Le counseling et les cultures : les cultures du counseling
Massimo Giuliani (sous la direction de)
M@gm@ vol.5 n.2 Avril-Juin 2007
CREATIVITÀ E APPROCCIO NARRATIVO
Antonia Scuderi
anto.scud@libero.it
Infermiera, ha lavorato presso
il DSM di Bergamo dal 1987, vivendo in questo arco di tempo
tutti i processi che hanno portato dalla chiusura dell’Ospedale
Psichiatrico alla creazione di comunità terapeutiche, di case
famiglia, di appartamenti a residenzialità leggera, di centri
diurni territoriali.
Non è
semplice definire che cosa sia la creatività.
L’uomo è l’unico essere capace di trasformare l’ambiente per
adattarlo alle sue necessità, attua questi cambiamenti sia
per apportare dei miglioramenti, sia nei processi “distruttivi”,
coinvolgendo anche le altre specie che con lui condividono
l’ambiente che la sua stessa specie. Portare delle innovazioni
implica contestualmente distruggere quanto già esistente.
Questa capacità di produrre cambiamenti e di mettere in essere
le idee, viene definita creatività.
La creatività è stata definita come processo sostanzialmente
autonomo dal complesso delle funzioni mentali che costituiscono
l’intelligenza. Ricercatori come Gardner hanno messo in evidenza
come memoria e percezione (funzioni basilari per l’espressione
dell’intelligenza) siano fondamentali anche per l’espressione
della creatività.
All’inizio del secolo l’intelligenza veniva considerata come
fattore unitario distribuito nella popolazione in modo ineguale
con variazioni che oscillavano dalla insufficienza mentale
alla genialità. Tale concezione è stata successivamente messa
in discussione dallo sviluppo delle neuroscienze e delle discipline
cognitive che hanno, nel loro complesso, invalidato le credenze
sulla superiorità di razza o di sesso che da tali considerazioni
venivano alimentate.
La capacita di percepire riconoscere e distinguere gli stimoli
ambientali, le capacità della memoria messe in atto dal confronto
tra il nuovo stimolo e gli stimoli precedenti, così come tra
il problema attuale e le soluzioni messe in atto precedentemente,
la capacità di comparazione di stimoli complessi, sono tre
elementi fondamentali dell’intelligenza. Tutte queste capacità
sono però influenzabili da fattori biologici e genetici di
varia natura (stato di nutrizione, stato di salute, consumo
di alcool o sostanze). Alcune differenze sono state riscontrate
nella risposta intellettiva tra i sessi per le capacità logico
matematiche e verbali, o tra etnie diverse, le stesse però
sono comunque risultate legate a fattori di tipo culturale
o ambientale.
Altra difficoltà che è stata riscontrata dai ricercatori rispetto
alla definizione dell’intelligenza è stata quella legata alla
prestazione individuale diseguale, per cui lo stesso individuo
può risultare particolarmente abile in un dato campo ed essere
del tutto mediocre in un altro. Un esempio di questa prestazione
disuguale può essere dimostrato dalla dislessia, dove le misurazioni
delle capacità verbali si discostano notevolmente se vengono
utilizzati degli strumenti di misurazione di tipo non verbale.
Un analogo problema di misurazione si ha nella definizione
del talento creativo dove maggiori sono le difficoltà legate
alla definibilità del concetto. Barron che ha condotto degli
studi approfonditi sulla creatività ha definito l’intelligenza
come un insieme di capacità che favoriscono risposte corrette
a quesiti di tipo logico-matematico o di tipo verbale, i cui
limiti vengono definiti dal tipo di strumento che viene utilizzato
per la misurazione.
L’associazione di fatti nuovi per la creazione di nuove risposte
non viene data dall’applicazione di regole condivise, quindi
fornire risposte creative necessariamente esclude l’utilizzo
di formule e di regole già note, motivo per cui la capacità
relazionale e la capacità di attivare le risorse sono caratteristiche
individuali che vengono messe fortemente in gioco nel momento
in cui viene socializzata la produzione creativa.
Gli individui creativi vengono di solito giudicati più intelligenti
della media o comunque più dotati di altri individui specializzati
nello stesso campo di intervento. Alcuni tratti di personalità
si sono però dimostrati costanti negli individui che riescono
ad esprimere più facilmente la loro creatività. Questi tratti
possono essere riassunti in: indipendenza, tendenza alla dominanza,
introversione, tendenza ad esprimere radicalismo nei giudizi,
oppositività, impulsività, ma anche in qualità come capacità
di apertura mentale, ampiezza di interessi, intuitività, originalità,
tolleranza, spontaneità.
Un’altra costante riscontrata negli individui “creativi” è
quella della preferenza per la complessità e la capacità di
fornire risposte inusuali associando senza apparente problematicità
concetti tra loro contrastanti. Ma la personalità dell’individuo
non è l’unico fattore che entra in gioco nell’espressione
della creatività, il prodotto deve potersi imporre al pubblico
ottenendone un consenso, deve potersi imporre su prodotti
dello stesso genere già esistenti sul mercato contribuendo
all’innovazione.
