Percorsi di pedagogia della narrazione
Dalle fonti orali alle nuove tecnologie
Fabio Olivieri (a cura di)
M@gm@ vol.8 n.2 Mai-Août 2010
IL PENSIERO NARRATIVO: CARATTERISTICHE E SVILUPPO
Paola Nicolini
nicolini@unimc.it
Docente di Psicologia dello sviluppo e Psicologia dell’educazione. Università di Macerata.
1. Alcuni riferimenti teorici: pensiero scientifico e pensiero narrativo
Si possono ipotizzare “almeno due tipi distinti
di modelli del mondo costruito dagli esseri umani – uno che
rappresenta il mondo della natura e l’altro quello della cultura
o dell’esistenza umana. Data la nostra passione ideologica
per la comprensione scientifica, abbiamo sempre avuto la tendenza
a sottovalutare la profonda differenza tra queste due sfere,
di conseguenza, a trascurare l’incommensurabilità tra questi
due ambiti e la difficoltà che comporta il tentativo di ridurli
l’uno all’altro” (Bruner J. S. 1994, p. 67) [1].
Profonde differenze attraversano i due tipi di pensiero, sommariamente
identificabili come nella tabella sotto riportata:
Approcci scientifici | Approcci narrativi | |
---|---|---|
Realtà |
Preesiste al soggetto che la coglie | Esiste per il soggetto |
Conoscenza |
Immagine, rappresentazione | Costruzione, donazione di senso |
Tema |
Oggetto reale, dato | Sistema di significati |
Procedure |
Analitiche | Olistiche |
Tecniche |
Misurazione/Sperimentazione | Interpretazione |
Scopo |
Studio delle cause | Ricerca dei fini |
Finalità |
Spiegare | Comprendere |
Metodo |
Obbedienza a regole | Rispetto di criteri |
Relazione |
Asimmetria, neutralità | Simmetria, partecipazione |
Rischi |
Falsificazione dei dati | Fallimento della comprensione |
Mentre il pensiero razionale è dunque
finalizzato all’adattamento dell’uomo al suo ambiente
fisico, il pensiero narrativo sostiene l’interazione
con gli altri esseri umani e aiuta a dare un senso
all’esperienza. Da questo punto di vista, sia
nella filogenesi sia nell’ontogenesi, il pensiero narrativo,
così a lungo trascurato, è nato prima del pensiero
scientifico. Lo dimostra nella filogenesi la presenza di storie,
miti e leggende con cui gli uomini hanno cercato di darsi
conto delle origini della vita. Ne è una prova, nell’ontogenesi,
la comprensione precoce che i bambini hanno di tutto quanto
è narrato sotto forma di fiaba o di storia, mentre solo in
un momento successivo del loro sviluppo possono avere accesso
alla cognizione di testi scritti in forma di saggio [2].
Nei suoi ultimi scritti Bruner sottolinea due aspetti fondamentali
del pensiero narrativo. Il primo è dato dalla dimensione interpretativa:
in essa si contrappongono la canonicità della narrazione e
la sua apertura alla possibilità. Si può osservare
come la prevedibilità rassicurante del canone culturale venga
sfidata continuamente, nel prodursi storico delle narrazioni,
da una infinita serie di possibilità alternative che si danno
e nell’affrontare un problema e nel trovare la risoluzione.
Ciò suggerisce che il pensiero narrativo segua un andamento
che si potrebbe dire goal free, nel senso che la
meta finale del ragionare narrativo non ha un modello già
stabilito e condiviso dalla comunità cui si appartiene. Ciò
è quanto invece avviene con il pensiero scientifico, che si
potrebbe invece definire goal driven, in quanto il
suo andamento deve poter assicurare il ricongiungimento con
l’oggetto, prima ancora che con una conoscenza già data e
per lo più stabilizzata, condivisa.
Dal momento che il procedimento narrativo è per sua natura
aperto, esso si serve di quanto già presente nell’orizzonte
culturale di appartenenza e, anzi, ne costituisce in qualche
modo il mezzo di stabilizzazione. Tuttavia esso contribuisce
allo stesso tempo anche al suo continuo rinnovamento. Infatti
i significati culturali tipici di una popolazione o di un
gruppo di persone mutano nel tempo, grazie alla spinta di
fenomeni di tipo sociale, economico, sociologico, ecc., così
come muta il lessico con parole che vanno in disuso e altre
che sono coniate come neologismi o vengono convogliate da
altre lingue e linguaggi.
