La somatizzazione della precarietà
Roberta Cavicchioli e Andrea Pietrantoni (a cura di)
M@gm@ vol.9 n.2 Maggio-Agosto 2011
QUANDO IL TEMPO DEL LAVORO FINISCE: CRONACHE DAL LAVORO
Augusto Debernardi
augudebe@gmail.com
Presidente Iniziativa Europea (www.iniziativaeuropea.it); Laureato in Sociologia all'Università degli studi di Trento è stato componente dell’équipe del Prof. Franco Basaglia all’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Trieste.
La mia sociologia è clinica, ha lo sguardo clinico, lo
sguardo che si infila nelle pieghe dove si può osservare il malato sociale
e il normale sociale. Malattia e normalità nel sociale sono equipollenti.
La mia sociologia è il mio racconto che nasce dal sangue del mio cuore
e dal sangue del cuore di colui o di colei o di coloro che osservo. È
il racconto che vuole emozionare, commuovere, far riflettere, fermare
un microsecondo il lettore\umanità muovendosi fra l’analisi, la passione,
l’epica del cambiamento possibile. Ciò che sono sta lì nelle mille scintille
dell’universo umano che osservo e che si riflettono nella struttura policroma
del pensiero e dei suoi rimandi ad altri. Sono stufo dell’eterna e sterile
liturgia dell’oggettività di una para-natura. Che solo lei sappia nutrire
i pensieri e fondare il canone che rende infecondo il pensare con la generazione
di pensieri che non osano perché inautentici e dunque disonesti. Non ci
si può cristallizzare fra numeri e numeretti - che poi mica tanto sono
conosciuti – ma val la pena emozionare. L’emozione domina l’occhio e fa
aprire il pensiero e lo rigenera e il sangue ritorna al cuore. Così dico,
comunico, comunichiamo con gli Altri e la natura è strumento. La mia sociologia
nasce dal cuore e a esso ritorna. Se riesco attrarre è tutto. Il resto
è mestizia e malinconia. Qualcuno dirà che non è sociologia ma malinconia.
Io dico che è sociologia che osa. Altrimenti come potremo condividere
i versi di P.P. Pasolini – in La nuova gioventù, 1975 – che ci dicono:
«se vogliamo andare avanti, bisogna che piangiamo il tempo che/ non può/
più tornare, che diciamo di no/ a questa realtà che ci ha chiusi nella
sua prigione…»
Luigi
Remotti matricola 6230/KN
Quando il tempo del lavoro finisce
Luigi, che ha due figli, si sta domandando come faranno i suoi due figli,
sì proprio loro, a trovare un lavoro se tutti restano a lavorare più a
lungo; se la tecnologia continua a far sì che ci sia sempre meno bisogno
di addetti. É pur vero che si creano altri posti, con altre condizioni
ed in altre situazioni, ma chi ha due figli che già dovrebbero stare a
lavorare non è che questa cosa sia di grande aiuto. «Già, perché quelle
altre situazioni non è mica facile trovarle», dice Luigi fra sé e sé!
E si ricorda pure che sua nonna Maria aveva ogni tanto la lavandaia in
casa. Gli pare di ricordare che l’avesse al lunedì di ogni settimana,
per il bucato grosso. Questa donna con le mani arrossate ma con la pelle
stranamente senza screpolature veniva dalla campagna attorno alla città
della mittleuropa per arrotondare il suo reddito, anzi per farlo visto
che con i prodotti agricoli che riusciva a vendere non avrebbe certo potuto
campare. Al pensiero di quelle mani poco o per nulla screpolate Luigi
ne era certo che esse si avvalessero dell’aiuto di tutta la famiglia,
delle figlie in particolare e dei guanti di gomma. Luigi ricordando quando
era bambino e grande osservatore, si dice «se oggi non ci fosse l’Europa
che assiste i vari paysannes sai che trionfo per gli agricoltori del terzo
mondo che, quando va loro bene, si trovano a fare un po’ di commercio
equo e solidale, visto che buona parte del budget europeo va ai loro colleghi
che vivono nel vecchio continente». Lì, in quel settore, sembra che la
globalizzazione sia stata tenuta un po’ alla larga ed anche che gli aiuti
alle imprese agricole non costituiscano una distorsione del mercato. Mah?
In ogni caso Luigi rivede i momenti della sua infanzia e ricorda che quando
la nonna Maria aveva acquistato la lavatrice anche la lavandaia, che si
chiamava Jolka, era diventata superflua, inutile. Non perché crescevano
gli anni anche per lei, ma perché veniva a costare troppo: costava meno
il bucato fatto con la lavatrice. Insomma Luigi rifletteva sul fatto che
la tecnologia, avendola vista all’opera, produceva una riduzione fra gli
addetti ed anche un risparmio. «Evidentemente la storia del capitale costante
non era affatto una balla, anzi, è con la remunerazione del capitale che
andrebbe approfondita di più la faccenda della difficoltà a trovare lavoro
per i suoi figli» conclude Luigi nel suo pensiero ricordando quegli incontri
al sindacato. Incontri che non si fanno più.
Insomma Luigi ha sperimentato fin da ragazzino cosa significa l’introduzione
della tecnologia: minore bisogno di addetti ma anche risparmio dall’altra
parte. Allora nessuno scandalo, come nel campo dell’economia domestica
sperimentata, se anche nell’agricoltura italiana che contava nel 1950
dodicimilioni di addetti e dopo mezzo secolo ne conta solo più poco più
di duemilioni. E non si può dire che si sia mangiato di meno o significativamente
peggio a fronte di meno agricoltori. Però… se ci potesse essere sulle
tavole per davvero il cibo “del kilometro zero” forse avremo qualche addetto
in più nei campi e negli orti e qualche kilometro di strada in meno da
percorrere per i vari camion che sulle autostrade sembrano delle enormi
e interminabili anaconde meccaniche. Ma, forse, qualche euretto in più
per comprare i cibi sarebbe necessario, se non altro nel primo periodo.
