Cecilia Edelstein - Massimo Giuliani - Orazio Maria Valastro
Il primo seminario, in collaborazione
con l’associazione Shinui, Centro di Consulenza sulla Relazione,
fu organizzato da Cecilia Edelstein e Massimo Giuliani (soci
dell’Associazione Shinui e membri dello staff docente) insieme
ad Orazio Maria Valastro. L’evento era rivolto alla Scuola
triennale di Counseling Sistemico Pluralista di Bergamo ed
al corso annuale in Counseling e Terapie Interculturali, entrambi
interni all’Associazione Shinui. Il seminario, della durata
di una giornata, aveva un taglio esperienziale. Dopo una breve
presentazione di Cecilia Edelstein e due relazioni di Orazio
Maria Valastro e Massimo Giuliani, la maggior parte della
giornata è stata dedicata al lavoro in gruppi di circa dodici
persone intorno a tematiche specifiche. Le tematiche erano:
gli aspetti etici della professione del counseling; le tecniche
sistemiche nel counseling interculturale; il counseling interculturale
nei diversi ambiti di applicazione; infine il lavoro dell’équipe
multidisciplinare. La giornata, insomma, ha costituito un’occasione
per una riflessione a trecentosessanta gradi sul counseling
e sulle culture: per una volta, fuori dei luoghi (non tanto
quelli fisici, la giornata si è svolta nella sala del Centro
La Porta di Bergamo, che da sempre ospita le iniziative “aperte”
di Shinui) in cui tale discussione è abituale e dalle conversazioni
inevitabilmente auto-referenziali che si svolgono fra componenti
di una stessa comunità.
Da quando le tematiche dell’intercultura
si sono imposte all’attenzione dei professionisti dell’aiuto
e della relazione, nell’ambito del pensiero sistemico si è
sviluppato un filone interculturale: è possibile rintracciare
le ragioni dell’ “attrazione” da parte della sistemica verso
i temi della differenza culturale a partire da quattro concetti
cari alla sistemica: la “differenza” come informazione, il
paradosso, la comunicazione cosmopolita, la curiosità cecchiniana.
Il presente articolo si sofferma sul conflitto identitario di bambini immigrati e di quelli accolti in adozioni internazionali. Attraverso brevi presentazioni di casi, si osserva come la convivenza dei diversi spezzoni dell’identità diventa faticosa, disarmonica e squilibrata e vengono descritti i possibili effetti emotivo-comportamentali che comprendono a volte sintomi di tipo psicotico. Dopo una distinzione fra la più diffusa visione dualista (“doppia identità”) e una prospettiva pluralista (che suggerisce il concetto di “identità mista”), l’autrice offre una chiave di lettura evolutiva, depatologizzante e, appunto, pluralista, e illustra le modalità con cui questi disturbi possono essere trattati in un contesto di counseling. Viene riportato al lettore un modello specifico di lavoro che contempla sia aspetti che riguardano il processo del counseling sia tecniche specifiche legate all’approccio narrativo e all’utilizzo degli oggetti, il tutto in una cornice sistemica.
L'articolo intende esplorare
alcune possibilità offerte dal lavoro di rete in contesti
interculturali. Tradizionalmente il sistema di cura Occidentale
ha focalizzato l'intervento sull'individuo, passivizzandolo
ed inserendolo in schemi concettuali misurabili, oggettivizzanti
e universalistici. Spesso i modelli che cercano un punto di
discontinuità con interventi medicalizzati, "unici" e lineari,
rischiano di cadere nella trappola della reificazione di alcuni
dei loro schemi concettuali di riferimento: dalla misurazione
della malattia si passa, perciò, all'oggettivazione dell'
"Invisibile". La funzione del counselor è quella di adattarsi
camaleonticamente al contesto dell'intervento, restituendo
competenza alla persona e coordinando i propri significati
a quelli del cliente. Il lavoro di rete, inteso come interazione
paritaria tra sistema curante e sistema curato, arricchisce
le storie dei "pazienti" di nuovi significati e si propone
come opportunità trasformativa per l'una e l'altra delle parti
interagenti. Il contributo si chiude con un esempio clinico
di lavoro coordinato della rete.
