La lettura di sé e dell'altro
Orazio Maria Valastro (a cura di)
M@gm@ vol.9 n.1 Gennaio-Aprile 2011
LA STRADA DEI QUADERNI
Vera Ambra
veraambra@akkuaria.com
Presidente Associazione Akkuaria (www.akkuaria.com).
“Tu sei tutto ciò che hai desiderato diventare” sicuramente questo mi avrebbe detto il grande Kazuo Oh-no, se soltanto
avessi avuto la fortuna di incontrarlo. I suoi insegnamenti mi sono stati
di grande aiuto per diventare oggi quella che sono!
Indubbiamente la maggior parte del merito è stata la scrittura. Attraverso la parola scritta ho avuto l'opportunità di navigare nell’intimo delle mie viscere e di riaprire la porta a quell'alito di vita e di creatività che a causa di dispiaceri, dolori e sofferenze avevo nascosto, sotterrato, dimenticato.
Con la penna sono stata capace di dialogare con le cose che mi circondavano, con gli elementi familiari, con quelli sconosciuti, soprattutto con il mio spirito inquieto.
Da ragazzina avevo imboccato “la strada dei quaderni” per riempire ogni giorno la mia vita con gli ideali e i tanti sogni che con l'inchiostro mettevo sulla carta, qui le sensazioni pervadevano di speranze e aspettative il cammino della mia vita.
Il quaderno, in quanto tale, era diventato l'amico caro, il confidente fedele: quello che raccoglieva la sequela di paure, di emozioni, considerazioni, riflessioni e quant'altro indisturbato girava nella mia testa.
Crescendo, le incertezze e le paure sono diventate reali e spesso, sotto il peso della responsabilità, crollavo. A volte mi perdevo d’animo quando si presentavano problemi che mal si accettano e che mai si vorrebbero affrontare. Seppur spesso venivo colta dall’indifferenza e dall’indolenza, vedevo che i miei bisogni erano tanti e dispersa in mille frammenti cercavo le vie d'uscita.
La vera medicina capace di guarirmi fu la scrittura.
Come quando – fantasticando – scrivevo i miei diari iniziai il distacco dal mondo reale per cogliere quel senso di protezione che mi mancava; e in questo modo ho scoperto che potevo affrontare i problemi e le paure con le mie stesse parole, analizzando lo stato di malessere in cui mi trovavo, senza colpevolizzarmi. Le pagine che scrivevo furono capaci di ricongiungermi a quella parte importante di me che si era persa.
A lungo andare la parola era diventata poesia e con i versi mi offriva un nuovo modo di guardare e di rigenerarmi.
La vita è un’irta montagna
i più arditi arrivano in cima
i più deboli si smarriscono ai suoi piedi.
Con gli anni a venire è stata la visione del mio passato, di ciò che ero stata e che riconoscevo tale a darmi la dimensione giusta di come esattamente ero – e che volevo essere – e non quello che le circostanze pretendevano che io diventassi.
Sulla base esperienziale, è stata la scrittura – in tutte le sue più piccole sfaccettature – a farmi diventare la protagonista principale della mia vita, mettendomi in grado di dar voce agli aspetti più profondi che muovono e governano il mio pensiero.
Soltanto in un'età più matura – con la poesia – ho percepito la consapevolezza del come il “mio pensiero” – attraverso dei semplici versi pubblicati in un libro – rispecchiassero un sentire comune con gli altri, e in special modo con le altre donne.
La “parola resa pubblica” ha fatto sì che avvenisse in me un forte e decisivo cambiamento.
La parte dell'interiorità personale che – tramite il libro – raggiungeva il mondo esterno, non era motivo di vanto, né gratificazione per essermi messa in gioco. Quella parte “di me”, che liberamente circolava tra una pagina e l'altra, era la consapevolezza di aver aiutato soltanto “me stessa” a capire come una semplice penna messa in mano era diventata medicina per i mali che mi affliggevano.
C'è stato un momento particolarmente pesante da affrontare e che ho superato grazie alla scrittura: la separazione con mio marito. I nostri 15 anni trascorsi insieme diventarono lo spunto per recuperare di tutto ciò che di buono c'era stato tra noi…
La scrittura era diventato il mezzo salvifico che mi trasbordava dal fiume di lacrime in cui di sicuro sarei annegata.
Se la “scrittura” di per sé era stato il mio mezzo salvifico, in breve diventò il mezzo di approccio per invitare gli altri a fare altrettanto... come me.
Il desiderio di comunicare mi prese per mano e mi portò a costituire una forma aggregativa di persone al fine di perseguire collettivamente la partecipazione e la condivisione dei nostri pensieri.
La prima esigenza messa in atto fu quella di trovare un luogo d’incontro dove attivare la discussione e il confronto per aiutare e aiutarmi a mantenere viva la capacità di aprirsi ogni giorno alla vita.