Così va il mondo, dice Luigi, «e forse è giusto così, meno fatica per
tutti e più risorse», Luigi, abituato fin da bambino a riflettere su quanto
vede ed a pensare in maniera eclettica, non si scandalizza più di tanto
perché sa che esiste quella cosa che si chiama produttività e che è il
derivato di ogni innovazione tecnologica. Certo si potrebbe sempre avere
più prodotti con più addetti che vi lavorano, ma poi i profitti ed i poteri
in campo cambierebbero, ma questa è un’altra storia che per ora Luigi
rimanda. Per ora, visto che Luigi deve trovare una ragione per la difficoltà
a trovare lavoro per i suoi due figli, accontentiamoci di sapere che siamo
di fronte a “più prodotti e a costi inferiori”. Oh sì, è vero che quando
si parla di queste cose è come quando si discute su qualche cosa in cui
la parola utile è centrale, ovvero tutte le volte in cui il problema riguarda
la vita delle persone nella società e, indipendentemente dai partecipanti,
la discussione è sempre falsata e il problema sempre eluso. Non esiste
alcun mezzo corretto per definire ciò che è utile alle persone! Giustificare
utilitaristicamente la condotta umana come vogliono fare certi economisti
e psicologi e sociologi è insensato perché intanto non viene mai in mente
a nessuno l’idea dell’interesse di fronte a perdite considerevoli: guerre,
dissipazioni, crisi, bolle che sono state gonfiate fino al punto di scoppio.
Si ragiona sempre su momenti parziali e si gettano le croci. Se si guarda
un po’ più in grande si passa per essere ‘comunisti’ e comunque degli
idealisti senza presente né futuro. Ma Luigi qualche volta sa mettersi
dalla parte delle cause perse. Sulla faccenda di produrre a costi inferiori
la sua attenzione è attirata dalla serie dei costi che riguardano gli
addetti, cioè per il personale - proprio perché si preferisce l’innovazione
che permette di ristabilire certi margini di potere e controllo e di guadagno
– che oggi si dice ‘risorse umane’. Queste risorse umane richiedono un
sacco di attenzioni (cioè di controllo) ovvero organizzazione e gestione
continua, formazione permanente che non serve tanto alle competenze vere
e proprie quanto a creare appartenenza e quindi a sedare le ansie di ribellione
latente, le rivalità interne e le lagne.
Comunque certe volte capitano certe rotture come quella volta, quando
Luigi faceva il sindacalista, che era stato chiamato perché gli impiegati
degli uffici amministrativi volevano un’indennità di rischio contagio
perchè qualche vecchietto o diversamente abile veniva nei pressi della
loro postazione lavorativa – lavoravano in un servizio assistenziale comunale
– e si fermava per fare due chiacchiere o per chiedere qualche aiuto o
elemosina. E pensare che lui, Luigi, avrebbe voluto proporre anche agli
impiegati di accettare le ‘borse di lavoro’ per permettere alle persone
emarginate di stare in ambienti qualificati dal e del lavoro e quindi
consentire anche a loro uno statuto sociale molto più consono. Una cosa
utile per gli impiegati, cioè per gli addetti veri e propri perché avrebbe
dato loro un prestigio sociale maggiore e basato sulla solidarietà ed
ovviamente per gli esclusi che avrebbero avuto lo spazio di una formazione
ad ampio spettro ed una socializzazione non effimera. Figurarsi! Ad esempio,
gli viene in mente, che un dirigente alcuni lustri fa era riuscito ad
“aprire” gli uffici della sua area alle “borse di lavoro” per persone
in difficoltà, non necessariamente invalide. Ma in difficoltà. Un esame
con l’assistente sociale e un colloquio approfondito e si apriva un accesso
per quattro ore al giorno in ambiti decorosi e con gente motivata alla
relazione. Meglio lì che in strada o isolati in casa e con 300€ al mese…
e la possibilità dei buoni pasto per restare più tempo insieme a tutti,
per integrarsi ed apprendere anche attraverso le relazioni informali e
le ritualità. Bene, così era scritto nella deliberazione, ma subito altri
addetti dissero che non c’era la copertura per i buoni pasto e che il
contratto non lo prevedeva, il contratto.! A nessuno venne in mente di
fare una non difficile variazione di bilancio e quando fu proposta si
vantarono problematiche amministrative, di gara etc. Accade spesso che
è più comodo non pensare, non migliorare insieme ed è meglio gettare la
croce sugli altri perché soffrire o far finta di soffrire procura anche
un godimento, direbbe lo psicanalista! E per restare in tema Luigi ricorda
con angoscia quello che è successo ad un infermiere. Egli aveva visto
che le porte della struttura in cui lavorava non lasciavano passare i
letti dei degenti in caso di incendio: troppo strette rispetto alla larghezza
dei letti. Anziché trovare una soluzione, certo non facilissima, si inasprirono
gli animi in un crescendo impossibile.. che poi portò alla emarginazione
più che totale del lavoratore. Mobbing. Nessuno aveva voluto capire che
quell’infermiere era diventato camussiano come l’homme révolté narrato
da Albert Camus. L’infermiere ‘rivoltoso’ esprimeva la necessità di dire
no all’insensatezza, ovvero no alla alienazione rilevata fra le norme
di tutela e la realtà. Non solo, il sistema organizzativo per mantenersi
aveva bisogno della complicità evidente dell’apparato (dirigenti, quadri
e capi vari) per ogni tipo di razionalizzazione e spostamento o sublimazione:
istituzionalizzazione cioè. Rivolta per il raro contestatore, non rivoluzione
in senso marxista, ma contro l’assurdo e se si vuole contro chi si era
presentato come ricercatore di rivoluzione ed invece aveva trovato il
benessere e la carriera aggrappandosi con tenacia e mantenendo ad interim
il controllo su ciò che si può dire davvero rivoluzionario.
