La lettura di sé e dell'altro
Orazio Maria Valastro (a cura di)
M@gm@ vol.9 n.1 Gennaio-Aprile 2011
ASCOLTANDO IL CUORE QUANDO CI PARLA
Maria Grazia Soldati
cronos.calvagese@tiscali.it
Dottore di ricerca in scienze dell'educazione e formazione continua, Università di Verona;
Docente Libera Univrersità dell'autobiografia di Anghiari.
Una sera, come tante altre, attorno al cerchio di scrittura
autobiografica leggo un testo di accoglienza, apertura, riflessione e
iniziazione alla propria scrittura. Questa sera ho scelto l’ultimo libro
di Luisa Muraro.
“Narra un antico testo persiano che quando Giuseppe fu messo in vendita
dai suoi fratelli si presentarono molti compratori, tra cui una vecchia
che stringeva alcuni gomitoli di lana.
"Anima semplice" le disse il sensale "come puoi comprare un simile gioiello
di schiavo con i tuoi gomitoli?" "Lo so che non potrò comprarlo" rispose
la vecchia "mi sono messa in fila perché amici e nemici possano dire:
anche lei ci ha provato".
La vecchia, spiega Luisa Muraro nelle prime pagine di questo libro, è
un esempio dell'anelito di chi cerca e, pur sapendo che non potrà mai
raggiungere lo scopo, non rinuncia ad avvicinarsi.
Cosa sarebbe, infatti, la vita senza grandi desideri?
Questa è la domanda che raccolgo dal testo e, declinandola autobiograficamente,
conduco il gruppo nella narrazione e scrittura sul desiderio/desideri
che ci hanno animati nel corso della vita e che ci animano…..e la relazione
con intratteniamo con essi.
Avverto tuttavia che da subito circola una certa fatica: sconcerto, sgomento,
spiazzamento, disorientamento nel lasciarsi prendere per mano da questa
domanda. Anch’io sono disorientata dalla reazione collettiva, in particolare
dalle narrazioni che emergono. Dentro di me, continuo a chiedermi “possibile
che tutti e tutte si ritengono soddisfatti, o al contrario, scelte di
rinuncia appaiono solo nella loro razionalità?”
Comincio a chiedermi cosa ha toccato la vecchia della lana …
fino a quando giunge Patricia. Aveva avvertito del suo ritardo e, accogliendola
con un breve sunto di quanto era stato proposto e delle narrazioni emerse
prende subito parola dicendo che “io ho un grande desiderio … prendere
il Nobel per la poesia”. Ci sorride. Tutte noi sorridiamo.
Dentro di me, danza la gioia, per lei, con lei, per il nostro gruppo.
Forse che sono i folli a ricordarci, come per la vecchia della lana, che
ci sono tanti modi di "andare al mercato" della felicità?
Come scrive Luisa Muraro, contro la parzialità della ragione e a difesa
delle "illusioni" (o delle emozioni, mi piace pensare) che la poesia e
la religione ci aiutano a intrattenere oltrepassando il livello del conformismo,
forti nella certezza di essere destinati a qualcosa di grande, tempo dopo
Patricia ci scrive questa poesia.
Ero nata povera
E sapevo che sarei morta povera
Il mio mestiere
Era essere filatrice di lana
Nessuno si era mai avvicinato
A me!
Porgendomi la mano
Aiutandomi a cambiare
Il mio destino
Eppure nel segreto del cuore
Avevo grandi desideri
Bellissimi sogni
Ogni notte con costanza
Prelevavo qualche ciocca di lana
L’avrei filata alla luce dell’alba
Prima di iniziare il mio lavoro
All’insaputa di tutti
Fra le foglie secche
Del mio giaciglio, nascondevo il mio tesoro
I gomitoli di lana!
Un giorno,
non ero più giovane ma neppure vecchia,
vecchia passai per caso vicino al mercato degli schiavi.
Era da tanto che non percorrevo quella strada
Incontrai lo sguardo supplichevole di un ragazzo.
E si mosse in me un uragano
I suoi occhi chiedevano aiuto.
Corsi a casa, non avevo nulla!
Il mio tesoro consisteva solo in quattro gomitoli di lana.
L’agitazione fu tale che essi mi sfuggirono dalle mani, cadendo e sciogliendosi.
Così appresi a leggere la poesia legata a quei fili.
Lessi la poesia per lui.
Lessi perché filavo la lana, lessi il mio amore fatto di giorni, minuti,
piccole cose.
Ed i gomitoli rotolavano lentamente arrivando a Giuseppe lo schiavo.
Così arrivò la poesia, soffice fatta di lana.
Con l’augurio di riscaldare il cuore nel freddo inverno e rinfrescarlo
nelle calde estati.
Alcuni risero alle mie spalle per i miei quattro gomitoli,
Altri risero vedendomi ormai vecchia ed insignificante.
Nel profondo del suo cuore anche Giuseppe rideva,
sapeva leggere al di là delle fiabe.
Al di là dei sogni e dei desideri,
sapeva che la vita è libertà di sognare, d’amare, di narrare.
Ascoltando il cuore quando ci parla.
