Immagine & Società
Fabio La Rocca (a cura di)
M@gm@ vol.6 n.2 Maggio-Agosto 2008
ANTROPOLOGIA VISUALE
DEI SENZA CASA DI PLACE DE LA RÉUNION (Parigi 20a zona)
(Traduzione Marco Pasini)
Sylvaine Conord
s.conord@ivry.cnrs.fr
Professore in sociologia all'Università di Parigi 10, Nanterre e membro del Laboratorio di antropologia urbana del CNRS (UPR 034).
Photo (Introduction)
© Sylvaine Conord
Place de la Réunion, Paris 20ème, 1990
Il quartiere di Place de la Réunion, Parigi, XX [1]:
non conosco ancora nulla dei suoi abitanti, cammino per le
vie. Un periodo di deambulazione allo scopo di assorbire l'atmosfera
di un luogo che mi è straniero, la macchina fotografica mi
permette di registrare le prime impressioni visive, i primi
incontri, lo spazio così come è percepito la prima volta.
"In generale gli occhi passano per la fonte principale di
informazioni che possiede l'uomo" scrive Edward T. Hall (Hall,
1971,p. 88). Passeggiare con un apparecchio fotografico professionale
a spalla attira l'attenzione, incuriosisce i passanti. Ciò
permette di testare le reazioni, stabilire i primi contatti,
percepire le difficoltà di inserimento nel contesto studiato.
Una donna con indosso un gonnellino tradizionale mi lancia
uno sguardo: "No, niente foto!". Altre persone mi hanno chiesto
se fossi giornalista, turista, assistente sociale, ma, mi
chiedevo se ai loro occhi non apparissi piuttosto un’investigatrice
della polizia. Questo quartiere negli anni 90 veniva considerato
una zona prevalentemente popolare. Oggi resta l’esempio emblematico
di una Parigi popolare in mutamento. Questa ricerca è sempre
attuale grazie al soggetto: i senza casa. La questione dei
senza casa nella regione parigina non è risolta: migliaia
di nuclei familiari attendono l'assegnazione di un alloggio
abitabile. Numerose famiglie vivono in palazzi occupati, nonostante
abbiano presentato presso i servizi pubblici la loro domanda
da molti anni. Quindi, oltre ad un osservazione partecipante,
questo lavoro pone l’accento "su una sociologia militante"
che prende corpo attraverso le testimonianze e la partecipazione
attiva dell'osservatrice alle diverse situazioni che vive
e vede.
Il quartiere vive un cambiamento profondo: un piano edilizio
di rinnovamento ha comportato la demolizione di alcuni edifici
e l'espulsione degli abitanti che non risultavano abitarvi
legalmente. Sulla Place de la Réunion, si potevano trovare
un bar ed un ristorante gestiti da un’associazione che accoglievano
i poveri; al 67 di via dei Vignoles, si trovava un intero
edificio occupato da un ‘comitato di difesa dei senza casa’
e da numerosi caffè. Le prime fotografie del luogo mostravano
costruzioni, vicoli ciechi: uno spazio privo di ogni presenza
umana. Questo primo approccio permette di capire che nel quadro
di un'antropologia visuale fotografica, la fotografia non
può essere utilizzata come unico strumento di indagine. Ciò
che mi interessava in questa ricerca era il rapporto dell'uomo
con il proprio luogo, non lo studio di un territorio o di
uno spazio isolato. Occorreva dunque introdurre un altro mezzo
per diventare un’attrice a pieno titolo. Questo progetto conferma
il metodo dei cineasta-etnologi come Jean Rouch il quale distingue
tre momenti nel suo percorso scientifico: "cercare, comprendere
e reagire" (Rouch, 1979), tre momenti che corrispondono ai
comportamenti del "vedere", dell’"osservare" e "dell’essere
visto". Precisa l’autore: "Questo lento cammino introduce
a delle scoperte per l'antropologo cineasta: al cuore di un
rituale o di una tecnica di cui diventa l'osservatore partecipante,
rischiando il passo falso, certamente, ma vedendo apparire
nell’obiettivo della sua cinepresa questo spettacolo fantastico
e fragile di cui è allo stesso tempo il solo spettatore, il
regista e un attore alla stregua di quelli che ha filmato."
