La lettura di sé e dell'altro
Orazio Maria Valastro (a cura di)
M@gm@ vol.9 n.1 Gennaio-Aprile 2011
LEGGERE È UNA FESTA
Philippe Lejeune
Lire est une fête, Degrés, n°2, 2009
Traduzione dal francese a cura di Orazio Maria Valastro
philippe.lejeune@autopacte.org
Maître de conférences honoraire Università Parigi-Nord; Presidente
dell'APA - Associazione per l'Autobiografia et il Patrimonio Autobiografico, Ambérieu-Francia.
Come è possibile? Io, così tenace, indubbiamente, ma così volubile nei miei interessi, come è possibile che in sedici anni non mi sia mai stancato? Perché dal 1992, ogni mese, partecipo con desiderio, con curiosità da amatore appassionato, alle riunioni del nostro “gruppo lettura”. Ci riuniamo la sera. Alle riunioni, per lunghi anni, ha fatto seguito la cena della nostra padrona di casa, Jacqueline Brisson. Le cene si sono diradate, Jacqueline, purtroppo, è mancata, e adesso è un high tea che ci accoglie. Le nostre riunioni hanno sempre il medesimo sapore, la medesima virtù nutritiva, la medesima convivialità e condivisione. Navigo tra le metafore filate – non si tratta più di gastronomia, ma di un pasto comune, con delle portate semplici, una sorta di “Cena” mistica. “Prendete, poiché questa è la vita”.
Come è possibile? Io, così agnostico, perché sono sollecitato da immagini religiose? Abbiamo inventato a poco a poco, dal 1992, poi ritualizzato, il nostro modo di fare. Una “liturgia” regola il corso delle nostre riunioni: è la “carta” dei gruppi di lettura. Le procedure devono essere le stesse in tutti i gruppi, al fine di garantire la coerenza di questo immenso lavoro. Vi è un’ortodossia, un’istanza di controllo che si preoccupa delle alterazioni delle regole, delle procedure d’invito … Come per gli ordini monastici c’è un noviziato (ogni nuovo partecipante è preso “in prova” in un gruppo) e dei voti da pronunziare, in particolare quello di “leggere in simpatia” (su questo ci ritornerò dopo) – voto di spoliazione di sé per aprirsi all’altro – scoprendo per gradi che non è facile come sembra. Abbiamo fatto anche “marcia indietro”, due volte, al castello di La Pellonière, nella Perche (2000) poi al centro Saint-Thomas a Strasbourg (2007), per fare il punto e rinfrancarci…
La curiosità, il piacere di condividere, il dimenticare un “sé” che ritroviamo alla fine arricchito, nulla di tutto questo è “preso in prestito” alla religione. E’ semplicemente un’esperienza di lettura originale. Cercherò di descriverne i meccanismi, rispetto al versante testuale e psicologico.
I due grandi principi sono l’imprevedibilità e la libertà.
