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M@gm@ vol.5 n.3 Juillet-Septembre 2007
ATELIER IMMAGINARIO AUTOBIOGRAFICO
(A cura di Orazio Maria Valastro, Associazione “Le Stelle
in Tasca”, Catania 2006, 122 p.)
Danila Allegra
danilaallegra@libero.it
Laureata in filosofia con la
tesi dal titolo: La parafrasi anonima del Commento di Temistio
alle Categorie di Aristotele; Master sulla Comunicazione ed
i Linguaggi non verbali che le ha aperto le porte al complesso
mondo della disabilità verso il quale ha sempre nutrito particolare
interesse; Esperta nelle pratiche d’aiuto non verbali, ha
lavorato con diversi ruoli nell’ambito del sociale.
"Credo
nel potere che ha l’immaginazione di plasmare il mondo, di
liberare la verità dentro di noi, di cacciare la notte, di
trascendere la morte, di incantare le autostrade, di propiziarci
gli uccelli, di assicurarsi la fiducia dei folli. (...) Credo
nella morte delle emozioni e nel trionfo dell’immaginazione.
(...) Credo a tutte le mitologie, ricordi, bugie, fantasie,
evasioni. Credo nel mistero e nella malinconia di una mano,
nella gentilezza degli alberi, nella saggezza della luce.
(...) Credo nella bellezza di tutte le donne, nella perfidia
della loro immaginazione che mi sfiora il cuore; nell'unione
dei loro corpi disillusi con le illusorie sbarre cromate dei
banconi dei supermarket; nella loro calda tolleranza per le
mie perversioni."
Re/Search - J.G. Ballare
Atelier dell’immaginario autobiografico
L’immaginario muove il mondo, scrive le pagine della storia,
fa sì che le dimensioni temporali di passato, presente e futuro,
si mescolino e prendano forma, un’unica forma: simboli e concetti
presenti nella memoria si fondono per creare una storia, poi
un’altra ed un’altra ancora, nell’infinità dei mondi possibili.
E’ un ponte d’unione tra la vita reale ed il luogo-non luogo
della possibilità, della progettazione, della creatività,
della mimesis, della poesia, delle opere d’arte e d’innumerevoli
universi mitici. Si tratta di una discesa nelle profondità
della propria anima per riconoscere i contenuti di tali profondità
ed integrarli alla coscienza. Jung descrive, appunto, l'immaginazione
attiva come un metodo “d’introspezione, cioè di osservazione
del flusso delle immagini interne”. Provocando attivamente
l'apparizione delle immagini, infatti, si attinge agli strati
psichici più profondi dell’individuo con lo scopo di favorire
l'emergere dei simboli e di giungere ad un effetto tanto creativo
quanto curativo.
Atelier dell’immaginario autobiografico è un’opera d’arte
portata a compimento da persone che sono riuscite a cogliere
l’immaginario che vive e muta dentro di loro; quell’immaginario
che si evolve nello stesso momento in cui si trasforma il
mondo interiore ed occorre che le nuove immagini vengano sempre
considerate come realtà nascenti. E’ necessario entrare nella
storia confrontandosi con gli elementi che vi appaiono, senza
la distanza che potrebbe porvi chi osserva e giudica con gli
strumenti della ragione. La storia esistenziale di ciascuno
è unica ed irripetibile in quanto è proprio l’immaginario
ad essere in grado di liberare la verità nascosta dentro di
noi, di mettere a nudo la nostra essenza creando un’opera
d’arte che sia proprio la nostra vita, commistione di razionale
ed irrazionale, sublimazione dell’amata follia.
Atelier dell’immaginario autobiografico è un titolo che rimanda
ad elementi d’arte, di psicologia, di letteratura … l’essere
umano non è forse un po’ di tutto ciò? Si può suddividere
il volume sopra citato in due parti: una teorica ed una prettamente
pratica. La prima parte costituisce una serie di premesse
dalle quali prende l’avvio la seconda parte che è rappresentata
da una serie di proposte per raccontarsi in gruppo. L’insieme
delle premesse teoriche, linee guida per pensare, riflettere,
scrivere e raccontare di sé, è presentato dal titolo “Arte
dell’esistenza e poetica della narrazione”. Sono qui contenuti
preziosi elementi teorici e tanti spunti di riflessione per
l’estrinsecazione della propria storia di vita attraverso
un processo di riformulazione, ampliamento e decentramento
del sé, come sostiene O. M. Valastro.