Il presente lavoro si propone,
attraverso l’esempio della conversazione terapeutica, di delineare
una prima traccia di modello di coordinamento e gestione dei
significati (CMM) nell’interazione tra biografie, modelli
relazionali e modelli culturali differenti. Gli autori propongono,
sulle orme dei contributi offerti da Gregory Bateson e dai
suoi collaboratori nelle Josiah Macy Conferences, di utilizzare
l’irriverenza nei confronti delle proprie ed altrui premesse
implicite e l’umorismo come meta-regole nella conversazione
interculturale. Il metamessaggio contenuto nella cornice contestuale
del gioco appare, in tal senso, una via creativa verso il
coordinamento di diverse storie e verso un esercizio della
curiosità nei confronti del mistero incarnato nell’altro da
sé.
Il processo relazionale e l’incontro
nella sua immediatezza, la presenza all’altro, l’istante presente
come fondamento di un approccio sulla centralità della persona,
può integrare un ascolto sensibile potenziando un’altra condizione
fondamentale: la libertà della persona nella relazione. L’ascolto
sensibile prima di situare una persona rispetto al suo ruolo
e al suo statuto sociale, invita a riconoscere la persona
in quanto “essere, nella sua qualità di persona complessa
dotata di una libertà e di una immaginazione creatrice”. Aprirsi
ad un ascolto sensibile dell’altro consente di sostenere la
libertà e la creazione, rapportandosi ad un approccio clinico
e terapeutico incentrato sulla persona, rifiutando al tempo
stesso la violenza simbolica esercitata dalla figura del terapeuta.
Nella terapia incentrata sulla persona si è manifestato questo
fondamentale cambiamento del paradigma antropologico e terapeutico,
concependo l’essere umano come persona. L'approccio transversale
di René Barbier, concepito come ascolto scientifico e mitopoetico
fondato sulla persona, entità in relazione con se stessa,
gli altri ed il mondo, sostiene la centralità della persona
portatrice di questa complessa relazione con il mondo e le
cose del mondo.
CREATIVITÀ
E AUTORIFLESSIVITÀ NEL RAPPORTO CON L'ALTRO
La possibilità che gli individui
ed i popoli si indirizzino verso i contenuti delle culture
e delle religioni è radicata nell’essere ricercatori di senso;
l’assenza di un preciso contenuto per tutti evidente e necessitante
è la paradossale, necessaria garanzia per esser tali. Nel
generale orizzonte della parzialità, ci rendiamo conto allora
di coabitare due cornici che si intersecano e ci ospitano
tutti: l’inclinazione alla ricerca di senso e la diversità.
Gli autori per un intero anno
si sono ritrovati in un percorso formativo ‘Counseling e terapie
interculturali’, organizzato dall'associazione Shinui di Bergamo,
durante il quale hanno discusso, socializzato e riflettuto
sulle tematiche riportate in sintesi nell'articolo.
Non posso che vedere con i miei
occhi, sentire con le mie orecchie, emozionarmi a modo mio
e so bene che tutto ciò non rappresenta una realtà universalmente
condivisa e certa, ma la mia maniera di rappresentarmi nel
mondo, la quale soggettivamente si collega alla maniera ugualmente
parziale che altri hanno di costruire sé nel mondo.
La creatività è un processo intellettivo
non strettamente legato all’intelligenza, ogni individuo crea
una sua immagine del mondo che trasmette agli altri in funzione
del contesto in cui si trova e della persona che gli sta davanti.
L’azione terapeutica diviene allora quella di dare coerenza,
di stabilire una traiettoria che dia un senso, rendere la
durata dell’intervento come tempo per la, creazione di momenti
originari e inseparabili l'uno dall'altro, esistere diviene
allora mutare, maturarsi per creare se stessi, così il proprio
vissuto acquisisce forma e coerenza se lo pensiamo e rielaboriamo
come cambiamento continuo, anche se imprevedibile.