Un altro aspetto fortemente legato alle tipicità del pensiero
narrativo è costituito dalla creazione narrativa del Sé, dimensione
essenziale di costruzione della identità soggettiva e insieme
di apertura costante all’Altro. La costruzione dell’identità
è indissolubilmente legata alla narrazione, perché l’identità
si costruisce all’interno della comunicazione con gli altri,
la quale attinge alla cultura in cui si vive immersi. L’insieme
delle narrazioni, teorie scientifiche comprese, è a sua volta
pieno di narrazioni contenenti varianti e possibili alternative
su ciò che il Sé è o potrebbe essere.
La scoperta della dimensione narrativa del pensiero illumina
quindi la funzione del narrare nell’esperienza vitale soggettiva,
nello sviluppo della mente e dell’identità infantile, così
come nella trasformazione adulta. Si rivela narrativa (e non
logico-analitica) la modalità con cui la mente racconta di
sé a se stessa, e perciò costruisce e ricostruisce incessantemente
il disegno della propria storia di vita e, interpretandosi,
si orienta e si auto-dirige: fuori dalla narrazione non possiamo
rendere coscienti i bisogni, i desideri, le paure [3].
Secondo Bruner la propensione dell'uomo a comunicare storie
costituisce una pratica potente, che stabilizza e rinnova
la vita associata.
Identificare nel narrare una pratica sociale porta
a riconsiderare, e reinterpretare, i processi di socializzazione
e di acculturazione nonché la loro dimensione educativa, attribuendo
priorità alla condivisione di un mondo di significati e di
valori rispetto alla vicinanza fra le persone e all’assoggettamento
comune a norme sociali e giuridiche. Le narrazioni incontrate
nell'età infantile costituiscono il primo luogo di condivisione
dei significati non solo fra adulti e bambini, ma anche dei
bambini fra di loro.
2. Esempi di approccio narrativo alla conoscenza
Considerato che il pensiero narrativo costituisce uno strumento primario nei processi di conoscenza di sé e del mondo, intendiamo ora fornire due esemplificazioni: l’apprendimento di concetti scientifici e la rappresentazione dei rapporti interculturali.
2.1. Il pensiero narrativo nello studio delle scienze
L'insegnamento delle materie scientifiche
è spesso sentito come un problema, sia dagli insegnanti sia
dagli allievi. Si avverte la necessità di creare dei ponti
tra le teorie ingenue e le relative codificazioni linguistiche
utilizzate dall’alunno e quelle tipiche dei modelli scientifici
che, per definizione, hanno due caratteristiche importanti:
l'organizzazione sistematica e la ricchezza di vocabolario.
Qualsiasi sia l'argomento da proporre, per prima cosa è importante
far emergere i modi in cui gli alunni hanno codificato una
conoscenza più o meno implicita e consapevole attorno agli
argomenti che si intende proporre. L'indagine potrà proficuamente
essere avviata attraverso consegne di tipo narrativo.
Per dare un’idea dell’efficacia del ricorso alla narrazione
nell’apprendimento di concetti scientifici illustriamo di
seguito una ricerca sul modo in cui alunni di scuola primaria
si approcciano allo studio del corpo e dei suoi processi interni.
Abbiamo infatti usato una consegna a carattere narrativo per
raccogliere le loro idee sul tema della digestione. La domanda
a loro rivolta, con la consegna di elaborare un testo scritto,
è: “Come immagini la digestione?” (Nicolini 2000).
Di seguito commentiamo i dati raccolti.
2.1.1. In seconda classe
Molti bambini dichiarano di non conoscere la parola digestione e scrivono:
Io non ho mai sentito questa parola. Non sapevo nulla.
Altri bambini mostrano di riferirsi all’indigestione. D’altro canto questa è la modalità più rilevante di sentire la digestione dal punto di vista propriocettivo, come un’attività che interessa il proprio corpo.
Io so cos'è la digestione, la digestione è quando uno mangia troppo dolce e allora non ce la fa a digerire e dopo aver mangiato il cibo va tutto nella pancia.
La digestione è mangiare tanto e non digerire e poi lo stomaco comincia ad essere pieno e ti fa vomitare.
Ho sentito che la digestione significa che qualcuno digerisce. Digerire significa che quando qualcuno mangia tanto dentro lo stomaco lavora come un macchinario che fa fare il ruttino.
Un ultimo testo sembra contenere alcuni degli elementi principali per una definizione più vicina a quella scientifica:
Io so che vuol dire digestione, vuol dire mandare giù il loro pranzo o la loro cena che si ferma, e con un sorso d'acqua la manda giù nello stomaco che lo trasforma in cacca e dopo noi andiamo al bagno.