(Rouch, ivi, p. 9). Il fotografo non ha in mano lo stesso
strumento, la sua relazione con il corpo e lo spazio differisce,
tuttavia conosce l’esperienza della lenta assimilazione al
contesto osservato e le difficoltà di essere accettato, lui
e il suo materiale di ripresa. Nonostante questo, la fotografia
a volte offre anche la possibilità di un migliore inserimento
qualora diventi oggetto di scambio. Davanti ad un caffè, un
uomo, soprannominato Box, mi chiese di fotografarlo domandandomi
quanto sarebbe costato. Inizialmente, la richiesta servì da
pretesto per comunicare, poi divenne l'oggetto di uno scambio
economico. Per mantenere questo tipo di relazione definita
dall'argomento stesso, decisi di non offrire la foto ed accettare
un rimborso delle spese di stampa Il regalo, infatti, può
essere interpretato in diversi modi. Nel suo lavoro sulle
società potlach (baratto) Marcel Mauss mostra che: "donare,
è manifestare la propria superiorità, valere di più, essere
più su (magister - maestro); accettare senza rendere o senza
rendere di più, significa subordinarsi, diventare cliente
e servo, piccolo, cadere in basso (minister - minimo)" (Mauss,
1968, pp. 269-270). Nel mio caso, mi sembrava giusto proporre
una tariffa bassa che non rischiasse di inficiare il legame
stabilito. L’ esperienza sul campo ha dimostrato l'importanza
della posizione dei diversi attori rispetto agli scambi di
immagini (Conord, 2000). La fotografia diventa moneta di scambio
in quelle relazioni che richiedono di essere definite all'inizio
dell'indagine.
Così, il mio primo contatto con un abitante del quartiere,
è avvenuto grazie alla mia macchina fotografica, servita da
pretesto per il dialogo. Box, mi chiese di fotografarlo, poi
mi propose di visitare la zona. Io intrapresi ciò che più
tardi chiamerò una "traiettoria visuale" del quartiere, accompagnata
da Box e dal suo amico Hervé, che consideravo le mie guide.
Le fotografie scattate via via esprimeranno l'ordine progressivo
delle varie tappe di questo percorso, gli elementi scelti
dagli stessi abitanti del quartiere in virtù del valore che
gli hanno attribuito. I commenti delle due guide verranno
annotati negli appunti e si considererà quest'esperienza significativa
una maniera di vivere i luoghi: il muro di una vecchia fabbrica
di cioccolato coperta da impronte di mani realizzate in occasione
dell'ultima festa della musica, passaggi e vicoli, tracce
di abusivi, un bar, il Rifugio, dove i due uomini avevano
le loro abitudini, dei giocatori di carte in un altro bar,
un ristorante gestito da un’associazione, situato in Place
de la Réunion, chiamato Lo spazza briciole, terreno di avventure
per i bambini del quartiere (foto n.1 e 2),
una Due Cavalli abbandonata, vecchi oggetti da rivendere al
mercatino.
