Immagine & Società
Fabio La Rocca (a cura di)
M@gm@ vol.6 n.2 Maggio-Agosto 2008
L'IMMAGINE COME
METAFORA DI CONOSCENZA DEL MONDO POSTMODERNO
(Traduzione Carlo Milani)
Fabio La Rocca
fabio.larocca@ceaq-sorbonne.org
Ricercatore di sociologia al Ceaq (Centre d’Etude sur l’Actuel et le Quotidien) dell'Université René Descartes, Sorbonne Paris V; Responsabile del GRIS (Gruppo di Ricerca sull'Immagine in Sociologia).
«L'immagine
può essere studiata solo dall'immagine»
Gaston Bachelard
Seguendo un'espressione di Georg Simmel «è sempre importante
individuare lo stile di un'epoca». Se fondiamo la nostra riflessione
sul momento attuale, possiamo parlare di un mondo oculocentrico,
del regno dell'immagine come stile che caratterizza la società
postmoderna. Assistiamo a un'epoca di transizione in cui s'instaura
un pensiero del vedere, che implica un'accentuazione del sensibile.
Secondo Berger «vedere viene prima delle parole»; in questo
modo, attraverso l'immagine abbiamo la possibilità di «presentare
ciò che è». Come già Simmel aveva mostrato - il famoso "colpo
d'occhio" - il nostro occhio è costruito in maniera tale da
poter compiere un'atto sociologico unico. Si manifesta dunque
la necessità cognitiva di comprendere il mondo che ci conduce
a vedere quello che abbiamo davanti, la necessità di essere
attenti all'atmosfera che permea la nostra società per cogliere
la possibilità di comprendere il nostro tempo. Questo tempo
dell'immagine, del ritorno dell'immaginario, giocano un ruolo
sempre più centrale nelle modalità che formano il nostro rapporto
con il mondo.
E allora la questione che si pone è la seguente: qual è la
trasfigurazione dell'immagine? Quali sono la forma e il ruolo
dell'immagine oggi? Gilbert Durand e Michel Maffesoli nelle
loro analisi hanno posto l'accento sulla paura dell'immagine
nell'epoca dell'iconoclastia. Questa attitudine iconoclasta
ha caratterizzato la storia del pensiero occidentale e ha
prodotto una diffidenza nei confronti dell'immagine. Il monoteismo
cristiano e la corrente logico-scientifica del cartesianesimo
hanno avuto come conseguenza una svalutazione dell'immagine
e dell'immaginario, che furono relegati appunto nell'ambito
dell'irrazionale e dell'irreale. La rivoluzione epistemologica
(Durand) e il nuovo spirito scientifico (Bachelard) testimoniano
la crisi delle certezze scientifiche del passato e riabilitano
in tal modo l'importanza dell'immagine nell'ambiente culturale
e scientifico. Oggi, con la rinnovata centralità dell'immagine
nella nostra società, il pensiero radicale contemporaneo,
secondo Maffesoli, ‘‘ha difficoltà a integrare (…) tutto ciò
che è dell'ordine della comunicazione non verbale’’ (Michel
Maffesoli, 1993 p. 84). Secondo il sociologo francese l'immagine,
il simbolismo, l'immaginario, l'immaginazione tornano a occupare
la ribalta della scena e si trovano a giocare un ruolo di
primo piano. L’analisi maffesoliana ci mostra la pertinenza
dell'immagine legata allo spirito del tempo. L’immagine viene
allora considerata come una delle caratteristiche principali
della postmodernità: un segno distintivo della nostra epoca.
Per Gilbert Durand «l'immaginario – l’insieme delle immagini
e delle relazioni fra le immagini e le relazioni che costituisce
il capitale di pensiero dell’homo sapiens – ci appare come
il grande e fondamentale denominatore nel quale vanno a sistemarsi
le procedure del pensiero umano» (Gilbert Durand, 1992). L'opera
di Durand, che si situa in continuità con i lavori di Gaston
Bachelard e di Carl Gustav Jung, rende all'immagine un ruolo
che i vari iconoclasmi hanno cercato di cancellare. Per questo,
in linea con l'analisi di Durand, possiamo parlare di una
archetipologia, cioè un mundus dell'immaginario che circonda
ogni possibile pensiero.
