Scritture di sé in sofferenza
Orazio Maria Valastro (a cura di)
M@gm@ vol.8 n.1 Gennaio-Aprile 2010
SILENZIO, ORDINE E SOLITUDINE
Lucia C. Antonazzo
luannet@libero.it
Dott.ssa in Lingue e Letterature Straniere, s’interessa di studi sul genere, in particolare in società arabe a maggioranza islamica e in società non arabe di religione islamica, come la Turchia. Nella sua tesi di laurea ha trattato l’argomento: Divisione dello spazio sociale e problemi di genere. Storia, società e letteratura nella Turchia moderna (Università di Lecce, luglio 2005). Si occupa, in qualità di mediatrice linguistica interculturale, di azioni di sostegno, accompagnamento e mediazione per le lingue araba e turca e della diffusione della conoscenza della storia e delle civiltà che riguardano il mondo arabo e particolarmente la Turchia.
La letteratura turca
moderna ha dedicato molta attenzione alle tematiche della
differenza di genere nello spazio pubblico e nello spazio
privato. Alcuni scrittori, poi, si sono soffermati ad indagare
lo spazio domestico e le problematiche che esso presenta.
Così sono venute a galla situazioni che, se non fossero state
trasferite sul livello letterario, analizzate e sviscerate
profondamente, avrebbero mantenuto la loro banalità, il loro
aspetto estremamente comune e, proprio per questo, accettate
come tali.
Nel racconto breve Tasrali (La provinciale, 1968), di Füruzan,
per esempio, un’anziana vedova vive ossessionata dal senso
dell’ordine, ordine che fa parte della sua identità di donna,
come un vademecum per la femminilità. In questa casa un giorno
entra la nipote povera, cresciuta in provincia, per continuare
i suoi studi all’università. La maggiore preoccupazione della
zia è quella di avviarla ai rituali domestici: «Che senso
ha studiare quando alla fine dovrai sposarti e ti ritroverai
a governare la tua casa?» [1]
Nella società turca c’erano e ci sono ancora enormi difficoltà
di definire le relazioni di genere, sia all’interno dei due
sessi, sia tra gli uomini e le donne. Le strutture antropologiche
continuano a resistere, mantenendo invariati i rapporti tra
esterno ed interno.
Zeynep Avci Karabey, scrittrice e giornalista turca, nel racconto
breve Sessizlik (Il silenzio, 1980), che fa parte del libro
Kötü bir yaratik, affronta la tematica dell’ordine domestico
come dovere della donna.
La protagonista è una scrittrice che sta scrivendo il suo
secondo libro utilizzando il tavolo da pranzo. Lei e il marito
hanno due bambini piccoli, ma la loro cura ricade solo sulla
donna che, concentrata sulla creazione del romanzo, da qualche
giorno non è sessualmente disponibile alle richieste del marito.
La famiglia si dissolve e la colpa ricade esclusivamente sulla
donna, perché, rifiutandosi di svolgere alla perfezione i
suoi compiti e pretendendo una risposta circa i reciproci
bisogni di spazio, deve accettare di vivere nel proprio disordine
e silenzio. La casa deve essere un luogo d’ordine e di pulizia;
l’intimità e la pienezza emotiva passano in secondo piano,
non sono così importanti.
In questo racconto si evidenzia una sofferenza particolare,
quella senza nome e senza perché, una sofferenza che quasi
non ha diritto di essere mostrata agli altri, al di fuori
della propria casa, dato che è qualcosa che interessa molte
persone, è tremendamente comune e, per questo, può sembrare
naturale.
Passiamo ora alla traduzione e all’analisi del racconto.
SESSIZLIK
(Zeynep Avci KARABEY)
Dolunay tüm görkemiyle umutsuz yeryüzüne kayisi rengi isigini
serpmekteydi. Sararmanin esigindeki basaklar, isil isil günesten
sonra bu ciliz aydinliga yüz vermediler. Oysa denizin küçük
kipirtili yüzeyi gümüsten bir selviyi yansitmaya hep açti,
hep açikti. Tipki salkim sögütün o selvi görüntüsünü hep bozmak
istemesi gibi.
«Pijamalarim nerde?».
«Her zamanki yerinde».
«Çocuklar almadiysa...».
«Almadilar».
«Terligimin teki yok ama».
«Lütfen!..».