Luigi impara con la sua esperienza che le ‘rivolte’ dell’uomo costano
parecchio. Adamo ed Eva che si perdono nel disordine della realtà ed incontrano
la morte; Prometeo che socializza il sapere del fuoco e dunque fa nascere
la scienza ma è incatenato; Sisifo che con la sua sagacia contesta gli
dei (e dà acqua a Corinto) è condannato a portare all’infinito il macigno
che rotola sempre non appena raggiunge la cima del monte; la scienza moderna
che deve per forza trovare in se stessa le proprie ragioni e propri fini
e che decreta che ogni dramma è malattia, ogni mito è fantasia, ogni ribellione
o rivolta è reazionaria e contro la ragione; il potere che è sempre autoreferenziale…
che ogni lavoro è produzione di merce. Intanto l’obiettivo della produzione
è sempre la maggiore efficienza , più risultati in minore tempo e con
minori risorse. Appunto, nessuno si immagina la dépense, la dissipazione,
anche se le leggi della termodinamica stanno lì a ricordarcelo, ma solo
nei domini della scienza. Cosi Luigi pensa a quelle imprese che alcune
decine di anni fa abitavano la periferia della città mittleuropea e che
ora se ne sono andate ad abitare le città dei paesi dell’est, del sud
America e dell’Asia estrema. Gli viene da fare un sorriso da compatimento
a pensare che alcuni di questi stati che ospitano le nuove produzioni
ex-italiane od ex-europee od ex-Usa (gli USA sono un po’ meno propensi
a delocalizzare) erano fino a poco tempo fa spietatamente comunisti ovvero
“nemici” del libero progresso e del rispetto dei diritti umani - ed alcuni
tali sono rimasti o quasi - e suscitavano gli improperi della classe dirigente
ed imprenditoriale! Sul piano generale è la riprova che la forma capitalistica
è “senza mondo” cioè è in grado di attecchire ovunque, indipendentemente
dalle condizioni concrete. Sul piano locale, ora, osserva Luigi, quelle
‘imprese’ hanno portato la direzione strategica o il brand come si dice
in un delizioso appartamento trasformato in ufficio nel centro cittadino
mentre si sono godute le plusvalenze di quei terreni che diventano man
mano edificabili. All’estero non è che hanno fatto grandi investimenti
in innovazioni; sembra che abbiamo goduto di regimi fiscali più generosi
e di costi del personale più vicini ai quintili più bassi. Luigi si ricorda
che il «saggio di profitto è il rapporto tra profitti realizzati in un
anno e il capitale anticipato e indica, dunque, in quale misura il capitale
può essere valorizzato». E dunque al calare del saggio del profitto la
disoccupazione tenderà a salire… se poi il capitale anticipato come i
vari macchinari, le tecnologie e annessi knowhow vengono soltanto traslocati..
è facile capire il perché delle delocalizzazioni. Non vi pare? Così dice
Luigi. E passando sotto quegli uffici tutti lustrini Luigi si rende conto
che il marketing è centrale a troppe realtà perché il mercato è regolato
dal desiderio più che dall’oggetto in sé: supporting evidence, dicono
gli strateghi delle vendite. L’oggetto deve essere il desiderio stesso
oppure il desiderio di un oggetto che dice altro ed oltre. Sarà, dice
Luigi, la comunicazione sarà pure tutto ma a me manca l’officina, il pezzo
finito, magari l’auto lì davanti che esce e fa rumore anche se i profitti
sono quelli che sono. Ma un bicchiere di vino al bar, con gli amici, un
giro di valzer o di disco music in discoteca con la moglie ci può sempre
stare. Però è circondato da veline.
Quando era giovane gli dicevano che le veline le scrivevano i politici
per lasciare trapelare solo certe notizie, ora le veline sono dappertutto,
scritte da emeriti professional della carta stampata e non. Ma sono anche
delle belle ragazzotte che mostrano quasi tutto ciò che madre natura ha
dato o qualche chirurgo plastico ha loro costruito. E magari a qualcuno
che “può” mostrano tutto, senza imbarazzo. Luigi passa dalle veline –
che pur centrano – alle pensioni. Lui vorrebbe già andarci ma ha dei dubbi.
Intanto “come mai mi dicono che le pensioni non si possono più avere perché
non nascono più bambini?” Luigi ha letto queste cose su giornali molto
accreditati; non è che se li può comperare tutti, questo no, ma quando
esce dal lavoro si ferma in un vecchio caffé e davanti ad un bicchiere
di prosecco come aperitivo serale legge tutti quelli che non stanno fra
le mani degli altri avventori. Se ha un po’ di fortuna riesce a farsi
una rassegna stampa completa. D’altronde visto che va a lavorare presto
al mattino mica può ascoltare la radio, no? Poi si incammina verso casa
dove trova quasi sempre Elisabetta, la sua sposa e di cui è sempre innamorato.
Alla faccia della jouissance compulsiva! Per Luigi e per Elisabetta c’è
amore, tenerezza, parole, anche quando ci si tende come corde di violino
per qualche incomprensione o aspettativa frustrata.. sesso e complicità
spontanea ed anche le ambasce della vita. Luigi pensa al calo della natalità:
ma che centra con le pensioni? Luigi sa che lui, uno che è padre di due
figli, ha qualche problema in più oggi stesso, anche se i figli sono grandi.
Si ricorda delle serate insieme, dei primi compiti, delle malattie, della
ricerca di qualcuno che li tenesse quando doveva correre dal padre, il
loro nonno, che improvvisamente aveva avuto la compagnia della morte...
gioie e sofferenze, difficoltà che l’amore riusciva a far superare senza
dolore. Ora le donne non fanno più bambini, ne fanno pochi. E si continua
a far finta di essere in salute e si dice che c’è la ripresa della natalità,
che il tasso di fecondità risale. Forse grazie agli immigrati. Ma Luigi
l’altro sabato è andato in biblioteca a leggere delle statistiche – avrebbe
preferito andare al sindacato ma lì le cose di cultura sono diventate
troppo burocratiche – e le ha viste inforcandosi gli occhialini. Luigi
si è trascritto i numeri su un pezzetto di carta spiegazzato, eccoli:
dall’1,42 del 1995 all’ 1,48 del 2008, ma nel 2009 ecco la ridiscesa:
1,41. Sono finite le coorti delle quarantenni primipare, e le donne immigrate
si adattano al costume delle donne autoctone. E le scelte della politica
sono sempre quelle dell’ignavia condite dalla chiacchiera ad infinitum.
Che errore di valutazione! E così nella mente di Luigi, forse un po’ incline
a quella depressione che però è sanità mentale perché cerca un’elaborazione,
prende corpo l’idea che con la disoccupazione giovanile centrano, paradossalmente,
più le “veline” che le pensioni, sicuramente.
