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M@gm@ vol.7 n.1 Janvier-Avril 2009
IL DIARIO PERSONALE COME TESTIMONIANZA DI SÉ E DEL PROPRIO TEMPO
Alessandra Micalizzi
alessandra.micalizzi@iulm.it
Dottoranda in Comunicazione e Nuove tecnologie (XX ciclo) presso la Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM. Collabora a attualmente con l’Istituto di Comunicazione della suddetta Università.
“Il
racconto reca il segno del narratore come la tazza quello
del suo vasaio.” (W. Benjamin)
Diari personali e auto-narrazioni
Tenere un diario costituisce una pratica intima molto diffusa
proprio perché “lo scrivere di sé risponde al bisogno di sopravvivenza,
al di là della memoria” (Cucchi, 1996). Rispetto al vivere
inteso come un flusso ininterrotto di eventi inafferrabili
nella loro singolarità, infatti, affidare se stessi alla scrittura,
significa sottrarla alla sua fugacità, al suo scomparire in
virtù del carattere indelebile della parola scritta (ivi).
L’autore non si limita, però, a riportare fatti e accadimenti:
il diarista cattura e descrive circostanze particolari, idiosincratiche
di un tempo e di una cultura, rilette dal suo sguardo personale.
Questo intimo bisogno di dare forma all’informe, di selezionare
un momento ritagliandolo dal vivere quotidiano, accompagna
da sempre l’esistenza dell’uomo [1]
e la ricchezza del materiale prodotto in secoli di storia
è stato utilizzato da varie discipline attirando, anche l’interesse
degli studiosi del sociale [2].
La sociologia, rispetto ad altre scienze umane, ha tardato
molto a utilizzarlo sia come strumento di raccolta dati sia
come vero e proprio oggetto di studio. Le ragioni di tanta
diffidenza verso il materiale autobiografico sono da attribuire
all’annosa disputa tra l’uso di metodologie quantitative e
qualitative che ha a lungo animato gli ambiti accademici.
L’esigenza di elevare la sociologia a rango di scienza ha
per lungo tempo indotto gli studiosi a sostenere un approccio
scientista volto ad assicurare misurabilità, standardizzazione
e quindi attendibilità del dato. Secondo Cipriani (1995),
invece, è proprio nei diari, come nel resto del materiale
autobiografico, che è possibile rintracciare, sparsi all’interno
del testo, contenuti salienti e profondi di elevata significatività
e dal valore superiore rispetto al dato ottenibile da questionari
e domande preconfezionate [3].
Il diario costituisce l’opera aperta per eccellenza perché
manca ogni forma di progettualità, un disegno certo rintracciabile
a lettura compiuta (Del Re, 1996) e ciò è sottolineato dall’espressione
stessa con cui si indica la pratica dello scrivere, “tenere
un diario”, che sottolinea il suo dispiegarsi nel tempo (Scalari,
1996). Certamente, esiste un forte legame con la dimensione
temporale in virtù della cadenza quasi quotidiana della scrittura
da parte dell’autore. Ma l’aspetto più significativo legato
al tempo è proprio la sua concretizzazione attraverso l’atto
di riportare nero su bianco un pensiero o un episodio: si
condensano circostanze spazio-temporali delegandole ad una
memoria esterna e concreta costituita dal diario. E la condensazione
del presente nelle parole e nella data posta in alto sul foglio
esimono l’azione dall’oblio tanto che Zampolini (1996) definisce
questo tempo un “presente conservato”. Nel diario esiste anche
una dimensione spaziale. Paesaggi, quartieri, città, ambienti
domestici, luoghi degni di nota descritti più o meno minuziosamente
dalle parole dell’autore danno le coordinate per i propri
vissuti intimistici, facendo da cornice alle tracce di sé,
disseminate nel testo, di sentimenti e di esperienze emotive.
Potremmo ritrovare proprio nel bisogno di un tempo e di uno
spazio personale una delle principali ragioni che sottendono
alla volontà di scrivere un diario. Interessante, in tal senso,
la riflessione di Del Re (1996) che, come studiosa ma soprattutto
come autrice del suo diario personale afferma: “il mio diario
è la mia piccola personale rivoluzione contro il tempo e contro
lo spazio sociali che mi contengono e mi sostengono, sì, ma
anche mi costringono, mi limitano e mi definiscono come essere
sociale, come soggetto potenziale di mille azioni e di mille
reazioni”.
La certezza della segretezza di quelle pagine permette a chi
scrive di aprirsi, di raccontarsi e, in questo modo, di ritrovare
quei frammenti di sé disseminati nel quotidiano, di scoprirli
per conoscerli e accettarli. Il diario, come filo rosso da
tenere stretto nel labirinto del proprio io (Scalari, 1996),
funge da bussola in questo viaggio intimistico e interiore
attraverso la scrittura, svolgendo funzioni “terapeutiche”
di sfogo e di sollievo: fa sì che il vissuto, concretizzandosi
nel testo, si distanzi e diventi riconoscibile (Scalari, 1996).