Oggi assistiamo a un'intensa sollecitazione visiva: proliferazione,
accumulazione e circolazione di immagini sono la risposta
allo zeitgest postmoderno, ovvero all'atmosfera di un'epoca,
all'aria che si respira. Allora chiunque, seguendo qui Edgar
Morin: «non deve rifiutare la dimensione estetica dell'immagine,
ma accettarla con gioia». E se consideriamo l'estetica, nel
senso in cui la intende Maffesoli [1],
come una forma di comunione, di condivisione e di messa in
relazione, bisogna portare all'attenzione la forza dell'immagine
medium di reliance. Quest'ultima (ritornerò su questo
aspetto nel corso della mia analisi), si rivela un aspetto
non trascurabile nel discorso sull'immagine e sulla sensibilità
fenomenologica. A questo proposito, sarà dunque appropriato
parlare di fenomenologia dell'immagine. Sviluppata da Husserl,
la fenomenologia, dal greco phainomenon cioè quello
che appare, permette alla coscienza di cogliere degli elementi
che superano la semplice rappresentazione. Perciò l'immagine
pone la coscienza in relazione con le cose stesse e associa
il soggetto con il mondo e con l'essere.
E' importante segnalare in questo discorso l'idea di Gilbert
Durand che percepisce nell'immagine un fattore dinamico di
riequilibrio mentale, cioè psicosociale [2].
L'immagine, in effetti, viene considerata come una traccia
lasciata dall'uomo, manifesta delle presenze e costituisce
una memoria dell'umanità. Per questa ragione, l'immagine è
eikôn ovvero funziona come memoria permanente dello sguardo.
Il termine greco eikôn viene impiegato per nominare «quello
che riproduce, ripresenta, rende presente» e a partire da
qui l'origine iconica. L’iconologia, unione di eikôn (immagine)
e logos (discorso), designa allora l'arte del discorso con
le immagini o più semplicemente la scienza dell'immagine.
Il cambiamento storico verificatosi con l'avvento della postmodernità
ci segnala di conseguenza il ruolo che l'immagine gioca nella
nostra società. Dalla fine delle grandi narrazioni annunciata
da Lyotard (1979), s’impone un cambiamento di paradigma che
porta di conseguenza all'affermazione del linguaggio visuale
e a una nuova cultura dell'immagine. Diversi autori ritengono
che nel postmoderno l'immagine sostituisce il testo. Si potrebbe
perciò parlare di un passaggio dalla Galassia Gutenberg al
mondo come immagine. Un'immagine che nella cultura contemporanea,
come hanno mostrato F. Casalegno e S. Hugon (2004), è bloccato
dal potere del testo. D'altra parte, questa affermazione deve
tenere conto del fatto che, in un'analisi della società attraverso
le immagini, i due elementi, testo e immagine, si trovano
in un rapporto fusionale e la loro integrazione rappresenta
in questo senso una ricchezza per ogni analisi. La fusione
testo + immagine costituisce in effetti uno svolgimento narrativo.
Questa complementarietà, seguendo Chaplin, può generare un
elevato livello di comprensione sociologica.
L’affermazione di Gillian Rose (2001) che la postmodernità
è oculocentrica mette in evidenza questa centralità dell'immagine
nelle forme di relazione e d'interazione. In un certo senso,
si stabilisce una nuova tonalità affettiva, che Jameson (1989)
definisce intensities ovvero i sentimenti. Se ci concentriamo
per un attimo su questo elemento della tonalità affettiva,
è importante sottolineare quello che Maffesoli chiama la «reliance
imaginale», cioè degli spazi simbolici che generano e
confortano il legame. Per Maffesoli la socialità riposa sulla
condivisione delle immagini e le diverse tribù che esprimono
le loro affinità elettive in effetti rinforzano la propria
struttura grazie a questa condivisione. Perciò nella comprensione
della realtà sociale l'immagine occupa un posto importante,
avvolge le cose ed è un mesocosmo (ovvero è nel mezzo), cioè
stabilisce un ordine simbolico. L’immagine come mesocosmo
simbolizza allora un elemento interstiziale fra il macrocosmo
e il microcosmo, un mondo di mezzo come direbbe Maffesoli
[3], con la sua funzione
di reliance che invita alla comprensione della realtà
sociale. Proprio a partire da questa constatazione oggi possiamo
vedere l'importanza dell'immagine nella società e il suo ritorno
in forza che si esprime attraverso la sua proliferazione e
circolazione. L'effetto di questa proliferazione conduce spesso
a una distinzione tra il quantitativo e il qualitativo. Lo
slogan «un eccesso d'immagini uccide l'immagine» ci appare
in linea di principio una posizione che «criminalizza» troppo
l'immagine. In questo testo abbiamo scelto di concentrarci
non sull'effetto del quantitativo che rischia di portarci
a una riflessione eccessivamente vasta e complessa, ma di
focalizzare l'attenzione sul ruolo dell'immagine nella conoscenza
del mondo.
