Itinerari visuali
Marco Pasini - Giorgio Maggi (a cura di)
M@gm@ vol.7 n.2 Maggio-Agosto 2009
QUANTITÀ E QUALITÀ: DUE FACCE DI UNA STESSA MEDAGLIA
Giovanna Gianturco
giovanna.gianturco@uniroma1.it
Ricercatrice presso il Dipartimento
di Sociologia e Comunicazione dal 2001. Professore aggregato
presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione di Politiche
formative, Teorie del mutamento sociale, Sociologia della
famiglia e delle istituzioni, e presso la Facoltà di Psicologia1
dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” dove insegna
Fondamenti di Sociologia generale e dei processi culturali
e Sociologia dei processi culturali e comunicativi. Membro
del Collegio docenti del Dottorato in Teoria e ricerca sociale
e Docente di Metodologia qualitativa nei Master ‘Immigrati
e rifugiati’ e ‘Teoria e analisi qualitativa’. I suoi ambiti
di interesse riguardano l’approccio qualitativo, la sociologia
della religione, dello sport e della famiglia, i processi
migratori, le dinamiche del mutamento sociale. Diverse le
pubblicazioni uscite in ambito nazionale e internazionale,
tra i volumi si ricordano: Per una sociologia del viaggio,
Eucos, Roma 2003; Italiani in Tunisia: passato e presente
di un'emigrazione, Guerini associati, Roma, 2004; L'intervista
qualitativa, Guerini associati, Milano, 2005; Giovani oltre
confine, Carocci, Roma, 2005.
Premessa
L’intera sociologia storicamente si connota come scienza del
mutamento. Un mutamento che però poteva essere affrontato
dall’alto, come necessità di conoscenza per il controllo sociale,
o dal basso, in termini di comprensione del generarsi dei
fenomeni a partire dalle relazioni intersoggettive. Questo
è uno dei nodi che inizialmente si pone come spartiacque nella
diatriba tra qualità e quantità. Negli Stati Uniti è forse
con i social problems (problemi presenti diffusamente nella
società statunitense, sia nella vita quotidiana sia sul piano
più istituzionale) che diversi studiosi vengono spinti nella
direzione di una ricerca dal basso. Saranno infatti i case
studies, le indagini sulla povertà, sul vagabondaggio, sulla
criminalità, sulla prostituzione e sulla tossicodipendenza
ad affermare la necessità e la fertilità dell’uso di differenti
procedere sul piano empirico: l’approccio qualitativo.
In precedenza, il modello di ricerca empirica più utilizzato
in sociologia era quello generalmente definito quantitativo.
Un metodo che, sul modello delle scienze naturali, cercava
di misurare i fenomeni sociali e verificare, il più razionalmente
possibile, delle ipotesi, per arrivare a definire leggi scientifiche
e tipologie. Lo stesso Le suicide (1897) di Émile Durkheim
mostra l’uso del modello positivista descritto nel suo Les
règles de la méthode sociologique (1895) [1].
Va qui solo accennato il fatto che il connubio tra teoria
e ricerca si pone come tratto distintivo della stessa disciplina
sociologica ed è quello che la differenzia dalla madre e sorella
filosofia. Prima di Durkheim, infatti, solo Frédèric Le Play,
con il suo movimento “La Società di Economia Sociale” (1856),
aveva effettuato un’enorme raccolta di monografie di famiglie
(cfr. Études sociales, n. 131-132, 2000) che però ancora mostrava
un taglio decisamente descrittivo e naturalistico. Un approccio
alla realtà empirica che in quel periodo condizionò, tra gli
altri, anche gli studi di Charles Booth sulla povertà raccolti
nel suo Life and Labour of the People of London (1892-1897),
dove l’analisi statistica era affiancata però dagli studi
di caso (case studies). Le Play può quindi essere considerato
un precursore della ricerca sul campo - oltre che per quanto
scrive nella sua Méthode sociale (1879) - per il modo dettagliato
con cui riporta quanto osservato e per le considerazioni che
fa sul metodo [2]. Si è
però ancora lontani, nel tempo ma anche nello spazio, dalla
ricerca qualitativa.