L’unguento che aveva curato le mie ferite negli anni del dopo separazione si chiamava “scrittura” e le parole buttate sul foglio non avevano fatto altro che mettere in luce i lati oscuri di ciò che consideravo il grande fallimento della mia vita.
Nel frattempo la penna e il foglio erano stati sostituiti dalla macchina per scrivere e anni dopo dal computer. La scelta di questo nuovo strumento si dimostrò valida prima di tutto per Giorgio che in esso trovò un interesse di notevole portata.
Mio figlio ancora mal sopportava il peso della rovina della nostra famiglia. Dopo la separazione, il suo mondo non girava più nel verso giusto; oltre alle nostre mille difficoltà del vivere quotidiano, aveva problemi a scuola; problemi che si era trascinato sin dalle elementari e che nessuno era riuscito ad individuare, neppure la psicologa.
Molti anni dopo fui io stessa ad attribuire un nome ben preciso a questo disagio: dislessia.
In quel tempo mi trovavo alle prese con gli autori di una nascente collana di poesia e Giorgio espresse il desiderio di scrivere qualcosa anche lui e chiese un suggerimento.
“Scrivi la storia della tua vita” – risposi spontaneamente. Un attimo dopo, ridendo tra me, pensai che cosa poteva saperne lui della vita, era soltanto un ragazzino di undici anni.
Giorgio mi ha sempre riservato grosse sorprese e la sua risposta, inaspettata, si dimostrò per me un’importante lezione di vita.
Un pomeriggio, mentre lavoravo sul computer, trovai un floppy inserito. Aprendo il file, ecco cosa comparve sullo schermo:
Cominciavo a crescere assieme alle ossa per poter agitare mani e piedi
e mandare qualche segnale alla mamma che aveva deciso di fare una cura
dimagrante. La medicina che aveva comprato era controindicata in caso
di gravidanza, così – fortunatamente – decise di fare un test casalingo
per vedere se per caso «era incinta», visto che da più di un anno allattava
mia sorellina. Infatti, il test risultò positivo e volle fare un controllo
medico. Andò dal ginecologo e attraverso l’ecografia scoprì che c’era
un corpicino dentro la sua pancia di circa tredici settimane di vita.
Ero io dentro la pancia di mamma. Avevo tre mesi e potevo sentire i battiti
dei nostri cuori uno accanto all’altro. E quando la mamma si acquietò
all’idea di avere un altro figlio lo feci anch’io.
Lei mi disse: “Continua a crescere con questo passo, che tanto un bel
giorno non ci entrerai più.”
Quello che non riuscivo a capire era cosa fossero e da dove provenissero
quegli strani rumori che entravano attraverso le pareti intorno a me.
Mi sorprendevano molto i suoni che venivano dal di fuori. Sentivo pianti,
strilli, miagolii di gatti, guaiti di cani e qualcuno che strillava a
voce alta “GHIORGHIO… mi senti sono Lillina… Ghiorghio.”
Poi dopo molti mesi quel brutto giorno arrivò. Mi sentivo molto strano
e ribaltato a testa sotto e piedi in aria. Qualcuno mi spingeva all’esterno
e due mani mi tiravano.
Vidi per la prima volta il mondo prima di essere messo in braccio alla
mamma, al papà e ai miei due fratellini.
Fu così che scoprii da dove venivano quelle urla, erano della mia sorellina
Carla che piangeva sempre.
E così... cominciai a crescere.
Mi ci volle un bel po’ di tempo prima di rendermi conto di quanto avessi letto. Non mi capacitavo. La commozione era tanta che restai senza respiro, soprattutto quando lessi i testi di quella che sarebbe diventata una pubblicazione tutta sua.
Ogni piccolo e ingenuo verso, scaturito spontaneo sulla tastiera di un computer, aveva alleviato le ferite che pungenti attanagliavano la sua esistenza di ragazzino troppo giovane per sopportare pesi più grandi di lui.
Giorgio con la sua semplicità seppe svelarmi la dote preziosa di chi riesce a guardare attraverso gli occhi del cuore... e i suoi si erano dimostrati forti e di rara potenza.
La raccolta, pubblicata nel ‘95, fu inserita a pieno titolo nella collana “La luna nel secchio” con il titolo ...E comincio a crescere.
Con questo piccolo libretto Giorgio affermò la sua esistenza e gratificò la sua autostima. Dopo un po’ si rese conto che la poesia non era necessaria scriverla, bastava viverla... così prese in mano la sua vita senza altri indugi.
È trascorso parecchio tempo d'allora e negli ultimi 10 anni tutti i santi giorni mi sono trovata davanti alla mia tastiera e attraverso la mia modesta postazione ho iniziato a comunicare con il resto del modo. Questo mi ha dato modo di attivare tutta una serie di conoscenze importanti e significative che altrimenti non avrei potuto fare.
Oggi, nel pieno della maturità, posso affermare, che la scrittura sia stata il più bell’incontro “con me stessa” che abbia mai fatto in vita mia.
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