Con queste strofe Patricia intreccia nella ragione poetica la sua vita,
scrive di sé, della sua passione, dei suoi desideri.
Questo accade in un gruppo di scrittura autobiografica: siamo giunti ormai
al secondo anno di esperienza e dopo aver narrato le memorie del dolore
e le storie dell’origine [1] sono arrivate
le scritture d’amore, sull’amore, linfa vitale della vita. Un intero laboratorio
dedicato alla ricerca di narrazioni d’amore, sette incontri, intensi,
emozionanti, spiazzanti, un fluire di parole, sensazioni, immagini in
grado di mostrarci il senso creativo della scrittura nella cura.
Per riflettere sull’esperienza brevemente richiamata [2]
e tracciare alcuni orientamenti che da lì prendono corpo e assumono senso
mi farò guidare da alcune domande che mi hanno costantemente accompagnato
nella conduzione del gruppo e come in un circolo ermeneutica, hanno favorito
spunti di riflessione e comprensione del proprio esperire:
• la scrittura, anche quella autobiografica, arriva come un dono?
• se, sì, quali sono le condizioni perché ciò avvenga?
• quando si propone una pratica di composizione del pensiero che parte
dalla valorizzazione del vissuto concreto, e quindi dalla particolarità
della propria esperienza come un segno da leggere e interpretare, qual
è la funzione del gruppo dentro il quale prende corpo l’esperienza stessa
(narrativa e di scrittura)?
• l’autobiografia quale momento di svelamento di sé, richieda una dimensione
fortemente etica per chi propone e induce un’esperienza che prevede molta
tessitura tra sapere e vita, tra pensiero e emozioni sia per l’effetto
perturbante che può avere sia per il desiderio di continuità che può innescare.
Come regolarsi in questa posizione, in particolare verso persone e gruppi
in cui tale esperienza può configurarsi come processo di cura e di empowerment?
• In che modo le scritture prodotte hanno valenza pubblica ( e dunque
politica ) e parlano ad altri, in particolare rispetto al tema della salute
mentale?
Nel laboratorio autobiografico l’incontro tra esseri assume infatti come
mediazione la pagina bianca: la ricerca delle parole, la scrittura di
sé diviene un potenziamento dell’esistenza e del divenire delle persone
coinvolte, un approccio creativo che fa emergere e valorizzare parti di
sé senza voce, quelle che resistono alle etichette diagnostiche, che mostrano
il potenziale umano, la capacità di resilienza e di creazione.
Il gruppo che si ritrova è nella sua composizione – non è un gruppo di
operatori, non è un gruppo di pazienti, non è un gruppo di familiari –
un insieme di persone ed è tale insieme che dice come le loro storie riguardano
tutti, perché la scelta narrativa mette in luce un linguaggio vicino all’esistenza,
alle situazioni della vita, crea un sapere, su di sé e sugli altri, di
sé e degli altri, a partire dalla relazione che intratteniamo con noi
stessi, con gli altri, con la vita, con gli eventi e le emozioni, in questo
gruppo anche con la malattia, propria o altrui: non origina dalla sguardo
clinico oggettivante (Foucault, 1969) ma da spazio alla soggettività,
alle soggettività, alla molteplicità.
La scrittura autobiografica effettuata in gruppo diviene in tal modo un
oggetto mediatore con valenza relazionale, un modo di stare insieme, pone
al centro l’incontro, lo scambio, la creazione di altre dimensioni, altri
personaggi.
In questo senso la cura di sé passa attraverso il prendersi cura del proprio
immaginario (della propria anima direbbe Hillman,1998 ) che si dimostra
più reale della realtà stessa e inizia, in alcuni casi, a trasformarla
in meglio.
Scrivere è anche leggere (o ascoltare le scritture altrui) e se la scrittura
scende più in profondità perché richiede un intenso e attivo lavorio di
ricerca, la lettura d’altro canto, da molto: rigenera, rinfresca, intrattiene,
risuona in noi, ci obbliga a ri-conoscere, ad avanzare nelle emozioni,
nel pensiero, nella vita.
Nel gruppo autobiografico accade che ci si ponga allo stesso tempo come
narratori e narrati, due volte a nudo, in quel corpo a corpo con la scrittura
che è il racconto autobiografico, scrittura-dialogo e scrittura-specchio,
presa d’atto di soggettività e di sguardo su di sé, che crea un io e un
tu, e insieme un noi.
Mi piace pensare che il gruppo, da un iniziale e casuale aggregazione
di persone, si è trasformato in una sorta di insieme, di comunità, che
attraverso il munus ( un dono che si dà perché si deve dare e non si può
non dare, Esposito,2006) ha posto, gli uni nei confronti degli altri in
una posizione di reciprocità di dono rappresentato dalla narrazione e
dalla scrittura di sé. Una restituzione circolare continua di bene ricevuto
dalle storie altrui da stimolare una produzione costante di scritture
tra tutti e tutte, per tutti e tutte.