Ci accingiamo a leggere dei testi non selezionati. Ci sono stati diversi filtri a monte, sicuramente, - dei filtri considerevoli, poiché ci si può stupire del ridotto numero di testi che arrivano all’APA: circa 150 l’anno. Quando ho fondato l’APA, mi avevano messo in guardia. Saremmo stati sommersi da una “marea nera” di testi autobiografici. Abbiamo fatto l’esperienza inversa, comprendendo quanto sia difficile separarsi da un testo autobiografico, condividere un’intimità familiare, correre il rischio di una risposta priva di entusiasmo o amareggiante. Se c’è “marea”, è qualche volta… bassa marea. Non riceviamo mai abbastanza testi. Abbiamo escluso, fin dall’inizio, la soluzione di un concorso annuale, che ha i suoi vantaggi, valorizzando l’oggetto del concorso, ma impone di lasciarsi andare a una sorta di “ultimo giudizio” classificando delle vite e affermando, implicitamente, delle norme (una giuria deve avere dei criteri). La nostra proposta di “leggere” è affidata al passaparola, agli articoli di giornale o ai comunicati radiofonici, che fanno da eco alle nostre attività. Fin dal principio è chiaro che non pubblicheremo nulla, ed è questa prospettiva, insieme alle “generiche” puntualizzazioni che segnaliamo (accettiamo unicamente dei testi autobiografici), che allontana tutti quei testi che ricercano un riconoscimento di ordine letterario e una diffusione meno confidenziale (romanzi, poemi, ecc.). I testi che riceviamo sono, da questo punto di vista, già selezionati dai loro autori. E’ molto raro che la nostra segreteria si trovi nella situazione di restituire dei testi per una non-conformità generica. Riceviamo spesso, indubbiamente, dei testi personali presentati in modo indiretto, a volte insoliti, o “autofizionali”: li accettiamo. Questo fa parte del fascino e dell’imprevisto, è sufficiente che l’autore ci garantisca che ha scelto questa maniera per raccontare la sua vita. Ci sono altri “limiti” che potrebbero sembrare più imbarazzanti: noi accettiamo i testi autobiografici inediti. Quando si supera questo limite? Un certo numero di testi ci arrivano con presentazioni incerte, stampati auto editati, o pubblicati da un “editore” locale che probabilmente ha la semplice funzione di tipografo. Li accettiamo ampiamente, con un certo grado di arbitrarietà. “Limite” ultimo: quello dell’idea stessa di testo, e di supporto cartaceo. Noi che amiamo accomodarci in poltrona per sfogliare un piccolo libro di altri tempi, o tuffarci in un dattiloscritto, possiamo incollarci davanti allo schermo di un computer per leggere dei giornali on-line, o infornare dei cd audio o video, o dei dvd? Perché no? Il fatto è che, fino ad oggi, ne riceviamo pochissimi, e alle volte davanti alla novità della situazione, esitiamo. Assumiamo nuove abitudini a poco a poco, giacché sempre più spesso ci propongono, su questi supporti, delle creazioni molto originali.
Ritorno all’imprevedibilità. Ci troviamo di fronte, durante la nostra riunione, a quattro o cinque testi sconosciuti. Sono stati catalogati ad Ambérieu, inviati tramite la posta al nostro gruppo, l’animatrice li ha rapidamente esplorati prima della nostra assemblea per presentarceli a nostra scelta con poche parole. Sono lì, chiusi e impilati. Inizia l’attesa. Nessuno li ha selezionati. – Nulla di straordinario, direte voi, è la stessa situazione di una qualunque casa editrice e del suo comitato di lettura. No. Poiché non sono selezionati e non dobbiamo selezionarli. Dobbiamo accoglierli, comprenderli, accettarli, tutti, qualunque cosa contengano. Ciò è possibile, senz'altro, poiché siamo un gruppo. L’idea di creare l’APA mi è venuta, dopo il mio incontro con l’Archivio Diaristico Nazionale nel 1988, per rispondere all’imbarazzo nel quale mi ero trovato quando degli sconosciuti mi spedivano dei testi autobiografici che il rispetto umano mi portava a ricevere in “simpatia” – anche quando la simpatia non si faceva strada, situazione distorta. Adesso siamo lì, in genere otto o dieci persone con sensibilità e attese differenti, e i testi possono essere distribuiti seguendo le nostre affinità: sono i testi, in qualche modo, che ci selezionano! Se c’è una difficoltà il lettore potrà, dovrà ritornare al gruppo, quest’ultimo è il solo che possa convalidare gli “echi della lettura” che scriviamo e gli scambi epistolari che sviluppiamo parallelamente con i depositanti. Partecipare a un gruppo di lettura è un po’ come stare in un “gruppo Balint”, questi gruppi di medici che si riuniscono (seguiti da uno psicanalista) per esporre a turno dei casi clinici problematici tratti dalla loro pratica. Esagero un poco, poiché non avevamo un osservatore esterno (anche se ne avevamo uno nella nostra riunione a La Pellonière nel 2000), ma esagero soltanto un poco: è un’esperienza psicologica sorprendente. Ci conosciamo l’un l’altro, dopo parecchi anni, per “triangolazione” se posso dirlo (i testi, diversi e numerosi, ci aiutano a “situarci” gli uni con gli altri), abbiamo una memoria comune di letture e discussioni (a volte disordinate), come se fosse una tradizione e una saga… Il gruppo è un luogo di fiducia e di tranquillità dove si risolvono tutte le alterazioni che siamo portati a fare al principio-chiave della nostra attività: la lettura in simpatia.