E’, infatti, nell’azione del raccontarsi a se stessi che si
verifica ciò che Demetrio (1996) ha definito “bilocazione
cognitiva” ovvero la capacità di processare e rendicontare
l’esperienza attraverso la separazione dello sguardo, dell’io
che narra dall’attore che compie l’azione.
Accanto alla dimensione puramente ontologica, per dirla con
Somers (1992), e identitaria si affianca una dimensione pubblica
o per meglio dire socio-relazionale. I diari raccontano la
storia dell’individuo intessuta di legami affettivi e familiari,
del contesto culturale di riferimento, delle norme sociali
condivise, dei vincoli e delle opportunità del suo tempo.
L’organizzazione dei ricordi in forma narrativa, infatti,
costituisce un’occasione per realizzare il riconoscimento
di sé ma anche per sentirsi parte di una storia comune: nel
racconto il narratore raccoglie indizi di altre biografie
per lui significative e costruisce la trama della sua storia
in conformità con “la traccia” dettata dalla cultura di appartenenza.
“Ogni narrazione è dunque un’attività collaborativa e negoziale
in cui il protagonista deve tener conto della presenza e dell’agire
degli altri” (Sarbin, 1994 in Poggio, 2004).
Il bisogno di intimità si ricollega a sua volta alla solitudine:
il diario, infatti, costituisce o sostituisce amici, affetti
e amori, “presenze assenti” o da proteggere “assumendo su
di sé scoperte, messe a nudo che, se venissero esplicitate,
provocherebbero ferite” (ivi). Ecco che possiamo riconoscere
al diario una funzione vicaria rispetto al bisogno di relazione
e intimità con l’altro (ivi). Ma il diario è anche custode
e in quanto tale rappresenta un importante archivio per la
memoria, una testimonianza personale che racchiude in sé frammenti
della società e della cultura del proprio tempo. Infine, una
dimensione particolare legata alla scrittura diaristica è
la spontaneità: “si tratta di una spontaneità complessa e
molteplice, ambigua e disordinata, che dà luogo a correzioni,
abbattimenti, ricercatezze anche formali” (Cordati, 1996).
Il diario, dunque, può essere considerato come un’opera di
confine tra segretezza e bisogno di relazione, tra testimonianza
e verità personali, tra narcisismo e masochismo, infine tra
il monologo rivolto a se stessi e il dialogo con l’altro,
sostituito dal diario (ivi).
La ricerca empirica
La ricerca che di seguito proponiamo offre un’analisi qualitativa
del contenuto di 30 diari di donne, giovani e mature, vissute
tra gli anni 50 e i giorni nostri al fine di ricostruire tre
macro funzioni della narrazione [4]
(Atkinson, 2002) ovvero quella intima (o psicologica), quella
sociale e quella definita cosmologico-temporale. Abbiamo cercato
di approfondire ciascuna funzione individuando degli aspetti
più specifici ad esse riconducibili e rintracciabili nei testi
a nostra disposizione.
La funzione intima del diario è riferibile ai contenuti relativi
alla presentazione del proprio sé, al modo di percepire il
rapporto con la scrittura e al ruolo, implicito o esplicito,
che l’altro non definito assume come referente della propria
storia.
La funzione sociale è afferente alle tracce testuali lasciate
dalle diariste in riferimento alle relazioni interpersonali
con particolare riguardo per i rapporti parentali, amicali
e amorosi. Infine, la funzione cosmologico-temporale è relativa
al modo di “sintonizzarsi” rispetto all’universo che ci circonda.
Ci è sembrato opportuno, in questo caso, declinarlo ulteriormente
in due micro-dimensioni. La prima è relativa al tempo libero
inteso come il suo impiego in attività che possano scandire
o meno la quotidianità, dando maggiore rilievo ai consumi
mediali; la seconda concerne il tempo visto come periodo storico
particolare in cui le vite delle diariste sono inserite e
possono in tal senso dare testimonianza.
Al fine di riuscire a rilevare non solo le differenze fra
generazioni ma anche all’interno dello stesso periodo storico
per fasce d’età, abbiamo preso in considerazione 16 diari
di giovani donne (dai13 ai 19 anni) e 14 redatti in età più
matura (dai 26 in poi). Questo ci ha permesso, come si vedrà
nel corso della presentazione dei risultati, di potere sottolineare,
laddove presenti, le differenze dettate non solo dal periodo
della propria vita ma anche dal proprio contesto storico-sociale.
Entriamo nel merito della trattazione presentando singolarmente
i risultati relativi a ciascuna funzione e supportando l’analisi
con stralci di testo tratti dai diari.