Dal felice sposalizio fra l’arte dell’esistenza e la poetica
della narrazione nasce l’autobiografia, genere letterario
che il critico francese Philippe Lejeune ha definito come
“il racconto retrospettivo in prosa che un individuo reale
fa della propria esistenza, quando mette l’accento sulla vita
individuale, in particolare sulla storia della propria personalità”.
Nella prefazione A. M. S. Valastro, presidente dell’associazione
“Le Stelle in Tasca”, afferma che partecipare ad un laboratorio
d’autobiografia rappresenta un rivivere con la mente il tempo
che fu e l’autobiografia costituisce un ottimo mezzo per raccontare
di sé, ma anche per aiutarci a superare le difficoltà che
la vita ci pone dinnanzi, per conoscerci meglio, trovare un
senso al nostro percorso esistenziale ed una collocazione-ricollocazione
su questa Terra. A. M. S. Valastro pone l’attenzione sulle
funzioni: catartica, liberatoria, riparatrice, terapeutica,
delle quali può essere, magicamente, investita la scrittura
ed in particolare la scrittura di sé.
A tale premessa si collegano gli altri spunti teorici che
compongono la prima parte del libro, i quali ruotano tutti
attorno al perno della storia di vita ed alla scrittura quale
mezzo per parlare di sé. O. M. Valastro evidenzia il concetto
del prendersi cura della propria vita, riallacciandosi al
significato heideggeriano di cura inteso nel genuino senso
ontologico-esistenziale; cita il concetto di Demetrio relativo
alla trasformazione del “noto in ignoto, in possibile”, quale
processo indispensabile per una ricerca di senso ed una progettazione
esistenziale, fino a giungere a due delle possibili funzioni
delle pratiche narrative: quella riparatrice e quella curativa
che permettano di riprogettare l’esistenza. L’esistere diventa,
infatti, opera d’arte, quando si è in grado di vivere e rivivere
ancora cercando sempre un senso, ponendosi una meta, un obiettivo;
progettando e riprogettando, scrivendo delle pagine di vita
per poi, cancellarle e scriverne delle altre; giocare con
la propria storia, esplorare con la fantasia e con l’immaginazione
luoghi ignoti; vita come prodotto artistico è plasmare, trasformare,
creare, perdersi mille volte, ma ritrovare sempre il proprio
cammino.
All’ascolto ed alla narrazione di sé introdotte da O. M. Valastro,
segue “Ascoltare e scrivere se stessi” di A. Zulato. Partendo
dal “Conosci te stesso”, sofferma l’attenzione sul significato
dello scrivere ed in particolare della scrittura autobiografica.
Interessante il concetto dello scrivere per “ricollocarci
in noi stessi”, parlare della propria vita senza il timore
di restare intrappolati nei ricordi, ma, invece, nella speranza
di riuscire a riconciliare ciò che ci tiene ancorati al passato
e che ci ostacola nel riconoscere il nuovo, il misterioso,
l’ignoto della dimensione del futuro. Scrivere di se stessi
tenendo bene a mente il concetto del riprogettare l’esistenza,
partendo dalla consapevolezza di ciò che si è (conosci te
stesso) per giungere alla ricollocazione del proprio sé.
F. Batini nei suoi “Racconti che fanno esistere”, fa appello
al diritto al racconto che non conosce limiti di alcun genere,
perché ognuno di noi ha l’esigenza di parlare di sé, di raccontarsi
per legittimare la propria esistenza. “Racconti che fanno
esistere” esprime quell’urlo silenzioso, imploso dentro di
noi, quell’esigenza di scrivere per sentirci qualcosa di più
della miriade di puntini anonimi che popolano il mondo. Al
“cogito ergo sum” fa spazio lo “scribo ergo sum”. L’autore
riporta alcune testimonianze d’identità “nonostante tutto”,
d’esistenze per lungo tempo negate e, finalmente, riconsegnate
e di un’urgenza forte, irresistibile, di raccontare la propria
storia. La narrazione può, dunque, facilitare la costruzione-ricostruzione
dell’identità personale e restituire senso e significato ad
una vita che sembrava averli perduti per sempre.