Qualche parola chiave dell’animatrice, che possiamo sfogliare rapidamente: affare concluso! Questa assomiglia a una vendita all’asta. A volte due persone si candidano. A volte … nessuna! Finalmente tutto ha inizio: vi è uno spirito di curiosità, ma anche lo spirito di sacrificio. In tutti i casi, è l’avventura. Ritorneremo, il mese successivo, con un eco di lettura scritto. Il nostro scopo non è quello di scoprire dei capolavori (anche se siamo ansiosi di ammirarli), ma di percepire con chiarezza come un essere umano ci manifesta la sua vita. I primi minuti, le prime pagine, si “focalizza”: collochiamo la voce narrativa, per comparazione con i modelli che abbiano in testa, la costruzione del racconto, i temi, lo stile, mobilitiamo il “software della lettura” adattandolo a noi. In seguito valutiamo, rispetto alle attese proprie a questo modello, come l’autore riesce a costruire la sua immagine. C’è tutto un lavoro, a volte difficile, a volte magico, per entrare nella logica dell’autore. Ci lasciamo prendere (o no) dalla storia, lasciamo cadere (o no) le nostre proiezioni affettive o ideologiche. Ci si abbandona alla magia dell’identificazione, spogliandoci di noi stessi, per entrare in un “romanzo” tanto più sorprendente poiché lo sappiamo “vero”, oppure arretriamo con fastidio, critiche, ipotesi sulle lacune o le divagazioni del racconto. Due sistemi di riferimento funzionano simultaneamente: confronto con se stessi, e con la massa di racconti che abbiamo già letto. Bisogna al tempo stesso costruirsi una memoria, preparare il suo futuro “eco”. Proibito scrivere sul testo. Possiamo contrassegnarlo con dei post-it, segnando delle articolazioni, o reperendo possibili passaggi da citare. Possiamo prendere appunti sviluppandoli, sintetizzandoli successivamente, per raggiungere un eco che rischia di essere ancora troppo lungo. L’inconveniente degli appunti è che ci impongono la logica del riassunto, supponendo che si vogliano mantenere le proporzioni dell’originale. Gli appunti sono utili, nonostante tutto, quando il testo è molto lungo. Ognuno ha il suo metodo. Il mio è quello di leggere tutto in un fiato, senza appunti o post-it, e di scrivere immediatamente l’eco confidando nella mia memoria per riconoscere l’impressione dominante. L’eco deve essere uno schizzo piuttosto che un riassunto. E’ più importante evocare il tono, il metodo del testo e le sue linee dominanti, piuttosto che restituire tutta l’informazione. A questo livello è sufficiente definire l’essenziale, impiegando semplici parole che i motori di ricerca fisseranno. L’eco si scrive nella mia testa in silenzio durante la lettura, l’ultima pagina scorsa, non mi resta altro che scriverla sulla carta.
