Percorsi di pedagogia della narrazione
Dalle fonti orali alle nuove tecnologie
Fabio Olivieri (a cura di)
M@gm@ vol.8 n.2 Maggio-Agosto 2010
LA NARRAZIONE NEGLI ISTITUTI PENITENZIARI: LA PAROLA CINEMATOGRAFICA COME VEICOLO FORMATIVO E DI LIBERTÀ
Annalisa Vio
annalisavio@hotmail.com
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. Dottorato di Ricerca in Scienze Umane indirizzo Scienze didattiche, narratologiche e della formazione.
Un sistema educativo
deve aiutare chi cresce in una cultura a trovare un’identità
al suo interno. Se questa identità manca, l’individuo incespica
nell’inseguimento di un significato. Solo la narrazione consente
di costruirsi un’identità e di trovare un posto nella propria
cultura. [1]
Il tempo all’interno di un carcere è adagio; è un tempo che
restituisce alle cose, ai gesti, alle scelte, ai dettagli,
un peso denso, un tempo dedicato.
Il tacere delle sollecitazioni contemporanee, la mancanza
del poter fare, della rincorsa in perenne ritardo verso la
bulimia dell’agire sempre pronto a continue sostituzioni,
ridona uno spazio al silenzio: l’unico luogo possibile del
pensiero.
La circoscrizione della comunicazione e del dialogo nei limiti
e nelle difficoltà del mondo dentro rafforza il valore e la
possibilità della narrazione per restituire una propria storia,
un pezzo di se stessi al mondo fuori, all’altro da sé, ossia
rende il narrare l’unico modo di comunicare.
La narrazione in questo senso si prefigge l’attivazione di
processi cognitivi in grado di sviluppare una dimensione critica
di riflessione e di consapevolezza, in maniera per cui il
presente è il tempo e il luogo per ripensare il passato, in
una prospettiva di futuro da scegliere e costruire; in questo
senso il presente non può che essere intriso di giudizio.
Quale tipo di narrazione può attuarsi in carcere? Quale modalità
per interpretare il nostro vissuto, restituendo la possibilità
di pensarsi soggetto agente?
Quale medium per realizzare un processo narrativo capace di
modificare la percezione del futuro e la propria rappresentazione
in esso? Quale strumento per riacquistare il diritto a sognare?
Il cinema.
Il cinema inteso come arte.
Dalla ricerche della media e film education alle esperienze
regionali italiane, ai progetti nazionali europei, il rapporto
tra il linguaggio cinematografico ed i contesti educativi
ha fatto scaturire risultati pedagogici fecondi; uno spostamento
dall’interesse prettamente cognitivo, legato alla codifica/decodifica
dei significati, al piano socio-affettivo, legato al coinvolgimento
emotivo e alla socialità (Di Mele, 2008) è stata una delle
conseguenze della riflessione sul “piacere”, fisico ed intellettuale,
quale aspetto centrale della fruizione dei media (Silverstone,
2002), così come sul potenziale creativo e sul valore della
creatività; introdurre il cinema come arte a scuola è stata,
infatti, la sfida della Francia, tra i primi esempi europei
a definire nel piano di educazione nazionale il valore pedagogico
del linguaggio cinematografico (Bergala, 2002).
Tra le varie esperienze possibili che intrecciano le potenzialità
del linguaggio cinematografico agli ambiti di apprendimento
si colloca il caso degli istituti penitenziari, luogo di confine
e contesto educativo, dove il cinema ha saputo penetrare,
portato da scelte istituzionali o iniziative individuali,
dove è rimasto per un’unica esperienza o si è trasformato
in una costante nei piani pedagogici annuali, dove è diventato
un’opera compiuta, corto o lungometraggio, oppure è stato
un’uscita fantastica al cinematografo, un’ora d’aria.
La definizione degli obiettivi di questo complesso percorso
di ricerca privilegia l’approfondimento sia delle opere cinematografiche
inerenti il carcere, entrate a pieno titolo nella storia del
cinema, sia delle opere audiovisive realizzate nelle esperienze
degli istituti di questi ultimi anni.