Infatti Luigi ha ragione. La relazione con le pensioni non è tanto nel
calo della natalità quanto piuttosto nei “giovani lavoratori”, dunque
con l’occupazione. Luigi conosce oltre ai suoi due figli molti altri disoccupati
giovani, dunque sa che la forza lavoro dei giovani è in esubero. E come
non potrebbe conoscerli visto che i giovani disoccupati sono il 27,9%
cioè quasi 900mila individui? Luigi aumenta la cifra assoluta in verità
perchè in senso stretto i giovani che cercano lavoro sono di meno cioè
circa 700mila, ma lui sa che nella categoria ‘disoccupati’ è bene far
rientrare anche quei giovani che sono in balia delle cose e non si attivano
molto nel cercare perché già frustrati o perchè aspettano l’esito di qualche
promessa fatta da qualcuno/a che se la prende comoda nell’onorarla...
ed allora arrotonda per eccesso. E forse fa bene. In verità tutta la fascia
dei giovani senza lavoro supera i due milioni. Né si accontenta di quanto
legge come spiegazione e cioè che i giovani non vogliono fare certi lavori
– cosa che per lui è più legata alla formazione, cioè alla scuola succube
del mediatico ed alla sua neoideologia che reifica le relazioni nelle
immagini, che alla loro indole – e preferisce mettere insieme ciò che
osserva e sente con roboante sicumera: innovazione, ci vuole innovazione…
Siamo sempre lì, si dice, innovazione tecnologica e disoccupazione, anche
nella burocrazia che per esistere riesce sempre ad inventare nuovi modi
di rompere le balle. D’altro canto dare regole agli altri è un’azione
che non costa nulla per chi le eroga! Dunque Luigi, mentre continua il
suo percorso verso casa, si sente preso in giro: balle.
Luigi ora mette insieme i tassi, contrapponendosi a tutti quelli che gli
fanno credere che le pensioni consumano troppo PIL. La Ragioneria Generale
dello Stato dice che alla fine dell’anno 2010 c’è bisogno del 15,2% del
PIL (nel 2007 il fabbisogno era del 13,9%) e che questo costo salirà al
16% intorno al 2030/40. Ma dopo questa bella forchetta di dieci anni…
comincerà a scendere, e non si dice. Perché non sanno assolutamente dei
giovani e delle loro pensioni senza copertura. E non dicono nemmeno che
il 47% delle pensioni è sotto i 500€ al mese, solo il 13,6% supera la
cifra di 1500€ mensili. Il grosso delle pensioni di invalidità, vecchiaia
e superstiti viene erogato al Nord (51,3%) mentre al Sud si concentrano
le pensioni sociali (50,6%) e quelle di indennità agli invalidi civili,
ai non vedenti e ai non udenti (43,9%). Ma nel 2035 Luigi avrà 95 anni
e gli viene da ridere: con una vita di lavoro, di sberle belle grosse
che ha ricevuto non pensa proprio di arrivarci! E vede accanto una signora
con due bei bambini per mano e un nonno con altre due piccoli che frignano:
«ecco, ma pensa un po’… sono proprio i bambini e i vecchi che hanno bisogno
degli altri e qui si vogliono ribaltare le scale dei valori e della realtà!»
Dunque non è lui la canaglia. Nelle sue letture si è imbattuto in quel
genio di Lacan, difficile quanto volete, ma geniale. Lui gliela cantò
bene alle canaglie che sono per definizione di destra e sostenitrici dell’ordine
sociale dato ed immutabile ed anche agli sciocchi che invece sono di sinistra
e si accontentano di strappare un pò di godimento al padrone. Luigi sa
che canaglie e sciocchi si sono alleati, sono diventati una cosa sola.
Tempi duri, nonostante la bella storiella del gitano con la scimmiotta
come metafora del discorso sulle canaglie e gli sciocchi.
Quello che non va giù a Luigi è la confusione totale fra destra e sinistra.
Sa benissimo che sono classificazioni limitative, ma far finta che tutto
sia uguale a tutto non gli va giù. E si ricorda, proprio per questo, che
un giorno, non tanto tempo fa aveva origliato una conversazione fra un
giovanotto - che sembrava anzi era un rampollo di quelle famiglie importanti
dell’industria italiana e che così giovanissimo già scorrazzava fra l’Italia,
la Cina, gli States – e un signore dall’aria preoccupata. Questi invitava
il giovane ad essere prudente, una parola sconosciuta nel vocabolario
contemporaneo e di quel giovanotto (tutt’al più si dice ‘prevenzione’
dimostrando così che la prudenza può essere trasformata in merce) e lui
rispondeva che «finchè dura si va avanti e se poi anche i cinesi si danno
da fare e tutto va a catafascio allora si tornerà a zappettare la terra!».
Che cinismo si disse Luigi… ed oggi aggiunge «ma che vada lui subito a
zappettare, mi sa che gli farebbe un gran bene perché secondo me non sa
assolutamente cosa significa e vorrebbe che Altri andassero a zappare
per lui, ovvio!». Una riprova che tutto non è uguale a tutto, dice Luigi
e sospira così forte che quasi lancia un grido ed una signora che sta
passando gli chiede se si sente male. «Si – le risponde - ma non è un
male fisico, è che sono stato assalito da una preoccupazione enorme, temo
che i nostri giovani abbiano perso la capacità di leggere la bussola,
non tutti, ma parecchi!». «Non mi dica, risponde la signora, però meglio
così, avevo paura che stesse male, con quello che si sente e che si legge..»
ed ognuno ritorna alle sue cose.
E Luigi, riprendendo il cammino, pensa che si voglia per davvero far credere
a tutti che i “vecchi e i bambini” sono un costo! Già di bambini con questa
litania se ne fa di meno.. per i vecchi bisogna aspettare ancora un po’...
per farli andare a zappettare magari la loro fossa. Ma allora, si domanda
Luigi: gli ospedali, le scuole, i ponti, le ferrovie, i palazzi pubblici,
i moli del porto, le stazioni, le strade più o meno ardite, insomma tutti
i beni durevoli, anche quei beni che si è riusciti a proteggere da feroci
andate tsunamico-speculative come certi boschi, certi litorali, certe
spiagge, certi corsi d’acqua, certi monti, certe coline, certi paesaggi
che sono stati costruiti i primi e preservati i secondi proprio da quei
lavoratori quando erano più giovani come non rientrano più in gioco? Non
sono forse dei valori – in tutti i sensi – lasciati come una specie di
eredità a godere ad altri?