Il confronto con la tradizione e quindi la rottura di uno
schema esistente mette in evidenza come un individuo creativo
sia in effetti colui il quale riesce a dare una risposta innovativa
ad un problema che viene già gestito in modo diverso e che
di per sé ha già avuto delle risposte o delle soluzioni già
attuate. In realtà il creativo non risolve il problema, ha
però la capacità di osservare la realtà da punti di vista
diversi cogliendone aspetti che non vengono considerati da
altri. È quindi in grado di riformulare il problema stesso
fornendone risposte con caratteristiche di utilità e innovazione
che mancano alle risposte date con un approccio più tradizionale.
Per attuare questo processo è necessaria una buona conoscenza
dell’argomento, delle tecniche correlate, ma anche la capacità
di comparare tecniche e conoscenze di tipo diverso che confrontate
con le prime creano una gamma di possibili applicazioni molto
più vasta. Questo processo implica oltretutto un ri-orientamento
della capacità di pensare e di agire, di conseguenza un cambiamento
nei rapporti sociali.
Molti test per la misurazione della creatività sono costruiti
in modo da dare la possibilità di risposte multiple per agevolare
le caratteristiche di indeterminatezza che facilitano l’espressione
della creatività, l’unicità della risposta rispetto alla media
diviene quindi l’elemento discriminante. In alcuni casi un’intelligenza
troppo sviluppata potrebbe rappresentare un freno alla creatività,
l’individuo potrebbe infatti apprendere troppo precocemente
quello che l’ambiente gli offre ed adeguarsi pedissequamente
alla tradizione, oppure sviluppare un’autocritica troppo rigida.
Il soggetto creativo solitamente sente la norma come costrittiva
e di conseguenza si mette in contrasto con la società. Molte
teorie evidenziano come l’atto creativo nasca da un contesto
di costrizioni e limitazioni, l’individuo risponde in maniera
inattesa e imprevedibile solo se già predisposto a quel tipo
di risposta.
Elementi essenziali affinché la creatività si realizzi sono
la conoscenza, la pratica, l’impulso a produrre, l’impulsività.
L’eccentricità diventa nell’immaginario collettivo il carattere
distintivo del creativo, e in ultima analisi la creatività
è essenzialmente una sfida all’ordine costituito, una competizione
tra concezioni e modi di essere diversi. Lo scienziato, l’inventore,
l’artista sono personaggi che per quanto ammirati, fanno paura
per il loro discostarsi dalla normalità, imputare loro questa
caratteristica (l’eccentricità) in un certo senso esorcizza
la paura della loro diversità. Sinonimi di eccentricità sono
bizzarria stravaganza e stranezza, tutte caratteristiche che
possono essere associate sia ai comportamenti che al vestiario
che all’eloquio e ricondotte ad un altro termine che le riassume
dandone una connotazione meno negativa, diversità.
All’interno di una èquipè multidisciplinare la diversità rappresenta
l’assunto base, diversità individuale, diversità professionale,
diversità di punti di vista, sono filtri che ci portano a
dare delle interpretazioni individuali alla lettura dell’autonarrazione
fatta dal paziente. Come possiamo quindi costruire una relazione
d’aiuto unitaria valorizzando queste diversità? Di solito
le persone si raccontano, raccontano le loro esperienze e
le loro emozioni, la narrazione è fatta dalle parole e dai
significati che il narratore ci trasmette.
La narrazione mette in moto un processo di ricerca della stima,
di evidenziazione e di miglioramento delle cose, consente
di reinserire un contesto iniziale in un insieme di concetti
che riorientano le proprie scelte, dando inoltre la possibilità
di comporre e scomporre gli elementi, di cambiare le gerarchie,
di costruire mondi e modi diversi. Nella narrazione un velo
sottilissimo separa ciò che è stato, da ciò che non è stato,
da quello avrebbe potuto essere o che forse sarà. Attraverso
la narrazione è possibile mettere in atto un certo distacco
dagli avvenimenti, creare dei contesti dove nascono nuove
forme di organizzazione contestuale.
L’immaginario e l’ipotetico fanno fronte comune, narrazione
e psicoterapia affrontano sullo stesso treno un lungo viaggio
in uno stesso scompartimento. Occorre sottolineare che l'individuo
mette in atto uno sforzo intenzionalmente volto a fare della
propria autobiografia un "progetto riflessivo", assemblandolo
come in un puzzle di opzioni e possibilità diverse. Ma se
si percepisce come frammentato e privo di solidi ancoraggi
sociali la narrazione di sé può rappresentare uno strumento
atto a ricondurre ad unità e coerenza la soggettività individuale
e a leggere in maniera critica il proprio ruolo sociale come
legame significativo con il proprio contesto.