L’intimità del diario
Le prime frasi di ogni diario sintetizzano il bisogno che
sottende la scrittura intima richiamato da un evento scatenante
o da uno stato d’animo preciso e dal materiale analizzato
si possono evincere differenti ordini di motivazioni. In alcuni
casi emerge un forte bisogno di condivisione della propria
esistenza; il diario avrebbe quindi una funzione vicaria,
di sostituzione delle relazioni reali assenti, necessarie
per cedere parte del “peso emotivo” che certi vissuti generano:
“oggi, 17 maggio, apro questo mio piccolo diario che diventerà
d’ora in poi, il mio confidente. Racconterò tutti i miei sentimenti,
stati d’animo e giorno dopo giorno annoterò tutto ciò che
viene a colpire la mia mente”.
Talvolta, invece, la decisione di iniziare a tenere un diario
dipende dal bisogno di confinare, per custodire, certe sensazioni
diventate scomode compagne del quotidiano, fungendo da memoria
“esterna”, diga di emozioni necessaria alla sopravvivenza:
“Vorrei buttar fuori quella morsa che mi sta distruggendo
ma a volte il mio vocabolario è insufficiente e le parole
sminuirebbero quello che provo”.
Il ritagliare un proprio spazio interiore può rispondere anche
al bisogno di riflettere sul mondo e su se stessi, a mettere
nero su bianco quel processo autoriflessivo per prenderne
maggiormente coscienza oggettivandolo nella scrittura. In
altri casi iniziare un diario risponde al bisogno latente
di scrivere che prende forma a partire da un episodio scatenante,
da circostanze specifiche che portano ad un cambiamento “caro
diario, oggi è l’ultimo giorno di scuola . L’ho trascorso
in modo più vivace e sereno di prima. Non ero contenta dentro
di me…”.
In qualsiasi diario personale, uno degli aspetti che emerge
con maggiore forza è quello della segretezza, manifestata
spesso dai resoconti per tenere il diario lontano dalla portata
di possibili occhi indiscreti: “mio caro diario, è notte ed
io sono in bagno a scrivere perché non voglio che nessuno
sappia che ti scrivo”. Sotto il letto, sopra armadi irraggiungibili,
fra gli scaffali: al diario spettano sempre collocazioni bizzarre
a tutela dei contenuti e, talvolta, anche della pratica stessa
della scrittura.
Un elemento discriminate del proprio rapporto con il quaderno
dei segreti è rappresentato dall’uso o meno di espressioni
dialogiche. Possiamo definire “dialogico” il diario in cui
l’autrice si rivolge a un “qualcuno” reale o immaginato, che
spesso coincide con il diario stesso. La personificazione
dell’oggetto si traduce nella sua piena investitura ad amico
del cuore, confidente speciale delle proprie emozioni e dei
propri vissuti. Definiamo “monologico” il diario più introspettivo
in cui la dimensione prevalente è quella del racconto a se
stessi, della conversazione intima con le proprie emozioni,
che non ammette neppure in forma discorsiva la presenza dell’altro.
In rari casi si scorge nella parole delle diariste un riferimento
al possibile lettore usato in due accezioni: come giudice,
strumento di paragone per evidenziare quei tratti sopiti nella
riflessione su se stessi, o come testimone, destinatario ultimo
di confidenze ritenute per l’appunto verità.
Possiamo quindi distinguere la figura dell’altro come destinatario
delle propria intimità in quattro differenti ipotetici interlocutori:
- il proprio sé;
- il diario stesso;
- persone significative del proprio passato;
- lettori ipotetici collocati in un tempo e in uno spazio
diverso da quello dell’autrice.
Altro elemento distintivo dei diari è il tipo di contenuti
custoditi in esso. Immaginando gli estremi di un continuum
individuiamo da un lato il diario descrittivo e dall’altro
il diario introspettivo.
Nel primo caso la scrittura funge da rendiconto giornaliero
più rivolto a fatti ed episodi della propria giornata, più
orientato all’esperienza che alla dimensione intima. Dall’altro
lato troviamo la scrittura di chi fa un vero e proprio percorso
per conoscere se stesso alla ricerca delle sue zone d’ombra.
La dimensione spaziale è quasi assente o comunque relegata
a contesti ristretti come può essere la stanza di un albergo,
il proprio letto o la scrivania. Mancano le descrizioni dei
luoghi e anche le sensazioni percettive ad essi legate; dominano
invece ossessive puntualizzazioni sulle emozioni di un dato
momento, sui sentimenti più profondi legati anche a fatti
del passato, dell’infanzia e della giovinezza. Un simile percorso
è evidentemente più semplice nell’età matura quando il vivere
il presente significa “correggere” o adeguare esperienze del
passato.
Non emergono grandi differenze intergenerazionali a prova
del fatto che il diario sembra rispondere a bisogni reconditi
e presenti in ogni tempo; al contrario, in genere è possibile
scorgere motivazioni differenti nelle diariste di diversa
età, che pur vivono negli stessi anni. Le più giovani tendono
a tenere diari descrittivi e dialogici, mentre le motivazioni
sottese sono spesso legate a episodi precisi che vengono riportati
come incipit del loro diario, utilizzandolo solitamente per
colmare il loro bisogno di relazione e condivisione di esperienze
della loro età.