L’analisi si concentra sulle fasi di produzione, indagando
le diverse implicazioni tra il mondo di fuori e l’essere dentro,
laddove i confini diventano sfumati quando questi mondi dialogano,
quando un regista diventa educatore, un detenuto attore, o
tecnico delle riprese, un direttore produttore; questa dissolvenza
incrociata dei ruoli, diviene in una visione amplificata,
scambio di sostantivi, della Parola, per ritornare in conclusione
ad arricchire la densità semantica del nome originario, consustanziale
all’esperienza dell’altro.
L’esperienza della narrazione attraverso il cinema è stata
l’espediente per ritrovare il valore etico attraverso la pratica
estetica, la possibilità di riacquistare il diritto alla meraviglia
e al sogno, lo spazio di un pensiero capace di modificare
la propria rappresentazione.
Impostazione metodologica
La scelta del Problema si
focalizza sul valore del cinema come arte all’interno degli
istituti penitenziari attraverso l’analisi e l’approfondimento
delle fasi di produzione di un’opera cinematografica.
Il Disegno della ricerca
Innanzitutto, mi sono resa conto della mancanza pressoché totale di informazioni inerenti l’argomento aventi un carattere strutturato e critico; pertanto ho avviato un primo censimento nazionale su quanto prodotto e realizzato in ambito cinematografico all’interno dei carceri italiani.
1. La Raccolta dati ha privilegiato l’approfondimento
in particolare di:
a) percorsi educativi che avessero previsto la fruizione di
opere cinematografiche anche all’interno di progetti più ampi
e non specificatamente dedicati al cinema
b) attività di cineforum
c) lezioni di linguaggio cinematografico
d) produzioni cinematografiche
Tengo a ribadire come questa fase, pur avvalendosi della disponibilità
di numerosi istituti, sia stata piuttosto lunga e faticosa,
in quanto richiedeva numerose autorizzazioni e adempimenti
burocratici per poter sottoporre ad ogni istituto penitenziario
italiano il questionario predisposto per l’acquisizione delle
informazioni di interesse per la ricerca.
La tabulazione finale è sintetizzata dai seguenti grafici.
Progetti educativi:
Si: 100%
No: 0%
All’interno del 100% degli istituti che hanno
risposto al questionario, evidenziati a margine, si svolgono
attività educative
Cineforum:
si : 86%
no: 14%
All’interno dell’86% degli istituti si svolgono attività di
cineforum
Linguaggio cinematografico:
si: 29%
no: 71 %
Solo il 29% degli istituti presenta attività legate al linguaggio cinematografico
Produzioni e realizzazioni cinematografiche :
si: 43%
no : 57%
Il 43% degli istituti realizza produzioni cinematogafiche
2. L’analisi e approfondimento delle
situazioni specifiche di produzione cinematografica
è avvenuta successivamente alla lettura dei risultati della
raccolta dati; infatti sono stati così definiti quei casi
di particolare interesse che hanno evidenziato un percorso
strutturato relativo alla tematica in oggetto valevoli di
un approfondimento specifico.
In particolare è stato dato rilievo al rapporto che lega il
mondo esterno col mondo interno agli istituti penitenziari,
durante quel preciso momento e percorso che nasce durante
la realizzazione di opere cinematografiche; i casi di interesse
privilegiano non tanto le situazioni in cui un regista esterno
accede nello spazio dell’istituto per un breve tempo necessario
alla realizzazione delle riprese, ma piuttosto esperienze
in cui un esperto esterno conduca un’attività continuativa
e durevole all’interno degli istituti, con un coinvolgimento
mirato ai detenuti, nelle più diverse forme (attori, soggetti,
operatori, comparse).
Gli strumenti principali scelti per questa fase della ricerca
sono stati le interviste strutturate, l’analisi della letteratura
e delle fonti secondarie.
Le interviste strutturate, scelte quale strumento per l’approfondimento
di questo aspetto della ricerca confermano ed evidenziano
il legame fortissimo che si crea durante la realizzazione
di un’opera cinematografica, tanto da avere implicazioni che
si sviluppano oltre il tempo della produzione;
Davide Ferrario, regista di Tutta colpa di Giuda racconta:
“Ho cominciato a frequentare il carcere nove anni fa,
in modo abbastanza casuale. Mi fu chiesto di fare due lezioni
di montaggio a un corso di formazione professionale per video-editor
e operatori che si teneva a San Vittore. Doveva essere una
cosa una tantum, ma l'impatto con il gruppo dei detenuti che
frequentava quel corso fu così forte che chiesi un permesso
da volontario e da allora continuo a lavorare "dentro". [2]
Così come Francesco Signa, attore e autore delle musiche e
del film, che continua ad essere coinvolto in progetti legati
agli istituti penitenziari dopo l’esperienza del coinvolgimento
attraverso la realizzazione del film col mondo dentro.