Cecilia Edelstein - Massimo Giuliani - Orazio Maria Valastro
Il primo seminario, in collaborazione con l’associazione Shinui, Centro di Consulenza sulla Relazione, fu organizzato da Cecilia Edelstein e Massimo Giuliani (soci dell’Associazione Shinui e membri dello staff docente) insieme ad Orazio Maria Valastro. L’evento era rivolto alla Scuola triennale di Counseling Sistemico Pluralista di Bergamo ed al corso annuale in Counseling e Terapie Interculturali, entrambi interni all’Associazione Shinui. Il seminario, della durata di una giornata, aveva un taglio esperienziale. Dopo una breve presentazione di Cecilia Edelstein e due relazioni di Orazio Maria Valastro e Massimo Giuliani, la maggior parte della giornata è stata dedicata al lavoro in gruppi di circa dodici persone intorno a tematiche specifiche. Le tematiche erano: gli aspetti etici della professione del counseling; le tecniche sistemiche nel counseling interculturale; il counseling interculturale nei diversi ambiti di applicazione; infine il lavoro dell’équipe multidisciplinare. La giornata, insomma, ha costituito un’occasione per una riflessione a trecentosessanta gradi sul counseling e sulle culture: per una volta, fuori dei luoghi (non tanto quelli fisici, la giornata si è svolta nella sala del Centro La Porta di Bergamo, che da sempre ospita le iniziative “aperte” di Shinui) in cui tale discussione è abituale e dalle conversazioni inevitabilmente auto-referenziali che si svolgono fra componenti di una stessa comunità.
Massimo Giuliani
Da quando le tematiche dell’intercultura si sono imposte all’attenzione dei professionisti dell’aiuto e della relazione, nell’ambito del pensiero sistemico si è sviluppato un filone interculturale: è possibile rintracciare le ragioni dell’ “attrazione” da parte della sistemica verso i temi della differenza culturale a partire da quattro concetti cari alla sistemica: la “differenza” come informazione, il paradosso, la comunicazione cosmopolita, la curiosità cecchiniana.
Cecilia Edelstein
Il presente articolo si sofferma sul conflitto identitario di bambini immigrati e di quelli accolti in adozioni internazionali. Attraverso brevi presentazioni di casi, si osserva come la convivenza dei diversi spezzoni dell’identità diventa faticosa, disarmonica e squilibrata e vengono descritti i possibili effetti emotivo-comportamentali che comprendono a volte sintomi di tipo psicotico. Dopo una distinzione fra la più diffusa visione dualista (“doppia identità”) e una prospettiva pluralista (che suggerisce il concetto di “identità mista”), l’autrice offre una chiave di lettura evolutiva, depatologizzante e, appunto, pluralista, e illustra le modalità con cui questi disturbi possono essere trattati in un contesto di counseling. Viene riportato al lettore un modello specifico di lavoro che contempla sia aspetti che riguardano il processo del counseling sia tecniche specifiche legate all’approccio narrativo e all’utilizzo degli oggetti, il tutto in una cornice sistemica.
Guido Veronese
L'articolo intende esplorare alcune possibilità offerte dal lavoro di rete in contesti interculturali. Tradizionalmente il sistema di cura Occidentale ha focalizzato l'intervento sull'individuo, passivizzandolo ed inserendolo in schemi concettuali misurabili, oggettivizzanti e universalistici. Spesso i modelli che cercano un punto di discontinuità con interventi medicalizzati, "unici" e lineari, rischiano di cadere nella trappola della reificazione di alcuni dei loro schemi concettuali di riferimento: dalla misurazione della malattia si passa, perciò, all'oggettivazione dell' "Invisibile". La funzione del counselor è quella di adattarsi camaleonticamente al contesto dell'intervento, restituendo competenza alla persona e coordinando i propri significati a quelli del cliente. Il lavoro di rete, inteso come interazione paritaria tra sistema curante e sistema curato, arricchisce le storie dei "pazienti" di nuovi significati e si propone come opportunità trasformativa per l'una e l'altra delle parti interagenti. Il contributo si chiude con un esempio clinico di lavoro coordinato della rete.