Le donne più adulte non eleggono interlocutori privilegiati
nella loro conversazione con se stesse: utilizzano il diario
come luogo di rifugio da una realtà spesso poco gradita e
insoddisfacente. Come se si trattasse di un quaderno dei bilanci,
fanno i conti con loro stesse, con i loro amori, con gli altri
significativi da cui non si sentono comprese. A differenza
delle giovani autrici, le donne più mature tendono a fare
molti riferimenti al loro passato, all’infanzia, ad episodi
a cui addebitano scelte compiute, privando il racconto sia
di una contestualizzazione spaziale che temporale: manca quell’ancoramento
al quotidiano, all’oggi, tipico delle rendicontazioni minuziose
delle adolescenti. L’introspezione, dunque, non è rivolta
al presente né al prossimo futuro ma assomiglia di più a un
rimuginare il passato.
Funzione sociale
Le diariste fanno i conti quotidianamente con la loro realtà
sociale e culturale legata ai vissuti delle relazioni che
colorano l’esistenza e spesso entrano a far parte dei loro
racconti personali. Nei diari si rintracciano facilmente tre
principali aspetti della sfera sociale che si manifestano
nelle relazioni parentali, amicali e amorose.
Si riscontrano, com’è ovvio, evidenti differenze intergenerazionali
che abbracciano essenzialmente tre periodi: il primo include
gli anni 50 e gli anni 60, il secondo gli anni 70, periodo
di grossi cambiamenti in ambito sociale, e il terzo abbraccia
gli anni 80 e 90 fino ai giorni nostri.
Nel primo troviamo una relazione familiare orientata al riconoscimento
dei modelli di riferimento e la volontà ad accettarli come
corretti e adeguati; la violazione delle “regole sociali”
apprese in famiglia genera paura, timore di non essere accettate
e di rischiare il rifiuto da un contesto “sicuro” “il pensiero
che i miei familiari non mi stimano mi uccide…le mie zie mi
hanno insegnato a stare zitta e a subire, a non ribellarmi,
neanche quando era giusto…”. Al centro di descrizioni familiari
vi è spesso la figura del padre raccontata come una “personaggio”
della famiglia con un ruolo ben preciso: quasi assente dalla
quotidianità domestica, esercita il suo potere sociale di
capo famiglia attraverso il timore più che il rispetto. Anche
il ruolo materno è spesso freddo e poco intimo, orientato
più a fungere da esempio dell’incarnazione dei costumi del
suo tempo. E’ chiaro che il dialogo è una dimensione spesso
assente nelle relazioni familiari:“con lei (la madre) non
mi sono mai confidata in nessuna cosa: chissà che cosa pensa
di me e forse mi chiederà che cosa penso io di lei? Non lo
so; sono, e credo saranno, domande senza risposta…”.
La famiglia anni 50 è un contesto rigido dove anche il ruolo
dei fratelli è stabilito a priori e deve essere rispettato
e riconosciuto dagli altri membri: così spesso il diario diventa
custode di litigi per colpa di chi per “diritto di nascita”
precede l’altro.
I diari degli anni 70 raccontano un altro registro di storia
familiare: i modelli rigidi sopravvivono a stento agli scontri
e alle battaglie portate avanti dalla nuova generazione. E
spesso l’oggetto del contendere è quella libertà di azione
e di decisione difficile da concedere per chi è cresciuto
in altri tempi: “sono molto arrabbiata con mio padre perché
non mi lascia nessuna libertà; mio padre è un uomo sbagliato,
posto dal destino in un’epoca sbagliata: sarebbe dovuto nascere
nell’800”.
La relazione con il mondo dei grandi per le generazioni dagli
anni 80 in poi, invece, ruota intorno a un concetto chiave:
il bisogno di un rapporto. L’idea che ci sia maggiore possibilità
di dialogo con gli adulti di casa comporta anche la conquista
di un certo ruolo decisionale da parte dell’adolescente che
acquisisce una voce nel processo decisionale soprattutto per
le scelte che lo riguardano. I diari lasciano traccia anche
delle situazioni familiari, un tempo forse più atipiche, come
il caso del divorzio dei genitori o della loro separazione
in casa: “arrivata la lettera del giudice per il divorzio
fra mio padre, “il dittatore”, e mia madre, “dispiacere 10
e lode”. Ci sono scritte delle bugie, mio padre si è messo
a piangere, anch’io; mi ha detto sii forte non far vedere
a tua madre che piangi!.... non è colpa mia!”.
Nei diari delle donne adulte emergono spesso ricordi legati
all’infanzia e alle figure che l’hanno caratterizzata come
cicatrici o punti di forza acquisiti un tempo e adesso oggetto
di discussione: “ricordo fin troppo bene il tuo autoritarismo,
l’esigenza di essere padre padrone per farsi rispettare, perché
solo così un padre compie il suo dovere”. I genitori ritornano
spesso anche come termine di paragone rispetto all’esperienza
di madre vissuta dalle diariste magari in prima persona, soprattutto
nel tentativo di non ripetere errori subiti nel ruolo di figli.
