
– Fondazione Laboratorio per le Politiche Sociali.
In Italia, nonostante la normativa vigente (D.Lgs. 286/1998 e seguenti)
garantisca agli stranieri l’assistenza sanitaria, la mancanza di informazioni
chiare e il timore di un contatto con le strutture pubbliche rischiano
di tradursi, per la persona non italiana, in difficoltà a sottoporsi a
misure preventive e ad accertamenti clinici finalizzati a diagnosi tempestive,
adeguate e monitorate. Tale condizione, accentuata da difficoltà di ordine
burocratico-amministrativo nell’interpretazione e nell’applicazione delle
leggi, può determinare una mancanza di equità in ambito sanitario, con
la conseguenza del venir meno delle garanzie, per ciascun cittadino italiano
e non, di ricevere risposte adeguate alle reali necessità. Infatti, il
diritto alla salute, sancito dalla Costituzione italiana (art. 32) e previsto
per le persone straniere a livello normativo (D.lgs. 286/1998), spesso
non riesce ad essere esercitato nella quotidianità. Occorre, quindi, porre
attenzione ad una molteplicità di aspetti epidemiologici, preventivi,
diagnostico-clinici, terapeutici, legislativi, organizzativi e comunicativo-relazionali.
Il prodotto che in questa sede intendo presentare, è caratterizzato sulle
condizioni di lavoro che modificano il rapporto del singolo con il proprio
corpo; prendendo in considerazione gli immigrati e il loro stato di salute
e tutte le privazioni che questo gli comporta. Indagando, poi, sulla povertà
relativa che genera una precarietà che si traduce nella mancata soddisfazione
dei bisogni primari: l'immiserimento rispetto alle esigenze quotidiane
e l’esclusione dai riti sociali.
L'approccio sociologico adottato fa riferimento all’analisi e alla presentazione
di esperienze riferite a singoli e gruppi riconducibili, si è intrapreso
un percorso di ricerca concretizzato in tre tappe:
- Una prima tappa di ricerca ha preso in esame le strutture sanitarie
attive nel nostro Paese, note attraverso un pregresso censimento delle
stesse realizzato dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche
Sociali. Di esse ne sono state esplorate 1.004 con l’obiettivo di fotografare
le caratteristiche delle strutture sanitarie coerenti con gli obiettivi
di accessibilità e assistenza della popolazione immigrata.
- Una seconda tappa di ricerca ha riguardato le interviste qualitative
a un campione composito di immigrati per registrare alcune informazioni
sul loro percorso nel sistema sanitario nazionale. Oltre alla sua valenza
conoscitiva costituisce un’indagine “pilota” da estendere a livello nazionale
con un campione statisticamente rappresentativo di immigrati.
- Una terza tappa di indagine ha preso in esame 21 esperienze pilota di
servizi che rappresentano “buone pratiche” o servizi indicati come pilota
o più avanzati in ogni regione o provincia autonoma d’Italia, evidenziane
i tratti salienti, i fattori di successo e le coordinate per un modello
possibile e riproducibile.
Il pezzo, pertanto, è centrato sulla sanità, la condizione degli immigrati
e la povertà relativa.
Somatizzazione della precarietà
Numerose evidenze scientifiche mostrano come i flussi migratori dai paesi
in via di sviluppo verso quelli ad economia avanzata dell’Europa Occidentale
siano caratterizzati da persone in giovane età, single e che, giunti nei
paesi ospiti, spesso vivono in precarie condizioni abitative e lavorative,
con difficoltà di inserimento nel tessuto sociale e culturale. La co-presenza
di tali elementi, sembrerebbe favorire criticità nell’accedere e nell’usufruire
di interventi sanitari efficaci. Per quanto riguarda il nostro Paese,
il fenomeno migratorio è da sempre caratterizzato da elementi di complessità
e diversità (provenienza, status giuridico, progetto migratorio, stili
di vita adottati) che richiedono specifiche attenzioni verso le popolazioni
straniere in termini di tutela della salute e di interventi di prevenzione,
diagnosi e cura.
La conoscenza dell’andamento di tali flussi migratori e la panoramica
dei bisogni di salute degli stranieri rappresentano elementi fondamentali
per consentire ai Servizi e alle Istituzioni di fornire risposte sempre
più mirate alle reali richieste di tale target ed erogare interventi psico-socio-sanitari
sempre più appropriati.