Non si può dar torto a Luigi che scopre il senso a partire dalla realtà,
dal praticamente-vero oppure dal fondamento, dall’aitìa greca. Non possono
farci credere, per lo più coloro che godono di redditi variabili e persino
quelli che annunciano per tv o per radio che la borsa è scesa dello 0,20%
oppure del 2% e lo dicono con aria mesta e quasi piangente come se i titoli
azionari non fossero soggetti all’inflazione da un lato e alle speculazioni
al ribasso dall’altro, che tutti i beni durevoli, tutti gli atti che hanno
portato dei miglioramenti durevoli, anche nel campo della salute sempre
sotto tiro per i costi sanitari – siano cose irrilevanti. Anche loro potrebbero
avere un significato contabil-capitalista e dunque giustificare le pensioni:
non solo ragioni umanitarie, umane – che pur sarebbero già ben che sufficienti
– ma anche contabili! Ma Luigi torna alle ‘azioni’, quelle quotate in
borsa. Esse risentono moltissimo del valore effettivo degli investimenti
apportati alle aziende di riferimento e se c’è del truffaldino prima o
poi vanno verso il basso. E vanno anche verso il basso secondo certi giochi
borsistici. E poi si sa anche, forse un po’ meno, che il valore di un’azione,
proprio per tutte queste cosette, è più o meno il valore attuale degli
utili – che costituiscono la base dei dividendi - che sono previsti ed
attesi. Il fatto che spesso le azioni diano dei guadagni del 15-20% (e
così anche altri titoli) è qualche cosa di “senza senso”: è speculazione,
bolle, cioè falsa virtualità per nulla reale - ma con effetti reali -
che garantisce ed è riservata a ben poche persone dell’umanità. Anzi,
pochissime. Luigi, per quel che lo riguarda cioè le contorsioni regressive
e repressive sulle pensioni dopo aver tanto lavorato, sa che ci sono i
moltiplicatori, che sono in funzione della dinamicità dei soldi e dei
capitali… ah il mercato dei capitali, non solo della frutta e verdura!
E a proposito di quel mercato del danaro Luigi sorvola a quell’ipotesi
fatta da James Tobin nel 1972: tassare un po’ le transazioni valutarie!
Solo l’idea provocò e provoca tanti pianti e piagnistei in pochissime
famiglie! Ma quanti pennaioli a consolarle.. e ministri e esperti e politologi…
che ne dicono tante e tante. Se usassero la stessa lena per dire che la
tassazione del reddito da lavoro è eccessiva il salario sarebbe già oggetto
di sacralità!
Il mondo dei rapporti sociali è un po’ diverso, col suo annesso mercato,
dal microcosmo della famiglia ideale esistente, come quella di Luigi,
dove si guarda anche al centesimo di euro. A casa di Luigi non si fanno
spese se non ci sono soldi; non si compra a rate nemmeno se ti garantiscono
per iscritto sconti tali che si può comperare a sottocosto. Qualche volta
la tentazione è forte perché i bisogni lo sono altrettanto. Ad esempio
ci sarebbe da cambiare quel divano che ne ha viste di tutti i colori,
anche improvvisi amori quando la passione esplode fra Luigi ed Elisabetta
ed i figlioli sono fuori. Piacerebbe compiere quei riti della vacanza
lontana e dei fine settimana fuori città. Ma l’idea che fra non molto
sarà in pensione lo fa ‘fermare’. Luigi sa bene che i soldi messi in banca
non stanno fermi.. sono girati ad altri... al mercato... e se le cose
stanno così perché non pagare le pensioni? Importante che i soldi delle
pensioni rientrino in circolo, no? I pensionati danno lavoro ad altri
come tutti i consumatori e quando hanno bisogno di assistenza specializzata
e non (come tutti del resto), magari hanno bisogno di qualche struttura
protetta a meno che non si voglia innalzare al rango di valore il suicidio
o inventare l’olocausto dei vecchi. Luigi non è mica stupido: sa distinguere
fra rispetto alla persona - anche chi compie gesti estremi merita sempre
la nostra pietas e rispetto profondo - e le parole. Per questo sa che
è corretto che il ‘suicidio’non sia penalmente rilevante – aveva letto
che all’epoca del potere temporale ecclesiastico le persone suicide venivano
impiccate, da morte, fuori dalle mura delle città – e dunque anche tante
altre azioni o comportamenti umani lo potrebbero essere senza alcuna significanza
o rilevanza penale e non per questo elevarli a rango di valore. Ma sa
anche che l’organizzazione e la ritualità sono in agguato: come fare per
assecondare certe volontà che solo in apparenza sembrano non richiedere
costi, apparentemente gratis? Infatti quando si vuole organizzare ci si
imbatte nelle spese e nei cambiamenti nelle referenzialità dei poteri.
Ma è anche fermamente convinto che se si fossero fatte le strutture necessarie
certi problemi sarebbero veramente minimalizzati!
E a proposito di strutture protette Luigi sa che con l’aria che tira la
sua pensione non basterà a pagare la retta nel caso diventasse non autosufficiente
e i suoi familiari, sua moglie, non ce la facesse più a tenerlo in casa
dove hanno sempre vissuto. La casa sarà dei figli, altrimenti come faranno?
Si sa che qualche ben pensante di quella categoria degli sciocchi vorrebbe
eliminare l’eredità per fregare i ‘padroni’ ma, così facendo, fregherebbe
proprio e con maggiore incisività proprio chi è al limite della sopravvivenza
ed ha lavorato una vita per un minimo di sicurezza, cioè di difesa attiva
nei confronti della volubilità dei proprietari specie di quelli grandi
che si perdono dietro – ma non troppo – l’anonimato delle società per
azioni o delle fondazioni. Diverso il discorso sulle patrimonialità. Inoltre,
quando uno è non autosufficiente la assistenza sanitaria, in un certo
senso ma con ricadute assai pratiche, si sospende, va in default. Bisogna
pagare, e se non può l’interessato devono pagare i familiari. Ben pochi
si sono opposti a questo andazzo di mentalità e di eterodirezione, solo
alcune associazioni di consumatori come la Confconsumatori con l’avv.
Franchi di Parma e Truzzi di Trieste che qualche causa riescono a vincerla.
Che strano silenzio.. si dice Luigi, una grande identificazione con l’aggressore!
Una volta che disse queste cose fu rimproverato da un tipo che l’apostrofò
con «lei dice bene, ma come farebbero i comuni?» Già, come farebbero?
Semplice, farebbero diversamente, meno spese per l’effimero, perché a
pensarci bene sarebbe come dire “se mi capita una multa perché pagarla
visto che mi riduce una parte del mio tenore di vita?”. Quel tipo, scoprì
più tardi, era il dirigente del comune che aveva ideato un contratto al
momento del ricovero di un anziano non autosufficiente nella struttura
protetta comunale che impegnava i parenti a pagare. «Se non firmi, non
ti ricovero il vecchietto o la vecchietta!». Così i premi corrono senza
ostacoli anche per i dirigenti pubblici come se si fosse aumentato il
fatturato.