«Lütfen birakayim da satir iki yaz, degil mi? Tamam, tamam...
Pijamamim üstünü, terligimin tekini giyer, killari kopmus
firçamla dislerimi firçalar, yatakta yer kalmissa yatip uyumaya
çalisirim. Yine saç firçanim üstüne yatmazsam tabii...».
«Tüm bunlar biraz abartma degil mi?».
«Degil!».
Basini egdi. Adam bir süre odada dolandi. Arandi. Kadin, yine
ortaya çikacak keyifsizlige kapi açmak istemedi. Basini hiç
kaldirmadan oda içindeki yakinma dolu devinimleri dinledi.
«Yine yok, görüyorsun, degil mi?».
«Ne yok?».
«Gazete. Koca günün sonunda bir gazete okumak istiyorum. Bilmem
abartma mi, yine?».
«Degil. Bir dakika dur, bulurum».
Buldu, getirdi.
«Sagol. Gidiyorum».
Gitmedi. Kisa bir kararsizliktan sonra sordu:
«Ne zaman yatacaksin?».
«Birazdan. Su ilk bölüme baslayabilsem, arkasi kolay gelecek.
Galiba iyi gidiyor. Kaptirirsam otururum». Durakladi. Aklina
geleni sormak isine gelmiyordu. Ama üstüne bir örtü çekmek
de istemiyordu. Sordu yine:
«Neden soruyorsun?».
Adam gözlerinin içine bakti.
«Senin suçun yok gerçi... Kimsenin suçu degil. Ama farkinda
misin? Neredeyse bir hafta oluyor...».
Kadin basini salladi.
«Farkindayim. Üstelik adina suç denebilrse, suç benim. Aklim
hep ayni seye takili. Seni öperken bile. Degil seninle sevismek,
uyumak bile gelmiyor içimden...».
Adam gazeteyi masaya birakip yaklasti.
«Bak... Bu isin akilla ilgisi yok.».
Sözleri seçmeye mi çalisiyordu?
«Bu bir rahatlama getirir insana.» diye ekledi. «Sana, nicedir,
yillardir anlatamadim. Yine de umudum var ki, bikmiyorum».
Kadin içinden geçenleri bir çirpida söyledi.
«Aklim böylesine takiliyken birseye, lütfen benim üzerime
gelme. Lütfen... Tüm ümidim bu kitapta... Lütfen... Iki öyküyü
daha tamamlarsam rahat edecegim. Bir türlü olmuyor».
Adam durdugu yerden on yillik karisina bakti.
«Önünde iki ay var!» diye homurdandi. «Iki ay boyunca hersey
böyle mi gidecek?».
«Ne demek istedigini biliyorum. Öykülerin biri tamamlandi.
Biraz düzeltme istiyor. Ötekinin tüm çatisini kurdum yazamiyorum.
Bir baslasam...» Adam gazeteyi aldi yine.
«Peki, peki... Tatsizlik ediyorum yine, degil mi? Gidip gazetemi
okumaliyim».
Kapidan çikarken koyu, derin bakislari kadinin bacaklarina
takildi. Sinirli mirildandi.
«Birinden biri uyanip çisim var diye basima eksimezse belki
okurum...».
Kadin ardindan bakti. Sevecen, gülümsedi.
TRADUZIONE
IL SILENZIO
(Zeynep Avci KARABEY)
La luna piena stava spargendo con tutta la sua magnificenza
la sua luce color albicocca sulla terra senza speranza. Le
spighe, sul punto di maturare, dopo il sole brillante, non
davano importanza a quella flebile luce. Ma la superficie
del mare con un piccolo ondeggiare era aperta a rispecchiare
un cipresso d’argento. Proprio come se il cipresso volesse
rovinare l’immagine del salice piangente...
«Dov’è il mio pigiama?».
«Dov’è sempre stato».
«Se non l’hanno preso i bambini...».
«Non l’hanno preso».
«Non trovo una pantofola».
«Per favore! ...».
«Per favore, ti lascio scrivere ancora due righe, no? Va bene,
va bene... Metto il sopra del pigiama, una pantofola, mi lavo
i denti con lo spazzolino con le setole strappate, cerco di
dormire, se resta posto nel letto. E naturalmente se non mi
corico sopra il pettine...».
«Tutto ciò non è un po’ un’esagerazione?».