La popolazione immigrata è, per definizione, selezionata per salute: gli
ammalati gravi non possono partire; parte la popolazione giovane che può
affrontare la costruzione di una nuova vita. Tale fenomeno (il migrante
sano) tende però ad avere minor importanza man mano che l'immigrazione
si stabilizza nel paese ospite. Il profilo di salute cambia, quindi, parallelamente
al profilo demografico dell'immigrato poiché si verifica una sedimentazione
sul territorio (nuove generazioni, anziani, ...). Paradossalmente c'è
il rischio che gli immigrati, man mano che invecchia la storia migratoria,
possano integrarsi con la società ospite condividendo la stratificazione
sociale più svantaggiata, che fa più fatica a tenere il passo, e possano
anche condividere il profilo di salute della disuguaglianza; questo non
solo in termini di fasce estreme del fenomeno (disuguaglianza tra i più
ricchi ed i più poveri), ma in qualsiasi punto della scala sociale con
significative differenze peggiorative degli indicatori di salute, mortalità
e morbosità, oggettiva e percepita, da chi sta più in basso rispetto a
chi sta più in alto. D’altra parte le caratteristiche socio-culturali
e demografiche delle diverse regioni di insediamento, così come l’offerta
dei servizi, sono estremamente variabili e possono incidere in maniera
significativa sui processi di integrazione con la popolazione locale.
Quando si affronta una tematica, il primo passo è quello di scomporla
nei suoi concetti principali e darne una definizione alla luce delle riflessioni
della comunità scientifica e degli approcci teorici di riferimento. In
questo caso, il nostro oggetto di studio, il nostro macroconcetto di riferimento
è quello di salute.
Focus
La salute ha come prerequisiti fondamentali: la pace, la casa, l’istruzione,
il cibo, il reddito, un eco-sistema stabile, la continuità delle risorse,
la giustizia e l’equità sociale. Non si può parlare di salute, intesa
nell’ampio senso del benessere fisico, psichico e sociale, senza prendere
in considerazione tali variabili. Diversi sono stati i contributi che
hanno permesso il superamento di una visione riduttivista, legata all’idea
di salute come assenza di malattia, prestando attenzione alle diverse
sfere in cui la persona è inserita.
Per Talcott Parsons, sociologo americano, la salute si configura come
«lo stato di capacità ottimale di un individuo per l’efficace compimento
dei ruoli e dei compiti per i quali è stato socializzato». La malattia
invece si configura, in un’interpretazione sociale, come «uno stato di
turbamento ‘normale’ dell’individuo umano nel suo complesso, in quanto
comprende sia lo stato dell’organismo come sistema biologico sia i suoi
adattamenti personali e sociali. Essa viene così definita in parte biologicamente
e in parte socialmente. La partecipazione al sistema sociale è sempre
potenzialmente rilevante per lo stato di malattia».
Parsons per la prima volta, quindi, attribuisce un ruolo fondamentale
dal punto di vista sociologico allo stato di salute e di malattia.
La salute esce dai confini restrittivi del paradigma biomedico per essere
interpretata in una visione pluridimensionale. Alle dimensioni sociali,
soggettive e oggettive dello stato di salute, dobbiamo aggiungere, per
poter comprendere meglio la popolazione straniera da un punto di vista
sanitario, la componente culturale. I migranti hanno necessità e bisogni
non sempre corrispondenti a quelli della maggioranza delle persone, bisogni
specifici che fanno riferimento a un orizzonte culturale diverso. La domanda
di salute, intesa come bisogno esternalizzato, non sempre dunque riesce
a cogliere i reali bisogni dell’immigrato per difficoltà comunicative
legate a barriere culturali che impediscono l’espressione del bisogno,
per i diversi livelli di consapevolezza dello stesso o per l’incapacità
del sistema sanitario ad andare oltre i bisogni formalizzati.
In base a tali considerazioni, si richiama dunque la necessità di una
rielaborazione del concetto di assistenza stesso in funzione di una visione
maggiormente ‘comprensiva’ che ponga attenzione alle diverse aree e dimensioni
che coinvolgono il soggetto.
Come ha osservato un antropologo francese [1],
«la malattia va considerata come una realtà sociale che mette in questione
gli stessi rapporti di potere che essa contribuisce a rendere visibili,
mostrando in che modo l’ordine sociale si esprime nell’ordine corporeo;
evidenziando cioè le ineguaglianze nell’accesso alle risorse di cura,
la distribuzione ineguale delle stesse possibilità di vita o di morte.»