Che follia! Dunque per i pensionati in gravi difficoltà… strutture protette
costose, badanti che facilmente possono essere sfruttate e così consentendo
sempre il gioco perverso dei premi dei vari addetti delle cosiddette aziende
pubbliche con la facile considerazione che “si evita il ricovero”. Una
volta Luigi era stato anche accusato di non capire niente da un attivista
del partito dei pensionati che diceva che bisognava avere pensioni più
alte e che bisognava fregarsene dei ‘diritti’ da esigere: una diretta
apertura al privato assoluto! Mentre lui, Luigi, avrebbe voluto tanto
che si fosse introdotto il budget di cura, ma non come procedura del potere
dei servizi bensì come empowerment del cittadino bisognoso per aprire
a lui più opportunità e modalità di azione e di scelta nel suo contesto.
Per far sì che sia il cittadino a condizionare i servizi secondo i suoi
bisogni e non viceversa. Luigi si ricorda che un suo amico, sociologo,
aveva fatto un bel progettino di formazione per “il budget di cura” indicando
fra i docenti l’équipe inglese che l’ha introdotto, sperimentato, valutato.
Richiese al centro servizi volontariato di sostenere i costi delle docenze;
la risposta fu un bel no. Non si va contro l’establishment monopolistico,
non vi pare? Meglio fare corsi e corsetti per Badanti, per qualificare
gli OSS al terzo livello che interrogarsi se avere trasformato in dottori
tutti gli infermieri professionali sia stata una cosa eccezionale veramente
e se la pletora dei medici sia davvero sensata e rispondente alle esigenze.
A Luigi vien da ridere (per non piangere), pensando al fatto che ieri
l’altro un suo amico affetto da un principio di polmonite aveva dovuto
recarsi con la febbre dal medico di base per avere il certificato di malattia
e per ottenere i farmaci necessari. Il suo medico di medicina generale
– meno di famiglia – non era disponibile. Ma.. alla sera stessa si presenta
al domicilio dell’amico il medico legale inviato dall’ASL per il controllo!
Ma allora non varrebbe affidare le cose a questi solerti funzionari della
medicina? Cosa spinge all’efficienza solo per effettuare i controlli?
Risposta: il controllo stesso, dove tutte le frustrazioni si fondono nel
crogiolo della precarietà della vita e dei registri sociali e si assapora
il profumo del potere. Povero PIL!
Però, dice Luigi, che male c’è se quando uno è vecchio e male in arnese
ci sono altri che pensano a lui? Il PIL non è forse lì anche per quelle
persone? Ed anche per i bimbi! Anzi è lì proprio per chi non ce la fa.
Come quando si chiusero i manicomi. A parte le carenze assistenziali laddove
l’ignavia della politica, dell’amministrazione e della scienza psichiatrica
hanno retto le cose per parecchio tempo dopo la promulgazione della legge
180; a parte le ricadute grevi su familiari spesso lasciati soli o con
i quali il dialogo non era facile (d’altro canto erano condizionati alla
delega in bianco al potere sanitario e medico); a parte certi casi che
richiedono più tempo per la loro evoluzione verso un equilibrio accettabile…
beh sono tutte cose che necessitano di una cambiamento culturale, di un
radicale cambio di mentalità spesso profondamente radicata e di nuovi
assetti di potere. Né si può addurre come considerazione negativa che
l’assistenza senza manicomi costa troppo rispetto ad una procedura di
ghettizzazione, di catalogazione e basta. Questa è solo stupidità. La
libertà è sempre terapeutica, non l’abbandono, ovvio.
È diverso, si dice Luigi, quando per la sopravvivenza, per sopravvivere
– forse non per vivere – c’è bisogno o comunque ci sia spetta fortemente
che si prendano carico del bisogno strutture capaci di fornire veramente
delle assistenze specialistiche, altamente complesse e con tanta dedizione.
Occorre dunque mettere su strutture corrette, fornirle di personale preparato
e garantire ad esso condizioni di lavoro eccellenti – si dice così, no?
– per prendersi carico della persona gravemente non autosufficiente e
immettere l’energia per ri-abilitarlo sul serio. Mantenere cioè la speranza
di una cura forte, volta al miglioramento effettivo della qualità della
vita di chi è maggiormente provato dal dolore e dalla malattia. Si potrebbe
anche, continua nel suo ragionamento Luigi, trasformare l’esistente, le
strutture che ci sono anche se private, modificando la loro mission. Ad
esempio Luigi pensa che le cosiddette case di riposo potrebbero diventare
anche oppure come dei “campi base” dell’assistenza domiciliare per un’area
data e per magari favorire l’accoglimento quando è necessario di qualche
anziano solo ed ammalato, un’assistenza domiciliare ‘vicina’ alla quotidianità
e non immersa nella prosopopea delle istituzioni sanitarie che, sul territorio,
dovrebbero essere assai delicate, flessibili, umili. Si dovrebbe favorire
una grande poliarchia nel sociale e non una gerarchizzazione. Ma anche
ci sarebbe bisogno di una “fondazione del volontariato” promossa da importanti
enti pubblici, magari come costola autonoma della ”protezione civile”
– al fine di avere il massimo del controllo democratico e popolare - che
sappia non unire associazioni ma “persone” per svolgere competenze specifiche.
Con la massa di ‘pensionati’ non sarebbe proprio male: importante che
ciò che si svolge dentro queste neo-istituzioni che immagina Luigi ci
sia sempre ‘dono’ e basta. Dono per gli altri, per le scuole mal messe,
per strade sporche, per andare all’appuntamento in piazza o al teatro
quando certe strutture protette più sensibili portano a spasso i loro
ospiti e quindi accoglierli e spingere le carrozzelle o prenderli a braccetto
per una bella passeggiata od altro, per accompagnare ad altre agenzie
anche di volontariato, per rendere decorosi i luoghi pubblici, per la
cultura, per manifestazioni sensate etc. etc. Luigi si proietta già alla
pensione, ma in realtà ci dice che ha senso “investire” sulle persone
visto che tutto sommato tutti sti imprenditori non è che stanno operando
per il pieno impiego: la redditività del capitale costante li condiziona,
eccome. Né pensa, Luigi, che riempire le cassette delle lettere di carte
pubblicitarie sia un lavoro: e infatti oltre a fare incazzare i condomini
degli stabili quando si trovano la cassetta postale intasata da cartacce
che spingono solo al consumo e il loro riempimento è fatto dal lavoro
nero di persone immigrate e solo qualche volta da studenti in vena di
farsi un po’ di grana. E allora, in attesa che le leggi facciano il loro
corso (!), perché non dare una chance relazionale a queste persone, magari
anche garantendo loro qualche corso di italiano etc..? Luigi sorride,
sarà dura, visti i massimalisti e azzecca garbugli che si annidano da
tutte le parti, dalle associazioni di ogni ordine e grado alle migliori
istituzioni della solidarietà e della tutela dei diritti. Sa che nella
società dello spettacolo vale più la copia – il falso – della realtà.