«No».
Chinò la testa. L’uomo gironzolò nella camera per un po’.
Cercò. La donna non volle dare adito all’indisposizione che
si sarebbe manifestata. Ascoltò i movimenti pieni di lamenti
dentro la stanza senza sollevare mai la testa.
«Ancora non lo trovo, lo vedi, no?».
«Che cosa non c’è?».
«Il giornale. Vorrei leggere il giornale dopo un’intera giornata.
Non so se è un’esagerazione, o no?».
«No. Fermati un minuto, lo cerco io».
Lo trovò, glielo portò.
«Grazie. Vado».
Non se ne andò. Dopo una breve esitazione chiese:
«Quando hai intenzione di coricarti?».
«Fra poco. Se riesco a cominciare il primo capitolo, il resto
sarà facile. Probabilmente va bene. Se mi concentro ci riesco».
Si fermò. Non aveva voglia di chiedere cosa gli passava per
la testa. Ma non voleva neanche chiudere il discorso.
«Perché me lo stai chiedendo?».
L’uomo la guardò negli occhi.
«A dire il vero tu non hai colpa. Non è colpa di nessuno.
Ma tu te ne accorgi? È quasi una settimana...».
La donna scosse la testa.
«Me ne accorgo. Inoltre, se si può chiamare colpa, la colpa
è mia. La mia mente è occupata continuamente nella stessa
cosa. Anche quando ti bacio. Non solo non mi va di fare all’amore,
ma neanche di andare a dormire».
L’uomo, dopo aver poggiato il giornale sul tavolo, si avvicinò.
«Guarda... Questa cosa non ha nessuna relazione con la mente».
Ma neanche provava a scegliere le parole?
«Questa cosa porta sollievo all’uomo» aggiunse «da tempo,
da anni, non riesco a fartelo capire. Naturalmente ho ancora
speranza, non mi arrendo».
La donna, d’un tratto, disse tutto quello che le passava per
la mente.
«Mentre la mia mente è così bloccata in questa cosa, per favore
non insistere. Per favore... Tutta la mia speranza è in questo
libro... Per favore... Sarò più sollevata se riuscirò a finire
ancora due racconti. Invece non ce la faccio».
L’uomo guardò la donna che era sua moglie già da dieci anni
dal posto in cui stava.
«Mancano ancora due mesi», brontolò, «per due mesi tutto andrà
così?».
«So che cosa vuoi dire. Uno dei racconti è stato completato.
Ha bisogno di un po’ di correzione. Ho costruito tutta la
struttura dell’altro, non riesco a scrivere. Se riuscissi
a cominciare... »
L’uomo prese di nuovo il giornale.
«Va bene, va bene... Ho creato ancora malintesi tra noi, non
è vero? Devo andare a leggere il giornale».
Uscendo dalla porta gli sguardi di lui, scuri e profondi,
si fissarono alle gambe della donna. Mugugnò nervoso.
«Potrò leggere se uno o l’altro svegliandosi non viene a scocciarmi
dicendo che vuole fare pipì».
La donna guardò indietro. Sorrise amabilmente.
Per facilitare la lettura, è necessario chiarire che i brani
in corsivo nel racconto corrispondono al romanzo che la donna
sta scrivendo. Fin dall’inizio, si entra in un’atmosfera lunare.
La definizione “color albicocca” è molto usata nella letteratura
e nella poesia turca, spesso per riferirsi alle guance femminili.
Il salice piangente potrebbe essere la donna, mentre il cipresso
personifica l’immagine maschile, alto, diritto e con la certezza
di poter sfidare la natura e vincerla con la sua magnificenza.
La protagonista di questo racconto, dopo aver messo a letto
i bambini, sta cercando di concentrarsi nella scrittura del
suo romanzo, quando è interrotta dalla voce del marito che
non riesce a trovare il pigiama, una pantofola, il giornale.
Egli si aggira nella stanza mugugnando. Inizialmente la donna
fa finta di non vedere per evitare di iniziare una discussione
inutile, poi si alza, trova gli oggetti persi e glieli dà.
Non contento, lui le chiede quando ha intenzione di coricarsi
e, dopo la risposta vaga della donna, le ricorda che è passata
una settimana in cui non è stata disponibile sessualmente.