Ma la sfera sociale non si esaurisce nel contesto familiare.
I diari sono ricchi di avvenimenti che riguardano la vita
fuori dalle mura domestiche e che implicano quindi il relazionarsi
al gruppo dei pari e le esperienze amorose. Sebbene il diario
assolva spesso questa funzione suppletiva rispetto a figure
di confidenti, non mancano i riferimenti costanti agli amici
con cui si dividono esperienze più o meno felici e che diventano
compagni di viaggio di quel processo di crescita che porterà
le giovani adolescenti alla maturità. La descrizione di circostanze
condivise con amici costituisce, in qualsiasi epoca, il tema
centrale di molti diari adolescenziali soprattutto quando
riguardano episodi che segnano la svolta nell’inserimento
in un nuovo gruppo o nel riconoscimento del proprio ruolo:
“il bilancio del mese è positivo, anche se sono stata malata,
perché ho saputo imporre la mia personalità alla classe e
sono uno dei membri del cosiddetto gruppo”. Gli elementi distintivi
intergenerazionali sono soprattutto legati al margine di libertà
lasciato dai genitori nella gestione delle proprie amicizie
e ai luoghi/circostanze deputati all’incontro e alla socializzazione.
Nel primo caso, i diari tengono traccia dei numerosi vincoli
soprattutto di carattere sociale che condizionano le scelte
delle ragazze vissute negli anni 50 e 60 a fronte di una maggiore
ribellione, negli anni 70, e di una conquista vera e propria,
negli anni successivi, di un margine maggiore di libertà.
Riguardo invece alla gestione degli spazi, se fino agli anni
70 i principali luoghi di ritrovo e di contatto tra adolescenti
sono rappresentati da cortili domestici e bar vicino alle
dimore, gli adolescenti degli anni 80 e 90 sembrano preferire
luoghi prestabiliti come la scuola, gli ambienti adibiti allo
sport o contatti mediati come ad esempio quelli telefonici.
Nei diari delle donne più adulte è invece difficile trovare
delle figure amicali forti se non come termini di paragone
per descrivere se stesse. Spesso le proprie conoscenze, anche
se intime, si traducono in rapporti “costruiti” sulla base
delle aspettative dell’altro, ma che nascondono insoddisfazioni,
invidie e incomprensioni, traducendosi in rapporti ambivalenti
tra il bisogno di relazione e la difficoltà di comprendere
e accettare l’altro.
Altro aspetto molto presente nei racconti delle diariste è
la relazione amorosa. L’adolescenza è anche l’età dei primi
amori e il diario è da sempre riconosciuto come il confessore
per eccellenza di queste passioni spesso passeggere. Attraverso
gli stralci di vita custoditi nel diario si possono evincere
anche i modelli sociali, soprattutto quelli di un tempo, e
i vincoli che portavano al successo o all’insuccesso di una
storia d’amore. Emozioni, forti, paure, reazioni bizzarre
e imbarazzanti. Il diario diventa il catalizzatore di tutte
le energie stimolate da un incontro passeggero e fugace. Una
sostanziale differenza intergenerazionale è riscontrabile
nel meta-obiettivo della relazione. Se le adolescenti degli
anni 80 danno maggiore peso all’esperienza in sé senza troppe
ipotesi di lungo periodo, nelle giovani adolescenti degli
anni 50 e 60 vi è anche una forte progettualità verso l’ipotetica
meta del matrimonio. Non è difficile trovare riferimenti a
questo progetto (non desiderio) quasi dato per scontato presente
come meta-obiettivo della propria vita: “Io adesso, nell’attesa
di trovare un marito, sempre che lo trovo, mi torturo perché
mi sto rendendo conto che la mia vita e quella dei Ciompi
(gruppo di amici) sono legate assieme da un filo sottilissimo
che se si spezza io sono finita!”…
Non mancano i condizionamenti sociali, soprattutto negli anni
50 quando la scelta del proprio compagno deve necessariamente
passare al vaglio della famiglia di origine, al giudizio inesorabile
del padre che ne valuta la “fattibilità” in termini di corrispondenze
di classe e di estrazione sociale. Il diario diventa il confidente
dell’inconfessabile: relazioni clandestine vissute con la
complicità di conoscenti, baci rubati, sotterfugi di ogni
genere per scampare all’occhio vigile dei “sorveglianti”.
Spesso le storie si colorano di “personaggi” esterni alla
coppia ma altrettanto fondamentali alla riuscita dell’incontro
clandestino: “Il servitore Carlo è il nostro postino segreto:
quando ha una lettera di Lidio, si mette una mano sul petto,
così da quel segnale capisco…”. Se le relazioni amorose “ufficiali”
degli anni 50 e 60 sono pubblicamente riconosciute, quelle
clandestine non riescono ad esimersi da occhi indiscreti tanto
da giungere ad altrettanta pubblicità. Di certo, in ogni caso,
si può parlare di relazioni amorose condivise dove alla diade
si accostano altri soggetti che intervengono sulla relazione
favorevolmente o negativamente.