Lui, contrariamente al detto comune che ha declinato in senso dispregiativo
il nome di Solone, si sente più vicino a questo giurista dell’antica Grecia
che voleva portare un po’ di giustizia, come togliere la schiavitù per
i debitori che di solito erano piccoli contadini. Oggi si può dire che
impegnarsi per affrancare dalla povertà e coinvolgere le persone anche
bisognose nel “dono” sia un processo importante e foriero di tutto. Da
cosa nasce cosa. Luigi sa, è consapevole, che per vivere meglio tutte
le età e specialmente la vecchiaia bisogna avere la capacità e il coraggio
di andare controcorrente. Se una persona, specie se anziana, non va controccorente
è solo un anziano/a. Certo, bisogna lasciarsi alle spalle quegli atteggiamenti
belli e rassicuranti con cui si ammiravano le lotte di liberazione che
si svolgevano nel terzo e quarto mondo e si osannavano quelle popolazioni:
ora quelle popolazioni vengono qui e si vedono troppi nasi storti. Anche
di quelle dedite a bere kir royal per lo più sostituito dallo spritz.
A Luigi è piaciuto il nobel per la letteratura assegnato al peruviano
Vargas Llosa perché, pur ammirando molto Sartre, seppe dire al filosofo
francese «e no, caro mio, perché non dovrei scrivere … forse perché quando
io e il mio popolo saremo liberi potremo solo leggere le opere degli europei?».
Si, ci vorrebbero tante borse di lavoro, ci vorrebbe il ”reddito da cittadinanza!”.
Ma quanti moralismi di basso cabotaggio!
Eppure le pensioni, e Luigi lascia le sue apparenti libere associazioni
che qualche psichiatra, in cui quel pizzico di potere di salvificazione
del sistema sopravvive sempre, potrebbe codificare come fughe del pensiero
o delle idee, erano nate per far sì che il lavoratore una volta diventato
vecchio, con qualche inevitabile acciacco, potesse sopravvivere con un
po’ di dignità Suo papà aveva visto ancora i vecchi storpiati dal lavoro,
ai margini, in fila a prendere un po’ di rancio avanzato dai soldati delle
caserme. Beh, l’avvento delle pensioni aveva eliminato quelle indegne
realtà sociali. E’ vero però che per esigenze strumentali di tipo elettorali
spesso si è abusato... fino ai famosi 15 anni sei mesi e un giorno. Una
cosa grave, ma allora nessun giudice, nemmeno della Corte dei Conti ebbe
qualche cosa da ridire. Strano. Diverso era aver concesso le pensioni
a quelle categorie che non avevano mai versato contributi e che non è
che avessero pagato tutte quelle tasse come i commercianti, gli agricoltori,
gli artigiani. Infatti si usciva da una guerra lunga e dolorosa che aveva
fatto fuori migliaia di giovani e c’era bisogno di giustizia sociale e
di pace.
Oggi è tutto diverso. Sembra che si faccia di tutto per seminare zizzania
fra le giovani generazioni e le vecchie, saltando a pié pari il capitolo
della solidarietà e della coesione sociale. Che ci marcino? A Luigi, con
quella sana paranoia che accompagna i miti e i lavoratori, frulla per
la mente che si stia arrischiando di mettere le mani su certe fette del
PIL riservato alle pensioni - un 15% - per stornarlo ad altre fasce di
persone che magari non sono nemmeno cittadini italiani ma “investitori”.
Si sa, il capitale non ha un’identità codificata dallo stato civile. Pecunia
non olet. E nemmeno si può credere che l’eventuale accaparramento di quella
quota del PIL sia fatto per diminuire il debito pubblico, come se fosse
da attribuirsi ai lavoratori trasformati in debitori esclusivi anche perché
il mondo dei politicanti è così pieno di creatività che saprebbe, appunto,
destinare i soldi carpiti per altre spese da elargire a destra e a manca
per il mantenimento delle ‘poltrone’. Ma affermare che i pensionati sono
troppi, cioè le pensioni sono troppo elevate, è come dire che in una famiglia
dove sono nati tre gemelli e dunque i neonati sono ‘troppi’ essi devono
mangiare come se fosse nato un solo figlio. Smettiamola con le cazzate,
si sta cazzeggiando troppo nelle sfere delle dirigenze. Se si aprisse
il lavoro per giovani lavoratori, se nelle scuole anziché eliminare le
materie difficili come il latino ed il greco – perché i figli delle classi
abbienti vanno alle scuole dove queste materie in cui l’Italia primeggiava
sono insegnate e lo sono persino a Washington DC – ma lasciarle facoltative
o quasi, se si eliminasse tanta ma proprio tanta di quella pubblica istituzione
nei cui meandri di sportelli non si capisce mai quale carta sia necessaria
e tanto meno il perché province comprese, piccoli comuni da unificare,
responsabilizzazione dei privati anche sulle tasse, rimborsi elettorali
in proporzione ai voti e così pure per i vari seggi che dovrebbero rappresentare
l’intera popolazione e non solo una parte e dunque se in troppi non vanno
a votare si può benissimo scalare il numero delle “poltrone” teoriche
stimolando così una vera responsabilizzazione degli ‘eletti’, compiere
un po’ di giustizia retributiva che presenta lati oscuri come quello delle
indennità degli insegnanti inferiori rispetto a quelle concesse agli insegnanti
di religione e nel silenzio sindacale (solo i radicali si danno da fare),
lasciare spazio al buon senso concreto e vedete che il lavoro si trova.
E avere il coraggio di domandarsi, almeno domandarsi, se sia proprio giusto
che lo stato debba avere Xn di televisioni, di radio etc.. e sempre meno
ospedali efficienti e scuole votate all’eccellenza. L’ambiente è sicuramente
un grande volano e legato ad esso c’è una filiera infinita sia per la
tecnologia e sia per la comunicazione e formazione. Ma anche l’industria,
quella vera, con la cultura che ridiventi cultura e non pseudo-azienda
– al massimo questa è una modalità di gestione non un valor in sè – allora
non si è fuori dal tempo, fermi. Luigi, laureatosi come studente-lavoratore,
con uno stipendio da 1859€ al mese, dopo quasi 40anni di lavoro ininterrotti,
alle soglie dell’età della pensione messa in discussione da troppi poteri,
vede la periferia industriale della città con quella nuvola di fumo bianco
che annuncia che il carbon coke per la ghisa è pronto… e che anche quella
fabbrica è pronta per essere riciclata e pronta al riutilizzo dei suoi
35 ettari di terreno da bonificare e da destinare ad altri marchingegni
produttivi e meno inquinanti, senza arrecare danno ai lavoratori ed ai
cittadini.