La donna cerca di fargli capire che, in quel momento, è troppo
concentrata su quello che sta facendo e non ne ha voglia;
inoltre non le va neanche di andare semplicemente a dormire.
Il marito è costretto a rinunciare e se ne va con il giornale
in mano.
Donuk ay isigi koca kumsali var gücüyle buzlu aydinligina
bogdu. Üç dört yengeç kipirtisindan baska hiçbir devinim yoktu
kumsalda. Hersey taslasmis, rengini yitirmis gibiydi. Sonra
kumlarin üstündeki küçük midye kabuklarini çitirdatan ayak
sesleri, o dingin, güzel sessizligi tekdüze araliklarla bozdu.
Yengeçler kaçistilar. Iri bir el, iki karis bile olmayan sulara,
yine iri, kaba bir tas atti.
«Anne!».
Firladi.
«Ne var?».
«Kardesim agliyor».
«Geliyorum.».
Sicak, mis gibi çocuk solugu kokan odaya sakinarak girdi.
Küçücük, üç yasindaki oglu yatagin ortasina oturmustu. Gözlerini
ogusturuyor, hiçkiriyordu.
«Ne oldu bebecigim? Neyin var?».
«Çis yaptim.».
«Nereye?».
«Yatagima».
«Zarari yok oglum, gel».
Kucakladi. Kucagindayken donunu siyirdi. Temizlenmis, yeni
donunu girmis oglu daha yataga girmeden uykusuna dönmüstü.
Içini çekti. Büyügün basini oksadi.
«Haydi, uyu sen de».
Kalemin kâgidin basina oturdugunda içindeki eksiklik duygusu
artmisti. Birseyler arandi çevrede. Su içse... Yok, biraz
müzik, belki...
Radyoyu açti. Kimseyi uyandirmayacagina emin olmak için yalnizca
ses dinledi önce. Sonra müzige kulaklarini açti. Içer gibi,
hiçbir sey yapmadan oturarak dinledi. Masanin basina geçtiginde
gecenin durgunlugu, müzigin akisi, biaz olsun içindeki boslugu
doldurmaya baslamisti.
TRADUZIONE
La luce della pallida luna soffocò l’intera spiaggia in una
luminosità gelida con tutta la sua forza... Non c’era altro
movimento sulla spiaggia tranne tre o quattro granchi. Tutto
era pietrificato, era come se avesse perso il suo colore.
Dopo, sulla superficie della sabbia il rumore dei passi fece
scricchiolare i piccoli gusci delle cozze, passi che sconfissero
con gli spazi quel caldo, bel silenzio. I granchi scapparono.
Una grossa mano lanciò una grossa ruvida pietra nelle acque
profonde neanche due palmi.
«Mamma!».
Sobbalzò.
«Cosa c’è?».
«Il mio fratellino piange».
«Sto venendo».
Entrò in punta di piedi nella camera calda che profumava di
muschio come l’alito dei bambini. Il piccino di tre anni stava
seduto al centro del letto, si strofinava gli occhi, singhiozzava.
«Cos’è successo, bambino mio? Che cos’hai?».
«Ho fatto la pipì».
«Dove?».
«Sul letto».
«Non fa niente, figlio mio, vieni».
Lo prese in braccio, gli tolse le mutandine tenendolo stretto
al petto. Lo pulì, gli aveva appena messo le mutandine pulite
che già dormiva prima di metterlo a letto. Sospirò. Accarezzò
la testa del grande.
«Dai, dormi anche tu».
Quando si sedette di nuovo vicino a carta e penna crebbe il
senso di vuoto dentro di sé. Cercò qualcosa intorno a sé.
Se avesse bevuto un po’ d’acqua... No, un po’ di musica, forse.
Accese la radio. Prima ascoltò la voce soltanto per essere
sicura di non svegliare qualcuno. Dopo si mise ad ascoltare
la musica. Come ubriaca, ascoltò immobile, senza fare niente.
Sedendosi al tavolo, la calma della notte, lo scorrere della
musica, per quanto poco, cominciarono a riempire il senso
di vuoto che aveva dentro.