F. Testa illustra un’altra modalità per parlare di sé, infatti,
dedica le sue parole alla poesia, intesa quale forma suprema
di svelamento dei misteri della psiche. In rilievo risultano
essere le caratteristiche del poeta che non utilizza la parola
quotidiana, ma una metafora sonora che non spiega, ma consiglia
e accenna, nonché la sua creatività e la straordinaria capacità
di attingere al mondo della natura. Il poeta è il sommo artista
che, tramite l’arte della mimesis, ricrea, riunisce ciò che
si è spezzato, rende divino il non divino. Per scrivere la
propria autobiografia bisogna svegliare l’animo poetico che
dorme dentro ciascuno di noi e permettergli di creare e ricreare,
senza regole, censure, ferrei criteri della logicità o della
linearità causale. La poesia è un altro mezzo d’esposizione
della propria storia, genere che concilia elementi mitici
ed irrazionali ad elementi reali e razionali sotto il segno
della fluidità e della musicalità, riunendo i mille mondi
delle possibilità in un’opera d’arte tanto unica ed originale
quanto è la storia di vita di ciascun essere umano. Testa
fa riferimento all’attività immaginativa strettamente connessa
con la dimensione soggettiva, interiore dell’individuo, la
quale attiva la sfera emotiva cosicché le emozioni possano
muovere l’anima verso un rapporto più autentico con il mondo,
accrescendo il senso dell’identità (per dirla con il filosofo
francese Corbin “le immagini allargano il cuore”).
M. Moretti e A. Debernardi continuano a parlare dell’arte
poetica ed in particolare della poesia come pratica di ri-costruzione
di senso. Si parte dal concetto secondo cui il nostro nome
non deve mai essere scritto sull’acqua e, quindi, dall’esigenza
di non essere dimenticati, di esistere tramite il racconto
di una storia, consapevoli del fatto che non è semplice costruire
un’identità in mezzo a tante “alterità” e, tramite una critica
alle istituzioni ed alla società, gettano le basi per una
ri-costruzione di senso.
Conclude la prima parte del volume S. Giuffrida, offrendoci
un’alternativa di racconto tramite le immagini. Introduce
una sorta di parallelismo del diciannovesimo secolo fra il
cinema e la psicanalisi e mette in luce la rinascita del sé
nella trasposizione cinematografica. Racconta della possibilità
di narrare e scrivere per immagini sia dal punto di vista
dell’autobiografo che cura l’autore, sia dell’autobiografo
che cura l’attore. Il verbo “cura” rimanda ad un’ottica terapeutica,
esplicitata nelle intenzioni dello scritto ed insita, forse,
anche nella cinematografia.
Il volume sembra percorso da un’unica voce, da una sola coscienza
che riflette e corre, inarrestabile come un flusso d’idee
che s’acquieta solo quando trova un senso. Ed è proprio la
ricerca di un significato il filo conduttore dell’intero libro:
la scoperta del senso dell’esistere.
Dopo un interessante excursus sui possibili mezzi d’espressione
ed esposizione di sé (l’autobiografia, la poesia, il racconto
immaginario, la cinematografia), il volume ci offre intelligentemente
anche gli strumenti, le tecniche per prendere coscienza e
quindi esplorare il nostro “atelier dell’immaginario”. La
seconda parte del volume riporta, infatti, le tappe più significative
di un percorso strutturato condiviso in gruppo, un viaggio
la cui meta non sono i confini del mondo, ma un perdersi nell’incomprensibilità
dei misteri dell’immaginario per poi ritrovarsi nella piena
consapevolezza di una storia di vita che ci rende irripetibili.
Nel testo è sottolineato il fatto che le varie tappe del laboratorio
vengono percorse insieme, in gruppo. L’etimologia di gruppo,
ovvero nodo, rimanda ad un legame organico di parti all’interno
di un involucro, alla sensazione di far corpo. Secondo D.
Anzieu, il gruppo mette in comune fondamentalmente un immaginario;
è il luogo di “fomentazione delle immagini” inconsce, ovvero,
una rappresentazione immaginaria che soggiace ai vari gruppi.
