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    Fabio La Rocca (a cura di)

    M@gm@ vol.6 n.2 Maggio-Agosto 2008

    ANTROPOLOGIA VISUALE DEI SENZA CASA DI PLACE DE LA RÉUNION (Parigi 20a zona)


    (Traduzione Marco Pasini)

    Sylvaine Conord

    s.conord@ivry.cnrs.fr
    Professore in sociologia all'Università di Parigi 10, Nanterre e membro del Laboratorio di antropologia urbana del CNRS (UPR 034).



    Photo (Introduction)
    © Sylvaine Conord
    Place de la Réunion, Paris 20ème, 1990


    Il quartiere di Place de la Réunion, Parigi, XX [1]: non conosco ancora nulla dei suoi abitanti, cammino per le vie. Un periodo di deambulazione allo scopo di assorbire l'atmosfera di un luogo che mi è straniero, la macchina fotografica mi permette di registrare le prime impressioni visive, i primi incontri, lo spazio così come è percepito la prima volta. "In generale gli occhi passano per la fonte principale di informazioni che possiede l'uomo" scrive Edward T. Hall (Hall, 1971,p. 88). Passeggiare con un apparecchio fotografico professionale a spalla attira l'attenzione, incuriosisce i passanti. Ciò permette di testare le reazioni, stabilire i primi contatti, percepire le difficoltà di inserimento nel contesto studiato. Una donna con indosso un gonnellino tradizionale mi lancia uno sguardo: "No, niente foto!". Altre persone mi hanno chiesto se fossi giornalista, turista, assistente sociale, ma, mi chiedevo se ai loro occhi non apparissi piuttosto un’investigatrice della polizia. Questo quartiere negli anni 90 veniva considerato una zona prevalentemente popolare. Oggi resta l’esempio emblematico di una Parigi popolare in mutamento. Questa ricerca è sempre attuale grazie al soggetto: i senza casa. La questione dei senza casa nella regione parigina non è risolta: migliaia di nuclei familiari attendono l'assegnazione di un alloggio abitabile. Numerose famiglie vivono in palazzi occupati, nonostante abbiano presentato presso i servizi pubblici la loro domanda da molti anni. Quindi, oltre ad un osservazione partecipante, questo lavoro pone l’accento "su una sociologia militante" che prende corpo attraverso le testimonianze e la partecipazione attiva dell'osservatrice alle diverse situazioni che vive e vede.