Ma si sa, l’autopoiesi (autorefrenzialità) non è mica una robetta da poco
conto anche se a sinistra come a destra diventa un concetto moralisticheggiante
e nulla più. Alla faccia della scienza. Di quella scienza che è ottima
venditrice di prevenzione, cura, riabilitazione (mai di precauzione) e
che trasforma in malattia ciò che tocca e in ruoli per neo-professionisti
che curano gli influssi negativi delle identità interinali, cioè precarie
come … Stress, ansia, frustrazione, notti in bianco e depressione sono
infatti le dirette conseguenze del vivere costantemente in uno stato di
incertezza tra contratti di lavoro in scadenza, dubbi sul rinnovo e spettro
della disoccupazione all'orizzonte. Una costellazione di sintomi che ha
già un nome, "sindrome del precario" (che bello inventare i nomi! Ci si
sente come Adamo quando dette i nomi agli animali… figli del dio Maggiore.).
Gli esperti citano dati diffusi dal Comune di Milano in cui spiccano 47
mila lavoratori in difficoltà, l'80% dei quali (oltre 37 mila) con già
problemi psicologici riconducibili a una sindrome da lavoro precario.
Numeri che Luigi ha bene in testa perché nel cercare lavoro ai suoi figlioli
si è imbattuto in un collega del sindacato che gli ha fatto vedere un
articolo che si è fotocopiato. E così ci dice che secondo un sondaggio
online condotto dall'Eurodap sull'emergenza precarietà è emerso che: "su
300 persone tra 25 e 55 anni, il 70% ha dichiarato di trovare proprio
sul posto di lavoro la maggiore fonte di stress. Di questi, il 60% teme
i colleghi mentre il 40% si dice completamente assoggettato al capo per
paura di essere licenziato.” Una piccolissima consolazione per i disoccupati
giovani!
Luigi ha un amico sociologo che un tempo era uno dei collaboratori più
vicini a Franco Basaglia. Gli ha fatto vedere questo: “non c´è solo la
crisi economica. I precari bussano alle porte dei Servizi psichiatrici
delle Asl piemontesi, dove si sa il manifatturiero è ben piazzato, in
cerca di aiuto. E proprio tra questa categoria di utenti è stata condotta
per conto della Regione un´indagine che punta a individuare il doppio
filo che lega precariato e disturbo psichico. Il campione - 582 utenti,
il 46% uomini ed il 54% donne - è stato scelto in 4 diverse aree del Piemonte.
I precari che si trovano ad affrontare disturbi psichiatrici sono giovani,
«in una fase della vita in cui emergono le esigenze di costruzione di
un percorso», spiega il sociologo Roberto Cardaci, che ha condotto l´indagine:
il 24,40% ha dai 36 ai 40 anni, il 22,85% dai 31 ai 35, il 18,73% dai
41 ai 45, il 16,15% dai 26 ai 30. Per molti di loro, il precariato è una
burrasca in cui navigano da anni, in diversi casi (il 38,49% del totale)
da sempre: il 2,58% è diventato precario nel periodo 1980-1990, il 17,18%
nel 1991-2000, il 39,18% nel 2001-2007. Sono mediamente istruiti - il
49,14% ha un diploma di scuola media superiore, il 32,30% un diploma professionale,
il 5,15% la licenza media inferiore, 4,30% la laurea, 0,17% la licenza
elementare - ed hanno gli impieghi più disparati: il 14% lavora nel commercio,
il 6% nel pubblico impiego, il 6% nell´industria, il 3% nella comunicazione,
il 2% nell´edilizia, l´1% nell´artigianato, il 25% in altri settori, mentre
il 43% è attualmente senza occupazione.
Nella propria condizione di "vuoti a perdere", i precari subiscono pesanti
contraccolpi dalla propria percepita inadeguatezza nel costruire un percorso
di vita e lavorativo. Il 35,74% del campione soffre di schizofrenia e
altri disturbi psicotici, il 19,24% di disturbi della personalità, il
16,15% di disturbi d´ansia, il 12,03% di disturbi depressivi maggiori,
il 9,79% di disturbi bipolari, il 5,15% di disturbi dell´alimentazione,
il 3,78% di distimia, il 3,26% di disturbi somatomorfi, il 2,58% di disturbi
ossessivi. E se, come sottolinea Antonio Macrì, responsabile del Centro
di salute mentale dell´Asl Torino 1, «chi si rivolge ai Servizi psichiatrici
è solo la punta dell´iceberg», il numero di precari che bussano alla porta
delle Asl piemontesi è in crescita esponenziale negli ultimi anni: «Da
noi, se fino a qualche anno fa c´erano 2-3 arrivi a settimana, ora sono
2 al giorno», dice Cecilia Cismondi del Servizio sociale del Dipartimento
di salute mentale dell´Asl Torino 2. Per puntellare le vite precarie di
questi lavoratori a scadenza, la Regione Piemonte, unica in Italia assieme
alla Toscana, mette a disposizione dei Servizi di salute mentale strumenti
come borse di lavoro e percorsi di inserimento lavorativo. «Per questi
servizi sono stati spesi nel 2007 sette milioni e mezzo. Ma l´insicurezza
ed il disagio mentale non possono essere affidate soltanto ai clinici.”
Ne siamo ben consapevoli, noi.
Edvard
Munch (Liturgia del pensiero medi-psi e socio)
Sera sul viale Karl Johan 1892
Forse invecchio, se ho fatto un lungo viaggio/ sempre seduto, se nulla
ho veduto/ fuor che la pioggia, se uno stanco raggio/ di vita silenziosa…
( gli operai/ pigliavano e lasciavano il mio treno,/ portavano da un borgo
a un dolce lago/ il loro sonno coi loro utensili)./ Quando giunsi nel
letto anch’io gridai:/ uomini siamo, più stanchi che vili.
(Sandro Penna, Peccati di gola, Libri Sheiwiller 1990)
newsletter subscription
www.analisiqualitativa.com