Riprendo qui un'idea di Maffesoli (che si ispira all'angeologia
di Henry Corbin): «il ruolo dell'immagine, il prendere visione,
si iscrivono nella funzione dell'angelo». Attraverso un linguaggio
che si potrebbe definire "imagista", secondo il filosofo e
orientalista Henry Corbin, (che insieme a C.G.Jung e Mircea
Eliade fu uno dei pilastri del circolo Eranos), l'immagine
dell'angelo ha una funzione mediatrice. Questa funzione mediatrice
costituisce d'altra parte una delle caratteristiche principali
dell'immagine. Questa evocazione dell'immagine come angelo
è una metafora che esprime la sua forza interpretativa della
pluralità del reale. Per esempio, in un'attività di ricerca
e analisi, l'immagine può essere considerata alla stregua
di un "angelo messaggero" che accompagna il ricercatore (per
esempio in una ricerca sul campo che si avvalga dell'immagine
come strumento), un aiuto alla comprensione e alla conoscenza
del mondo sociale.
La metafora etimologicamente è trasporto puro: il termine
greco originale metaphora, significa infatti trasporto,
trasferimento di senso. In questo senso può rivelarsi utile
per cogliere la significazione, e diventare uno strumento
privilegiato attraverso il quale si descrive ciò che è. Nel
sistema semiotico di Pierce, la metafora è pensata come un
modo di produzione di senso, e Peirce la considera anche come
un'immagine mentale di una idea o di un concetto. La metafora
può rivelarsi utile per cogliere la significazione, e diventare
perciò uno strumento privilegiato attraverso il quale si descrive
ciò che è. Dev'essere pensata come un codice comunicativo
simbolico, come il fondamento costitutivo per la conoscenza
e la comprensione del mondo. Pensiamo ad esempio all'utilizzo
della metafora in sociologia, usato fra gli altri da Simmel
e Goffman. Quest'ultimo faceva ricorso alla metafora come
modello esplicativo della realtà: la drammaturgia, lo spionaggio,
il gioco per leggere le interazioni faccia a faccia e la presentazione
di sè nella vita quotidiana sono stati strumenti per la descrizione
della realtà sociale.
Allo stesso modo, l'immagine come «metafora visuale», (con
questo bisogna intendere un'immagine che opera un trasfert
di senso), rappresenta una struttura che manifesta un insieme
di significazioni per comunicare un insieme di relazioni in
un dato contesto (ad esempio una certa cultura). Roland Bartes
(1964), nella sua retorica dell'immagine, applica a titolo
esemplificativo la concezione della metafora all'immagine
pubblicitaria, studiando la struttura interna di un'immagine
fissa (la pubblicità della pasta Panzani). D'altra parte,
fra le immagini materiali la fotografia è la più utilizzata
come metafora della percezione; perciò in un certo senso possiamo
dire che la metafora (in questo caso visuale) diventa un medium.
Nei discorsi scientifici, la metafora è sempre stata l'ambito
privilegiato del linguaggio, fenomeno esclusivamente linguistico
ed espressione di una tendenza verbocentrica (U. Eco). Anche
questa è una conseguenza del fatto che la comunicazione verbale
è stata il medium privilegiato, o meglio il più frequente
nella comunicazione. Tuttavia sappiamo bene che le interazioni
fra gli individui non sono limitate alla sola comunicazione
verbale. Numerosi studi hanno posto l'accento sull'aspetto
non verbale della comunicazione, soprattutto nei modelli d’interazione
studiati da Watzlawick e dagli altri membri della Scuola di
Palo Alto.