    Il quartiere vive un cambiamento profondo: un piano edilizio di rinnovamento ha comportato la demolizione di alcuni edifici e l'espulsione degli abitanti che non risultavano abitarvi legalmente. Sulla Place de la Réunion, si potevano trovare un bar ed un ristorante gestiti da un’associazione che accoglievano i poveri; al 67 di via dei Vignoles, si trovava un intero edificio occupato da un ‘comitato di difesa dei senza casa’ e da numerosi caffè. Le prime fotografie del luogo mostravano costruzioni, vicoli ciechi: uno spazio privo di ogni presenza umana. Questo primo approccio permette di capire che nel quadro di un'antropologia visuale fotografica, la fotografia non può essere utilizzata come unico strumento di indagine. Ciò che mi interessava in questa ricerca era il rapporto dell'uomo con il proprio luogo, non lo studio di un territorio o di uno spazio isolato. Occorreva dunque introdurre un altro mezzo per diventare un’attrice a pieno titolo. Questo progetto conferma il metodo dei cineasta-etnologi come Jean Rouch il quale distingue tre momenti nel suo percorso scientifico: "cercare, comprendere e reagire" (Rouch, 1979), tre momenti che corrispondono ai comportamenti del "vedere", dell’"osservare" e "dell’essere visto". Precisa l’autore: "Questo lento cammino introduce a delle scoperte per l'antropologo cineasta: al cuore di un rituale o di una tecnica di cui diventa l'osservatore partecipante, rischiando il passo falso, certamente, ma vedendo apparire nell’obiettivo della sua cinepresa questo spettacolo fantastico e fragile di cui è allo stesso tempo il solo spettatore, il regista e un attore alla stregua di quelli che ha filmato." (Rouch, ivi, p. 9). Il fotografo non ha in mano lo stesso strumento, la sua relazione con il corpo e lo spazio differisce, tuttavia conosce l’esperienza della lenta assimilazione al contesto osservato e le difficoltà di essere accettato, lui e il suo materiale di ripresa. Nonostante questo, la fotografia a volte offre anche la possibilità di un migliore inserimento qualora diventi oggetto di scambio. Davanti ad un caffè, un uomo, soprannominato Box, mi chiese di fotografarlo domandandomi quanto sarebbe costato. Inizialmente, la richiesta servì da pretesto per comunicare, poi divenne l'oggetto di uno scambio economico. Per mantenere questo tipo di relazione definita dall'argomento stesso, decisi di non offrire la foto ed accettare un rimborso delle spese di stampa Il regalo, infatti, può essere interpretato in diversi modi. Nel suo lavoro sulle società potlach (baratto) Marcel Mauss mostra che: "donare, è manifestare la propria superiorità, valere di più, essere più su (magister - maestro); accettare senza rendere o senza rendere di più, significa subordinarsi, diventare cliente e servo, piccolo, cadere in basso (minister - minimo)" (Mauss, 1968, pp. 269-270). Nel mio caso, mi sembrava giusto proporre una tariffa bassa che non rischiasse di inficiare il legame stabilito. L’ esperienza sul campo ha dimostrato l'importanza della posizione dei diversi attori rispetto agli scambi di immagini (Conord, 2000). La fotografia diventa moneta di scambio in quelle relazioni che richiedono di essere definite all'inizio dell'indagine.

    Così, il mio primo contatto con un abitante del quartiere, è avvenuto grazie alla mia macchina fotografica, servita da pretesto per il dialogo. Box, mi chiese di fotografarlo, poi mi propose di visitare la zona. Io intrapresi ciò che più tardi chiamerò una "traiettoria visuale" del quartiere, accompagnata da Box e dal suo amico Hervé, che consideravo le mie guide. Le fotografie scattate via via esprimeranno l'ordine progressivo delle varie tappe di questo percorso, gli elementi scelti dagli stessi abitanti del quartiere in virtù del valore che gli hanno attribuito. I commenti delle due guide verranno annotati negli appunti e si considererà quest'esperienza significativa una maniera di vivere i luoghi: il muro di una vecchia fabbrica di cioccolato coperta da impronte di mani realizzate in occasione dell'ultima festa della musica, passaggi e vicoli, tracce di abusivi, un bar, il Rifugio, dove i due uomini avevano le loro abitudini, dei giocatori di carte in un altro bar, un ristorante gestito da un’associazione, situato in Place de la Réunion, chiamato Lo spazza briciole, terreno di avventure per i bambini del quartiere (foto n.1 e 2), una Due Cavalli abbandonata, vecchi oggetti da rivendere al mercatino.