Photo n.1
© Sylvaine Conord
Jeux sur le terrain d’aventures, Paris 20ème
Photo n.2
© Sylvaine Conord
Le terrain d’aventures, Paris 20ème
Così attraverso le immagini scattate grazie alle due guide,
ho potuto scoprire la vita intensa e variegata di questa zona
parigina osservando gli spazi da giochi, i luoghi di incontro,
i bar, i ristoranti, gli oggetti abbandonati, i bambini, i
perdigiorno. Le prime impressioni si formarono attraverso
il gradimento degli incontri sul campo, attraverso la ricerca
incessante di visi, di posti, di attività e di discorsi ascoltati,
rivelatori delle diverse relazioni esistenti nello stesso
luogo di abitazione. Questi rapporti sono relativi alla situazione
sociale e familiare, al modo di vita, alle origini sociali,
al passato, alla posizione politica. Henri Coing precisa che
"la differenza culturale non è qui posta nell'astratto, tra
due classi e due ambienti, ma si oggettiva in ambiti distinti
separati da frontiere" (Coing, 1966, pp. 80-81). Questa nozione
di territorializzazione è osservabile nel quartiere di Place
de la Réunion, scolpito nello spazio dai diversi locali che
raccolgono gruppi sotto diverse forme (caffè, associazioni,
comitati, sindacato). I diversi caffè (Bar delle isole, Bar
dell'amicizia, da Angelo, Il rifugio) svolgevano un ruolo
importante nella costituzione informale di piccole unità o
reti di relazione. I miei diversi interlocutori mi davano
spesso appuntamento in questi locali. Gli sguardi inquisitori,
la sfiducia, confermavano che ero percepita come un’intrusa
in un ambiente in cui tutti si conoscevano. Tuttavia, i primi
contatti furono sufficienti per farmi accettare maggiormente.
Gli abitanti si riunivano anche in strutture più formali,
per esempio attorno ad un'attività culturale (flamenco, associazione
di motociclisti, associazione di ricerca sui bambini e il
loro ambiente) o ad un’azione collettiva (associazione di
quartiere, la Confederazione Nazionale del lavoro CNT, il
comitato dei senza casa). Vista la tematica che informava
la mia ricerca, decisi di entrare in contatto con i gruppi
di vocazione militante. La CNT, organizzazione anarchico-sindacalista
la cui sede si trova al 33 di via dei Vignoles, era uno di
questi. La sede dell’organizzazione era situata vicino ai
locali del comitato dei senza casa, frequentato da alcuni
dei suoi attivisti. La coesistenza di diversi gruppi sociali
nella stessa via aveva creato una rete di relazioni complessa.
Se alcuni gruppi tendevano a rimanere isolati, come nel caso
dei motociclisti, altri si ritrovavano per dare luogo ad azioni
collettive o in occasione di feste organizzate dal CNT o dal
comitato. Il bar associativo Il gabbiano era anche un importante
luogo di incontro. Nel fine settimana, i frequentatori abituali
andavano ad ascoltare poeti, musicisti e diversi artisti conosciuti
o sconosciuti. Era un posto dove si poteva facilmente scambiare
quattro chiacchiere, ma divenne anche un luogo di resistenza
quando i senza casa del quartiere furono sgomberati. La visita
del Club degli Anziani di Charonne, associazione di persone
di una certa età situata verso la porta di Montreuil, fuori
dal perimetro di Place de la Réunion, è stata sufficiente
per capire che questa zona può essere percepita in vari modi.
Il presidente dell'associazione mi disse che nei piccoli e
numerosi vicoli una volta viveva una famiglia portoghese con
galline, una pecora e lui stesso veniva svegliato dal canto
del gallo. Allo stesso tempo, deplorava i cambiamenti recenti:
una residente aggiunse che ora aveva paura a camminare da
sola, la sera, per via Haies. Lo sviluppo sociale aveva portato
con sè una sensazione di di insicurezza. Per un anno ho frequentato
il quartiere molto regolarmente, ma non vi risiedevo. Tuttavia
le mie osservazioni mi indussero a pensare che la diversità
sociale di questi luoghi non comportasse veri conflitti, piuttosto
disaccordi.