Riprende a scrivere, ma questa volta sono i bambini ad avere
bisogno di lei. Lei va, li accudisce ancora, li rimette a
dormire e ritorna al suo lavoro. Il brano che la donna scrive
assume un carattere più duro. Mentre all’inizio la luna era
color albicocca, ora la sua luminosità diventa gelida e soffoca
l’intera spiaggia. Niente ha senso, tutto ha perso il suo
colore. La pietra lanciata nell’acqua bassa sembra ancora
un grosso elemento di disturbo dell’equilibrio, se pur fragile.
Kipirdanan sular mavi isitlinlari bir o yana, bir öteki yana
saçtilar. Adam bazen tas atmak için duruyor, ama genellikle
hizli adimlarla kumsalda yürümesini sürdürüyordu. Birseyler
vardi kumsalin sessizligi ile adamin iriligi arasinda. Bir
benzerlik, bir ayrilik...
«Ben sana birsey söyleyeyim mi...».
Offf... Sikilmamaliydi. Sikildigi zaman herseye yeniden baslamak
gerekiyordu.
«Söyle».
«Biliyorum. Bunlari konusmak için hep yanlis zaman seçiyoruz...».
«Neden “biz”?» diye düsündü.
«... ama konusmadikça birikiyor. Sonra daha da tatsizlasiyor».
«Evet?»
«Ben seni engellemek istemiyorum. Ama bu yüzden de açlik çekmek
istemiyorum. Ne demek istedigimi anliyorsun, degil mi?»
«Anliyorum»
«Ama önem vermiyorsun! Hiçbirsey degismiyor...».
Sesi yükselmisti.
Basini kaldirdi. Çogu zaman gülümseyen dudaklari kasilmis,
gözleri irilesmis, kocasina bakti.
«Aldirmiyor degilim. Ama artik iyice anlamani istiyorum. Sen
ne denli önemliysen, ya da çocuklarim... yazdiklarim da öyle.
Benim için çok önemli. Tümünüzün kafamda yeri var. Tek istedigim,
baskalarinin yerine kendini koyma. Sen baskasin, çocuklar
baska, öyküler, yazilar baska... Artik anlaman gerekirdi.
Ya da en azindan alismaliydin».
Soluk aldi. Sürdürecekti konusmayi ama birden hersey anlamsizlasti.
Yorgun, önüne bakti.
Kisa bir sessizlik. Koca bir bosluk.
Kocasinin agzini açmasina izin vermeden yine konustu.
«Hadi, yatalim. Yorgunum zaten. Yarin yazabilirim. Çocuklar
gittikten sonra...»
Yattilar.
TRADUZIONE
Le acque che si muovevano, diffondevano i raggi blu ora da
una parte ora dall’altra. L’uomo talvolta per lanciare il
sasso si fermava, ma in genere con i suoi passi veloci proseguiva
la sua passeggiata sulla spiaggia. C’erano alcune cose tra
il silenzio della spiaggia e la grossezza dell’uomo. Un’analogia,
una diversità...
«Vorrei dirti una cosa... ».
Uffa... meglio rimanere calma e non infastidirsi. Se si seccava,
era necessario ricominciare tutto daccapo.
«Dì».
«Lo so. Per discutere queste cose scegliamo sempre il momento
sbagliato».
«Perché ‘noi’», pensò.
«... ma aumenta quello che c’è da dire. Si accrescono sempre
più le incomprensioni».
«Si?».
«Io non voglio ostacolarti. Ma non voglio neanche patire la
fame. Capisci cosa voglio dire, no?».
«Capisco».
«Ma non dai importanza. Non cambia niente... ».
Alzò la voce.
Sollevò la testa, la maggior parte del tempo guardò suo marito,
gli occhi gonfi, le labbra che in genere erano sorridenti
si contrassero.
«Non è che io non dia importanza. Ma ormai voglio che tu capisca
bene. Tu sei importante quanto i bambini, così come quello
che scrivo. Per me è molto importante. Nella mia testa c’è
posto per tutto. L’unico mio desiderio è che tu non metta
te stesso al posto delle altre cose. Tu sei diverso, i bambini
sono diversi, i racconti, i libri sono diversi. Ormai tu dovresti
capire o almeno ti saresti dovuto abituare».
Prese fiato. Avrebbe continuato a parlare ma ad un tratto
ogni cosa era diventata senza senso.
Stanca, guardò davanti a sé.
Un breve silenzio, un grande vuoto.
Senza permettere che suo marito aprisse bocca parlò di nuovo.