Questi ultimi ritengono, secondo la concezione della pragmatica
della comunicazione umana, che "ogni comportamento, non solo
il discorso, è comunicazione, e ogni comunicazione - persino
i segni che aprono la comunicazione in un contesto impersonale
– riguarda il comportamento" (P.Watzlawick, J. Helmick-Beavin,
D.Jackson, 1972, p.16). In questo modo possiamo considerare
l'immagine come parte integrante di questo sistema della comunicazione:
in effetti nella nostra società le immagini diventano il canale
privilegiato della comunicazione e osservare questo cambiamento,
sia sul piano sociale che sul piano culturale, ci conduce
correttamente a pensare il quotidiano come "società dell'immagine".
La specificità oculocentrica della postmodernità è caratterizzata,
secondo Gillian Rose, dalla quantità di immagini che circolano
e articolano la conoscenza e anche dal fatto che gli individui
interagiscono sempre più con esperimenti visuali totalmente
artefatti (Patrizia Faccioli, 2007, p.10). L'immagine sarà
allora il medium privilegiato con il primato della verifica
ottica che predomina rendendo l'osservazione una necessità
dell'impresa scientifica (A. Gauthier 1993). Allora in questa
impresa l'immagine dev'essere considerata al pari di un discorso
visuale che racconta, descrive, argomenta, mostra con il suo
proprio linguaggio. Quest'ultima azione, ovvero la mostrazione,
(dal latino monstratio significa l'atto di mostrare
un percorso, l'indicazione) è il fatto di mostrare, di dare
a vedere, centrato sul qui e ora. D'altra parte la sociologia
comprensiva si situa in questo campo (la monstrazione) e in
questo modo focalizza la propria attenzione sul senso comune,
sul vissuto quotidiano (Schütz).
In quella che può essere definita la "mostrazione per immagine"
c'è un rapporto di simultaneità e di sincronia con l'evento
mostrato. In ciò consiste l'istanza «mostratrice» propria
dell'immagine, una registrazione di qualcosa a cui si presta
attenzione. Le immagini codificano perciò un'enorme quantità
d'informazione e il loro carattere polisemico consente a chiunque
di poter leggere l'immagine a partire dal proprio vissuto
personale, di dargli un senso e di interpretarlo. Un'immagine
di ordine emotivo e anche, come mostra J.M. Rabot (2007),
indice e vettore di socialità e dunque in grado di fecondare
i fenomeni di socialità. Si trova qui una forza dell'immagine
che, nel solco del pensiero di Maffesoli, può essere considerato
come un segno di appartenenza tribale che struttura e rinforza
nello stesso tempo l'ideale di questa appartenenza. Seguendo
Maffesoli possiamo perciò affermare che: "la socialità, quella
del «mondo della vita» (Lebenswelt) (….) riposa sulla
«condivisione dell'immagine"» e dunque "[…] l'ideale comunitario
ha bisogno di simboli esteriori, di immagini condivise per
tradurre la forza che lo struttura all'interno" (M.Maffesoli,
2006, p.129). A mio parere, questa formula trova anche espressione
nella concezione del termine figurabilità, utilizzato da Freud
nella sua analisi del sogno, che consiste, in breve, nella
trasformazione del pensiero onirico in situazioni visuali,
in immagini. Possiamo rendere il termine rappresentazione
visuale anche sotto la forma di figurabilità, ovvero come
una qualità che evoca un'immagine. L'immagine sarà così vista
come una forza formatrice e informatrice della dinamica dell'appartenenza
tribale. Essa intrattiene sempre un rapporto con la realtà
del mondo o dell'immaginario e struttura in un certo modo
i modi dell'essere. D'altra parte, Michel Maffesoli ci ricorda
che "questi modi dell'essere non dipendono solamente dalle
cause esterne che accadono, ma anche dalla loro dinamica interna,
da una sorta di potenza immanente che (….) traduce il vitalismo
e il perdurare dei gruppi sociali. […] una simile potenza
trova la propria origine nella messa in comune del mondo delle
immagini" (M. Maffesoli, 2007, p.107).