Noi leggiamo “in simpatia”. L’espressione può far sorridere, per la sua soavità quasi ecclesiastica. Appesantiamo il nostro caso: siamo dei lettori di “buona volontà”. O più semplicemente: non siamo dei critici. Il nostro ruolo non è quello di valutare i testi esteticamente, segnalando le loro bellezze o i loro difetti, né quello di catalogarli. Non è neanche quello di esprimere dei giudizi morali o ideologici sull’autore o le persone della sua vita. Non possiamo impedirci, sicuramente, di fare entrambe le due cose, quando leggiamo. Dobbiamo ciò nondimeno mettere in disparte le nostre preferenze, i nostri giudizi, quando scriviamo un “eco”. Il nostro ruolo è quello di restituire, come degli attori che incarnano un personaggio. Non dobbiamo metterci in mostra. Dobbiamo “far passare” il testo, senza imporre i nostri gusti o la nostra ideologia al futuro lettore. L’impresa, indubbiamente, è al limite dell’impossibile. Non saremo in grado di essere veramente fedeli, né effettivamente neutri. Filtriamo le nostre reazioni, non esitando a manifestare sentimenti di ammirazione o approvazione, tacendo ciò che ci delude o ci turba. I giudizi negativi sono soltanto suggeriti dall’assenza di giudizi positivi. Bisogna leggere tra le righe. E’ necessario rinunziare, quando questa acrobazia diventa impossibile, e passare il testimone a qualcun altro. L’esperienza ci mostra, anche dopo anni di pratica, che abbiamo delle difficoltà a mettere a tacere le nostre repulsioni, le nostre indignazioni e a volte la nostra noia. Riprendiamo il filo dei nostri incontri: ognuno presenta a giro, dopo la distribuzione dei nuovi testi, gli echi dei testi presi la volta precedente. Il rituale è invariabile: l’ “échoteur” (la persona che distribuisce l’eco, N.d.T.) suddivide a turno una versione cartacea dell’eco, e legge ad alta voce senza commenti. Quando ha concluso è il momento per gli altri di porre delle domande, suggerire delle modifiche, ecc. E’ anche il momento, per l’autore dell’eco, a volte, di lasciarsi andare: non ne può più! Lo si ascolta, si sorride, ci si stupisce, lo si consola, si critica, egli si difende leggendo dei passaggi del testo, alcuni vedono le cose altrimenti, ci si ricorda di altri testi, si discute la sostanza delle cose: non ho mai ascoltato discussioni più libere e appassionate. Ma si è in “off”. Come alla radio, quando la luce rossa si riaccende per significare che si è in linea, tutti ridiventano “simpaticamente corretti”. Non è ipocrisia, piuttosto, rinuncia di sé, rispetto dell’altro.
Rispetto del lettore futuro, rispetto anche del donatore del testo che è spesso l’autore e attende un “ritorno”. Promettiamo un ritorno personale, a differenza di altri archivi autobiografici. Quando adottiamo un testo, durante le nostre aste, sappiamo che prendiamo in carico una persona, nel bene e nel male. Abbiamo a cuore di non farla attendere più del dovuto. Una volta redatto l’eco, glielo inviamo chiedendo il suo consenso (è necessario per pubblicarlo su "Garde-mémoire"), con una lettera personale che reagisce più liberamente al testo e pone delle domande. Ed eccoci a nostra volta ad attendere ansiosamente la risposta! Qualche volta non ci rispondono (la persona è morta, negligente, o arrabbiata?...), restiamo nel vuoto ed è molto doloroso. Molto spesso riceviamo una risposta amabile, a volte felice, una sorta di amicizia si crea. Abbiamo la possibilità di aggiungere queste corrispondenze al dossier di deposito, poiché le risposte sulle circostanze della scrittura o del contesto di vita potranno in futuro illustrare il testo, anche se nell’immediato questa corrispondenza privata non potrà essere divulgata. Ci piacerebbe costituire attorno ad ogni testo un piccolo fondo d’archivio. A volte, infine, il nostro depositario … si stizzisce. Non si riconosce, sono stati commessi degli errori, deformando la sua vita, vuole correggere questo e quello, e finalmente riscrivere tutto egli stesso. Spesso sono degli echi onesti, redatti con serenità, che scatenano tali conflitti. Rettifichiamo gli errori e portiamo il dibattito nel gruppo. Non si cede a meno che non vi sia parzialità manifesta, cosa rarissima. Mettiamo il depositante di fronte ad una scelta: noi ci inchiniamo se non accetta il nostro eco, non lo pubblicheremo su "Garde-mémoire"! A questo punto, in generale, cede. Può capitare che, furioso, ritiri il suo testo all’APA.