«Dai, andiamo a letto. Del resto sono stanca. Posso scrivere
domani. Dopo che se ne vanno i bambini... ».
Andarono a letto.
L’uomo e la spiaggia hanno qualcosa di simile e nello stesso
tempo qualcosa di differente. L’uomo si muove, esprime la
sua aggressività lanciando i sassi. La spiaggia è silenziosa
come l’uomo e, forse, un po’ è complice anch’essa.
Mentre la donna sta scrivendo ciò, lui ritorna di nuovo nella
stanza e cerca di farle capire che non vuole ostacolarla,
ma non vuole neanche «patire la fame» [2].
Lei è infastidita da queste continue interruzioni, che la
costringono a ricominciare tutto ogni volta, ma cerca di assumere
un atteggiamento conciliante. La donna cerca di spiegargli
che le cose importanti per lei sono tante e che nella sua
testa c’è posto per tutte. Poi, però, rinuncia a dare ulteriori
spiegazioni e va a letto, ma ogni cosa ormai è diventata senza
senso, vuota.
Kitabini eline alip eve geldigi gün içi buruk bir sevinçle
doluydu. Ilk kitabini eline alip eve geldigi gün böyle olmamisti.
O zaman herkes birlikte seviniyordu Kocasi, arkadaslari. Ama
simdi evde bu sevinci yasamanin olanagi yoktu. Masanin üzerine
koydu kitabi. Basinda oturdu. Sigara içti.
Adam bir süreden beri geç geliyordu. O gece de gelmeyecekti
yemege. Çocuklarla birlikte güle oynaya yediler. Çocuklari
yatirdi. Masanin basinda, kitabinin yanibasinda bir sigara
daha içi.
Burnunda güzel bir parfümün kalintilari, gözünün önünde kocasinin
gece gelisleri... o doygun siritisi: o içkili keyfi... Var
gücüyle zorladi kalemini, aklina gelenleri, dizilen sözcükleri
kâgida geçirmek için.
Uzun bir sessizlikten sonra gelen alkis gibiydi kadin. Erkek,
yillar süren açligin, susuzlugun bitmesini kutluyordu. Ona
sarildi. Kadin ile arasinda hiç bosluk kalmasin diye siki
siki sarildi. Karisi, çocuklari o sikisiklikta ezildiler,
döküldüler, yok oldular. Erkek, yeni kadinla arasindaki yillari
da var gücüyle ezdi, yok etti.
Artik güçlüycü.
Zaten hep güçlü olmaya alismisti...
(1980)
TRADUZIONE
Era piena d’allegria, dal sapore acerbo, quel giorno in cui
era venuta a casa tenendo in mano il suo libro. Non era stato
così, quel giorno in cui era ritornata tenendo il suo primo
libro in mano. A quel tempo, erano felici tutti insieme. Suo
marito, i suoi amici. Ma ora, in casa non c’era questa possibilità
di vivere con allegria. Posò il libro sul tavolo e si sedette.
Fumò una sigaretta. L’uomo, da un po’ di tempo, tornava tardi.
Neanche quella notte sarebbe tornato a mangiare. Mangiò insieme
ai bambini e giocherellarono insieme. Li mise a letto. Vicino
al tavolo, vicino vicino al suo libro, fumò ancora una sigaretta.
Nel suo naso i residui di un bel profumo, gli arrivi notturni
di suo marito che sogghignava soddisfatto davanti alla sua
vista, quella euforia ebbra... Costrinse con forza la sua
penna, le cose che le venivano in mente, per trasferire sulla
carta le parole che riusciva a mettere insieme.
La donna sembrava un applauso che veniva dopo un lungo silenzio.
L’uomo festeggiava la fine della fame e della sete che duravano
da anni. L’abbracciò. L’avvolse stretta stretta perché non
ci fosse nessuno spazio tra lui e la donna. Sua moglie, i
suoi bambini furono schiacciati in quella stretta, buttati
via, annientati. L’uomo annullò con tutte le sue forze gli
anni che c’erano tra lui e la donna.
Ormai era forte.
Del resto si era abituato ad essere sempre più forte.
(1980)
In seguito il rapporto si sgretola, il confronto tra la gioia
provata alla pubblicazione del suo primo libro e la tristezza
provata dopo la pubblicazione del secondo, nato tra grandi
difficoltà, è evidente. Il marito ritorna sempre più tardi,
a volte passa la notte fuori; lei è sola ed è rimasta schiacciata,
insieme con i suoi bambini, nella situazione che si è venuta
a creare.