Il ricorso al pensiero narrativo sembra offrire il vantaggio, anche per bambini così piccoli, di far emergere comunque materiale utile ad agganciare il sapere scientifico, mentre è chiaro che potrebbe essere difficile lavorare su nessi razionali e concetti logici. La consegna narrativa inoltre permette l’affioramento di conoscenze legate al processo digestivo, attivando link alla vita quotidiana, all’esperienza vissuta, alla percezione diretta, senza richiedere l’analisi di nessi causali o la formulazione di ipotesi e relative verifiche.
2.1.2. In terza classe
Ancora tra i bambini di terza qualcuno scambia la digestione con l’indigestione:
La digestione viene mangiando troppo, ad esempio mangio un panino se lo mangio troppo veloce c'è il rischio di vomitare e così devo bere l'acqua.
La gran parte dei bambini mostra di rimanere ancorata a una visione meccanica del processo digestivo, come indicano soprattutto i verbi utilizzati:
Quando qualcuno mangia qualcosa avviene la digestione. La digestione avviene quando un uomo mangia qualcosa. Ad es. un uomo mangia un pezzo di pane e il pane va nello stomaco e avviene la digestione.
Mentre noi mangiamo la carne o altri cibi, appena abbiamo masticato bene, a loro volta entrano in un tubicino e vanno nello intestino e poi vanno nella pancia, dove gli scarti del mangiare restano nell'intestino e vanno alle feci. Poi la cosa la digerisci con un rutto.
Iniziano però a vedersi accenni a possibili parti gassose del processo digestivo:
Quello che avviene nel corpo quando si mangia qualche cosa io penso che succeda così: il gas che c'è nel mangiare lo inghiotti e dopo un po' di tempo il gas che si è mangiato lo ributti fuori dal corpo come il vomito così avviene la digestione.
Sciogliere e penetrare, verbi che compaiono nei due testi che seguono, contengono riferimenti linguistici a processi di scambio e osmosi:
Mangiando un pezzo di pane o qualsiasi
cosa che si possa mangiare, credo che per far andare nel nostro
corpo il cibo ci sia un buco, e il cibo scende giù.
Che lo attende secondo me è un tubo che lo fa passare, in
ogni posto stradale che li porti all’intestino. Arrivando
all’intestino il cibo si scioglie e si
forma la digestione.
Quando mangio per esempio una fettina la metto in bocca e la mastico bene. Finito di masticare la inghiotto e quando si ferma nello stomaco diventa come un liquido e penetra nel sangue e così noi diventiamo forti.
Infine compare anche la parola trasformare, che lascia intendere che qualcosa possa divenire qualche altra, attraverso appositi processi:
La digestione per me avviene così: il cibo scende per il corpo e ai polmoni così quando arriva all'intestino, una parte si trasforma in sangue e l'altra parte si trasforma in cacca.
L’ultimo testo indica una visione d’insieme, in parte anticipata anche in alcuni testi precedenti, per cui alla digestione sono associati effetti globali sul corpo e sulla persona:
Che il pezzo di pane lo inghiottisci e va dentro la pancia che quando uno ha fame gli brontola lo stomaco quando uno ha sete il capo gli fa uno strano effetto che quando prova il caffè gli viene i nervi quando uno ha il singhiozzo ci vuole l'acqua quando uno ha mangiato troppo vomita.
La consegna narrativa permette di cogliere un’evoluzione nelle rappresentazioni infantili del processo digestivo, tenuto conto che al momento della nostra rilevazione la classe non aveva ancora affrontato il tema della digestione come contenuto curricolare.
2.1.3. In quarta classe
Le conoscenze a quest’età sembrano maggiormente in linea con i saperi della scienza e il linguaggio utilizzato è sempre più a carattere tecnico:
Io mi immagino la digestione così: uno mette un pasto in bocca, quel pasto viene impastato dalla saliva, poi passa dentro all'esofago e infine va a finire nello stomaco. La digestione è una malattia che per due o tre giorni non ti fa mangiare.
Secondo me la digestione avviene così: noi mangiamo a merenda, a colazione, a pranzo, oppure facendo cena. Mettiamo il cibo in bocca, poi si deve masticare con i denti e poi mandarlo lungo l'esofago. Nel nostro corpo ci sono molti organi che pensano a farci digerire; un organo molto importante dell'apparato digerente è l'intestino: esso serve per far passare le feci. Dopo qualche ora se noi abbiamo mangiato velocemente, digeriamo male perché lo stomaco non riesce a macinare bene il cibo, quindi se digeriamo male ci fa male la testa. Quando noi mangiamo a cena, se mangiamo velocemente, oppure troppo non digeriamo e possiamo vomitare e sentirci male.