Salute, migrazione, accessibilità
L’Atto costitutivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dichiara:
«La salute non è solo assenza di malattia: essa è, invece, possibilità
di utilizzare al massimo le attitudini fisiche e psichiche dell’organismo,
cioè capacità di usare il proprio corpo in modo ottimale. La salute è
anche lo stato di benessere completo, fisico, mentale e sociale. La medicina
dovrebbe essere diritto alla salute.»
La Carta di Ottawa per la Promozione della Salute del 1986 definisce la
salute come «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale»
che deve permettere all’individuo «di identificare e realizzare le proprie
aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni, di cambiare l’ambiente circostante
o di farvi fronte (…). La salute è un concetto positivo che valorizza
le risorse personali e sociali, come pure le capacità fisiche.»
Un altro aspetto fondamentale messo in risalto dall’OMS è quello del riconoscimento
della soggettività. La soggettività incide in modo determinante sulla
salute in quanto il modo di percepire la realtà da parte del soggetto
influisce sul suo stato di salute.
Questo perché la salute non è uno ‘stato’ ma una condizione dinamica di
equilibrio, fondata sulla capacità del soggetto di interagire con l'ambiente
in modo positivo, pur nel continuo modificarsi della realtà circostante.
La soglia che separa la salute dalla malattia non è fissa, ma varia al
variare delle condizioni storiche, sociali, politiche, economiche, culturali.
Tra le forme di concettualizzazione del malessere, bisogna considerare
che il carattere di tali forme è costruito dall’incrocio tra lo spazio
individuale, sociale e culturale; deriva cioè dall’esperienza singolare
di ogni individuo, dalla sua esperienza di socialità e dalla sua capacità
di attingere al proprio repertorio culturale.
Il corpo è spesso locatore privilegiato del migrante; la centralità del
corpo dipende dal fatto che molte volte rappresenta la realtà più importante
su cui scaricare le ansie ed è il principale o unico bene dell’immigrato.
Sarebbe opportuno tenere presente che l’esperienza di immigrazione di
per sé genera instabilità, vulnerabilità e stress. Una volta nel paese
di destinazione, disagiate condizioni socio-economiche e bassa integrazione
nella società di accoglienza sono potenzialmente dannose per la salute
degli immigrati. Molti dei loro problemi di salute, infatti, sono prodotti
dalle condizioni sociali e ambientali in cui si trovano: la situazione
familiare, l’isolamento, le condizioni abitative e lavorative.
Le variabili che determinano lo stato di salute dell’immigrato possono
essere:
1. Gli eventi di vita pre-migrazione;
2. Lo “stress” da transculturazione;
3. L’emarginazione sociale nel paese ospitante.
Da notare, come l’Italia si è trasformata da un tradizionale Paese di
emigrazione a recente Paese di immigrazione, ed è scelta non proprio per
richiami quali progresso tecnologico, terziarizzazione o diffusione dell’occupazione
sommersa o informale, quanto sulla base di un modello di migrazione spuria,
cioè quel processo in cui la forza di espulsione esercitata dal proprio
Paese è più forte di quella di attrazione esercitata dal Paese ospitante
[2]. Tale modello induce a prendere
in considerazione le ragioni dei Paesi di origine, fra generali fattori
macro (condizioni economiche, politiche e sociali dei contesti di partenza)
e specifici fattori micro (aspettative e progetti migratori individuali).
Tra Europa e Italia
Ogni condizione di malattia trasforma l’uomo migrante da soggetto di intenzioni,
progetti e declinazioni strettamente private ad oggetto di attenzioni.
A tal proposito, importanti considerazioni sono emerse dalla Conferenza
di Lisbona “Salute e migrazione nell'UE: una migliore salute per tutti
in una società inclusiva” del settembre 2007. La conferenza era stata
indetta prendendo spunto dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
Europea (proclamata il 7 dicembre 2000 a Nizza) che riconosce i diritti,
le libertà ed i principi in termini di accesso alla protezione sociale
(articolo 34), il diritto di cura preventiva e il diritto di beneficiare
di cure mediche. L’accesso alle cure sanitarie venne dunque riconosciuto
dall’Unione Europea come un importante contributo ad un più adeguato inserimento
della popolazione in una società. Il riconoscimento del diritto ad un
accesso equo al servizio sanitario per tutti i migranti per poterne migliorare
le condizioni di vita, fu il tema e la raccomandazione principale della
Conferenza. Le conclusioni furono, che un buono stato di salute fosse
la pre-condizione per rendere possibile un effettivo dialogo interculturale
e un’effettiva integrazione; così come delle buone condizioni fisiche
fossero le premesse per mettere gli immigrati nella condizione di poter
contribuire alla crescita economica del paese che li accoglie.