La funzione di memorizzazione della fotografia aveva permesso
di registrare tutte le tappe della scoperta del quartiere,
sin dai primi contatti. In un secondo momento la popolazione
dei senza casa divenne il centro del mio interesse. Una definizione
didattica di questa categoria di individui è sostenuta da
criteri, detti oggettivi, come l'insalubrità dei luoghi di
abitazione, il sovrapopolamento, l'assenza di servizi igienici,
la qualità dell’insonorizzazione, le finestre strette, il
cattivo stato generale dell’immobile. Tuttavia si tratta di
criteri limitati e parziali, poiché stabiliti sulla base di
norme sulla comodità, che tengono conto soltanto di uno spazio
interno, norme determinate da un quadro di riferimento culturale,
a volte diverso da quello delle persone interessate. L'approccio
antropologico si interessa dei criteri soggettivi dei modelli
di vita osservati. Questi criteri tengono conto di comportamenti,
relazioni, percorsi individuali, relazioni con lo spazio interno
ma anche esterno, della proiezione nel futuro, della dinamica
dei gruppi e delle interazioni tra questi elementi. Questo
percorso rende difficile una definizione precisa dei senza
casa considerando anche la complessità dell’organizzazione
del genere umano. Ho dunque classificato in modo arbitrario
le varie categorie dei senza casa incontrati. La fotografia
fungerà da trascrizione della realtà con il suo carattere
soggettivo poiché ad un inquadratura corrisponde sempre un
fuori-quadro, quello che la fotografia non mostra. Un’immagine
tuttavia porta comunque al lettore indizi tangibili dello
spazio esterno o interno delle diverse condizioni di vita.
D'altra parte una moltitudine di particolari come il decoro
del vestiario, la faccia, il corpo, l'atteggiamento, lo sguardo
vengono rivelati all’istante. La realizzazione di interviste
aperte va a completare questo corpus di immagini e a fissare
elementi chiarificatori sul fuori-quadro. In primo luogo l'antropologo
caratterizza i senza casa, regolati dalle autorità pubbliche,
come: persone anziane che abitano costruzioni insalubri, occupanti
di alberghi (alcuni predisposti dal Municipio), senza casa
chiamati dall'amministrazione i senza fisso domicilio. Poi
si trovano gli illegali. Questa categoria contiene individui
che vivono una situazione irregolare, non hanno documenti,
e i cosiddetti squatter. Uno di loro mi dice: "Non gradisco
questa parola, squatter; all'origine indica i pionieri negli
Stati Uniti che si insediano su terre non sfruttate. Nulla
a che vedere con noi, che si è pronti a pagare un affitto
accessibile." La loro sorte sarà, prima o poi, l'espulsione
senza revoca. Questa situazione ha significato la nascita
di un’azione comune da cui è nato il comitato di difesa dei
senza casa che sono andata ad incontrare. Ci si trovano famiglie
francesi, famiglie immigrate (foto n.3),
alcuni lavoratori precari (foto n.4), disoccupati
di lunga durata, giovani che si definiscono "in galera", diversi
emarginati. Uno di questi ultimi testimonia: "Passo. Mi nascondo...
Nessuno sa che sono là. Sono ricercato, sono negato. Del resto
non amo le domande, che sorprendono l'individuo, che lo sezionano
(...) Io facevo parte di un gruppo "Capitale e Marx" sotto
De Gaulle."
Photo n.3
© Sylvaine Conord
Militant du comité de défense des mal-logés d’origine algérienne
lors d’une « réquisition », Champigny
Photo n.4
© Sylvaine Conord
Ouvrier militant du comité de défense des mal-logés
Hervé, abitava in un albergo di Place de la Réunion, in una
camera con meno di 10m°, il lavabo ed i sanitari sul pianerottolo.
Soffrendo di problemi legati all'alcol, soggiornava regolarmente
in un ospedale psichiatrico ed era stato messo sotto tutela.
Come rappresentarlo? Scelsi di fotografarlo sorridente seduto
sul suo letto, senza mostrare le bottiglie vuote sparse per
il suolo della camera. Due leggi elaborate in antropologia
visuale cinematografica sono applicabili al settore della
fotografia. La legge dell’esclusione: mostrare una cosa è
nasconderne un'altra. E la legge dell'ostruzione: mostrare
una cosa è mostrarne un'altra simultaneamente (Francia, 1982).