Io la digestione me la immagino così: mastico il mangiare va nello stomaco e con gli acidi gastrici si macina. Lo stomaco è come un fagotto, che si restringe, e quindi macina il mangiare. Il mangiare dopo va nell'intestino. Nell'intestino c'è una specie di calamita che prende tutto il necessario per vivere e poi lo manda nel fegato. Il fegato purifica il sangue e poi lo spedisce nel cuore. Il cuore manda il sangue in tutto il corpo e così avviene la digestione.
Negli ultimi due testi che presentiamo appaiono citate anche le cellule:
Quando ad esempio mangio la merenda la digestione per me avviene così: prima la mandiamo nell'esofago che poi lo manda in alcuni tubicini che poi passano il sangue sporco nei reni che poi lo va a scaricare nelle urine e nelle feci. Il sangue pulito per mezzo delle vene va nelle cellule nervose ecc. Ecco come avviene la digestione.
Noi quando mangiamo quello che abbiamo mangiato va dentro un tubo lungo fino nel nostro corpo esce dal buco e si appoggia sulle cellule e il nostro cibo va a finire nel sangue. Poi il nostro cibo si scioglie e va a finire nel nostro corpo e se lo prende le cellule.
L’analisi complessiva dei testi evidenzia
alcuni aspetti, come ad esempio il fatto che il bambino gradualmente
riesca a rappresentarsi un corpo che non necessariamente è
il suo corpo. Infatti il corpo come corpo proprio
soggiace maggiormente alle leggi della storia personale
e della soggettività, mentre il riferimento al corpo
come un corpo astratto e in qualche modo universale può essere
visto come un passaggio da una rappresentazione quotidiana
e soggettivamente ancorata della conoscenza a una conoscenza
più complessa, legata a una capacità astrattiva. Tuttavia
la conquista di approccio scientifico non dovrebbe avvenire
a scapito della comprensione narrativa, vale a dire comportando
la perdita di ciò che precedentemente costituiva un patrimonio
di conoscenze che garantisce il contatto con il proprio corpo.
L’educazione scientifica e la didattica delle scienze dovrebbero
perciò riuscire a mantenere il rapporto tra l'organismo e
il vissuto personale dell'organismo, vale a dire tra modalità
di organizzazione della conoscenza sia scientifiche che narrative
[4].
Il bambino va dunque aiutato a rapportare ciò che impara sul
corpo umano a ciò che conosce personalmente sul proprio corpo.
Queste relazioni fungono da nodi organizzatori nella rete
delle conoscenze e bisognerà che il lavoro scolastico passi
attraverso o crei ulteriori nessi tra di esse, per garantire
un apprendimento olistico, stabilmente a disposizione del
bambino.
Un accesso narrativo alla conoscenza scientifica permette
anche l’emergere dei sentimenti che possono svilupparsi a
contatto con questo tipo di saperi. Le informazioni scientifiche,
apparentemente neutrali, possono invece scatenare timori,
fantasie e rappresentazioni errate tali da far nascere il
bisogno di sapere cose che neppure la scienza è in grado di
spiegare. Nell’esempio della nostra ricerca si può pensare
alla paura che può sorgere in una mente infantile nel momento
in cui un bambino si rende conto che il suo corpo non è del
tutto controllabile e in gran parte funziona indipendentemente
dalla sua volontà.
2.2. Il pensiero narrativo nello studio delle relazioni interculturali
Il contatto con gli affetti svolge una funzione
fondamentale nello sviluppo dell'individuo, sia a livello
intrapsichico che nella relazione interpersonale, infatti
molte delle azioni che si verificano nei rapporti fra le persone
possono essere comprese solamente se si valutano i sentimenti
che le sottendono.
Di fatto quindi il sentimento consiste in un insieme complesso
di operazioni che hanno sì, carattere affettivo, ma in cui
si intrecciano anche processi a carattere cognitivo e socio-culturale.
Illustriamo di seguito i risultati di una indagine qualitativa
condotta alla fine degli anni ’90 quando in Italia, in particolare
sulla costa adriatica, si sono verificati numerosi sbarchi
di persone provenienti dall’Albania. All’epoca i mass media
diedero forte risalto al fenomeno e in alcune zone del litorale
furono allestiti alcuni temporanei centri di raccolta, in
cui soprattutto donne e bambini trovarono un momentaneo appoggio.
Nella popolazione italiana residente e persino nelle scuole
ci fu un riverbero derivante da questa situazione anomala,
tanto da indurci a fornire la possibilità di scrivere un testo
con una consegna di tipo narrativo, con un duplice scopo:
raccogliere documentazione sul modo in cui bambini tra gli
otto e gli undici anni costruiscono il rapporto con l’altro
quando questi appartiene a un gruppo diverso dal proprio;
elaborare i dati al fine di fornire indicazioni per un’educazione
sociale alla differenza.