La querelle quantità/qualità ha segnato buona parte della
storia del pensiero e, come si vedrà, ha visto confrontarsi
alcuni dei “giganti” del pensiero sociologico. Come nota Stella
Agnoli: “La distinzione radicale tra ricerca quantitativa
e qualitativa ha teso sempre ad una rivendicazione di graduatoria,
di relativa superiorità dell’una sull’altra” (Agnoli, 2004:72-73).
È però vero che oggi tale contrapposizione è stata superata
da un uso di strategie di ricerca congiunte (triangolazione
metodologica) e che la polemica è scemata a favore di una
ricerca maggiormente attenta all’utilità dell’uso di strategie
anche diverse tra loro. Vedremo qui sinteticamente quali siano
stati i passaggi caratterizzanti dello sviluppo dell’approccio
qualitativo e come oggi non si possa più parlare di un’opposizione
tra due schieramenti.
Fondamenti storico-epistemologici dell’approccio qualitativo
Con riguardo al livello epistemologico [3],
questo tipo di ricerca affonda le sue radici “sull’altra sponda
del Reno”; in una Germania dove, sulla spinta del Romanticismo,
la tradizione filosofica inizia a rifiutare il cosiddetto
“modello unico delle scienze della natura” (cfr. Pineau-Le
Grand, 2003:57). È nell’alveo del dibattito interno allo storicismo
tedesco - corrente filosofica in cui è centrale il rapporto
con la storia - che Wilhelm Dilthey afferma, infatti, come
le scienze della natura, che conoscono secondo la logica della
spiegazione, non vadano confuse con le scienze dello spirito,
fondate invece su un processo conoscitivo dipendente dalla
comprensione. Questa distinzione si fonda sull’esteriorità
o interiorità dell’oggetto da conoscere. Semplificando molto
la questione: studiare un minerale non è la stessa cosa che
studiare un proprio simile. Studiare gli individui implica,
in altri termini, il fatto di sapere che essi sono esseri
storicamente determinati, figli del loro tempo e del loro
contesto spaziale e culturale. In ciò si coglie la rilevanza
del contributo di Dilthey rispetto all’approccio qualitativo
(Finger, 1984; Delory-Momberger, 2000). Egli, infatti, privilegia
un approccio comprendente, capace di cogliere il significato
dell’esperienza vissuta. Insieme a questo grande intellettuale,
si rammenta che, in università prestigiose come Heidelberg
o Berlino, il dibattito su questi temi coinvolge altri grandi
intellettuali, referenti fondamentali della riflessione delle
scienze umane e sociali e dello sviluppo dell’approccio qualitativo.
Il riferimento, tra gli altri, è a G. Simmel [4]
(1858-1918) e M. Weber [5]
(1864-1920) o a psicologi fenomenologi, come K. Jaspers, o
ancora a filosofi come W. Windelband (1848-1915) o H. Rickert
(1867-1936) [6], i cui contributi
sono stati ovviamente fondamentali nell’evolversi del più
ampio pensiero sociologico.
È in tale contesto che si formano alcuni pionieri non solo
della cosiddetta Scuola di Chicago [7],
ma anche della sociologia americana in generale; un ambiente
accademico e intellettuale in cui emergono le prime grandi
ricerche qualitative portate avanti, tra gli altri, da: Albion
Small (1854-1926), R. E. Park (1864-1944) e W. I. Thomas [8]
(1863-1947). A titolo informativo, si ricorda altresì che
in questa università lavorarono anche John Dewey, che sviluppò
le teorie di pragmatismo nell’educazione; e G. H. Mead (1863-1931),
psicologo sociale che pose le basi dell’Interazionismo simbolico.