L'inquadratura delimita i limiti dell'immagine, della cosa
mostrata e dipende dalle scelte tecniche ed estetiche del
fotografo, dalla sua interpretazione del reale. Inoltre la
stessa lettura dell'immagine deriva da referenti culturali
e dalla sensibilità di ciascuno. Il ritratto fotografico di
Hervé [2] non offre una
descrizione dettagliata della camera e del suo arredo, non
ci porta gli elementi necessari alla comprensione dell'origine
sociale e dell'identità della persona fotografata. Così il
ricorso alla parola ci ha permesso di apprendere che i disegni
astratti appesi alla parete erano di una delle due sorelle
di Hervé e che gli altri erano stati copiati da lui stesso.
La foto centrale di un uomo che porta un berretto raffigura
suo padre. Si capisce meglio come interviene la qualità della
relazione tra l'osservatrice e il soggetto. Avevo scelto l'inquadratura
meno caritatevole e la completai con un commento per spiegare
la situazione reale di Hervé. È stato anche grazie ad un'accettazione
lenta che ho potuto incontrare questo personaggio nella sua
abitazione, dopo sei mesi di appuntamenti nei bar. L’arredamento
della sua camera cambiava a seconda dei suoi diversi stati.
Dopo un po’ di tempo, trovai appesa alla parete la fotografia
che avevo realizzato. Mi diceva: "La mia stanza è il mio mondo,
soltanto qua sto bene." Si può allora considerarlo un occupante?
L'attaccamento al luogo rappresenta un criterio soggettivo
che gli studi statistici non considerano. L'osservazione del
quartiere, del territorio e degli appuntamenti all'angolo
dei caffè aiuta a capire meglio questa maniera certamente
umana di vivere in spaccati inumani. Henri Coing (1966) vede
nell'attaccamento al quartiere un fattore di coesione sociale.
Ma il contesto in cui si sviluppa il suo lavoro è quello di
un quartiere operaio degli anni 60. Questa ipotesi non è stata
interamente verificata a Place de la Réunion, poiché esisteva
il rischio di generalizzare dei particolarismi legati ad alcuni
individui isolati. Ciònonostante, questo legame sociale esisteva
realmente come lo testimoniano le attività dell'associazione
Idée Réunion. Le attività di questa associazione si concentravano
sullo sviluppo della vita di quartiere e delle relazioni di
vicinato. Le attività si distinguevano chiaramente da quelle
del comitato di difesa dei senza casa, di carattere marcatamente
militante.
Così, la stessa volontà di miglioramento delle condizioni
di alloggio assumeva forme diverse a seconda di quali gruppi
ne erano coinvolti. Lo statuto del comitato di difesa dei
senza casa, definiva un alloggio rispettabile nel seguente
modo: doveva essere vicino al luogo di lavoro, e l’ affitto
non doveva superare il 20% del salario. Questo comitato nacque
dopo che,in seguito ad un’intervista rilasciata, i fascisti
incendiarono le proprietà degli squatter.Si formò un grande
movimento collettivo e i partecipanti costituirono un comitato
con l’obbiettivo di affrontare il nel lungo termine. Dopo
questi incendi dolosi si formò l'associazione Logement d’abord,
successivamente, nel febbraio 1987, nacque il comitato dei
senza casa. A quanto so, attualmente questo comitato non esiste
più; è stato sostituito dal DAL (diritto all'alloggio). La
fotografia fu il mezzo principale che mi permise di integrarmi
nel comitato. Le attività militanti di questa associazione
di difesa richiedevano una partecipazione attiva. L'accettazione
della mia presenza nel corso delle riunioni non fu facile.