Abbiamo perciò chiesto ai bambini di scrivere un breve testo
dal titolo volutamente neutrale: “Immagina che un gruppo
di famiglie Albanesi venga a stare nella tua città: racconta
le tue impressioni”. L’invito a immaginare ha probabilmente
dato modo ai bambini di approcciare il tema utilizzando i
loro sentimenti prevalenti, che sono emersi nei testi con
straordinaria varietà (Nicolini, Pojaghi 2000). Vediamo alcuni
esempi, sugli oltre 100 lavori raccolti.
2.2.1. L'amore e l’amicizia
Il ricorso al sentimento dell'amore appare nel protocollo
che segue anche se, più che l'esplicitazione di un sentimento
provato dalla bambina autrice del testo, ha il carattere di
un'esortazione e sembra, in tal modo, essere posto fuori di
lei:
Se noi sbarcassimo profughi in Albania avremmo lo stesso trattamento, anche noi saremmo senza tetto, sconosciuti in un paese sconosciuto e ci prenderebbero in giro. Come noi trattiamo loro, loro tratterebbero noi; la nostra maestra ci dice che così noi non costruiamo un mondo nuovo e poi voi grandi è questo l’esempio che ci date? Il nuovo mondo è quello in cui tutti si vogliono bene, non si menano e non si prendono in giro. Allora amiamo non odiamo, aiutiamo non freghiamo, cerchiamo di dare loro un tetto, pensiamo ai bambini a cui sono morti i genitori e purtroppo devono andare in un orfanotrofio. Gli Albanesi sono come tutti allora trattiamoli bene.
D’altro canto, pensare di amare qualcuno che non si conosce è operazione che mostra carattere di irrealtà, benché sembra forte in questo caso la capacità di tener conto della situazione disagiata in cui l’Altro vive. Compare esplicitamente il riferimento alle parole dell’insegnante, le quali orientano forse la lettura di se stesso e del mondo esterno nel senso della vicinanza. Nel testo che riportiamo di seguito appare chiara l'ambivalenza dei sentimenti, che oscillano tra il positivo e curioso accoglimento e la paura di imbattersi in persone cattive:
...Se arrivassero a Recanati e il Comune li ospitasse sarei contento, basta che siano persone fatte bene: altrimenti se saranno persone cattive, ma ne dubito, non sarei tanto contento. Sarei contento se diventassero miei amici per conoscere nuove persone e farsi altre conoscenze, perché sono anche sicuro saremo ottimi amici.
Un difficile equilibrio, che può essere risolto
a favore di un’istanza di vicinanza o allontanamento solo
attraverso la ricognizione e l’esperienza diretta e individualizzata,
la sola che può garantire una scelta caso per caso, eludendo
il ricorso alle generalizzazioni e ai pregiudizi, sia di carattere
sociale sia morale.
Il brano seguente tematizza la polarizzazione tra dare amicizia
e tenersi alla larga da persone che sono in guerra tra loro,
dalla qual cosa il bambino deduce, con logica ferrea, che
se la guerra è di Albanesi contro Albanesi quelli che l’hanno
cominciata potrebbero venire qui travestendosi da quelli che
vengono per rifugiarsi.
Per me dovremmo trattarli come amici perché pur avendo abitudini diverse sono come noi. Però sono anche un po’ un pericolo perché se la guerra è di Albanesi contro Albanesi quelli che l’hanno cominciata potrebbero venire qui travestendosi da quelli che vengono per rifugiarsi.
Il successivo testo sembra evidenziare un percorso più complesso, che parte dal turbamento e dalla necessità di osservare i comportamenti degli eventuali nuovi ospiti, fino a prendere in considerazione l'opportunità di fornire aiuto, non solo con fondi, ma anche con amicizia:
Se nel mio quartiere fossero arrivate ad abitare alcune famiglie di Albanesi mi comporterei così: sarei naturale, come se nulla fosse accaduto, ma dentro di me comincerei a pensare, osservando il loro comportamento, che queste persone hanno bisogno d'aiuto. Resterei un po' turbata a vedere queste famiglie così diverse da noi venire all'improvviso ad abitare nella nostra zona. Sarebbero di sicuro più povere di noi e quindi andrebbero aiutati non solo con fondi, ma anche con amicizia.
La bambina delinea nell’immaginazione un
esempio di relazione interpersonale basato sulla consapevolezza
dei propri sentimenti, nonché sulla possibilità di acquisire
informazioni direttamente nel rapporto con l’Altro, in ciò
accordandosi il permesso di sentire e anche di modificare
le proprie iniziali titubanze.