Una corrente teorica che sottolinea la rilevanza anche dell’interpretazione
personale della realtà [9]
e il cui sistematizzatore sarà poi in sociologia H. Blumer,
allievo di G. H. Mead, nonché figura rilevante dell’università
di Chicago dove lavorerà dal 1927 al 1952. Uno studioso che
contribuisce notevolmente al farsi della ricerca qualitativa,
anche dal punto di vista teorico, grazie ad alcune definizioni
come l’autoindicazione e i concetti sensibilizzanti [10].
Sul piano procedurale, sono note le sue raccomandazioni ai
ricercatori che dovrebbero utilizzare un approccio meno standardizzato
e soprattutto fare indagini su temi che li interessino da
vicino. Va precisato che lo stile di ricerca qualitativo trova
anche altri contesti di applicazione; uno per tutti l’esempio
della ricerca Middletown dei coniugi Robert ed Helen Lynd,
realizzata tra il 1924 e 1925 a Mencie, nell’Indiana.
Eclissi e ripresa dell’indagine qualitativa
Questa produzione di ricerche, eterogenea e per certi versi
controversa - dove comincia a trovar spazio anche l’uso di
tecniche “nuove”, a matrice giornalistica (si ricordi in questo
senso il contributo in termini di “ispirazione” dei cosiddetti
giornalisti di denuncia -i muckrakers) - viene però interrotta
bruscamente. Dagli anni Quaranta ai primi anni Sessanta, infatti,
si verifica in sociologia un’eclissi del qualitativo e si
osserva la crescente tendenza a:
quantificare i fatti sociali, a effettuare le inchieste mediante
questionari e sondaggi. L’approccio biografico sembra votato
a terminare la propria vita nella “spazzatura della storia”
dei metodi. La Scuola di Columbia e il funzionalismo di Talcott
Parsons prendono piede e appaiono attorniati da un’aura di
scientificità in un universo economico e culturale, in cui
i progressi tecnici utilizzano largamente la forma di pensiero
matematico (Pineau - Le Grand, cit.:62).
I finanziamenti vengono dunque spostati sulle cosiddette ricerche
quantitative, quelle effettuate soprattutto con l’uso di questionari
su grandi numeri e con risultati derivanti da elaborazioni
statistiche. Si sceglie quindi di lavorare sempre più con
strumenti come il questionario, in quanto molto più economico,
in termini di impiego di risorse e di tempo, e al fine di
ottenere risultati comparabili (principio della generalizzabilità
dei risultati o inferenza). Si parlerà di un’egemonia assoluta
di tale metodo per un lungo periodo, con il noto successo
tanto nei sondaggi elettorali, quanto negli studi di mercato.
L’uso della ricerca qualitativa si ritaglierà quindi spazi
circoscritti soprattutto in campo antropologico ed etnografico.
La sociologia qualitativa ricompare con una certa evidenza
sul piano internazionale, in particolare negli Stati Uniti
[11], tra la metà degli
anni Sessanta e gli anni Settanta. La ripresa di questo approccio
si gioca sia sul piano sociale che epistemologico. Da un lato,
si ha l’accelerazione dei mutamenti che attraversano le società
occidentali negli anni Sessanta, caratterizzati da una forte
crescita economica e da un rapido passaggio da una società
rurale a una urbana. Dall’altro, l’esigenza, connessa a tali
mutamenti, di raccogliere “le parole di un’epoca trascorsa
in un contesto di rapido cambiamento culturale, in cui la
trasmissione orale di generazione in generazione viene fatta
male o non avviene affatto” (ibid.:70). Questo anche in quanto
sempre più vi è la consapevolezza che la storia “ufficiale”,
quella scritta dagli storici, raramente concorda con la storia
ricordata dalle persone, una storia della memoria [12].
Essa può sopravvivere nel tempo grazie allo sforzo che uomini
e donne fanno per dare un senso alla vita di tutti i giorni
e per “trovare un ordine nel caos”, cercando anche “di fornire
soluzioni note a problemi ignoti” (cfr. Bauman, 1987: 3).