L’esplorazione in gruppo durante il laboratorio permette di
mettere a confronto i differenti universi mitici, dà un’ulteriore
spinta alla creatività, permette un continuo e proficuo scambio
di contenuti, idee, sensazioni. Allora avviene la fusione
di più anime perché il gruppo si fa un unicum e c’è una totale
armonia e condivisione di tutto.
La seconda parte del libro entra subito nel vivo del laboratorio.
Scrivere un’autobiografia ha inevitabilmente a che fare con
la memoria e con l’identità: esiste un esercizio che mette
in moto entrambe e fa sì che entriamo in contatto con noi
stessi e con gli altri, con il mondo dentro di noi e con quello
esterno a noi. Quando riflettiamo su chi siamo, andiamo indietro
con la memoria e con il tempo, pensiamo al momento in cui
ha avuto inizio la nostra storia e ci viene subito in mente
il nostro nome. Inoltre, dire il nostro nome è la prima mossa
che facciamo, quando dobbiamo presentarci all’altro e, poi,
ci fa sentire “qualcuno”: è espressione di un’identità spesso
dimenticata e soffocata. Il primo esercizio svolto nel laboratorio
d’autobiografia e promosso dalla sensibilità dell’Associazione
“Le Stelle in Tasca”, consiste proprio nella metafora del
nome (Oddi Baglioni, 2000). Bisogna raffigurare e presentare
al gruppo l’immagine che rappresenta il nome, utilizzando
sia il linguaggio non verbale del disegno, sia quello verbale
della “spiegazione” orale dell’immagine rappresentata.
Il secondo esercizio si collega alla raffigurazione del nome
ed avvia il gruppo ad un lavoro individuale di scrittura.
Tenendo presente che si scrive per sé e non per gli altri,
ogni componente del gruppo dovrà scrivere il racconto immaginario
del proprio nome. La raffigurazione mette ognuno in ascolto
di se stesso e posa l’accento sul concetto d’identità; il
racconto immaginario del nome ha l’obiettivo di promuovere
ed alimentare il piacere di scrivere, ma anche di risvegliare
l’immaginario e chiamare in causa la creatività.
Per esplorare il mondo del proprio immaginario è stato applicato,
all’interno del laboratorio in questione, il Test Antropologico
dell’immaginario a nove elementi (chiamato AT.9), definito
da Y. Durand come un’opera che suscita una rappresentazione
mito-drammatica di sé. Tramite l’AT.9 è possibile realizzare
un disegno ed un racconto nei quali fuoriesce l’autenticità
esistenziale della persona con la sua sofferenza e le sue
possibilità creative (Yves Durand). La storia di ognuno inizia
ad uscire fuori, “solleticata” e stimolata da simbolismi che
toccano la nostra parte più intima: emergono i primi tasselli
per la costruzione di un percorso autobiografico. Il simbolo,
scrive Corbin, non è un segno artificialmente costruito, ma
è ciò che nell’anima spontaneamente si schiude per annunciare
qualcosa che non può essere espresso altrimenti. Esso è l’unica
espressione attraverso cui una realtà si fa trasparente all’anima,
mentre in se stessa rimane al di là di ogni possibile espressione.
Una storia non è mai identica ad un’altra, tramite il simbolismo,
la creatività e l’immaginario vengono fuori universi mitici
differenti nei quali predominano: la modalità eroica, mistica
e sintetica descritte da O. M. Valastro nell’ultima parte
del volume.
I simboli emersi tramite l’AT.9 vengono collocati nella spirale
dell’esistenza, creando un’organizzazione ellittica (Demetrio)
che costituirà la base per l’elaborazione di un’autobiografia,
frutto di un profondo viaggio introspettivo. Nuovi mondi diventano
allora possibili: diventa possibile innanzi tutto immaginare
- e poi forse anche realizzare - una progettualità costruttiva
e liberatrice che, affondando le radici nel passato e nutrendosi
del tempo dell’esperienza presente, sappia gradatamente condurre
verso il futuro. In questo senso l’immaginazione è un ponte
verso il futuro, dimensione non solo temporale, ma soprattutto
legata alla progettualità, alla possibilità ed alla speranza.