Davide Ferrario, in un’intervista rilasciatami lo scorso novembre,
descrive il cinema come lo strumento migliore per parlare
del mondo, come luogo dove esiste una connivenza, un’ambiguità
di fondo tra l’essere fiction e documentario; in questo senso
il cinema diventa uno specchio che mette di fronte alla realtà
per guardarla e da questa prospettiva il carcere si avvicina
al cinema, attraverso di esso, infatti si ha una restituzione
di una propria rappresentazione, attraverso la quale è possibile
ripensarsi diversamente.
In questo senso il cinema è e diventa Parola, narrazione,
nella sua più profonda capacità di riattribuire nuove prospettive
a storie solo apparentemente già decise, e la partecipazione
a questo narrare coinvolgendo, permette all’oggetto della
storia di diventare protagonista, soggetto agente, o comunque
di poter dare uno spazio alla propria voce.
Ma quale modalità per l’esercizio e la pratica dell’esperienza
estetica all’interno del carcere? La conclusione di questo
percorso di indagine si pone l’ambizione di tracciare un possibile
percorso metodologico di riferimento, definito in base all’analisi
delle esperienze già realizzate e alla letteratura specialistica,
al fine di poter favorire l’adozione del cinema come arte
all’interno degli istituti penitenziari.
3. La definizione di una possibile
guida per la realizzazione di percorsi specifici all’interno
degli istituti penitenziari vuole costituire il risultato
dell’analisi dei dati e degli approfondimenti specifici fin
qui analizzati, ispirandosi in particolare all’esempio del
lavoro di Alain Bergala e della produzione della Med italiana.
Vorrei soffermarmi un istante sul concetto di “cinema come
arte a scuola” sviluppato da Alain Bergala nel suo testo L’hypothèse
cinéma Petit traité de transmission du cinéma à l’école et
ailleurs (Paris, 2006) dove l’autore formula l’”ipotesi
cinema”:
“ne jamais oublier que le cinéma est d’abord un art, qu’il
est aussi une culture de plus en plus menace d’amnésie, et
enfin qu’il est un langage et nécessite à ce titre un apprentissage.La
question préliminaire et central est de savoir comment enseigner
le cinéma comme art dans le cadre de l’école, alors que l’art
est justement, et doit le rester, un ferment de changement
profond dans l’institution”.[3]
Bergala descrive qui il concetto di “arte” come incontro con
l’alterità, sottolineando la contrapposizione istituzione/alterità
quale parallelo della dicotomia cultura/arte; in particolare
ipotizza come nel contesto scolastico questo incontro possa
avvenire proprio attraverso l’introduzione del cinema:
“Une culture artistique véritable ne peut se construire
que sur la rencontre avec l'altérité fondamentale de l'oeuvre
d'art. Seuls le choc et l'enigme que représente l'oeuvre d'art
par rapport aux images et aus sons banalisés, prédigérés,
de la consommation quotidienne est réellement formatrice.
L'art ne peut être que ce qui résiste. L'art doit rester,
même en pédagogie, une rencontre qui prend à revers toutes
nos habitudes culturelles. La seule expérience réele possible
de la rencontre avec l'oeuvre d'art passe le sentiment d'
être expulsè du confort de ses habitudes de consommateur et
de ses idées reçu”.[4]
A partire da questo concetto egli costruisce
ciò che va nominando “pedagogia della creazione”, laddove
il film è considerato “traccia di un gesto di creazione”.
Dunque l’introduzione del cinema come arte a scuola necessita
di due passaggi fondamentali: innanzitutto l’analisi dei film,
attraverso un’immedesimazione con il regista, e con le sue
scelte estetiche al fine di provare le emozioni della creazione
stessa:
1 ) l’analyse des films, aussi l’ “analyse de création”:
avec le but de remonter un peu en amont dans le processus
de la création jusqu'au moment où le cinéaste à pris ses décisions [5],
donc apprendre à devenir un spectateur qui éprouve les
émotions de la création elle-même [6].