L’esperienza più frequente è l’inversa: il depositante, soddisfatto, è pubblicato. Troviamo un’occasione per incontrarlo. Viene a una delle nostre riunioni pubbliche. Il testo diventa una persona e bisogna, a volte, rimaneggiare l’immagine che ci si era costruita. Diventiamo amici. Improvvisamente, a volte, entra in un gruppo di scrittura, raramente in un gruppo di lettura (ci sono pochi posti). Tocchiamo un tratto essenziale dell’APA: la reversibilità dei ruoli. Non ci sono da una parte i depositanti, una sorta di clienti, e dall’altra dei lettori professionisti, installati nel loro potere. Il deposito dei testi è gratuito, libero, non è necessario aderire per essere letti. Quanto ai lettori, questi ultimi ci scrivono loro stessi, e soprattutto depositano – conoscendo il tormento dell’attesa per l’arrivo del loro “eco” – e a volte non sono soddisfatti!...
Rinvio all’articolo di René Rioul per la retorica dell’eco e a ciò che ho detto prima sull’elaborazione di "Garde-mémoire", i cui otto volumi, muniti di indice, formano una sorta di “catalogo ragionato” del nostro fondo d’archivio, sintesi del lavoro dei nostri gruppi. Ritorno all’idea capitale della selezione, per altre vie. I testi che circolano nei gruppi fornendo materiale all’eco, con poche eccezioni, hanno una forma compiuta e omogenea, una chiara identità materiale e testuale. La loro taglia può variare: da una minuscola pila di una decina di fogli volanti a un insieme di 65 quaderni di 200 pagine. Si tratta di una produzione che ha una sua unità, che ha forma di opera. Quando l’estensione è enorme si costituisce un gruppo specifico, che si dissolverà non appena completata la lettura e redatto l’eco. E’ ciò che è accaduto per il diario di Hélène-Françoise Arnoldy ("Garde-mémoire" 2 e 3), di Louis Quentin-Romans ("Garde-mémoire" 4) o di Henri-Jacques Dupuy ("Garde-mémoire" 5). I nostri scaffali contengono anche enormi cartoni che ci sono stati affidati “con riserva di lettura”, fino alla morte dell’autore, o X anni dopo. Non compaiono, evidentemente, in nessuno dei nostri cataloghi pubblici, o nel nostro catalogo “privato”, l’identità del loro contenuto resta spesso problematico: tutto sarà più chiaro quando li apriremo alla data stabilita, se siamo sempre in vita. Diari raccolti, senza dubbio, corrispondenze, opere autobiografiche o altri inediti, in molteplici versioni, poemi, foto, album di viaggi, diari di classe, libri di conti, archivi diversi. Questi documenti possono senza dubbio non essere collegati a una sola persona, questo gli avrebbe dato una forma unitaria. Possono esserci strati accumulati di eredità familiari, strati di scritture d’amore o d’amicizia che rinviano a partner differenti. Bisogna sperare che tutto questo sia accompagnato da inventari: altrimenti sarà difficile servirsene. Eccoci ben lontani dalla saggia biblioteca descritta dai nostri "Garde-mémoire", dalle nostre piccole scatole d’archivio correttamente allineate. I “fondi” d’archivio, sono un grosso pezzo di vita che cerca di stabilirsi nella morte (o l’inverso!). Vi portate troppi bagagli! Mettete delle etichette! Questo processo di selezione, di filtraggio, di riduzione, è in generale concluso quando il residuo arriva all’APA. Ma non sempre. Ne darò due esempi. Una depositante dell’APA – nel 2005 ha donato un immenso e doloroso testo autobiografico accompagnato da parti annesse riguardanti la sua famiglia – è morta nel mese di marzo del 2007 lasciando in eredità agli Apprentis Orphelins di Auteuil il suo appartamento a Parigi. Questa persona ha richiesto di fare entrare la sua famiglia soltanto dopo che l’APA avesse tolto tutto quello che vi era di autobiografico nell’appartamento. Ne siamo stati informati soltanto nel 2008. Ho dovuto rovistare il suo appartamento, nel quale nessuno era entrato da oltre un anno e conservava le tracce dei suoi ultimi giorni. Ritrovare tutto il suo atelier di scrittura, quattro o cinque versioni differenti dell’autobiografia depositata precedentemente all’APA, le corrispondenze, gli scritti del figlio suicida, gli album di foto, i conti, i certificati di stato civile… Era diventato urgente. Ne ho presi dei sacchetti pieni, dicendomi di selezionarli a casa mia. Ho iniziato, da solo, poi ho lasciato tutto da parte, l’inventario e le carte, scoraggiato – per ora. L’autobiografia di 600 pagine depositata all’APA non è sufficiente? Chi leggerà mai il resto? Si farà uno studio “genetico” delle successive versioni del testo?... Chi lo sa? E poi, molto semplicemente, dobbiamo restare fedeli ai nostri impegni. – La mia mente era più chiara e serena ricevendo le carte di Odile Arnold, che ho descritto ne "La Faute à Rousseau" n°46: tutti i documenti della storia familiare erano stati selezionati e classificati dall’autrice, mi trovavo davanti l’arborescenza di versioni differenti, corrispondenze, album, fotografie, documenti diversi (di ogni natura!), legati alla bella autobiografia di due volumi depositata all’APA, "D’art et de tendresse" e "De foie d’accueils".