Di tutt’altra natura sono i racconti delle donne più mature
che appaiono fortemente introspettivi e, in misura differente,
lasciano dei margini alla vita di coppia desiderata e alle
amarezze di rapporti vissuti spesso con troppi compromessi,
lontani dai propri desideri e aspirazioni. In questo senso,
il diario si rivela spesso un importante compagno, un partner
ideale per vivere le fantasie irrealizzate e per confessare
la profonda paura di solitudine. Infine, il tema della passione
costituisce un elemento di distinzione generazionale proprio
perché legato a determinate costruzioni sociali strettamente
dipendenti dal tempo in cui si è vissuti. Negli anni 50, ad
esempio, prevalgono i forti condizionamenti educativi e spesso
religiosi che inibiscono anche le confidenze sul diario: “A
volte ho sentito venirmi meno le forze, in seguito ai tuoi
ripetuti inviti all’amore vero: ho invocato l’aiuto del signore
e della Vergine santa che mi facesse superare una prova così
dura”.
Il tempo come coordinata cosmologica
La terza e ultima dimensione oggetto di analisi è quella cosmologica.
Atkinson (2002) ci suggerisce che i racconti personali possono
“aiutarci a capire l’universo di cui facciamo parte, a integrarci
in esso, e possono fornirci una visione più nitida del nostro
ruolo nel mondo”. Nel corso dell’analisi, quindi, abbiamo
tenuto conto anche delle riflessioni contenute nei diari che
facessero riferimento a due ambiti distinti: da un lato alle
modalità di gestione del tempo libero, con particolare riguardo
al consumo mediale e, dall’altro, ai resoconti degli avvenimenti
storici che si sono succeduti e di cui le diariste sono state
talvolta testimoni attive. In modo particolare facendo riferimento
a un arco temporale caratterizzato dalle grandi rivoluzioni
mediali, che va appunto dagli anni 50 ai giorni nostri, abbiamo
cercato di capire in che modo i media interferiscano con la
gestione del tempo libero e che significato o ruolo assumano
nella vita delle autrici.
Una prima evidente differenza si scorge nella natura pubblica
o privata del proprio tempo libero (vedi graf.1). Fino agli
anni 70 i diari sembrano testimoniare un uso condiviso del
proprio tempo, un impiego delle ore libere rivolto ad attività
che solitamente coinvolgevano altri significativi, familiari,
amici o semplici vicini di casa e di quartiere. All’interno
di questa dimensione pubblica del loisir si può individuare
un tempo ordinario e uno straordinario. Quest’ultimo include
tutti quegli eventi che coinvolgono la comunità, che fungono
da momento di condivisione e integrazione con essa: “15 agosto.
Giorno di sagra. Stasera ho potuto uscire, c’erano anche i
fuochi di artificio e tanta gente e in mezzo a quella confusione
dopo avere incontrato Lidio presi per mano ci siamo incamminati
per il viale che porta al municipio”.
Ai momenti straordinari si alternano gli appuntamenti settimanali
anch’essi ritenuti impegni inderogabili non solo per il valore
personale attribuitogli ma anche per il risvolto sociale ad
essi legato. Alcuni impegni sono meno attesi di altri come
la messa della domenica, che comunque funge da momento di
incontro e di socializzazione con la propria comunità.
Altro appuntamento settimanale ben più atteso è il cinema,
nella maggior parte dei casi sempre domenicale, che funge
da premio e da rituale vero e proprio da condividere sia con
la famiglia che con gli amici. I diari testimoniano quindi
questa partecipazione corale alle prime visioni di film divenuti
oggi cult della tradizione cinematografica italiana, come
“Roma città Aperta” o “Don Camillo, mon signore ma non troppo”.
Possiamo dire che fino agli anni 70 il tempo libero è ben
cadenzato da impegni “pubblici” ordinari e straordinari, attesi
e obbligati, che coinvolgono tanto la persona quanto il suo
intorno sociale. Ad eccezione della lettura, tutti gli altri
momenti, inclusa la fruizione mediale, è condivisa con gli
altri assumendo soprattutto funzioni socializzanti e di partecipazione
alla vita della comunità. E forse la stessa ricerca di intimità
per la scrittura del diario è prova di questa pressante presenza
della condivisione con l’altro.
Ben diversa la situazione presentata nei diari delle donne
più vicine ai nostri tempi in cui i racconti sono prova di
un uso sempre più intimo e privato del proprio tempo: occasione
di chiusura dei numerosi contatti esterni spesso obbligati,
come il lavoro o la scuola per le diariste più giovani.