    Photo n.1
    © Sylvaine Conord
    Jeux sur le terrain d’aventures, Paris 20ème




    Photo n.2
    © Sylvaine Conord
    Le terrain d’aventures, Paris 20ème


    Così attraverso le immagini scattate grazie alle due guide, ho potuto scoprire la vita intensa e variegata di questa zona parigina osservando gli spazi da giochi, i luoghi di incontro, i bar, i ristoranti, gli oggetti abbandonati, i bambini, i perdigiorno. Le prime impressioni si formarono attraverso il gradimento degli incontri sul campo, attraverso la ricerca incessante di visi, di posti, di attività e di discorsi ascoltati, rivelatori delle diverse relazioni esistenti nello stesso luogo di abitazione. Questi rapporti sono relativi alla situazione sociale e familiare, al modo di vita, alle origini sociali, al passato, alla posizione politica. Henri Coing precisa che "la differenza culturale non è qui posta nell'astratto, tra due classi e due ambienti, ma si oggettiva in ambiti distinti separati da frontiere" (Coing, 1966, pp. 80-81). Questa nozione di territorializzazione è osservabile nel quartiere di Place de la Réunion, scolpito nello spazio dai diversi locali che raccolgono gruppi sotto diverse forme (caffè, associazioni, comitati, sindacato). I diversi caffè (Bar delle isole, Bar dell'amicizia, da Angelo, Il rifugio) svolgevano un ruolo importante nella costituzione informale di piccole unità o reti di relazione. I miei diversi interlocutori mi davano spesso appuntamento in questi locali. Gli sguardi inquisitori, la sfiducia, confermavano che ero percepita come un’intrusa in un ambiente in cui tutti si conoscevano. Tuttavia, i primi contatti furono sufficienti per farmi accettare maggiormente.

    Gli abitanti si riunivano anche in strutture più formali, per esempio attorno ad un'attività culturale (flamenco, associazione di motociclisti, associazione di ricerca sui bambini e il loro ambiente) o ad un’azione collettiva (associazione di quartiere, la Confederazione Nazionale del lavoro CNT, il comitato dei senza casa). Vista la tematica che informava la mia ricerca, decisi di entrare in contatto con i gruppi di vocazione militante. La CNT, organizzazione anarchico-sindacalista la cui sede si trova al 33 di via dei Vignoles, era uno di questi. La sede dell’organizzazione era situata vicino ai locali del comitato dei senza casa, frequentato da alcuni dei suoi attivisti. La coesistenza di diversi gruppi sociali nella stessa via aveva creato una rete di relazioni complessa. Se alcuni gruppi tendevano a rimanere isolati, come nel caso dei motociclisti, altri si ritrovavano per dare luogo ad azioni collettive o in occasione di feste organizzate dal CNT o dal comitato. Il bar associativo Il gabbiano era anche un importante luogo di incontro. Nel fine settimana, i frequentatori abituali andavano ad ascoltare poeti, musicisti e diversi artisti conosciuti o sconosciuti. Era un posto dove si poteva facilmente scambiare quattro chiacchiere, ma divenne anche un luogo di resistenza quando i senza casa del quartiere furono sgomberati. La visita del Club degli Anziani di Charonne, associazione di persone di una certa età situata verso la porta di Montreuil, fuori dal perimetro di Place de la Réunion, è stata sufficiente per capire che questa zona può essere percepita in vari modi. Il presidente dell'associazione mi disse che nei piccoli e numerosi vicoli una volta viveva una famiglia portoghese con galline, una pecora e lui stesso veniva svegliato dal canto del gallo. Allo stesso tempo, deplorava i cambiamenti recenti: una residente aggiunse che ora aveva paura a camminare da sola, la sera, per via Haies. Lo sviluppo sociale aveva portato con sè una sensazione di di insicurezza. Per un anno ho frequentato il quartiere molto regolarmente, ma non vi risiedevo. Tuttavia le mie osservazioni mi indussero a pensare che la diversità sociale di questi luoghi non comportasse veri conflitti, piuttosto disaccordi.