C’è, quindi, un’esigenza epistemologica e insieme politica:
abbandonare la storia delle élites e cominciare a conoscere
meglio quei movimenti, venuti a maturazione nel ’68, che gli
studi sociologici tradizionali non erano stati in grado di
prevedere.
Secondo Denzin e Lincoln (1994) è in questi anni che sociologi
con una sensibilità militante ritrovano interesse negli approcci
qualitativi che rompono con una certa “quantofrenia” [13].
È, quella degli anni Sessanta, un’epoca di grande creatività,
nella quale appaiono una serie di testi attraverso cui si
tenta anche di formalizzare il profilo tecnico e procedurale
del metodo qualitativo (Cicourel, 1964; Glaser - Strauss,
1967; Filstead, 1970; Bogdan - Taylor, 1975; Lofland - Lofland,
1971; 1984).
Una nuova generazione di ricercatori sociali si mette al lavoro
e sviluppa differenti teorie interpretative, orientate nella
prassi d’indagine da un approccio qualitativo. Verso la fine
degli anni Settanta già si possono leggere le prime riviste
scientifiche orientate allo scambio e alla presentazione di
riflessioni e sulla ricerca qualitativa: Urban Life, Qualitative
Sociology, Simbolic lnteraction e Studies in Simbolic lnteraction.
Nello stesso periodo anche in Francia gli studi di Daniel
Bertaux (già allievo di Ferrarotti negli U.S.A.) e le ricerche
di Maurice Catani offrono nuovo impulso all’uso di tecniche
qualitative nella ricerca sociale. Insieme, studiosi italiani,
francesi e tedeschi curano molto la produzione scientifica
con il ricorso a un approccio qualitativo; come pure promuovono
incontri e convegni sul piano internazionale. Si apre così
anche una nuova sezione della ISA (International Sociological
Association), dedicata all’approccio qualitativo: è l’RC Biography
and Society.
In tempi più recenti
A metà degli anni Ottanta si produce, però, un’enorme frattura,
che ha il suo centro nell’ambito disciplinare dell’antropologia,
ma che si rifletterà sull’intero universo della ricerca qualitativa.
Tale crisi inizia con l’apparizione di testi come Anthropology
as Cultural Critique (Fisher - Marcus, 1986), The Antropology
of Experience (Bruner - Turner,1986), Writing Culture (Clifford
- Marcus, 1986), Works and Lives (Geertz, 1988) e The Predicament
of Culture (Clifford, 1988). Attraverso questi lavori, ma
anche rispetto ai mutamenti intercorsi nello scenario internazionale,
la ricerca si fa più riflessiva e si introducono problematiche
relative a: genere, classe ed etnia. Concetti come quelli
di validità, affidabilità e obiettività cominciano a entrare
fortemente in crisi. Si potrebbe dire che i ricercatori sociali
si trovano di fronte a una doppia crisi: di rappresentazione
e di legittimazione. Inserita nel discorso relativo al post-strutturalismo
e a quello della cosiddetta post-modernità, questa doppia
crisi si categorizza in modi diversi, congiuntamente alle
rivoluzioni interpretativo-linguistica e retorica della teoria
sociale.
Negli ultimi anni del secolo appena terminato si assiste a
ciò che viene anche definito il quinto periodo della ricerca
qualitativa. Essa appare ora come un campo sempre più interdisciplinare,
transdisciplinare, post-disciplinare e, in molti casi, controdisciplinare.
È multiparadigmatica sul piano teorico e coloro che la adottano
sono sensibili al valore conoscitivo di un approccio plurimetodologico.
(cfr. Ferrarotti, 1986: 164; Denzin - Lincoln,1994: 576).