L’organizzazione delle strutture sanitarie per contro risulta sovente
essere rigida e cieca, per via dell’idea che gli operatori hanno dell’immigrato
come persona appartenente ad una massa indistinta e non come un individuo
con le proprie specificità. La popolazione di origine straniera, come
del resto la popolazione autoctona, non può costituire un gruppo sociale
uniforme e non può essere considerata un insieme omogeneo; al contrario,
essa differisce in quanto racchiude una pluralità di differenze che riguardano
il livello di istruzione, la situazione finanziaria, le pratiche culturali,
le credenze religiose, le capacità linguistiche, il progetto migratorio,
i percorsi biografici, ecc... In Italia sono presenti circa 204 gruppi
di immigrati diversi per provenienza geografica, si tratta di una realtà
che determina un’alta articolazione delle modalità con le quali le domande
di prestazione di servizi di welfare sono esplicitate. Questa varietà
di livelli dovrebbe essere tenuta in considerazione nella decisione di
attuazione di politiche sanitarie, con la priorità di attrezzare i servizi
ad affrontare un’utenza portatrice di culture, biografie e bisogni differenziati.
Tuttavia, tra bisogno di salute, domanda e offerta possono trovare spazio
una serie di elementi discriminanti che rischiano di condizionare negativamente
l’accesso ai servizi da parte degli stranieri. Elementi legati tanto alla
condizione di straniero in quanto tale, che alla inadeguatezza delle risorse
e delle risposte ai bisogni offerte dal servizio sanitario.
Le principali barriere, che assumono comunque dimensioni variabili e che
influiscono sull’accesso e sull’utilizzo dei servizi possono essere individuate
in:
* barriere giuridico - legali determinate dal tipo di permesso di soggiorno,
* barriere organizzative legate al diverso modello ed alla differente
cultura organizzativa dei servizi,
* barriere burocratiche e procedure amministrative,
* barriere economiche,
* barriere linguistiche,
* barriere interpretative,
* barriere discriminatorie,
* la distribuzione non uniforme dei servizi.
Come messo in luce dal progetto “Partners for Health. Gli stranieri e
l’accesso ai servizi sanitari: tra discriminazione sistemica e incomunicabilità”
contro la discriminazione degli immigrati nei servizi sanitari, molti
stranieri hanno un’idea di benessere, di corporeità e di malattia diversa
da quella della biomedicina praticata nei Paesi europei. Esiste inoltre
un problema di comunicazione tra sistema della salute e operatori, da
un lato, e singoli pazienti stranieri e comunità immigrate, dall’altro,
che è all’origine della discriminazione in campo sanitario.
L’indagine del 2005 “Le disuguaglianze: i meccanismi di generazione e
l’identificazione degli interventi possibili”, promossa dall’Agenzia sanitaria
regionale della regione Emilia Romagna, afferma che l’accesso alle cure
è in stretta correlazione: prima, con le condizioni di salute e i modelli
culturali espressi dagli utenti; poi, con il sistema di norme e condizioni
che regolano le politiche sanitarie, i modelli e la cultura organizzativa
dei sistemi sanitari locali. Il problema è rendere trasparenti e comprensibili
le regole all’interno di un percorso accessibile e dotato di senso per
l’utente. Lo scarso orientamento dell’utente è confermato dal fatto che
l’apparato dei servizi è pensato per persone dal comportamento e dai bisogni
standardizzati, persone comunque in possesso delle risorse conoscitive,
culturali e di tempo per accedervi; coloro che sono in possesso di codici
linguistici e comportamentali differenti risultano pertanto esclusi o
fortemente discriminati dal sistema dei servizi socio-sanitari. I reali
problemi nella relazione immigrati-servizi alla persona si incontrano
dunque sul terreno dell’interpretazione e sull’uso strategico delle norme,
più che sulla loro mera inosservanza.