Un esempio simile è costituito dal testo che segue, in cui
la bambina dichiara che avrebbe bisogno di accostarsi con
cautela a sconosciuti che arrivassero nel suo quartiere, fino
a ipotizzare di poter anche stabilire un rapporto di amicizia.
Se un domani venissero nel mio quartiere
alcune famiglie di albanesi io prima di stabilire un rapporto
di amicizia con loro li osserverei perché, sì, il popolo albanese
ha bisogno, ma se arrivano dei carcerati o dei ladri avrei
paura perché convivere con gente che rapina e magari che disturba
anche la quiete pubblica non è certamente bello. Però per
le famiglie di brava gente le cose cambierebbero perché è
gente tranquilla e calma, magari si potrebbe stabilire un
rapporto di amicizia.
2.2.3. La pena
Tra i sentimenti espressi dai bambini troviamo anche la pena. Nell’espressione della pena prevale una capacità di carattere emotivo consistente nell’immedesimazione e, contemporaneamente, una competenza di livello cognitivo, costituita dalla possibilità di decentrarsi rispetto alla propria esperienza per assumere il punto di vista dell’Altro.
...Due Domeniche fa sono andato alla pineta di Porto Recanati e ho visto in una casa degli Albanesi sbarcati a Porto Recanati in cerca di lavoro, di soldi, di speranza, recintati con della rete, gli Albanesi anche minorenni. Mi fanno pena ridotti come stracci. Mi ricordo che a ogni angolo della casa recintata c’era una macchina della polizia; gli Albanesi sono venuti in Italia perché in Albania c’è la guerra civile. Senza casa, molti senza mamme, senza genitori è terribile, molti muoiono perché le loro navi affondano.
La pena può essere considerata come un sentimento
sociale operante attraverso l'immedesimazione che scaturisce
dalla riflessione "poteva o potrebbe capitare anche a
me". Il feedback che si produce ha l'effetto a sua volta
di consolidare i legami sociali.
2.2.4. Lo stupore e il dubbio
Prende corpo in questo protocollo il senso di stupore per un problema certamente più grande del piccolo autore:
Il popolo albanese è molto in difficoltà, con la guerra, con la carestia e con la mancanza di soldi. Gli Albanesi di solito fanno delle rapine e io penso che non fanno affatto bene, quindi io dico che gli Albanesi possono stare in Italia però a una condizione, di stare nei centri d'accoglienza, perché se sono liberi possono fare omicidi, rapine e altre cose brutte. Questa situazione mi ha un po' stupito, perché circa un anno fa c'è stata la guerra in Bosnia, intanto però non sono venuti in Italia, invece gli Albanesi sì.
La gran parte dei resoconti contiene almeno un accenno alla confusione o al dubbio, risultato dell'incrocio tra sentimenti personali e rappresentazioni probabilmente costruite all'interno del nucleo familiare, dell'educazione scolastica o veicolate dai mass-media, cui il bambino ha l'opportunità o la necessità di far riferimento.
Io ho dei dubbi sul tenerli o no, perché rubano nelle case e se li scacci ritornano di nuovo a rubare. Aggiungerei dei posti di lavoro così non rubano più. I giornali dicono che rubano e fanno delle risse. Sono d’accordo perché è molto vero che succedono queste risse e rubano in continuazione. Come avevo detto in precedenza, succedono alcune risse, cioè tirano i sassi, bastoncini con il fuoco e anche tanti petardi. Se fossi uno di quelli che sono d’accordo aggiungerei dei posti di lavoro.
Ancora un esempio che mostra eloquentemente la dinamica controversa tra sentimenti che, proprio per l'inestricabile compresenza, orientano contemporaneamente alla vicinanza e all'allontanamento:
Io il problema degli Albanesi lo affronto in modo molto dubbioso. Sentendo i miei genitori che discutevano del problema mi sono fatto alcune idee, ma mi hanno anche un po’ confuso. Come avevo già detto sono molto in dubbio: da una parte alcuni li terrei perché mi fanno un po’ pena, d’altronde vengono da un paese sempre in guerra. Ma dall’altra no! perché sono delinquenti, malfattori e se continueranno a venire l’Italia sarà invasa da tutti questi extracomunitari e non sarà più la nostra Italia. Personalmente sono d’accordo a tenerli e mantenerli, ma che stiano nel loro paese senza invadere il nostro e così li nutriremo quanto vogliono. Invece per i centri d’accoglienza non sono molto d’accordo perché se gli Albanesi dovessero proprio riuscire a venire in Italia per vivere non penso che siano molto contenti di essere chiusi in un centro d’accoglienza perché loro vengono nel nostro paese per vivere e noi li sbattiamo in centri, sì di certo mangiano e sono ben tenuti ma rimangono sempre in un centro senza muoversi. Se dovessi incontrare un Albanese per strada avrei paura perché la maggior parte di loro è delinquente e soprattutto non saprei come comunicare perché non so che tipo di carattere hanno.