    La funzione di memorizzazione della fotografia aveva permesso di registrare tutte le tappe della scoperta del quartiere, sin dai primi contatti. In un secondo momento la popolazione dei senza casa divenne il centro del mio interesse. Una definizione didattica di questa categoria di individui è sostenuta da criteri, detti oggettivi, come l'insalubrità dei luoghi di abitazione, il sovrapopolamento, l'assenza di servizi igienici, la qualità dell’insonorizzazione, le finestre strette, il cattivo stato generale dell’immobile. Tuttavia si tratta di criteri limitati e parziali, poiché stabiliti sulla base di norme sulla comodità, che tengono conto soltanto di uno spazio interno, norme determinate da un quadro di riferimento culturale, a volte diverso da quello delle persone interessate. L'approccio antropologico si interessa dei criteri soggettivi dei modelli di vita osservati. Questi criteri tengono conto di comportamenti, relazioni, percorsi individuali, relazioni con lo spazio interno ma anche esterno, della proiezione nel futuro, della dinamica dei gruppi e delle interazioni tra questi elementi. Questo percorso rende difficile una definizione precisa dei senza casa considerando anche la complessità dell’organizzazione del genere umano. Ho dunque classificato in modo arbitrario le varie categorie dei senza casa incontrati. La fotografia fungerà da trascrizione della realtà con il suo carattere soggettivo poiché ad un inquadratura corrisponde sempre un fuori-quadro, quello che la fotografia non mostra. Un’immagine tuttavia porta comunque al lettore indizi tangibili dello spazio esterno o interno delle diverse condizioni di vita. D'altra parte una moltitudine di particolari come il decoro del vestiario, la faccia, il corpo, l'atteggiamento, lo sguardo vengono rivelati all’istante. La realizzazione di interviste aperte va a completare questo corpus di immagini e a fissare elementi chiarificatori sul fuori-quadro. In primo luogo l'antropologo caratterizza i senza casa, regolati dalle autorità pubbliche, come: persone anziane che abitano costruzioni insalubri, occupanti di alberghi (alcuni predisposti dal Municipio), senza casa chiamati dall'amministrazione i senza fisso domicilio. Poi si trovano gli illegali. Questa categoria contiene individui che vivono una situazione irregolare, non hanno documenti, e i cosiddetti squatter. Uno di loro mi dice: "Non gradisco questa parola, squatter; all'origine indica i pionieri negli Stati Uniti che si insediano su terre non sfruttate. Nulla a che vedere con noi, che si è pronti a pagare un affitto accessibile." La loro sorte sarà, prima o poi, l'espulsione senza revoca. Questa situazione ha significato la nascita di un’azione comune da cui è nato il comitato di difesa dei senza casa che sono andata ad incontrare. Ci si trovano famiglie francesi, famiglie immigrate (foto n.3), alcuni lavoratori precari (foto n.4), disoccupati di lunga durata, giovani che si definiscono "in galera", diversi emarginati. Uno di questi ultimi testimonia: "Passo. Mi nascondo... Nessuno sa che sono là. Sono ricercato, sono negato. Del resto non amo le domande, che sorprendono l'individuo, che lo sezionano (...) Io facevo parte di un gruppo "Capitale e Marx" sotto De Gaulle."



    Photo n.3
    © Sylvaine Conord
    Militant du comité de défense des mal-logés d’origine algérienne lors d’une « réquisition », Champigny




    Photo n.4
    © Sylvaine Conord
    Ouvrier militant du comité de défense des mal-logés