È interessante la similitudine usata dal personaggio-scrittrice
per definire l’altra donna che ora si incontra con l’uomo:
la donna sembrava un applauso che veniva dopo un lungo silenzio.
In questa definizione dell’altra non c’è rancore. È più giovane,
è bella, risponde alle aspettative dell’uomo. Cosa potrebbe
fare lei, ora, che un po’ si sente colpevole per non aver
interpretato fino in fondo il suo ruolo di moglie? Deve accettare
la situazione, non ha altra scelta.
Nel racconto in esame la protagonista è una donna, una scrittrice,
colta, rispettabile e con tanti amici. La sua vita è molto
diversa da quella di tante donne che non hanno avuto la possibilità
di studiare e quindi di conoscere la realtà con gli strumenti
giusti per interpretarla al meglio. Eppure notiamo che i personaggi
del racconto non hanno un nome; chiunque lo legga può nominare
la donna, l’uomo e i bambini; può intravedere situazioni reali
vissute in prima persona o conosciute attraverso confidenze
di amici. La vicenda è così banale che sembrerebbe inutile
discuterne. Che si parteggi per il marito o per la moglie,
la conclusione è soltanto una: il fallimento di un rapporto
a causa della mancanza assoluta di condivisione emotiva delle
necessità e dei desideri di entrambi. Essi rimangono in due
mondi chiusi, essendo incapaci di aprirsi all’altro e di ricevere
gioia dalla soddisfazione emotiva dell’altro. Il marito è
concentrato solo sulle sue necessità fisiche convinto che
l’atto sessuale sia qualcosa che non ha nulla a che vedere
con la mente. La moglie è sconvolta da queste parole e cerca
di spiegargli le sue ragioni ancora con parole, che per lui
non hanno senso. Non c’è amore in questo rapporto, non c’è
alcun tentativo di sciogliere, anche solo in un abbraccio,
le tensioni accumulate. Nessuno dei due ha colpa, il loro
comportamento è il risultato delle contraddizioni che esistono
nella società.
Le strutture patriarcali sono ancora molto forti, e non solo
in Turchia. Osserva Fritjof Capra: «Il potere del patriarcato
è stato estremamente difficile da capire, perché pervade tutto.
Esso ha influenzato le nostre idee più fondamentali sulla
natura “dell’uomo” e sulla sua relazione all’universo, in
linguaggio patriarcale, un linguaggio che usa forme linguistiche
maschili per riferirsi insieme all’uomo e alla donna» [3].
È nata una visione del mondo e delle cose che presenta come
naturali usi e tradizioni che non lo sono affatto, ma che
sono soltanto il frutto di sistemi filosofici, politici e
sociali che «con la forza, per mezzo di pressioni dirette,
o attraverso rituali, […] determinando quale parte le donne
devono o non devono svolgere, e in cui la femmina è assunta
ovunque sotto il maschio» [4].
Tale sistema si è perpetuato nel tempo in modo abbastanza
naturale, in modo tale che «le condizioni d’esistenza più
intollerabili possano apparire accettabili e persino naturali»
[5]. Accade così che i dominati
applicano a ciò che li domina schemi che sono il prodotto
del dominio: da questo deriva che chi subisce le strutture
di dominio, reagisce con atti di sottomissione. L’ordine sociale
agisce sugli uomini e sulle donne con effetti durevoli, cioè
uomini e donne reagiscono alle situazioni spontaneamente,
ma secondo schemi fissi. L’ordine, quasi sempre, non è garantito
da forme di violenza fisica o psicologica, ma da forme più
sottili di violenza simbolica. All’interno dei corpi maschili
e femminili c’è come un deposito di emozioni che si innescano
in modo insidioso nei rapporti tra dominanti e dominati; questi
ultimi, accettando i limiti che sono loro imposti, manifestano
la loro sottomissione con emozioni corporee «rossore, ansia,
senso di colpa […] o amore, ammirazione, rispetto» [6].
Anche i dominanti, però, rivestono un ruolo, sono anche loro
sottoposti ad un lavoro di socializzazione che li fa diventare
prigionieri, e in fondo anche vittime, della rappresentazione
dominante. Così come non è inscritta nella natura delle donne
la sottomissione, così non fa parte della natura degli uomini
l’essere in ogni caso dominanti.