Un fondo d’archivio può anche essere l’atelier di lavoro insieme agli inediti di uno scrittore – di grande talento anche se non ha conosciuto il successo: dopo la sua morte l’APA è entrata in possesso dei manoscritti di Jean Donostia (1911-2003), un’impressionante serie di diari che aveva lui stesso riordinati, di novelle, di racconti autobiografici, cinque quaderni del diario intimo di sua “Tante Marion”, amica della madre che ebbe un ruolo determinante nella sua storia personale, due corrispondenze con alcuni scrittori celebri, ecc. Un gruppo si è costituito attorno a quest’opera sepolta, sconosciuta, che l’APA porterà alla luce. Il nostro primo compito è quello di comprendere tutti questi testi. – Un fondo d’archivio può anche essere composto da centinaia, da migliaia di testi autobiografici, in generale molto brevi, scritti da sconosciuti in risposta agli appelli lanciati da Jean-Pierre Guéno su Radio-France, che ha preferito affidarli all’APA, una volta terminate le emissioni e pubblicate le antologie, piuttosto mettere tutto nel cestino. Eccoci a capo di un’immensità di brevi racconti d’amore, d’infanzia, di prigione, di “prime volte”, ecc. – Un fondo d’archivio, infine, può essere costituito da testi manoscritti del XIX secolo o del XX secolo, giunti da archivi di famiglia, o scoperti nei mercatini delle pulci, che potranno essere letti soltanto se saranno decifrati (sbiadimento dell’inchiostro, scritture di altri tempi, fragili fogli), trascritti e illuminati da ricerche genealogiche e storiche che ne identifichino il contesto. In questi ultimi anni ho trascritto i diari di Soline Pronzat di Langlade (1812-1884), di Paul Jamin (1853-1903), Martine Bachelot e quelli di Alice de La Ruelle (1866-1932), Françoise Bonnot-Jorgens e quelli di Henry Aimé (1891), e François Hoff la corrispondenza di due istitutrici alsaziane della metà del XIX secolo, Emilie Fuchs ed Emilie Durrbach per citare soltanto qualche esempio. Trascrivere un diario o delle lettere è un’esperienza magica, quasi mistica, d’identificazione. François Hoff sta costituendo in seno all’APA un nuovo gruppo, il gruppo “Grenier”, per federare tutte queste pratiche.
Quale avvenire per la lettura di tutti questi testi – siano questi delle “opere” o dei “fondi”? Ribadiamo che il loro futuro è nella catalogazione e l’indicizzazione. Un testo o un insieme al quale attribuiamo un numero di entrata, se non è oggetto di una minima descrizione è come se non esistesse. I testi sono pertanto letti nei gruppi: inizialmente dall’ “échoteur” (la persona che distribuisce l’eco, N.d.T.), successivamente dagli altri membri del gruppo, in funzione delle curiosità di ciascuno. Alcuni testi, una volta “échotés” (prestando attenzione all’eco del testo, N.d.T.), ritornano direttamente ad Ambérieu; altri, al contrario, fanno il giro del gruppo – sono i nostri best-readers, se così posso dire. Abbiamo cercato d’inventare una formula di micro-diffusione, affidando ad alcune biblioteche pubbliche un assortimento di una quindicina o ventina di testi, da proporre in prestito ai loro lettori come i libri pubblicati. Questa formula, chiamata “Prête-mémoire” (Prestito-memoria, N.d.T.), richiede molto lavoro (riproduzione e presentazione dei testi, trasporto, assistenza, rinnovamento periodico della selezione) e deroga dai nostri principi (privilegiamo certi testi, anche se per una divulgazione provvisoria). Non si è sviluppata come speravamo, in ragione della difficoltà di trovare facilmente accoglienza nel mondo delle biblioteche. Tutto dipende dalla sensibilità specifica di un bibliotecario toccato dalla grazie apaista (dell’APA, N.d.T.).