Come dimostrato ampiamente dalla letteratura scientifica, in gruppi vulnerabili
della popolazione, con precario accesso alle risorse, il rischio di perdita
della salute è maggiore rispetto al resto della popolazione, e può tramutarsi
in una grave fonte di esclusione sociale aumentando ulteriormente le disuguaglianze
di partenza.
Come sottolineato dal “Secondo rapporto sull’integrazione degli immigrati
in Italia” [3], le condizioni di salute
sono dunque un importante punto di riferimento per comprendere il livello
di integrazione degli immigrati nel contesto nazionale oltreché del grado
di efficienza del SSN.
Già Simmel aveva infatti notato come lo straniero sia connotato più dall’incertezza
che la società presenta nei suoi confronti che per la sua estraneità [4].
Da qui l’utilizzo della definizione ‘esclusione sociale’, che si riferisce
all’impossibilità, l’incapacità o la discriminazione nella partecipazione
ad importanti attività sociali e personali per cui l’individuo perde la
percezione di appartenenza ad una data comunità. Lo stesso termine rimanda
ad una coincidenza di posizione economica marginale unitamente ad un isolamento
sociale e ad un limitato accesso a diverse importanti dimensioni delle
attività umane quali educazione, lavoro, famiglia, reti informali, consumo
di beni e servizi, comunità di riferimento e istituzioni pubbliche, vita
politica, tempo libero e svago. La mancanza degli aspetti relativi alle
situazioni di vita dei soggetti, comporta la fragilità del/nel tessuto
relazionale di riferimento e il venir meno di dimensioni vitali fondamentali:
* la dimensione culturale, ossia il non riconoscimento da parte degli
altri del proprio modello di vita;
* la dimensione sociale, la riduzione dei contatti sociali ed il restringimento
dei rapporti all’interno dei soli gruppi svantaggiati;
* la dimensione spaziale, l’isolamento urbano e la ghettizzazione;
* la dimensione istituzionale, ossia l’estromissione da alcuni servizi
fondamentali di welfare, quali ad esempio la sanità.
Il concetto dell’esclusione sociale presenta il vantaggio di coinvolgere
immediatamente ed in prima persona sia le istituzioni che la società civile
nella genesi e nelle strategie di promozione del benessere. La costruzione
del Welfare Community, un sistema cioè, capace di rispondere alla domanda
di protezione individuale attraverso una pluralità di canali pubblici
e privati, di mercato e di solidarietà, statali e centrali. In pratica
mobilitare tutte le potenzialità esistenti sul territorio per offrire
prestazioni sociali efficienti ed efficaci. Una comunità solidale che
valorizza il principio della sussidiarietà, in modo da operare a livello
di rete, in cui tutti i soggetti collaborano e interagiscono tra loro.
La realizzazione di tale procedura, trova particolare significato nelle
aree di disagio ad elevata intensità di integrazione socio – sanitaria
[5].
Gli immigrati non sono più solo homo oeconomicus; non sono più solo produttori
ma anche consumatori, protagonisti di una cittadinanza attiva, persone
nella totalità dei loro bisogni – da migrante a abitante -, nuovi utenti,
e in quanto tali, oggi, esprimono significative richieste infrastrutturali
in termini anche di cure. Per cercare di comprendere come valutare in
quale condizione una società civile e democratica tiene l’immigrato, si
può esaminare come ne cura gli interessi e come ne prende in carico le
condizioni di disagio e di disadattamento.
Fasi, metodologia e contenuti da rilevare
Il conseguimento del’obiettivo prevede l’effettuazione di uno “studio
di caso” per ciascuna regione su una struttura particolarmente “dedicata”
alla popolazione immigrata, adottando un modello di rilevazione e valutazione
comune in grado di approfondire le caratteristiche qualitative dei servizi
socio-sanitari in relazione ai bisogni di salute.
L’identificazione delle esperienze di “eccellenza” è stata condotta attraverso
vari strumenti:
* Rilevazione campionaria 2009: tra le 1.004 schede compilate sono state
individuate le strutture di ogni regione che hanno indicato la presenza
di mediatori linguistici e culturali, di cartellonistica plurilingue,
di personale straniero tra i medici e gli infermieri o di contatti con
associazioni di immigrati.