Scrive Simone De Beauvoir: «Nessun destino biologico, psichico,
economico definisce la figura che riveste in seno alla società
la femmina umana: è l’insieme della civilizzazione che elabora
questo prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che
si qualifica come femminino» [7].
L’educazione gioca un ruolo essenziale nella formazione della
personalità dei bambini: famiglia, scuola e società hanno
la grande responsabilità della formazione di persone che riescano
ad avere una propria coscienza critica, che siano in grado
di mettere in discussione tutte le certezze, anche quelle
che sembrano inattaccabili. Padri e madri, in modo particolare,
devono prestare molta attenzione al proprio agire: devono
evitare di lasciare immutate le gerarchie di genere e le forme
più sottili di paternalismo sociale e culturale, specialmente
nelle piccole cose della vita quotidiana.
I cambiamenti visibili che hanno segnato l’emancipazione femminile
mascherano tante strutture invisibili che vengono alla luce
nella loro totalità solo quando si entra in modo specifico
nelle relazioni tra i due sessi e nella divisione del lavoro
in rapporto all’economia domestica.
I rapporti di dominio strutturale possono essere veramente
visti quando osserviamo che le donne salite a posizioni di
grande responsabilità «pagano in qualche modo il loro successo
professionale con un minor “successo” nell’ordine domestico»
[8] o che il successo sul
piano domestico comporta una rinuncia parziale (talvolta totale)
alla completa realizzazione professionale. In particolare,
accettando le “agevolazioni” per le donne, attraverso forme
d’orario elastico e di part-time, che sono concesse alle donne
perché le escludono dalla corsa al potere.
In effetti, il lavoro femminile è ancora considerato da molti
come un “qualcosa in più”, che può anche non esserci; ancor
oggi sentiamo parlare in modo romantico, anzi stucchevole,
di “angelo del focolare”.
Già Platone aveva definito le linee essenziali della differenza
di genere. Il mito della caverna è una rappresentazione simbolica
dell’appropriazione dello spazio: dentro-fuori, luce-buio.
La caverna è lo spazio femminile, il buio, l’ignoranza. Lo
spazio esterno è la luce, la sapienza. Il vuoto è il femminile,
il pieno è il maschile.
Questa concezione un po’ denigratoria nei confronti delle
donne può essere vista attraverso un’altra ottica. Il vuoto
può anche non avere una connotazione negativa. Nel vuoto c’è
posto per tante cose, esso è uno spazio aperto, punto di partenza
di un processo continuo. Il vasaio per fare un vaso deve concentrarsi
sul vuoto. L’utilità di una casa dipende da ciò che non c’è,
dal vuoto che c’è all’interno dei muri. Il vuoto delle finestre
permette alla luce di entrare [9].
Ciò ha bisogno di un lavoro costante da parte della donne,
ma anche da parte degli uomini, per ridefinire finalmente
le identità di genere e gli spazi occupati da entrambi i sessi.
A questo punto può essere accettabile una differenziazione
dei ruoli, che in tempi diversi può ribaltarsi ed interscambiarsi,
ma non può mai essere accettabile una gerarchia di genere,
come purtroppo ancor oggi ci è dato di notare.
Note
1] Füruzan, Tasrali, in Parasiz
yatili, Istanbul 1982 (prima edizione 1971), p. 29.
2] In molte società «ha
mangiato e bevuto» significa «ha fatto l’amore». Cfr. Pierre
Bourdieu, Il dominio maschile, Feltrinelli, Milano 1999, p.
21.
3] Fritjof Capra, Il punto
di svolta. Scienza, società e cultura emergente, Feltrinelli,
Milano 2003, p. 28.
4] Fritjof Capra, op. cit.,
p. 28.
5] Pierre Bourdieu, Il dominio
maschile,op. cit., p. 7.
6] Pierre Bourdieu, op. cit.,
p. 49.
7] Simone De Beauvoir, Le
Deuxième Sexe, Gallimard, Paris 1947.
8] Pierre Bourdieu, op. cit.,
p. 124.
9] J.J.L. Duyvendak (a cura
di), Tao Te ching. Il libro della via e della verità, Mondadori
1978, p. 43, aforisma XI.
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