Lo stesso procedere della ricerca qualitativa è sempre più
orientato all’uso di varie tecniche (sia nella fase di raccolta
che di analisi dei materiali) e prevede, sul piano teorico-metodologico,
un disegno della ricerca che può essere definito emergente
(Erlandson et al., 1993). La ricerca, cioè, si definisce ed,
eventualmente, si modifica nelle sue parti con il procedere
della stessa indagine; del resto, già Park aveva messo in
luce come la miglior metodologia per lo sviluppo di una ricerca
empirica non poteva essere predefinita, ma dovesse sempre
essere scelta sulla base del tipo di indagine che bisognava
condurre (cfr. Matthews, 1977:19). Si abbandona dunque la
fissità di schemi precostituiti e ci si cimenta con una realtà
che, per quanto possa essere conosciuta in buona parte preventivamente
alla discesa sul campo, supera quasi sempre le modellizzazioni
e i quadri teorici di riferimento. Spesso, infatti, “Il sociologo
che arriva sul campo con i suoi strumenti di rilevazione e
con il suo sapere, è messo a dura prova nei suoi “oggetti”
più cari: metodi, tecniche, routine produttive” (Tedeschi,
2005: 75).
A chiusura di questo sintetico excursus sulle principali tappe
storiche della ricerca qualitativa è interessante, sulla scorta
di quanto elaborato da Denzin e Lincoln (1994), mettere in
evidenza quattro passaggi che sintetizzano l’intero percorso
e caratterizzano la più generale fase attuale:
1. ogni momento storico precedente opera
tuttavia nel presente, come eredità, ma anche come insieme
di pratiche che i ricercatori o seguono a tutt’oggi o combattono;
2. attualmente, la ricerca qualitativa si
caratterizza per avere a disposizione enormi opportunità di
scelte. Infatti, in nessun altro periodo storico il ricercatore
qualitativo ha avuto a disposizione tanti paradigmi, tecniche
e strumenti o strategie di analisi tra cui poter scegliere;
3. ci si trova in un momento di scoperta
e riscoperta che deve cimentarsi con nuove forme di vedere,
interpretare, argomentare e scrivere;
4. la ricerca qualitativa non può più essere
guardata (e giudicata) da una prospettiva positivista, neutrale
e oggettiva (cfr. ibid.:11).
Muta infatti con sempre maggiore velocità il mondo sociale
che costituisce l’oggetto di studio della sociologia. La classe,
il genere, le dinamiche migratorie oggi più di ieri presenti
nel mondo (soprattutto occidentale, ma non solo) ecc. configurano
e definiscono sempre più le necessità interne al processo
di ricerca, facendo dell’indagine stessa un processo inter
o multiculturale [14].
Due facce di una stessa medaglia
È dunque anche a partire da queste esigenze che si arriva
oggi al superamento di quella radicale opposizione accennata
nella premessa al nostro discorso. Attualmente è infatti chiaro
come vi sia “pari dignità e necessità di integrazione tra
le due strategie di indagine nello sviluppo della conoscenza
sociologica” (Agnoli, cit.:74), oltre al fatto che entrambi
le strategie possono anche:
convergere in relazione alle esigenze poste da uno stesso
problema, in una stessa situazione di studio. Chiunque abbia
alle spalle una lunga pratica di ricerca sociologica empirica
sa quanto spesso il ricercatore si arresti […] di fronte a
domande alle quali un disegno di ricerca elaborato rigorosamente
sul tipico profilo quantitativo o su quello qualitativo non
può dare una risposta pienamente soddisfacente, così da esigere
l’integrazione di approcci, tecniche e strumenti (ivi).
Tutto ciò mette in ulteriore luce la necessità di porre sempre
un problema d’indagine empirica “entro un sistema dato di
risorse” (ibid.:10).
Tale posizione è altresì alla base della particolare rilevanza
che la triangolazione metodologica ha assunto negli ultimi
tempi. Una triangolazione che si articola su differenti piani:
la data triangulation (differenti fonti di dati); la investigator
triangulation (collaborazione di ricercatori che possano introdurre
punti di vista diversi tra loro); la theory triangulation
(approcci teorici diversi capaci di orientare e selezionare
in più modi i materiali empirici, ma anche di interpretarli
su più livelli); la methodological triangulation (nel senso
della combinazione di diversi metodi e più tecniche - across-method)
la multiple triangulation (uso integrato dei precedenti tipi
di triangolazione) (cfr. Mingo in Cavallaro, 2006:450-456).