* La ricerca su internet: è stato utilizzato il motore di ricerca Google,
in cui sono stati inseriti incroci di parole chiave come “ospedali”, “stranieri”,
“mediatori”, “immigrati” e similari. In questo modo è stato possibile
risalire, regione per regione, alle strutture che mettono a disposizione
informazioni sui servizi per gli stranieri sui propri siti. Parallelamente
una ricerca a tappeto sui siti delle Aziende Sanitarie regionali e provinciali
ha verificato informazioni circa le prestazioni per gli stranieri fornite
presso le strutture ad esse collegate.
* L’accesso alle schede delle strutture annualmente recensite a partire
dal 2007 nell’ambito del ‘Progetto Ospedaledonna’, curato dall’Osservatorio
Nazionale della Salute della Donna.
* L’accesso ai dati della ricerca del 2008 su “Immigrati e modelli di
offerta sanitaria appropriati: salute mentale e materno-infantile”. L’indagine
mette a disposizione un elenco di servizi e strutture sanitarie improntate
all’accoglienza degli stranieri nell’ambito della salute mentale e del
materno-infantile. Sono state considerate le strutture che pur rivolte
ad un’utenza eterogenea sono all’avanguardia nell’accoglienza e nella
cura degli immigrati.
* La testimonianza di osservatori nazionali del fenomeno, in particolare
del responsabile dell’Area sanitaria della Caritas di Roma nonché coordinatore
di una delle unità operative dell’intero progetto (dott. Salvatore Geraci).
In particolare la conoscenza di tale testimone è risultata privilegiata
rispetto ai presidi delle ASL, più legati al territorio e maggiormente
in grado, rispetto alle strutture ospedaliere, di seguire l’intero percorso
dell’utente.
La scala di preferenza con cui operare la selezione ha tenuto conto anche
di una serie di criteri, quali:
* visibilità/buona documentazione dell’esperienza
* presenza di un “pacchetto” di servizi offerti per accogliere e curare
l’utenza straniera
* esperienza consolidata
* caratteristiche di funzionamento connotate da elementi di innovazione
* legami con il territorio
Lo studio di caso consiste nel mettere in atto un approccio relazionale
utilizzando tecniche di indagine come le fonti documentali, l’osservazione
diretta e le interviste semi-strutturate agli attori-testimoni dell’esperienza
stessa. Anzitutto si è trattato di reperire le fonti documentali che sono:
1) la legge/i regionale/i vigente/i e/o le deliberazioni di riferimento
rispetto allo specifico campo di intervento;
2) la documentazione disponibile sulla struttura, presso la stessa e/o
l’ASL di competenza e/o l’Assessorato regionale alla salute (dalla progettazione
del servizio/struttura da esaminare alle relazioni sullo stato di realizzazione
o di valutazione della stessa);
3) la raccolta di una serie di dati descrittivi sulla struttura oggetto
di studio. Tali informazioni saranno acquisite con un questionario predisposto
ad hoc.
Ogni esperienza è stata direttamente visitata dall’osservatore incaricato
che contatterà e intervisterà anche i responsabili e le figure chiave
nella gestione del servizio.
1) Predisposizione di una griglia orientativa di intervista (semistrutturata),
per il responsabile della esperienza/struttura allo scopo di raccogliere
le valutazioni relative all’esperienza;
2) realizzazione sul campo di almeno altre due interviste a responsabili
di specifiche aree di intervento o di diverse competenze per acquisire
elementi di approfondimento sugli aspetti di maggiore rilevanza dello
specifico caso e differenziati punti di vista.
Le interviste verranno registrate per poi estrapolarne gli elementi di
maggior rilevanza per la descrizione (aspetti identificativi e peculiari)
e la valutazione del caso (aspetti di qualità, di valore etico e professionale,
di esito sui bisogni, di criticità, di eccellenza, di originalità, elementi
trasferibili, eventuali revisioni del modello, obiettivi futuri…).
Analisi qualitativa della soddisfazione degli stranieri entrati
in contatto con il SSN
Precedentemente è stata realizzata un’indagine qualitativa sui livelli
di soddisfazione relativi alla fruibilità dei servizi sanitari da parte
della popolazione immigrata, interpellando un campione di 30 persone immigrate,
sei per ciascuna delle cinque macro aree di provenienza: Europa dell’Est
(Romania, Ucraina, Albania), Sud Est Asiatico (Filippine, Bangladesh,
Sri Lanka), Africa (Maghreb e Africa nera), Cina, Sud America (Guatemala,
Ecuador, Perù). Il reperimento delle 30 persone ha tenuto conto delle
nazionalità maggiormente rappresentate sul territorio italiano e in grado
di identificare meglio, quantitativamente, il flusso migratorio verso
l’Italia. Tale reclutamento è avvenuto con l’intermediazione di alcune
associazioni di migranti attive sul territorio di Roma dove sono state
condotte le interviste.