Il conflitto tra sentimenti diversi si evidenzia nel finale del testo, quando il bambino sostiene di aver paura perché la maggior parte di loro è delinquente, ma cede in qualche modo al desiderio di stabilire un rapporto rammaricandosi di non sapere come comunicare.
2.2.5. Il fastidio e l'indifferenza
I bambini manifestano anche con molta chiarezza il senso di fastidio e di sopportazione:
...vicino a casa mia ci sono degli Albanesi incasati e pensate hanno anche dei bambini! ne hanno tantissimi: arriva una macchina e dopo due minuti ne arrivano altre tre, non si può stare in pace neanche un minuto... Per me gli Albanesi sono persone comuni e bisogna trattarli come amici, a me non danno nessun fastidio, ma a certe persone sì! Io ce l’ho davanti casa mia e devo sopportarli!...
Tuttavia l'espressione così diretta del fatto che non si può stare in pace neanche un minuto sembra essere contraddetta appena una riga più avanti, in cui alla voce del sentimento sembra sostituirsi quella del dover essere, perché comunque bisogna trattarli come amici, a tal punto che il fastidio provato dal bambino è trasferito, forse proiettivamente, su certe persone. Un tentativo di venir fuori dal conflitto interiore tra allontanamento e avvicinamento è dato dalla ricognizione di elementi conoscitivi utili a decidere sul da farsi. Questo procedimento sembra essere adottato dal bambino autore del protocollo che segue:
Prima di tutto farei una ricerca sull'Albania, per vedere in che posizione sociale è, per capire se altri stati che la circondano sono sviluppati o meno: poi vorrei sapere se oltre la questione principale che ha portato a questo ce ne sono altre; intanto ospiterei dei profughi di buon cuore a casa mia così potrei avere più informazioni sul problema; mi metterei d'accordo con amici per andare in comune e ricevere il foglio delle leggi italiane per assicurarmi che le cose che fa lo stato sono giuste nei loro confronti; dopo aver fatto tutto queste metterei in carcere gli Albanesi disonesti, che fanno del male anche a chi li aiuta.
L'acquisizione d'informazioni attraverso
la ricerca riduce la diversità, mirando a rendere noto ciò
che inizialmente si presenta come sconosciuto. Questa operazione,
di carattere prevalentemente cognitivo, ha l'effetto parallelo
di diminuire anche la paura che, dall'ottavo mese di vita
in avanti è sempre in azione, seppure in gradi diversi, nella
relazione con un estraneo, almeno nella fase iniziale.
2.2.6. La paura
Accanto all’amicizia è la paura il sentimento
tra i più citati nell'insieme di testi da noi raccolti. Se
è vero che la paura appare molto precocemente nella vita di
un neonato, è anche vero che, prima di saper attaccare
e fuggire, l'individuo è in grado di aggrapparsi e legarsi
emotivamente a coloro che si prendono cura di lui. Nel testo
che segue l’Autore appare in contatto con tale sentimento,
di cui indica anche i motivi, relativi alla possibilità di
subire un furto, in prima persona o tra
i suoi cari:
Che arrivino a Recanati gli Albanesi mi mette un po’ di paura, certo: loro vengono qui perché in Albania c’è la guerra, ma questo non vuol dire che sono tutti cattiva gente. Io ho paura perché forse trafficheranno le pistole e tante altre armi. Mia zia dice che sono tutti sporchi e che non tengono al loro aspetto, praticamente dice che non c’è neanche una brava persona, ma per me non è così: certo anch’io ho paura, ma se hanno bisogno di aiuto io sono anche disposta a dargli qualcosa.
Si manifesta molto chiaramente il contrasto interiore di questa bambina, divisa tra paura e necessità di offrire aiuto, disponendosi a dare qualcosa. Si intravede una duplice tendenza di carattere affettivo e appare evidente sia la spinta che invita all'allontanamento, sia quella che induce alla riduzione delle distanze. La paura trova posto anche come sentimento negato. Lo testimonia il primo enunciato in cui, alla dichiarazione io non ho paura, segue appena dopo l'affermazione che gli Albanesi sono forse più spaventati di noi:
Io non ho paura, in fondo loro sono come noi, anzi forse più spaventati. Certe madri hanno imbarcato i figli da soli per salvarli e certi si sono persi nella nave e non trovano più le madri. Noi non siamo tanto diversi da loro, certo hanno le facce come uno che ti vuole menare però in fondo sono buoni. Qua loro non hanno nulla, né lavoro e forse nemmeno un posto dove stare perché non li vuole nessuno. Penso che se tutti fossero un po’ più buoni e li capissero avrebbero un posto dove stare o meglio avrebbero la tranquillità di non essere odiati da tutti.