Tra qualità e quantità esiste un continuum e qui si propende
per il riconoscimento dell’esistenza di diversità e ricchezza
all’interno di ciascuno di essi. Ciò presuppone anche, in
parte, il rompere con l’immagine tradizionale in cui il ricercatore
faceva uso di tecniche qualitative con propositi unicamente
esplorativi o solamente descrittivi.
Qualità e quantità si pongono oramai in termini di facce di
una medesima medaglia: la ricerca e, con essa, una migliore
conoscenza della nostra complessa società attuale.
Note
1] Si ricorda che Durkheim
è il primo sociologo in senso proprio, vale a dire è il primo
che si pone il problema di non riflettere solo teoricamente
sulla società, ma di mettere insieme teoria e ricerca. La
teoria riesce a connettersi con l’empiria (realtà sociale)
grazie ai concetti operativi, gli unici dotati di senso nella
disciplina sociologica. Essi sono concetti che vengono estrapolati
dalla più ampia teoria (letteratura) sociologica e non (a
volte è utile infatti un approccio interdisciplinare); e che
vengono acclimatati dal ricercatore, ossia sono contestualizzati
e calati nella realtà storica e socioculturale della ricerca.
Vengono, in altre parole, modellati sulla realtà da conoscere
e poi scomposti (operazionalizzati) per giungere ad essere
elementi osservabili nella realtà empirica, cioè indicatori.
2] Si reputa utile chiarire
che lo stesso storico della sociologia Nisbet ritiene Les
ouvriers européens (6 voll., Mame, Tours 1877-1879)di Le Play
un’opera sociologica in senso pieno e, comunque, la prima
in cui si fa uso dell’osservazione partecipante, (tecnica
che qui si analizzerà più avanti) e di dati primari (creati
dallo stesso ricercatore nel corso dell’indagine); sforzandosi
prima dello stesso Durkheim di combinare osservazione empirica
e generalizzazione delle osservazioni all’interno, quindi,
di criteri propri di un approccio scientifico (cfr. Taylor
- Bogdan, 1986; Crespi - Jedlowski - Rauty, 2000). La sua
rilevanza teorico-metodologica è altresì documentata dall’impronta
che l’istituto londinese intitolato a suo nome dette alla
London School of Economics fondata da Sidney e Beatrice Webb
nel 1895.
3] L’epistemologia (in greco
significa conoscenza perfetta, superiore) è il settore della
gnoseologia (studio dei problemi della conoscenza generale)
che si occupa della conoscenza scientifica.
4] G. Simmel è il padre della
corrente “formalista” (studio delle forme di sociazione; cioè,
le varie forme che possono assumere le relazioni tra individui,
fondate sulla reciprocità,) e, nel periodo in cui visse, le
sue opere hanno costituito un riferimento per molti altri
grandi sociologi (da É. Durkheim a M. Weber). Nel corso del
Novecento la sua presenza è meno manifesta nella letteratura
sociologica, ma va comunque segnalata l’influenza che egli
ha avuto per il pensiero della Scuola di Chicago, soprattutto
attraverso la mediazione di Albion Small e Robert Park. Simmel
centra infatti la sua attenzione sull’interazione umana, aprendo
così la strada, tra l’altro, a una sociologia attenta alla
quotidianità e, al contempo, consapevole della rilevanza della
teoria nella lettura dei fenomeni sociali (cfr. P. Jedlowski,
Teorie delle forme dell’azione sociale, in Crespi - Jedlowski
- Rauty, cit.: 151-159).