Guido Veronese
Il presente lavoro si propone, attraverso l’esempio della conversazione terapeutica, di delineare una prima traccia di modello di coordinamento e gestione dei significati (CMM) nell’interazione tra biografie, modelli relazionali e modelli culturali differenti. Gli autori propongono, sulle orme dei contributi offerti da Gregory Bateson e dai suoi collaboratori nelle Josiah Macy Conferences, di utilizzare l’irriverenza nei confronti delle proprie ed altrui premesse implicite e l’umorismo come meta-regole nella conversazione interculturale. Il metamessaggio contenuto nella cornice contestuale del gioco appare, in tal senso, una via creativa verso il coordinamento di diverse storie e verso un esercizio della curiosità nei confronti del mistero incarnato nell’altro da sé.
Orazio Maria Valastro
Il processo relazionale e l’incontro nella sua immediatezza, la presenza all’altro, l’istante presente come fondamento di un approccio sulla centralità della persona, può integrare un ascolto sensibile potenziando un’altra condizione fondamentale: la libertà della persona nella relazione. L’ascolto sensibile prima di situare una persona rispetto al suo ruolo e al suo statuto sociale, invita a riconoscere la persona in quanto “essere, nella sua qualità di persona complessa dotata di una libertà e di una immaginazione creatrice”. Aprirsi ad un ascolto sensibile dell’altro consente di sostenere la libertà e la creazione, rapportandosi ad un approccio clinico e terapeutico incentrato sulla persona, rifiutando al tempo stesso la violenza simbolica esercitata dalla figura del terapeuta. Nella terapia incentrata sulla persona si è manifestato questo fondamentale cambiamento del paradigma antropologico e terapeutico, concependo l’essere umano come persona. L'approccio transversale di René Barbier, concepito come ascolto scientifico e mitopoetico fondato sulla persona, entità in relazione con se stessa, gli altri ed il mondo, sostiene la centralità della persona portatrice di questa complessa relazione con il mondo e le cose del mondo.
Paola Pilato Gualini
La possibilità che gli individui ed i popoli si indirizzino verso i contenuti delle culture e delle religioni è radicata nell’essere ricercatori di senso; l’assenza di un preciso contenuto per tutti evidente e necessitante è la paradossale, necessaria garanzia per esser tali. Nel generale orizzonte della parzialità, ci rendiamo conto allora di coabitare due cornici che si intersecano e ci ospitano tutti: l’inclinazione alla ricerca di senso e la diversità.
Giancarlo Domenghini - Franca Masera - Mariangela Perego - Loretta Ramazzotti
Gli autori per un intero anno si sono ritrovati in un percorso formativo ‘Counseling e terapie interculturali’, organizzato dall'associazione Shinui di Bergamo, durante il quale hanno discusso, socializzato e riflettuto sulle tematiche riportate in sintesi nell'articolo.
Paola Pilato Gualini
Non posso che vedere con i miei occhi, sentire con le mie orecchie, emozionarmi a modo mio e so bene che tutto ciò non rappresenta una realtà universalmente condivisa e certa, ma la mia maniera di rappresentarmi nel mondo, la quale soggettivamente si collega alla maniera ugualmente parziale che altri hanno di costruire sé nel mondo.
Antonia Scuderi
La creatività è un processo intellettivo non strettamente legato all’intelligenza, ogni individuo crea una sua immagine del mondo che trasmette agli altri in funzione del contesto in cui si trova e della persona che gli sta davanti. L’azione terapeutica diviene allora quella di dare coerenza, di stabilire una traiettoria che dia un senso, rendere la durata dell’intervento come tempo per la, creazione di momenti originari e inseparabili l'uno dall'altro, esistere diviene allora mutare, maturarsi per creare se stessi, così il proprio vissuto acquisisce forma e coerenza se lo pensiamo e rielaboriamo come cambiamento continuo, anche se imprevedibile.