Si tratta di una ricerca qualitativa condotta con il metodo dell’intervista
focalizzata avvalendosi di una griglia di domande aperte finalizzata a
fornire un riscontro interpretativo di primo impatto, sia a integrazione
della successiva rilevazione qualitativa sui servizi, sia in vista di
un possibile campione nazionale a rappresentatività statistica. Si può
considerare pertanto una indagine “pilota” per una conoscenza di base,
pur se approfondita del fenomeno, ai fini di una estensione nazionale
del campione e che pertanto non si presta ad una generalizzazione dei
suoi risultati, bensì a d una prima focalizzazione dei temi in analisi.
Gli obiettivi conoscitivi di tale rilevazione hanno riguardato: i problemi
che incontrano gli immigrati fin dal loro arrivo nel nostro Paese, il
contatto con il sistema sanitario (motivo, canale di invio, quali servizi,
quale frequenza) e il percorso terapeutico, il livello di soddisfazione
per le cure ricevute, le critiche al sistema sanitario per i problemi
riscontrati, i suggerimenti e le aspettative rispetto ai servizi sanitari,
i rapporti con la popolazione autoctona e con le associazioni degli immigrati,
oltre alle caratteristiche personali, socio-anagrafiche e del progetto
migratorio degli intervistati.
Richiamando qui i risultati salienti, resi già noti nel report più analitico
e completo a cui si rimanda per una puntuale presentazione, emergono alcune
importanti chiavi di lettura del fenomeno che fondano una prima conoscenza
empirica.
Le persone interpellate fanno del progetto migratorio una spinta al miglioramento
della propria condizione lavorativa e sociale, che si rafforza con la
costituzione di nuclei familiari stabili, soprattutto in Italia, e rivelano
una propensione a radicarsi attraverso una vita relazionale aperta anche
nei confronti della popolazione autoctona con cui i rapporti sono mediamente
buoni.
Il percorso di integrazione è però lento e pieno di ostacoli quali sono
quelli delle pratiche burocratiche, delle lunghe attese per ottenere il
permesso di soggiorno e ogni tipo di bene e servizio, dalla casa, al lavoro,
alla scuola per i figli. D’altra parte solo la metà degli intervistati
conosce le normative italiane sull’immigrazione con conseguenze negative
in termini di utilizzo delle opportunità offerte dai servizi e sulla conoscenza
dei diritti oltre che dei doveri di cittadinanza. Tale riscontro troverà
poi tra i responsabili dei servizi esaminati in quanto “buone pratiche”
conferma puntuale segnalando la necessità impellente di superare tale
ostacolo all’accesso ai servizi sanitari.
Problematico risulta anche l’accesso alle cure sanitarie principalmente
a causa di problemi legati alle strutture stesse, poco penetrabili, anche
per lo scarso aiuto informativo e di sportelli efficienti che orientino
l’immigrato rispetto alle proprie necessità.
Non manca il riferimento ad episodi in cui alcuni di essi sono stati vittime
di discriminazione, gettando un velo di negatività sul loro vivere quotidiano
e minando la propria sicurezza rispetto alle possibilità di integrarsi,
situazioni che solo con il tempo sono riusciti ad arginare se non a superare.
Come valutano gli immigrati i servizi sanitari che hanno conosciuto? Una
cospicua maggioranza si ritiene soddisfatta delle cure ricevute, pur se
non è da trascurare quei 3 casi su 10 che si dichiarano “insoddisfatti”
con esiti negativi in termini di abbandono delle cure o di ricerca di
prestazioni nel privato a pagamento, alternativa che però spesso non è
praticabile. Se la soddisfazione maggiore concerne il rapporto con gli
operatori e la loro professionalità, decisamente negativa è la valutazione
circa l’accoglienza ricevuta presso i servizi di cui si lamenta poco meno
della metà di essi. Per lo più denunciano di essere stati presi poco in
considerazione, di essere stati oggetto di poca cura o di essere stati
trattati con scortesia (soprattutto dai paramedici) semplicemente per
la loro condizione di stranieri.