5] La vastissima opera di
M. Weber costituisce un pilastro del pensiero sociologico.
Essa nutre infatti tutta la successiva produzione - teorica
e metodologica - di questa disciplina. Ha influenzato tanto
le correnti teoriche macrosociologiche (funzionalismo e conflittualismo),
quanto quelle microsociologiche (interazionismo simbolico,
fenomenologia, etnometodologia). I campi d’interesse in cui
Weber si muove sono moltissimi: il potere, la religione, i
processi di modernizzazione, ecc. . La sociologia è per lui
la disciplina che studia, attraverso un processo di tipo interpretativo,
l’agire sociale (un agire dotato di senso) degli individui
e si propone di spiegarlo causalmente nel suo sviluppo e nei
suoi effetti (per un sintetico ed esauriente quadro dell’opera
di M. Weber si veda P. Jedlowski, ibid.: 166-188).
6] Per un approfondimento
relativo al dibattito sul metodo si vedano, tra gli altri:
M. Mori - P. Rossi - M. Trinchero, Il problema della spiegazione
sociologica, Loescher, Torino 1975; Ancona M. (a cura di),
Sociologia. Materiali sui fondamenti e le questioni di metodo,
Liguori, Napoli, 1983.
7] Si ricorda che Chicago,
tra l’altro, presentava un contesto sociale con estese fasce
di immigrazione con un notevole grado di disorganizzazione
sociale (social disorganization) che derivava anche dall’eterogeneità
dei suoi abitanti (melting pot).
8] W. Thomas con F. Znaniecki
(1968) sono gli autori di Il contadino polacco in Europa e
in America, notissima ricerca qualitativa svolta con un ampio
uso di materiali biografici.
9] G. H. Mead è certamente
un riferimento dell’approccio qualitativo in quanto uno il
“problema fondamentale [alla base della sua riflessione era]
quello di individuare i presupposti necessari per l’esistenza
della società intesa come comunicazione, linguaggio, resi
possibili da comuni simboli significativi” (Izzo, 1991:258,
testo tra parentesi quadre nostro). Tale prospettiva, infatti,
sostiene l’utilità dell’approccio qualitativo e dell’uso di
interviste ad esso collegate, attraverso le quali è possibile
far emergere quanto il sociale sia presente nell’individuale.
L’opera più nota di G. H. Mead è Mente, sé e società, Ed.
Universitaria, Firenze, 1966 (ed. orig. 1934).
10] L’autoindicazione è
un processo attraverso cui il soggetto che compie un’azione
si auto-orienta prima di compierla sulla base delle sue esperienze
pregresse. I concetti sensibilizzanti non danno la possibilità
a chi ne fa uso di passare direttamente all’esempio concreto
e al suo contenuto rilevante, ma offrono invece un’idea generale
e un riferimento di massima per affrontare i reali casi empirici;
sono utili a suggerire delle direzioni lungo le quali cercare.
11] Si pensi soprattutto
all’opera di O. Lewis I figli di Sanchez, Mondadori, Milano,
1966 (ed. orig. 1961). In essa l’autore ci restituisce dall’interno
la vita di una famiglia (padre e quattro figli) con l’intento
di cogliere il divario tra la posizione del padre, operaio
proletario, e i tentativi della nuova generazione per emergere
da tale condizione. È la prima ricerca sviluppata con l’ausilio
del registratore, ma è anche l’apertura verso studi sulla
società moderna che, specie in antropologia, non costituiva
ancora un oggetto di studio valido rispetto alle cosiddette
società tradizionali.
12] “Detto in modo piuttosto
schematico, la memoria è la continuità del passato in un presente
che dura. È precisamente in questa continuità che le immagini
del passato sono costantemente ripensate, rimodellate e selezionate
in base all’esigenza non della perfezione filologica, ma dell’adeguamento
ai bisogni della quotidianità odierna” (Ferrarotti, 1987:14).
13] La tendenza, cioè, ad
accordare eccessiva validità ai soli dati espressi in numeri,
dominante soprattutto negli U.S.A.
14] Ci si riferisce, quindi,
alla necessità sempre più urgente di una reale collaborazione
tra discipline e tra differenti impostazioni metodologiche.
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