L’autobiografia in gruppo, esperienza che prevede tessitura tra pensiero
e emozioni, momento di svelamento di sé, a sé e agli altri, richiede una
dimensione fortemente etica per chi la propone. Da un lato per l’effetto
perturbante che può avere sui singoli dall’altro per il desiderio di continuità
che può innescare, infatti Patricia così scrive ad un certo punto, raccogliendo
anche il desiderio di altri/e … ho sognato o forse ho desiderato profondamente
che l’esperienza fatta con voi potesse continuare.
La narrazione di sé, la scrittura autobiografica sono forme di mediazione
che danno voce alla soggettività: attraverso l’eco, la risonanza, la ricerca
e l’ascolto di indizi, propri e altrui, si valorizza il proprio senso
narrativo e quando il percorso autobiografico avviene in un gruppo i legami
tra le persone si intrecciano, le storie narrate si rincorrono, l’interazione
con il lettore/ascoltatore apre possibilità di creare nuove storie, può
tracciare nuovi percorsi di ri- significazione delle storie personali
dentro una dimensione più collettiva.
La scrittura di sé è approccio educativo, di cura, in cui la posta in
gioco è la possibilità di attivare parti di sé inespresse, scommette sul
desiderio di un divenire, di un modo di essere in cui sia possibile stare
nel presente in modo creativo, di pensarlo e trasfigurarlo con narrazioni
ed incontri tra persone.
Oggi c’è una povertà di relazioni umane, c’è una perdita di linguaggio:
accade quindi che le singolarità si spengono. Ma ognuno di noi ha una
singolarità parlante, che ha bisogno di essere ascoltata. È un bisogno
simbolico prima che psicologico [3].
E questo spiega la necessità di spazi dove la propria storia di vita sia
ascoltata, perché nel nostro presente ci sia tanto interesse per il biografico
C’è la necessità di pratiche che aiutano a cercare forme di vita che siano
più vive e più desiderabili.
C’è la necessità di contesti dove sperimentare un percorso che cerchi
le parole per dirsi, per cercare un legame soggettivo tra sé e ciò che
si dice, si scrive, in un percorso di comunicazione, di auto-conoscenza,
di comprensione.
La pagina bianca diviene luogo di incontro ma portandoti in un oltre creativo
soddisfa anche quel bisogno simbolico che non avvertiamo ma esprimiamo
con un mal d’essere che molto spesso si trasforma in richieste di aiuto
psicologico.
In questa epoca delle passioni tristi, in questo nostro tempo in cui i
grandi paradigmi con cui si pensava l’intera società e la stessa storia
sono andati in frantumi, Benasayang (2005) ci invita ad azioni di creazione
come forme di resistenza. Di fronte al mal d’essere che colpisce molti,
troppi, non possiamo non chiederci quanto la dimensione sociale e storica
influisca sulle esistenze individuali, sulle vite di ciascuno di noi.
E ancora, quanto tale dimensione ci abbia lentamente assuefatto ad un
vivere sociale privato della possibilità di sentirsi parte di una comunità.
Mi piace pensare che il fare comunità con la scrittura di sé, così come
è accaduto in questo gruppo, sia un’azione di creazione e di resistenza.
Note
1] M. G. Soldati (cur) Il dono
della scrittura. Tra autobiografia e salute mentale, Liberedizioni, Brescia
, 1°edizione, 2009, 2°edizione con integrazione e nuove scritture, 2010.
2] Ap-punti sul progetto: realizzato
da Ottobre 2007 a Settembre 2008, patrocinato dalla Libera Università
dell’autobiografia di Anghiari e realizzato a Leno (BS) dall’Associazione
il Chiaro del Bosco con finanziamento della Regione Lombardia, l.23/99,
in collaborazione con altre realtà associative del volontariato sociale,
i comuni di Leno, Manerbio, Bagnolo Mella e l’Asl della provincia di Brescia,
ha proposto un laboratorio di narrazione e scrittura autobiografica, condotto
da Maria Grazia Soldati, con l’obiettivo di offrire alle famiglie e alle
persone con esperienza di malattia psichiatrica la possibilità di narrarla
attraverso: la scrittura della propria storia di vita, la scrittura dell’esperienza
del dolore, la raccolta di storie familiari. Il progetto si è sviluppato
attraverso:
• serate di sensibilizzazione alla partecipazione al laboratorio con l’utilizzo
di diversi linguaggi narrativi ( teatro, cinema );
• laboratorio di narrazione e scrittura autobiografica che ha coinvolto
un gruppo di 15 persone, familiari, utenti e operatori dei servizi psichiatrici
territoriali;
• raccolta e scrittura di storie familiari;
• incontro con Ron Coleman ed il racconto della sua storia di vita e del
rapporto con le voci;
• restituzione delle storie e degli scritti attraverso una pubblicazione
che ha preso il titolo “Il dono della scrittura”.
Successivamente il gruppo ha desiderato continuare l’esperienza di narrazione
e scrittura autobiografica che si è svolta nel periodo Novembre 2008-Giugno
2009 lavorando sul tema dell’amore.
3] Anna Maria Piussi, paper La
scrittura a partire da sé, simposio scientifico di Graphein, società italiana
di pedagogia e didattica della scrittura, 17 Maggio 2008, Anghiari (Ar)
(www.graphein.it).
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