Essi avanzano anche suggerimenti e aspettative nei confronti del nostro
sistema sanitario, che pur considerato migliore di quello del proprio
Paese di partenza, segnalando una serie di inadeguatezze. In particolare
due: i lunghi tempi di attesa e la farraginosità delle procedure burocratiche
che andrebbero snellite; la scarsa considerazione dei servizi per gli
stranieri con l’aggiunta richiesta di assicurare pari prestazioni agli
irregolari. Essi pertanto ritengono necessari servizi più “caldi” nei
confronti degli stranieri o “migrant friendly” con possibilità di essere
maggiormente informatiti con strumenti multilingue e sussidiati nel caso
con una mediazione interculturale che si innesta su servizi “culturalmente
competenti” ma proprio per questo non separati e non diversi da quelli
disponibili per tutti i cittadini.
Tav. 1. Caratteristiche del fenomeno immigrazione e impatto
sui servizi per la salute
CRESCITA COSTANTE
FENOMENO STRUTTURALE, DI FAMIGLIE
TASSI DI PRESENZA E INCIDENZA DIVERSI NEL PAESE
FLUSSI DIVERSIFICATI PER ETNIE
VULNERABILITA’ RISPETTO ALLA SALUTE
ELEVATO TASSO DI FECONDITA’ E DI NATALITA’ DEGLI STRANIERI
IMPORTANZA DELLE SECONDE GENERAZIONI
RUOLO DELLE ASSOCIAZIONI E DELLE COMUNITA’ DEI MIGRANTI
Raccomandazioni per una politica della salute “Migrant Friendly”
1. Elaborazione di una Carta dei servizi per la tutela della salute dei
migranti;
2. Estendere e rafforzare la mediazione linguistico-culturale;
3. Riconoscere la priorità della formazione del personale sanitario con
iniziative non occasionali;
4. Collocare la politica della salute per gli immigrati al vertice della
responsabilità dell’Azienda Sanitaria;
5. Predisporre un sistema di rilevazione dei bisogni dei migranti e dei
relativi profili di salute e un adeguato apparato di verifica e di valutazione;
6. Promuovere il protagonismo e la valorizzazione delle comunità dei migranti,
delle loro associazioni e del volontariato;
7. Rafforzamento degli interventi di promozione della salute e non solo
della cura delle malattie e della funzione di presidio epidemiologico.
Note
1] Didier Fassin (1996), nel rapporto
di ricerca Labos “Immigrati e modelli di offerta sanitaria appropriati:
salute mentale e materno infantile”, 2008.
2] Migrazione pura: l’attrazione
del paese ospitante è più forte della necessità di andarsene dal proprio.
C’è stata una parziale trasformazione dei paesi del Sud d’Europa da esportatori
di manodopera a mèta di flussi migratori, entrando a far parte dei grandi
Paesi di immigrazione. Le immigrazioni, in questa fase, sono sempre meno
motivate dalla domanda di manodopera nei paesi di approdo, e dipendono
essenzialmente dall’aggravata forza espulsiva dei paesi di esodo: alla
base di molti flussi migratori contemporanei sarebbero prevalentemente
problemi sociali ed economici.
3] Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati, Dipartimento
per gli Affari Sociali e Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2001.
4] Simmel G., Sociologia, Comunità,
Milano, 1989.
5] Il concetto di esclusione sociale
ha permesso la costruzione di un nuovo modello di Welfare sviluppato da
Labos. L’esclusione sociale porta inevitabilmente a dei colpevoli, individuabili
nelle istituzioni e nella società civile: il disagio non è fatalistico
ma è prodotto. Il coinvolgimento e la responsabilizzazione di tutti gli
attori può condurre alla nascita di quelle relazioni sociali che generano
dei processi di benessere, cittadinanza attiva e consapevolezza. Rif.
Collana Labos – Temi e progetti sociali -, Regioni e politiche socio-assistenziali
(n. 2, 4, 5, 6, 7; 2°, 3°, 4° rapporto), 1987/1992.
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Riviste
Fondazione Migrantes
ISIG (Trimestrale di Sociologia Internazionale: Ricerche e progetti su
identità europea, governance, diritto e sfera pubblica, relazioni internazionali)
La Critica Sociologica
L’emigrato
Migranti press
Servizio migranti
Sitografia
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