    Hervé, abitava in un albergo di Place de la Réunion, in una camera con meno di 10m°, il lavabo ed i sanitari sul pianerottolo. Soffrendo di problemi legati all'alcol, soggiornava regolarmente in un ospedale psichiatrico ed era stato messo sotto tutela. Come rappresentarlo? Scelsi di fotografarlo sorridente seduto sul suo letto, senza mostrare le bottiglie vuote sparse per il suolo della camera. Due leggi elaborate in antropologia visuale cinematografica sono applicabili al settore della fotografia. La legge dell’esclusione: mostrare una cosa è nasconderne un'altra. E la legge dell'ostruzione: mostrare una cosa è mostrarne un'altra simultaneamente (Francia, 1982). L'inquadratura delimita i limiti dell'immagine, della cosa mostrata e dipende dalle scelte tecniche ed estetiche del fotografo, dalla sua interpretazione del reale. Inoltre la stessa lettura dell'immagine deriva da referenti culturali e dalla sensibilità di ciascuno. Il ritratto fotografico di Hervé [2] non offre una descrizione dettagliata della camera e del suo arredo, non ci porta gli elementi necessari alla comprensione dell'origine sociale e dell'identità della persona fotografata. Così il ricorso alla parola ci ha permesso di apprendere che i disegni astratti appesi alla parete erano di una delle due sorelle di Hervé e che gli altri erano stati copiati da lui stesso. La foto centrale di un uomo che porta un berretto raffigura suo padre. Si capisce meglio come interviene la qualità della relazione tra l'osservatrice e il soggetto. Avevo scelto l'inquadratura meno caritatevole e la completai con un commento per spiegare la situazione reale di Hervé. È stato anche grazie ad un'accettazione lenta che ho potuto incontrare questo personaggio nella sua abitazione, dopo sei mesi di appuntamenti nei bar. L’arredamento della sua camera cambiava a seconda dei suoi diversi stati. Dopo un po’ di tempo, trovai appesa alla parete la fotografia che avevo realizzato. Mi diceva: "La mia stanza è il mio mondo, soltanto qua sto bene." Si può allora considerarlo un occupante? L'attaccamento al luogo rappresenta un criterio soggettivo che gli studi statistici non considerano. L'osservazione del quartiere, del territorio e degli appuntamenti all'angolo dei caffè aiuta a capire meglio questa maniera certamente umana di vivere in spaccati inumani. Henri Coing (1966) vede nell'attaccamento al quartiere un fattore di coesione sociale. Ma il contesto in cui si sviluppa il suo lavoro è quello di un quartiere operaio degli anni 60. Questa ipotesi non è stata interamente verificata a Place de la Réunion, poiché esisteva il rischio di generalizzare dei particolarismi legati ad alcuni individui isolati. Ciònonostante, questo legame sociale esisteva realmente come lo testimoniano le attività dell'associazione Idée Réunion. Le attività di questa associazione si concentravano sullo sviluppo della vita di quartiere e delle relazioni di vicinato. Le attività si distinguevano chiaramente da quelle del comitato di difesa dei senza casa, di carattere marcatamente militante.

    Così, la stessa volontà di miglioramento delle condizioni di alloggio assumeva forme diverse a seconda di quali gruppi ne erano coinvolti. Lo statuto del comitato di difesa dei senza casa, definiva un alloggio rispettabile nel seguente modo: doveva essere vicino al luogo di lavoro, e l’ affitto non doveva superare il 20% del salario. Questo comitato nacque dopo che,in seguito ad un’intervista rilasciata, i fascisti incendiarono le proprietà degli squatter.Si formò un grande movimento collettivo e i partecipanti costituirono un comitato con l’obbiettivo di affrontare il nel lungo termine. Dopo questi incendi dolosi si formò l'associazione Logement d’abord, successivamente, nel febbraio 1987, nacque il comitato dei senza casa. A quanto so, attualmente questo comitato non esiste più; è stato sostituito dal DAL (diritto all'alloggio). La fotografia fu il mezzo principale che mi permise di integrarmi nel comitato. Le attività militanti di questa associazione di difesa richiedevano una partecipazione attiva. L'accettazione della mia presenza nel corso delle riunioni non fu facile. Grazie ad un'amica, conobbi una persona che ritenevo avrebbe potuto diventare il mio informatore. Mi parlava senza inibizioni del comitato, della sua organizzazione, di date e luoghi delle riunioni. Ma sul campo non volle mai svolgere questo ruolo da intermediario non presentandosi agli appuntamenti. Infatti, la mia presenza nelle prime riunioni era mal percepita: "Non siamo scimmie! Voi siete tutti uguali giornalisti, universitari, vanno e vengono. Qui, tutti devono partecipare." I militanti erano diffidenti, temevano il controllo delle loro attività da parte di poliziotti in borghese. La preoccupazione nasceva anche dal tipo di attività che svolgevano (manifestazioni, richieste popolari, cause, resistenze all'espulsione) che in seguito avrebbero potuto essere utilizzate per i giornali e la stampa a diffusione regionale. Alla fine, la mia proposta di lavoro e i miei trascorsi da fotoreporter li interessarono, e fui invitata a partecipare ad un'azione di ‘protesta’. Questa consisteva nel prendere possesso degli alloggi della riserva locativa pubblica riconosciuti come liberi, per metterci famiglie che in seguito avrebbero pagato regolarmente l'importo mensile degli affitti. Tutto ciò mi permetteva di avere un ruolo che giustificava la mia presenza. L’appuntamento per la manifestazione di protesta era stato fissato la mattina presto all'uscita di una stazione metropolitana. L'indirizzo esatto dell’edificio era conosciuto soltanto da una minoranza dei militanti. Quando il gruppo raggiunse una dimensione numericamente importante (tra le 100 e le 200 persone) incominciammo ad andare verso il luogo da occupare. Alcuni aprivano le porte mentre altri sorvegliavano l'entrata; una torcia, indicante l'avvio dell'azione fu messa sul posto. Le famiglie si impossessavano delle loro nuove abitazioni (foto n.5, 7).