Dopo aver illustrato il volume “L’Atelier dell’immaginario
autobiografico”, sarà più semplice capire che questo libro
è rivolto a coloro i quali decidono di prendersi cura della
propria vita, di fermare per un attimo la frenesia della propria
esistenza, di riflettere e ritagliare uno spazio per se stessi,
compiere un atto d’amore sincero verso il dono più prezioso
che è quello del mistero della vita. Il libro non obbliga
a scrivere un’autobiografia, ma offre una grande possibilità:
quella di dare un senso alle nostre pagine di vita, di trovare
una ricollocazione nella storia, di sciogliere delle matasse,
di razionalizzare ed elaborare periodi bui e di far emergere
ciò che è rimasto per troppo tempo nel dimenticatoio.
Penso che ogni essere umano vorrebbe raccontare di sé, creare
un’opera d’arte che sia la sua stessa vita, ma non sempre
tale esigenza trova concretizzazione. C’è chi non ha tempo
o non vuole trovarlo, chi ha paura di lasciarsi trasportare
dalla magia della scrittura, chi ha il timore di essere sopraffatto
dai ricordi, chi si rifiuta di ricordare, chi è impedito dalla
sofferenza, chi non vuole mettersi in gioco o chi è semplicemente
pigro. Ricordiamo, però, che scrivere la propria autobiografia
è un dono che si fa a se stessi; è prendere in mano la propria
vita e decidere di renderla eterna, di farla sopravvivere
a noi stessi, così che si possa parlare di noi anche quando
il nostro cuore avrà smesso di battere; è prendersi cura delle
sofferenze e delle gioie che costellano il nostro percorso,
coccolarsi ed amarsi.
E’ triste pensare di non riuscire a trovare tempo e pazienza
per prendersi cura di sé, della propria interiorità. Heidegger
direbbe che così facendo si correrebbe il rischio di restare,
per sempre, gettati nel mondo. Siamo sicuri di non voler trovare
un senso, di non voler lanciarci alla ricerca dell’autenticità
della storia della nostra esistenza?
Atelier dell'Immaginario Autobiografico
A cura di Orazio Maria Valastro
© 2006 “Le Stelle in Tasca” ISBN 88-902163-1-X
www.lestelleintasca.org
INDICE DEL VOLUME
PREFAZIONE
L’autobiografia per raccontare di sé p. 7
Antonino Maria Santi Valastro
PARTE PRIMA
Arte dell’esistenza e poetica della narrazione
Ascolto e narrazione di sé: prendersi cura della propria vita
p. 13
Orazio Maria Valastro
Ascoltare e scrivere se stessi p. 27
Antonio Zulato
Racconti che fanno esistere p.33
Federico Batini
La poesia e l’arte della mimesis p.45
Ferdinando Testa
La poesia come pratica di ricostruzione di senso p.57
Marina Moretti e Augusto Debernardi
L’autobiografia per immagini p.65
Silvia Giuffrida
PARTE SECONDA
Proposte e percorsi per raccontarsi
Orazio Maria Valastro
1. L’IMMAGINE DEL MIO NOME p.79
1.1 Entrare in contatto con l’altro e noi stessi
1.2 Il mio nome è raffigurato da…
1.3 Il racconto immaginario del mio nome
1.4 Metafore di sé
1.5 Il mio io
2. ESPLORAZIONE DELL’IMMAGINARIO E DEGLI UNIVERSI
MITICI p. 88
2.1 Il modello semantico delle strutture dell’immaginario
2.2 L’At.9: un metodo per approfondire la conoscenza del proprio
immaginario
2.3 Rappresentazione mito-drammatica d sé
2.4 At.9:realizzazione di un disegno e di un racconto
2.4.1 Creare un disegno
2.4.2 Descrivere e raccontare
2.5 Iillustrazioni e racconti
3. SCRITTURE SIMBOLICHE p.109
3.1 La funzione socializzante dell’immaginario
3.2 Schema per l’approfondimento dell’immaginario personale
3.3 Scrittura autobiografica e immaginazione simbolica
3.4 La spirale della vita
3.5 Scritture di sé
4. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI p. 120
NOTA SUGLI AUTORI p. 121
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