Grafico 1. Il tempo libero
Oltre agli amici e agli impegni sportivi, il tempo libero
è trascorso in solitudine e anche la fruizione mediale è sempre
di più un’esperienza ordinaria e solitaria. È evidente che
la maggiore diffusione della televisione negli ambienti domestici
influenzi molto sia la quantità che le modalità di fruizione
della TV e anche il cinema perde in parte il fascino dell’appuntamento
ritualizzato, per divenire una semplice occasione per qualcosa
di diverso. La musica non è più solamente la colonna sonora
delle feste da ricordare ma diventa invece una buona abitudine
della giornata: “eccomi qui per scrivere due righe, in compagnia
della mia radio, sul mio diario”.
Nei diari si trovano riferimenti anche ad avvenimenti storici
importanti dello scorso secolo, che fanno del quaderno dei
segreti una traccia del nostro passato. È possibile scorgere
diversi gradi di interessamento e partecipazione a tali accadimenti
che va dal semplice riferimento come spettatore passivo alla
partecipazione piena e attiva all’evento. In modo particolare,
dai diari analizzati emergono sostanzialmente due grandi temi:
gli avvenimenti storici e la partecipazione politica, che,
va specificato, è presente solo nei diari antecedenti agli
anni 80.
Questi due grandi temi, ritrovati nella maggior parte dei
diari, sono poi declinati secondo focus di attenzione e di
rilevanza differenti che possono essere così categorizzati:
- la testimonianza: la diarista offre un personale rendiconto
dell’evento;
- il riferimento flebile: l’autrice è mera spettatrice dell’accaduto
e lo vive con distacco;
- il trasporto attivo: l’accadimento viene vissuto in prima
persona e con forte coinvolgimento emotivo.
Cercheremo di entrare maggiormente nel dettaglio proponendo
anche alcuni stralci di testo significativi.
Alcune diariste hanno vissuto molto da vicino accadimenti,
divenuti oggi fatti storici, sia per la loro prossimità temporale
che per quella spaziale. Sono proprio questi i casi che abbiamo
definito di testimonianza dell’evento perché le diariste descrivono
l’accaduto inserendolo nella propria quotidianità: “sai perché
pensavamo che ci fossero i ciompi (nome della compagnia)?
Perché c’è stato lutto nazionale per una bomba fatta scoppiare
in piazza Fontana e che ha ucciso 15 persone e ferite 90”.
Il racconto dell’avvenimento si “intreccia” con la sua vita
da adolescente un po’ ribelle. Più profonde e sentite, invece,
sono le parole di un’altra diarista:: “sono a casa coccolata
dai parenti e desidero fare una cronaca degli avvenimenti
di cui sono stata testimone: il ricordare forse mi aiuterà
a rassegnarmi. Ero a Firenze il 4 novembre. Le immagini dell’alluvione
sono ancora vivissime nella mia memoria e mi fanno male”.
I due episodi sono accomunati proprio da questa prossimità
spaziale con l’accaduto che inevitabilmente lascia un segno
marcato, che trova la sua prima elaborazione a partire dalle
parole riportate nero su bianco.
Di natura molto diversa sono invece le brevi citazioni, molto
decontestualizzate rispetto ai racconti e alla quotidianità,
di quei fatti di cronaca di cui sono mere spettatrici. La
scelta del termine non è casuale proprio perché il fatto viene
acquisito in quanto episodio di cronaca riportato da TG e
radio giornali. Non sembra esserci una piena coscienza di
quanto accade in un posto spesso lontano, ma probabilmente,
per la rilevanza percepita, merita di essere citato: “l’anno
scorso si minacciava una guerra per ragioni che non conosco,
ma poi non si fece per fortuna, le nazioni coinvolte erano:
America, Italia, Libia”.
Ultimo caso, molto più raro, è quello di racconti di fatti
ed eventi vissuti in prima persona come parte integrante del
“tassello di storia”. Tra i diari a nostra disposizione ve
ne sono due degni di nota proprio perché il tema centrale
sembra ruotare attorno a un’esistenza segnata fortemente dalla
partecipazione attiva al corso degli eventi. Aumenta il phatos
dei racconti e le stesse relazioni interpersonali, familiari,
i fatti quotidiani vengono riletti e interpretati in funzione
del proprio essere parte della storia. Rossella si trova a
fare per lavoro il giro del mondo e, fra le tante mete, vi
è pure il Vietnam. I racconti sono pieni di dolore e di quel
senso insopportabile di impotenza e riluttanza verso ciò che
non è compreso e non è voluto. Appena arrivata scrive sul
suo diario: “sono a Saigon(...). All’inizio è stato molto
brutto avevo tanta paura si vedevano solo soldati armati fino
ai denti, intorno all’aeroporto c’erano le barricate con i
militari di vedetta, tanti aerei da combattimento e tanti
militari spossati dal caldo insistente”. Anche Valeria dedica
le parole del suo diario al Vietnam, alle sofferenze e ai
dolori della guerra ma per sottolineare, confermare il suo
pensiero politico che è diventata da tempo la sua ragione
di vita: “questa sera gruppi di giovani attaccano manifesti
di protesta. Domani l’onorevole Menicacci terrà un comizio
in piazza Repubblica…anche Vanessa va a diffondere la voce
operaia”.