    Photo n.5
    © Sylvaine Conord
    Famille d’origine africaine lors d’une « réquisition », Paris 19ème




    Photo n.7
    © Sylvaine Conord
    Maliens installés dans un appartement réquisitionné, Paris 19ème


    Le donne di origine africana che si trovavano tra esse, apprezzarono la nuova comodità, si sistemarono sul pavimento, allattarono i loro bambini e nulla sembrava perturbare le loro abitudini. Emmaüs contribuì portando materassi. I bambini approfittarono della loro nuova area giochi (foto n.6).



    Photo n.6
    © Sylvaine Conord
    Jeux d’enfants à la suite d’une action collective pour un relogement, Champigny


    Molti militanti restarono a vigilare la situazione per due/tre giorni, il tempo di verificare che le autorità non prendessero provvedimenti violenti. A volte il dialogo fu possibile, come successe a Champigny con un eletto comunista. Altre volte i negoziati furono più difficili come nel XIX dove gli addetti alla sicurezza intervennero con i cani. Il risultato dell'operazione fu decisa nei giorni successivi. Come a Champigny, fu deciso che i nuovi residenti potevano rimanere negli appartamenti in attesa di una soluzione; come nel XIX non gli lasciarono la possibilità di restare. Trentacinque immobili erano stati requisiti in questo modo dal comitato di difesa dei senza casa. Dall'osservazione partecipante, ero francamente arrivata all’osservazione militante poiché prendevo parte alle diverse azioni e le mie fotografie servivano alla diffusione delle informazioni riguardanti il comitato. Tuttavia, con la trascrizione del mio diario empirico e la realizzazione di interviste, riuscivo a conservare una certa distanza e continuavo a realizzare diversi generi fotografici: documentario, ritratto, paesaggi urbani.

    Il 2 maggio 1990, di prima mattina, le CRS, guardie mobili e poliziotti circondarono il quartiere ed allontanarono con la forza le 48 famiglie che abitavano il 67 di via dei Vignoles (sede del comitato) ed il 92 di via della Fontaine aux Rois. Dopo uno sgombro rapido e brutale, gli stabili furono murati (foto n.8).



    Photo n.8
    © Sylvaine Conord
    Fermeture du local de comité de défense, 67 rue des Vignoles, Paris 20ème, suite à une intervention policière, 1990


    Allora il comitato organizzò una lotta, che assunse la forma di resistenza, per far fronte a questa situazione estrema. Con l'aiuto di Emmaüs i militanti montarono delle tende, un angolo cucina e servizi igienici nel giardino in mezzo a Place de la Réunion: un camping provvisorio per le famiglie espulse (foto n.9 e 10).