Grazie ad un'amica, conobbi una persona che ritenevo avrebbe
potuto diventare il mio informatore. Mi parlava senza inibizioni
del comitato, della sua organizzazione, di date e luoghi delle
riunioni. Ma sul campo non volle mai svolgere questo ruolo
da intermediario non presentandosi agli appuntamenti. Infatti,
la mia presenza nelle prime riunioni era mal percepita: "Non
siamo scimmie! Voi siete tutti uguali giornalisti, universitari,
vanno e vengono. Qui, tutti devono partecipare." I militanti
erano diffidenti, temevano il controllo delle loro attività
da parte di poliziotti in borghese. La preoccupazione nasceva
anche dal tipo di attività che svolgevano (manifestazioni,
richieste popolari, cause, resistenze all'espulsione) che
in seguito avrebbero potuto essere utilizzate per i giornali
e la stampa a diffusione regionale. Alla fine, la mia proposta
di lavoro e i miei trascorsi da fotoreporter li interessarono,
e fui invitata a partecipare ad un'azione di ‘protesta’. Questa
consisteva nel prendere possesso degli alloggi della riserva
locativa pubblica riconosciuti come liberi, per metterci famiglie
che in seguito avrebbero pagato regolarmente l'importo mensile
degli affitti. Tutto ciò mi permetteva di avere un ruolo che
giustificava la mia presenza. L’appuntamento per la manifestazione
di protesta era stato fissato la mattina presto all'uscita
di una stazione metropolitana. L'indirizzo esatto dell’edificio
era conosciuto soltanto da una minoranza dei militanti. Quando
il gruppo raggiunse una dimensione numericamente importante
(tra le 100 e le 200 persone) incominciammo ad andare verso
il luogo da occupare. Alcuni aprivano le porte mentre altri
sorvegliavano l'entrata; una torcia, indicante l'avvio dell'azione
fu messa sul posto. Le famiglie si impossessavano delle loro
nuove abitazioni (foto n.5, 7).
Photo n.5
© Sylvaine Conord
Famille d’origine africaine lors d’une « réquisition », Paris
19ème
Photo n.7
© Sylvaine Conord
Maliens installés dans un appartement réquisitionné, Paris
19ème
Le donne di origine africana che si trovavano tra esse, apprezzarono
la nuova comodità, si sistemarono sul pavimento, allattarono
i loro bambini e nulla sembrava perturbare le loro abitudini.
Emmaüs contribuì portando materassi. I bambini approfittarono
della loro nuova area giochi (foto n.6).
Photo n.6
© Sylvaine Conord
Jeux d’enfants à la suite d’une action collective pour un
relogement, Champigny
Molti militanti restarono a vigilare la situazione per due/tre
giorni, il tempo di verificare che le autorità non prendessero
provvedimenti violenti. A volte il dialogo fu possibile, come
successe a Champigny con un eletto comunista. Altre volte
i negoziati furono più difficili come nel XIX dove gli addetti
alla sicurezza intervennero con i cani. Il risultato dell'operazione
fu decisa nei giorni successivi. Come a Champigny, fu deciso
che i nuovi residenti potevano rimanere negli appartamenti
in attesa di una soluzione; come nel XIX non gli lasciarono
la possibilità di restare. Trentacinque immobili erano stati
requisiti in questo modo dal comitato di difesa dei senza
casa. Dall'osservazione partecipante, ero francamente arrivata
all’osservazione militante poiché prendevo parte alle diverse
azioni e le mie fotografie servivano alla diffusione delle
informazioni riguardanti il comitato. Tuttavia, con la trascrizione
del mio diario empirico e la realizzazione di interviste,
riuscivo a conservare una certa distanza e continuavo a realizzare
diversi generi fotografici: documentario, ritratto, paesaggi
urbani.
Il 2 maggio 1990, di prima mattina, le CRS, guardie mobili
e poliziotti circondarono il quartiere ed allontanarono con
la forza le 48 famiglie che abitavano il 67 di via dei Vignoles
(sede del comitato) ed il 92 di via della Fontaine aux Rois.
Dopo uno sgombro rapido e brutale, gli stabili furono murati
(foto n.8).