Abbiamo quindi pensato di effettuare noi stessi delle riletture sistematiche del nostro fondo, preparando più adeguatamente la sua accoglienza da parte del suo principale destinatario, il mondo dei ricercatori. In occasione di ogni dossier tematico di "La Faute à Rousseau", già da molto tempo, segnaliamo i testi che corrispondono al tema del numero, partendo dagli indici di "Garde-mémoire" e di una o due visite alla Grenette (l’edificio che ospita la mediateca nella città d’Ambérieu, N.d.T.). Più si sviluppa il nostro fondo, più diventa difficile per una sola persona possedere una conoscenza d’insieme. La nostra segretaria, Christine Coutard, che riceve e registra i testi in arrivo, e il gruppo che elabora il "Garde-mémoire", hanno una vista d’insieme che non è basata sulla lettura dei testi. Ognuno dei cinque gruppi di lettura non legge che un quinto dei testi. Da qui l’importanza di queste ulteriori letture che permettono di avere uno sguardo trasversale sui nostri 2500 depositi, facendo in modo che i testi degli anni 1990 non siano dimenticati a vantaggio dei nuovi arrivati. Un primo gruppo si è costituito nel 2003 per inventariare e rileggere i testi relativi alla Seconda Guerra mondiale. Eravamo in dieci. Abbiamo distribuito le ricerche in funzione dei nostri interessi. Ero sempre stato affascinato dai racconti di evasione dei prigionieri di guerra, tre o quattro erano passati tra le mie mani: ho scoperto che ne avevamo una ventina, sufficienti per tratteggiare una piccola tipologia o una “poetica” di genere. Gli altri membri del gruppo hanno esplorato l’Esodo, nello stesso modo, i combattimenti di maggio-giugno del 1940, i racconti dei prigionieri, gli STO (Service du Travail Obbligatoire –servizio obbligatorio di lavoro istituito dalla Germania nazista durante l’occupazione francese, N.d.T.), i “malgré-nous” (gli Alsaziani e i Mosellani arruolati contro la loro volontà nella Wehrmatch, N.d.T.), la Resistenza, i campi di concentrazione, i racconti di ragazzi o d’infanzia, e i racconti di donne. Nulla di esaustivo, una piccola introduzione, due riassunti e un inventario, il tutto costituendo un Quaderno dell’APA (n°33, 2006) che potrà guidare in avvenire i ricercatori, lo si può leggere per se stesso, come un campionamento evocativo di testi che conserviamo. Il nostro fondo ci sembra sempre più come una sorta di “romanzo unanimista, o d’autobiografia collettiva, rappresentando in tutte le sue sfaccettature la società francese del XX secolo. Due altri gruppi si sono costituiti seguendo una modalità analoga, il primo per esplorare “L’amour dans touts ses états”, l’altro per esplorare i testi del maghreb.