Il testo suona quasi come una rassicurazione che il bambino ha bisogno di fare a se stesso, rassicurazione che passa attraverso la ricognizione, di carattere cognitivo, degli elementi di analogia.
Conclusioni
Le ricerche sopra riportate pensiamo possano
fornire un esempio sia dei modi di funzionamento del pensiero
narrativo sia dei vantaggi del ricorso a esso. Essendo una
modalità di conoscenza in cui fin dalla nascita ci si trova
immersi, esso costituisce uno strumento velocemente a disposizione
della crescita e della conoscenza. Per queste caratteristiche
offre altresì un impianto cui riferirsi per entrare a far
parte di una comunità che condivide storie e narrazioni. Bruner
scrive che non sappiamo veramente tutto sullo sviluppo del
pensiero narrativo e tuttavia esistono due certezze storicamente
condivise intorno a esso: la prima è che i bambini debbano
conoscere il patrimonio narrativo tradizionale della loro
cultura, perché esso struttura e nutre l’identità personale;
la seconda è che l’invenzione narrativa stimola l’immaginazione
ed è perciò d’aiuto a trovare il proprio posto nel mondo,
perché per questa operazione è necessario un certo grado di
attività immaginativa.
Note
1]
La distinzione tra i due modelli mentali è sovrapponibile
a una separazione già operata da Dilthey tra Scienze della
natura e Scienze dello Spirito (oggi meglio definite come
Scienze umane) (Dilthey W. (1913), L’analisi dell’uomo e l’intuizione
della natura. Dal Rinascimento al secolo XVIII, trad.it.
La Nuova Italia, 1974.
2] Questa differente
collocazione temporale ha fatto sì che si volesse facilitare
la comprensione di concetti scientifici sotto forma di storie,
come dimostra l’analisi di molti sussidi didattici per le
scuole d’infanzia e primarie. Tuttavia una semplice trasposizione
può dar luogo a una serie di rappresentazioni errate e di
relativi misunderstanding. Si pensi ad esempio alla storia
che narra “Il viaggio del panino” entro l’apparato digerente.
Essa veicola l’idea, del tutto scorretta, che il panino resti
tale lungo tutto l’attraversamento degli organi interni. Questa
narrazione non tiene infatti in considerazione la presenza
di processi meccanici - di masticazione - prima ancora che
chimici - di trasformazione, di cui una corretta comprensione
scientifica ha bisogno.
3] È in fondo la grande
scoperta di Sigmund Freud e della psicoterapia, per cui il
raccontare e ri-raccontare di sé permette di posizionarsi
diversamente nel continuum tra normalità e patologia così
come tra gioia e dolore.
4] Dato che la narrazione
sembra rivelarsi un privilegiato modello di conoscenza della
realtà e del suo significato, della costruzione e della cura
del Sé, si va via via affermando anche un modello di Narrative
Based Medicine che ha messo in luce l’importanza di recuperare
l’esperienza soggettiva del paziente tramite il ricorso al
racconto della malattia. Le narratives of illness, consistenti
in testi autobiografici attraverso i quali la persona può
ricostruire la rappresentazione di sé e del mondo incrinate
dal dolore, può consentire al medico di accedere olisticamente
ai problemi del paziente, a partire dall’ipotesi che gli schemi
narrativi rilevati a livello del testo linguistico possano
essere vie d’accesso privilegiate agli schemi cognitivi sottostanti
utilizzati.
Bibliografia
BRUNER J. S., Il conoscere. Saggi per
la mano sinistra (1964), trad. it., Armando, Roma 1968.
BRUNER J. S., La ricerca del significato, trad. it.,
Bollati Boringhieri, Torino 1992.
BRUNER J. S., Modelli di mondo, modelli di menti,
in Ceruti M., Fabbri P., GIORELLO G., PRETA L. (a cura di),
Il caso e la libertà, Laterza, Bari 1994.
BRUNER J. S., La fabbrica delle storie, Laterza,
Bari 2002.
NICOLINI P. (a cura di), Conoscere il corpo, Franco
Angeli, Milano 2000.
NICOLINI P., POJAGHI B., Sentimenti, pensieri e pregiudizi
nella relazione interpersonale: il bambino e la conoscenza
dell’Altro, Franco Angeli, Milano 2000.
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