Photo n.8
© Sylvaine Conord
Fermeture du local de comité de défense, 67 rue des Vignoles,
Paris 20ème, suite à une intervention policière, 1990
Allora il comitato organizzò una lotta, che assunse la forma
di resistenza, per far fronte a questa situazione estrema.
Con l'aiuto di Emmaüs i militanti montarono delle tende, un
angolo cucina e servizi igienici nel giardino in mezzo a Place
de la Réunion: un camping provvisorio per le famiglie espulse
(foto n.9 e 10).
Photo n.9
© Sylvaine Conord
Place de la Réunion occupée par les mal-logés, 1990
Photo n.10
© Sylvaine Conord
La vie quotidienne lors de l’occupation de la place de la
Réunion, 1990
Il bar associativo Il gabbiano, si trasformò in spaccio di
prodotti alimentari e luogo di riunione. Place de la Réunion,
prima sconosciuta, divenne una notizia d’attualità e il luogo
simbolico dove si organizzarono tribune aperte a tutti e pasti
di solidarietà. Fu installata una televisione per guardare
i giornali trasmessi. Le CRS lasciarono l’area e venne il
tempo dell'attesa per un rialloggiamento secondo le norme
stabilite dal comitato. Nel settembre 1990 restavano ancora
due famiglie nella via. Così, per la prima volta dall'inizio
dell'indagine, avevo sperimentato in prima persona un clima
di violenza. Secondo i membri del comitato, trentacinque persone
sarebbero state ferite a causa degli scontri con le CRS. Un
evidente sfiducia regnava nel quartiere in seguito all’intervento
della polizia.
La sfida era e rimane rilevante poiché si tratta di osservare
i grandi cambiamenti della nostra capitale e del futuro delle
zone popolari. La regione Ile de France vive una grave crisi
degli alloggi che tocca particolarmente gli strati sociali
più poveri. Rispetto a questa indagine, le mie scelte metodologiche
basate su un ascolto attento di discorsi informali, la realizzazione
di interviste e i punti di vista fotografici mi hanno permesso,
malgrado le difficoltà, di comprendere meglio i gruppi, gli
individui e le relazioni degli uni con gli altri. E’ così
che il comitato dei senza casa appariva dell'esterno, come
un gruppo molto unito. Scoprimmo che se i membri erano uniti
nella lotta, non per forza lo erano da un punto di vista ideologico.
L'osservazione di queste divergenze portò elementi di comprensione
essenziali per interpretare la complessità di un'organizzazione
mobilitata attorno al problema dei senza casa. La fotografia
mi ha aiutato a memorizzare visivamente alcuni aspetti di
questa realtà. Mi è servita, grazie alle sue funzioni multiple,
come strumento di ricerca, come mezzo di inserimento nell'ambiente
e come testimonianza di indicatori della vita sociale immediatamente
visibili dal lettore.
Nel settembre 1990 i lavori di demolizione di una parte della
zona continuarono. Il terreno fu distrutto e la fabbrica di
cioccolato non resistì all'azione dei bulldozer. Molti ‘senza
casa’ hanno assistito allo spettacolo dal giardino (foto
n.11). Ciò che rimane sono gli spazi liberi, una
società di riunioni, la disuguaglianza. I senza casa parigini
sono ancora molto numerosi e pronti ad organizzarsi per ottenere
un alloggio rispettabile nella nostra capitale [3].
Photo n.11
© Sylvaine Conord
Sans logis face à la destruction d’une usine, Paris 20ème
NOTE
1] Per questo articolo mi
sono ispirata ad un lavoro universitario diretto da Carmen
Bernand e Renée Vigneron, università di Parigi 10, Nanterre,
1991.
2] Ho deciso non di presentare
la fotografia di Hervé senza l’autorizzazione esplicita. I
diritti sull'immagine fanno parte delle norme dell’antropologo-audiovisivo
contemporaneo.
3] Per questo articolo mi
sono ispirata ad un lavoro universitario diretto da Carmen
Bernand e Renée Vigneron, università di Parigi 10, Nanterre,
1991.
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