In questo magma di immagini che definiscono in tal modo il
"mondo delle immagini", o Mundus imaginalis per riprendere
l'espressione di Herny Corbin, non dobbiamo pensare all'immagine
come una semplice interfaccia tra il reale e l'immaginario,
ma come dice bene Edgar Morin, è "l'atto costitutivo radicale
e simultaneo del reale e dell'immaginario" (E.Morin,1982,
p.XI).
Nella sua analisi sull'immaginario, Valentina Grassi ci fa
notare che "se il mondo passa attraverso le immagini, esse
possiedono un potere immenso, fondano il senso" (V. Grassi,
2005, p.12). A questo proposito ci sembra pertinente concentrare
l'attenzione sulla profusione e la pregnanza dell'immagine
nella vita sociale, di ammettere, giustamente, che la postmodernità
è il regno nel quale l'immagine feconda i fenomeni sociali.
L'espressione "Museo immaginario [4]"
utilizzata da Gilbert Durand nell'introduzione alla mitodologia
(1996) simbolizza, nella civiltà occidentale, questa invasione
dell'immagine. Di conseguenza l'individuo è completamente
immerso in questo mondo immaginifico che opera così una trasfigurazione
della socialità postmoderna; possiamo perciò affermare, seguendo
Maffesoli, che questa profusione di immagini trasforma il
corpo sociale.
La società, come diceva Castoriadis nella sua domanda «Perchè
c'è qualcosa invece che nulla?» esiste solamente se ci si
procura un senso. L'immagine e l'immaginario, come abbiamo
mostrato, sono una parte attiva della produzione di senso
ed è per questo che concepiamo e diamo senso alla concezione
della società dell'immagine. L'oggetto della conoscenza, seguendo
l'idea della riforma del pensiero sociologico di Morin, è
costituito da un oggetto aperto e complesso con la compartecipazione
di molte forze interne. L'integrazione di un punto di vista
gnoseologico (V.Grassi 2005, p.131), a mio parere, deve tener
conto di un'apertura di spirito che sarà necessaria per la
conoscenza degli aspetti del mondo contemporaneo e concentrarsi
sul "presenteismo" (Maffesoli), sull'istante vissuto. E' chiaro
perciò che l'esperienza di vita si fa oggi anche con le immagini.
Immagini che possiamo pensare come lo specchio della società
attuale. D'altra parte lo specchio è la figurazione simbolica
dell'immagine e Wunenburger nella sua analisi dello speculum
vs imago ci dice che la problematica ontologica dell'immagine
si trova condensata nella metafora dello specchio. Specchio
(Platon, Leibniz, Lacan) che forma così la figurazione simbolica
dell'immagine, il centro dell'alterità e dell'identità.
Le numerose creazioni d'immagini di ogni tipo, che al giorno
d'oggi circolano anche e soprattutto grazie allo sviluppo
tecnologico attraverso Internet, sono in fondo un'espressione
di questa figurazione simbolica dello specchio: alterità e
identità. Tutto ciò pone in essere un'ampia rete di condivisione,
di legami immaginifici (Maffesoli), un processo, si può dire,
di mimesis che è espressione di un desiderio relazionale,
di dipendenza dall'altro attraverso il quale gli individui
fanno esperienza della loro Erlebnis ovvero del loro
vissuto personale.
Per concludere, ritengo che l'immagine, i simboli, l'immaginario,
aprano le porte del vasto mondo dell'esperienza e della conoscenza
e consentono una migliore comprensione della società nella
quale ci troviamo. Ci permettono anche di andare in profondità
nelle cose, di esplorarne la dimensione nascosta, poichè l'anima,
come sosteneva Aristotele nel "Trattato dell'anima": non pensa
mai senza immagine.
NOTE
1] Rinviamo per l'analisi
estetica a Michel Maffesoli, Au Creux des apparences,
pour une éthique de l’esthétique, La Table Ronde, Paris,
1990 (réédition 2007).
2] Si veda la concezione
di psicologismo metodologico e di metodo di convergenza sviluppato
da questo autore.
3] A tal proposito
si veda il secondo capitolo di M. Maffesoli, La contemplation
du monde, figures du style communautaire.
4] Un'espressione che Durand
riprende da André Malraux.
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