Questi rapporti corrispondono al lavoro che siamo portati a fare ogni qualvolta un ricercatore lavora a partire dal nostro fondo d’archivio. Li accogliamo informandoli non soltanto degli orari di apertura e rinviandoli al catalogo. Ogni volta è “su misura”. Facciamo una prima selezione dei testi che possono interessarli a partire dal tema specifico della loro ricerca. Li aiutiamo ad affinare le cose una volta sul posto. Chi sono i ricercatori? Molto spesso degli stranieri – come se i ricercatori francesi, saturi di “fonti” più classiche, avessero minore curiosità o disponibilità. Quasi sempre dei sociologi o degli storici. Questo significa, anche se sono focalizzati sulla storia delle mentalità, che avranno la tendenza a essere maggiormente sensibili all’informazione data dai nostri testi sulla vita quotidiana e le pratiche private e al testo stesso come espressione e creazione. Ma non è sempre così. Siamo stati colpiti dalla tesi di Anne-Claire Rebreyend, fondata in gran parte sulla lettura di 247 testi del nostro fondo d’archivio, "Pour une histoire de l’intime: sexualités et sentiments amoureux en France de 1920 à 1975", che si occupa della storia dell’espressione tanto quanto delle pratiche espresse. Questo rende ancora più deplorevole di non avere dei ricercatori in letteratura o in linguistica che si affrettano verso La Grenette (l’edificio che ospita la mediateca nella città d’Ambérieu, N.d.T.). Soltanto Marilyn Himmesoëte, che lavora a una tesi sui diari di adolescenti e l’adolescenza nel XIX secolo, è venuta a cercare fortuna nel nostro fondo. Siamo stati molto sensibili rispetto al programma di ricerca sulle forme del racconto elaborato da Beatrice Barbalato e Albert Mingelgrün per i fondi dell’archivio dell’APA-Belgique. Quando vedremo arrivare un discepolo di Gérard Genette o di Paul Ricoeur, curioso di testare su centinaia di testi “ordinari” delle analisi fondate sulla lettura di un numero più ridotto di opere prestigiose? E’ questo un terreno di ricerca gigantesco per degli studi sulle forme del racconto, sulle strategie d’identità narrative, sulla sintassi, il lessico e le invenzioni stilistiche. Noi saremo pazienti: i nostri archivi sono là per durare, ogni anno che passa aumenta il loro valore, il ventaglio dei “casi” si arricchisce: un giorno la ricerca letteraria e linguistica aprirà gli occhi e verrà a noi…
Il legittimo bagliore davanti alle opere d’arte gli chiude gli occhi, insieme alla credenza che vi sia una differenza di “qualità” tra un testo pubblicato e un testo non pubblicato. Quando spieghiamo a dei giornalisti l’avventura dell’APA, dopo averci ascoltato e avendo l’aria di chi sembra capire, finiscono a volte per porci la domanda che dimostra come sia necessario iniziare da capo: “E… trovate delle cose che vale la pena pubblicare?” La frontiera tra il pubblicato e l’inedito non è quella tra il “buono” (?) e il “cattivo” (?), e questa frontiera, tra l’altro, si attraversa in entrambe le direzioni, poiché molti testi “pubblicati” finiscono per essere letti soltanto da un numero limitato o piccolo di persone. Tutto è relativo. Un certo numero di testi depositati all’APA hanno trovato, grazie alla cura dei loro autori, la via per la pubblicazione. Speriamo evidentemente di ricevere delle visite di editori alla ricerca di testi che corrispondano agli interessi del loro pubblico. Il loro vantaggio è che potrebbero scegliere (o non scegliere) senza redigere alcuna lettera di rifiuto… Noi li attendiamo!
Ma la nostra festa resta privata e discreta. La logica è quella della micro-lettura, se così posso dire. Quella dell’edizione è di preferire tre o quattro testi che saranno letti da centinaia di migliaia di persone. La nostra, complementare, è di “diffondere” migliaia di testi… ciascuno di questi sarà letto da tre o quattro persone. Ogni testo ci aiuta a leggere gli altri. Ogni lettore è in questo senso uno scrivente. Amiamo la reversibilità delle posizioni, e soprattutto l’idea di essere sollevati dal peso di dover giudicare: possiamo lasciarci andare alla comprensione. A uscire da noi stessi per accettare la… biodiversità. Ci sarà tempo per tornare ai limiti del nostro Io. Prossima riunione giovedì 20 novembre. Ho tre testi da leggere, tre echi da redigere. Tutti gli echi degli altri da ascoltare. Ancora una volta una buona serata in vista!
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