    Photo n.9
    © Sylvaine Conord
    Place de la Réunion occupée par les mal-logés, 1990




    Photo n.10
    © Sylvaine Conord
    La vie quotidienne lors de l’occupation de la place de la Réunion, 1990


    Il bar associativo Il gabbiano, si trasformò in spaccio di prodotti alimentari e luogo di riunione. Place de la Réunion, prima sconosciuta, divenne una notizia d’attualità e il luogo simbolico dove si organizzarono tribune aperte a tutti e pasti di solidarietà. Fu installata una televisione per guardare i giornali trasmessi. Le CRS lasciarono l’area e venne il tempo dell'attesa per un rialloggiamento secondo le norme stabilite dal comitato. Nel settembre 1990 restavano ancora due famiglie nella via. Così, per la prima volta dall'inizio dell'indagine, avevo sperimentato in prima persona un clima di violenza. Secondo i membri del comitato, trentacinque persone sarebbero state ferite a causa degli scontri con le CRS. Un evidente sfiducia regnava nel quartiere in seguito all’intervento della polizia.

    La sfida era e rimane rilevante poiché si tratta di osservare i grandi cambiamenti della nostra capitale e del futuro delle zone popolari. La regione Ile de France vive una grave crisi degli alloggi che tocca particolarmente gli strati sociali più poveri. Rispetto a questa indagine, le mie scelte metodologiche basate su un ascolto attento di discorsi informali, la realizzazione di interviste e i punti di vista fotografici mi hanno permesso, malgrado le difficoltà, di comprendere meglio i gruppi, gli individui e le relazioni degli uni con gli altri. E’ così che il comitato dei senza casa appariva dell'esterno, come un gruppo molto unito. Scoprimmo che se i membri erano uniti nella lotta, non per forza lo erano da un punto di vista ideologico. L'osservazione di queste divergenze portò elementi di comprensione essenziali per interpretare la complessità di un'organizzazione mobilitata attorno al problema dei senza casa. La fotografia mi ha aiutato a memorizzare visivamente alcuni aspetti di questa realtà. Mi è servita, grazie alle sue funzioni multiple, come strumento di ricerca, come mezzo di inserimento nell'ambiente e come testimonianza di indicatori della vita sociale immediatamente visibili dal lettore.

    Nel settembre 1990 i lavori di demolizione di una parte della zona continuarono. Il terreno fu distrutto e la fabbrica di cioccolato non resistì all'azione dei bulldozer. Molti ‘senza casa’ hanno assistito allo spettacolo dal giardino (foto n.11). Ciò che rimane sono gli spazi liberi, una società di riunioni, la disuguaglianza. I senza casa parigini sono ancora molto numerosi e pronti ad organizzarsi per ottenere un alloggio rispettabile nella nostra capitale [3].



    Photo n.11
    © Sylvaine Conord
    Sans logis face à la destruction d’une usine, Paris 20ème



    NOTE

    1] Per questo articolo mi sono ispirata ad un lavoro universitario diretto da Carmen Bernand e Renée Vigneron, università di Parigi 10, Nanterre, 1991.
    2] Ho deciso non di presentare la fotografia di Hervé senza l’autorizzazione esplicita. I diritti sull'immagine fanno parte delle norme dell’antropologo-audiovisivo contemporaneo.
    3] Per questo articolo mi sono ispirata ad un lavoro universitario diretto da Carmen Bernand e Renée Vigneron, università di Parigi 10, Nanterre, 1991.


    BIBLIOGRAFIA

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    https://www.ethnographiques.org/documents/article/arConord.html
    Conord Sylvaine, 2006, "La photographie à usage scientifique: le journal de terrain visuel", in Federica Tamarozzi, David Porporato (sous la dir. de), Oggetti immagini, Esperienze di ricerca etnoantropologica, Italie, Omega edizioni: 177-196.
    France Claudine de, 1982, Cinéma et anthropologie, Paris, MSH.
    Hall Edward T., 1971, La dimension cachée, Paris, le Seuil.
    Mauss Marcel, 1968, Sociologie et anthropologie, Paris, PUF.
    Rouch Jean, 1979, «La caméra et les hommes», Cahiers de l’homme, Pour une anthropologie visuelle, Mouton éditeur: 53-71.
    Young Michael, Peter Willmott (trad. de l’anglais Anne Gottman, Bernard d'Hellencourt), 1983, Le village dans la ville, Paris, Centre Georges Pompidou, CCI.


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