In entrambi i casi il racconto è minuzioso, dettagliato e
carico di emozioni discordanti che assumono toni accesi e
vivi come la paura di essere scoperti o il fervore per una
rivoluzione tanto auspicata. La due giovani donne sono entrambe
testimoni e attrici allo stesso tempo di quello squarcio di
storia raccontato attraverso le parole del diario.
Conclusioni
Abbiamo cercato di sintetizzare in queste pagine un breve
viaggio attraverso la diaristica femminile per sottolineare
il valore sociologico di questi manoscritti sia come strumento
che e soprattutto come oggetto di studio vero e proprio. Attraverso
lo sguardo personale del suo autore, il diario si presta,
più di altri tipi di documentazione o di metodologie a restituire
intatte immagini di un tempo e di uno spazio già vissuto e
per questo molto spesso dimenticato o deteriorato. Una scrittura,
in questo caso solo femminile, probabilmente perché la donna
ha sviluppato, per attribuzione culturale, la competenza del
journey of self-discovery (Del Re, 1996), ovvero la capacità
di guardarsi dentro.
La soggettività dello sguardo è superata dal confronto di
materiali differenti appartenenti a periodi diversi della
nostra storia e l’analisi qualitativa restituisce traccia
della ricchezza contenutistica di questo tipo di testo.
Ciascuno di noi attraverso la sua storia non può fare a meno
di collocarla in un tempo e in uno spazio ben preciso arricchendo
le trame del suo racconto di scorci sociali, storici e culturali
che entrano inevitabilmente a fare parte della narrazione
stessa.
Tramite le parole delle diariste abbiamo ricostruito questo
intimo rapporto con la scrittura di sé e le abbiamo riconosciuto
funzioni che vanno dal semplice bisogno di condividere la
propria storia al bisogno più profondo di ritrovare se stessi.
Fra le parole di ogni racconto, inclusi quelli riportati su
un diario personale, si scorge il perenne dialogo dell’uomo
con la morte (Abruzzese, 1991), il profondo desiderio di redenzione
ed eternità e lo smanioso bisogno di condividere la propria
esperienza. Dai loro racconti siamo riusciti a trovare le
tracce dei cambiamenti sociali che si sono succeduti dagli
anni 50 ai giorni nostri; forse apparentemente scontati, ma
che trovano la loro concretezza in testimonianze vere di quel
tempo. La prova più affascinante del prezioso valore di quelle
parole custodite in un diario è l’emozione profonda nello
scorgere, sparse all’interno di una vita personale, i segni
di grandi avvenimenti del passato che per noi oggi sono storia
e che per loro, allora, erano quotidianità.
Note
1] Rispetto all’origine della
pratica, però, riconducibile al V secolo A.C. con la nascita
dei bios1, il diario personale è stato confinato per un lungo
periodo all’uso privato e trattato come un documento estremamente
personale, privo di qualsiasi valenza storica, letteraria
e sociale. Bisogna aspettare molto tempo e precisamente il
XIX secolo perché confessioni, memorie e autobiografie costituiscano
un genere letterario vero e proprio (Pineau, Le Grand, 2002)
e, solo molto più tardi, la storiografia rivaluterà cautamente
la veridicità dei contenuti di questi documenti personali,
elevandoli a fonte di informazione e testimonianza di determinati
periodi storici.
2] Il primo lavoro che si
possa annoverare fra quelli di stampo sociologico, che abbia
avuto il merito di fare un uso rigoroso del materiale autobiografico,
è “Il contadino polacco” di Thomas e Znaniecki che ricostruisce
gli aspetti sociali della vita di quegli anni attraverso corrispondenze
e testimonianze di chi li ha vissuti (Bertaux, 1998).Uno studio
che risale ai primi anni 20 e che ha costituito per lungo
tempo un’eccezione rispetto alla consuetudine di delegare
i metodi qualitativi, con particolare riferimento a diari
e storie di vita, a un ruolo ancillare nell’ambito della metodologia
di ricerca.
3] La crescita di interesse
verso gli approcci qualitativi è stata segnata dalla cosiddetta
“svolta narrativa” (Smorti, 1994), una prospettiva sociologica
affermatasi recentemente, che riconosce alle narrazioni un
ruolo centrale nella storia dell’uomo e della società. Gli
universi simbolici di riferimento e i sistemi culturali sono
intessuti di storie, racconti e narrazioni; attraverso il
pensiero narrativo (Bruner, 1990), l’uomo dà significato agli
eventi e alla realtà; infine, è attraverso le narrazioni che
cerchiamo di abbracciare il senso più generale della nostra
esistenza e “di tenere insieme i pezzi del nostro sé, altrimenti
soggetto a disperdersi nel suo svolgersi nel tempo e nei mille
rivoli e nelle maschere sociali dietro cui ci ripariamo” (Di
Fraia, 2004).
4] Per un approfondimento
sulle 4 funzioni individuate da Atckinson psicologica, sociale,
mistico-religiosa e cosmologico-filosofica cfr Atkinson (2002).
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