L’azione terapeutica diviene allora quella di dare coerenza,
di stabilire una traiettoria che dia un senso, rendere la
durata dell’intervento come tempo per la creazione di momenti
originari e inseparabili l'uno dall'altro, esistere diviene
allora mutare, maturarsi per creare se stessi, così il proprio
vissuto acquisisce forma e coerenza se lo pensiamo e rielaboriamo
come cambiamento continuo, anche se imprevedibile.
Il tempo del pensiero può divenire altrettanto “presente”
del tempo reale ma allo stesso tempo conservare le sue caratteristiche
di vitalità grazie alla rappresentazione del proprio vissuto.
"Trovare se stessi significa, tra le altre cose, trovare una
narrazione in termini di ciò che dà senso alla propria vita"
( Bellah 1985 ).
Azione terapeutica quindi come accompagnamento alla consapevolezza
che la vita è costituita da una molteplicità di “cambiamenti”
ma ad ogni momento l'individuo può interrompere questa continuità
e sottoporsi ad auto-osservazione sul senso della propria
identità e sul senso del proprio vissuto: Che cosa sta accadendo
adesso?, Che cosa sto pensando?, Che cosa sto facendo?, Che
cosa sto provando?, In quale modo posso usare questo momento
per cambiare?
Un "progetto" guidato dalla definizione della propria identità
dove l'individuo stesso dà significato alla propria vita.
Ovvero, da un lato l'individuo matura la propria diversità
dagli altri e dall'ambiente, dall'altro si riconosce come
intimamente parte di un "sistema" più grande di lui che ridefinisce
i suoi bisogni di interdipendenza, di relazionalità, di reciprocità,
e di appartenenza.
L’approccio narrativo coglie la singolarità dell’individualità,
si mantiene nei limiti del contesto culturale ed antropologico
dell’individuo, non può essere esportato ad altri contesti
o ad altre culture senza che vengano riconsiderate le radici
dei significati. L’individuo diviene cosciente dei propri
limiti in quanto elemento fluente nel tempo e nello spazio
della propria storia di vita, ogni descrizione di sé acquista
validità solo nei limiti di un momento e di uno spazio definiti,
è nella narrazione che si compie il lavoro di identificazione
e l'identità narrativa si distingue in un “Hic et nunc”.
Ogni narrazione parte dal dato finale per farci capire qual
è stata la genesi e lo sviluppo che l’ha determinata, perché
abbia senso, presuppone anche un destinatario. Identificare
il destinatario può, dunque, essere utile per comprendere
lo scopo a cui risponde tale narrazione di sé. La narrazione
degli eventi di vita inoltre può non essere lineare e cronologica,
il passato può richiamare il presente e il presente irrompere
in qualunque istante del passato che viene narrato. In ogni
caso la narrazione conserva una sua logica interna ben precisa,
che vuole che tra inizio, svolgimento e fine, vi sia una relazione
razionale che dia senso al tutto, la rappresentazione di eventi
relazionati da precisi rapporti di causa ed effetto.
“Il viandante non ha una meta, si muove e di volta in volta
trova le modalità per scalare montagne o attraversare fiumi
non in base a mappe o a principi, ma in base a quello che
i Greci chiamavano phronesis: la virtù di Ulisse, cioè la
possibilità di decidere in base alle circostanze e ai risultati
attesi…non c'è evento già iscritto in una trama di sensatezza
che ne pregiudichi l'immotivato accadere. Rinunciando a dominare
il tempo iscrivendolo in una rappresentazione di senso, l'etica
del viandante, che ha rinunciato alla meta ultima, sa guardare
in faccia all'indecifrabilità del destino” (U. Galimberti
Da: "Orme del sacro", cap. 57, L'etica del viandante).
BIBLIOGRAFIA
Galimberti U. (2000), “Istruzioni per rendersi infelici. Molte
volte non è il dolore a farci soffrire, ma la nostra convinzione,
che ci ha persuaso che, al mondo, siamo gli unici a soffrire”.
Dal sito https://www.dweb.repubblica.it
Galimberti U. (2000), “Orme del sacro. Il cristianesimo e
la desacralizzazione del sacro”. Feltrinelli, Milano.
Galimberti U. (2004), “Dai princìpi forti all'etica del viandante”,
“La Repubblica”, 12 agosto 2004.
Galimberti U. (2007), “Scoprire il dolore dell’anima”, “La
Repubblica”, 12 febbraio 2007.
Odifreddi P. (2006) “Analisi logica dell'anima”, “La Repubblica”,
29 Settembre 2006. Ripubblicato sul sito https://www.creativeblog.org
Preti A., Miotto P., “Creatività. Homepage”, sul sito https://www.schizophreniaproject.org
all’indirizzo https://www.schizophreniaproject.org/Creativity/crea-home.htm
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