Tale analisi deve avere un carattere transitivo, un passaggio
all’atto, ossia pervenire al secondo aspetto fondante la teoria
di Bergala :
2) réalisation pratique d’un court métrage.
En situation scolaire, le but premier de la réalisation n'est
pas le film réalisé comme objet-film, comme “produit”, mais
l'expérience irremplaçable d'un acte, même très modeste, de
création. [7]
Laddove ancora ciò che conta pedagogicamente è il processo
e non la realizzazione finale, poiché è nel percorso che avviene
l’incontro col gesto ed il fare creativo in uno spazio ed
in un tempo proprio.
Questo quadro concettuale è il riferimento per la trasposizione
al mondo penitenziario dell’ “ipotesi cinema”. Se vogliamo
per un attimo ripensare, infatti, il rapporto tra la forma
artistica e gli istituti penitenziari, potremmo addentrarci
nel dialogo tra etica ed estetica, nel rapporto tra il bene
ed il bello; il carcere non è un luogo dove si ha un’esperienza
estetica, dietro alle sbarre il bello è messo a tacere, ma
non è neanche luogo etico, poiché è il risultato di un ordinamento
giuridico; manca infatti, il requisito necessario per l’esercizio
dell’etica: la libertà.
Allora il valore etico dell’esperienza in carcere è portare
al suo interno un’esperienza estetica, e da qui domandarci
che cosa mette a fuoco dell’uomo questa esperienza estetica.
L’estetica è una percezione, che solo ad un certo punto si
lega al bello, ossia alla possibilità di trovare qualcosa
nel mondo sensibile che vada oltre l’evento.
Come ci insegna Kant l’estetica è il piacere di cogliere non
la cosa in sé, ma la relazione tra le parti, allora portare
il cinema in carcere può essere il vissuto, la realizzazione
di fare un’esperienza di relazione, costruendo un ponte tra
le due dimensioni dell’uomo: estetica ed etica, attraverso
l’esperienza della bellezza del legame e della relazione.
In questa dimensione si colloca il valore della narrazione
cinematografica, capace di diventare un veicolo di formazione
e libertà attraverso l’esperienza estetica della relazione.
Infine, affinché possa rimanere uno spazio di condivisione
e sviluppo di questo ambito di ricerca, mi prefiggo la
costruzione di un sito e un archivio web sul cinema e carcere.
Tale volontà di realizzazione multimediale sul cinema ed il
carcere carcere nasce dall’insegnamento appreso durante il
primo anno e mezzo di Dottorato, occupandomi dell’archivio
Araie all’Università di Modena e Reggio Emilia [8].
L’archivio e il relativo sito vogliono essere un luogo dinamico
in cui si possano:
- documentare e analizzare i film realizzati;
- raccogliere i contributi e le esperienze specifiche sull’argomento;
- proporre un percorso metodologico ed educativo;
- essere un luogo di confronto e di dialogo per gli utenti;
- proporre comparazioni e ricerche incrociate tramite specifiche parole chiave;
- rendere disponibili i materiali ed il confronto delle esperienze in rete
La partecipazione alla sua realizzazione
è dunque aperta ai contributi di studiosi e appassionati all’argomento,
poiché la via è tracciata, ma il cammino è fecondo solo se
percorso insieme.
Il sito, in via di allestimento, è rintracciabile all’indirizzo:
www.cinemaecarcere.org
Note
1]
J. Bruner, La cultura dell’educazione, Milano, Feltrinelli,
2004, pag. 55
2] Davide Ferrario,
“Una conversazione con Davide Ferrario”, Tutta colpa di Giuda,
https://www.mymovies.it/tuttacolpadigiuda/davideferrario/,
aprile 2009.
3] A. Bergala, Hypothèse
cinéma, Ed. Cahiers du cinéma, Paris, 2002, p. 16.
4] Idem, pp. 97, 98.
5] Idem, p. 129.
6] Idem, p. 34.
7] Idem, p.170.
8] Per maggiori dettagli
sull’argomento vedi il mio intervento pubblicato in filmforum.uniud.it
e il sito web www.cinemainfanzia.org
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