La società che è in grado di
accogliere consapevolmente l’immaginario che la muove è una
società in buona salute, capace di affrancarsi da un pensiero
ecumenico insofferente ai regimi dell’immagine. Praticare
l’immaginario, non limitandosi ad un’attività di disincanto
o demistificazione nei confronti dei miti che fondano la nostra
società, equivale piuttosto a liberare la tensione dinamica
degli antagonismi delle immagini, autorizzandoci a riconquistare
l’alterità delle costellazioni immaginarie, riequilibrando
tramite il dinamismo delle strutture delle immagini le nostre
dimensioni biologiche, psichiche e sociali, riconquistando
la speranza insita nella funzione fantastica nel cogliere
e migliorare la condizione delle donne e degli uomini rinnovando
la nostra visione del mondo. L’esistenza d’equilibri psichici
sociali, plurali e differenti, presuppone l’immaginazione
simbolica come dinamismo prospettico, fattore d’equilibrio
psicologico e sociale che c’interroga sulla salute a partire
da un’antropologia simbolica, nel tentativo di riequilibrare
la visione di noi stessi, la nostra relazione agli altri e
al mondo, sostenendo una maggiore comprensione di quella molteplice
complessità, differenziata e politeista, capace di mettere
in forma un universo sistemico, stimolando la tolleranza e
riabilitando la nozione d’equilibrio.
Io partirei (il condizionale
la dice lunga) da un’affermazione di Franco Basaglia “io sono
uno psichiatra, non un antipsichiatra”. Questa affermazione
la dice ancor più lunga, anzi lunghissima … perché rimette
al centro ciò che riconosce: il potere. Riconoscere il potere
che ‘ci’ viene attribuito, usarlo per dichiarare o denunciare
il nostro non sapere (non so cosa sia la follia, diceva Basaglia)
e per dire invece che riconosco il ‘malato’ ed i suoi bisogni,
i suoi diritti, vuol dire assumere tutte le contraddizioni
esistenti. Se non si parte da una centralità (sociale, praticamente
sociale, la società concreta) o meglio da un baricentro (sempre
sociale) concreto la quaestio “cosa è o sia la salute mentale
o il suo opposto” diventa un esercizio di emissione di fiati,
suoni, grafie.
Il presente articolo si era proposto
e spera di averlo raggiunto l’obiettivo di presentare nel
modo più chiaro possibile, come è cambiata la situazione sociale,
politica ed istituzionale in Italia nell’ultimo ventennio,
in riferimento all’area della salute mentale ed alle persone
che presentano disturbi mentali. E’ innegabile che essa sia
un’area di sicuro fascino ed interesse perché, nonostante
le molte ricerche medico - biologiche - psicologiche - sociologiche
effettuate in questo ambito, i disturbi mentali rimangono
tuttora avvolti da un alone di mistero. Questo da un lato
porta le persone a sottovalutare il problema della salute
mentale, a volerlo nascondere perché non si sa come affrontarlo,
come gestirlo, come viverlo. Dall’altro lato l’area della
salute mentale pone in essere molte sfide agli operatori ed
a tutti i soggetti della comunità, che a vario titolo sono
coinvolti. E’ il cambiamento di cultura, il vero motore dei
mutamenti radicali, epocali, innovativi: a mio avviso e dalla
prima esperienza vissuta ho potuto notare che andrebbe promossa
e diffusa una cultura, (non tanto o non solo specifica della
salute mentale e non solo fra gli operatori istituzionali)
della partecipazione, della promozione e dell’empowerment
delle persone che presentano disturbi mentali.
Il contesto nel quale oggi intervengono
i professionisti della salute mentale è sempre più segnato
da pratiche di collaborazione che si sviluppano al di là delle
frontiere di un’istituzione, è quello che si chiama "lavoro
di rete". Il modello di rete è stato costruito in opposizione
a quello dell’istituzione; questi due modelli di lavoro si
differenziano tanto nel loro rapporto col sapere che nella
loro relazione con le norme ed il controllo. Quest’articolo
situa l’emergere del concetto di rete nelle politiche pubbliche
in Belgio. Il lavoro di rete nella pratica solleva inoltre
una serie di difficoltà e di questioni come la coabitazione
di logiche istituzionali e reticolari, la ripartizione della
responsabilità e delle modalità di prese di decisioni, l’interesse
della formalizzazione (o meno) delle procedure, la responsabilizzazione
dell’utente dei servizi di salute mentale e l’articolazione
dei saperi: delle questioni che oggi pone il contesto d’intervento
nell’ambito della salute mentale.
Dipendenze e psicosi. Servizi
per le dipendenze e psichiatria. Delirium indotto da sostanze
e delirio schizofrenico. Si tratta di due modi diversi di
uscire dal seminato, di deragliare. Di due preoccupazioni
diverse per i servizi della salute mentale. Di due concezioni
diverse per affrontare le questioni filosofiche. Cartesio
introduce per primo questa partizione distinguendo il sogno
dalla follia, poi Nietszche riprende la questione sottolineando
le differenze tra chi delira e chi il delirio se lo deve procurare.
Dall’altra parte c’è il mondo della tecnologia dispiegata,
dell’organizzazione socio sanitaria razionale. Chi ha analizzato
questi argomenti con maggiore lucidità nella seconda metà
del Novecento sono certamente autori che non hanno fatto parte,
se non in modo marginale e critico, di questo mondo: Gregory
Bateson, Gilles Deleuze, Michel Foucault. D’altro canto non
possiamo ricondurre semplicisticamente, come a volte è stato
fatto, tutta questa fenomenologia della mente moderna alla
sola opera filosofica. Cartesio non basta, né forse ne è la
principale fonte. Perché una mentalità fortemente improntata
al metodo razionale prenda il sopravvento sono necessarie
pratiche sociali che impregnano il quotidiano e che, come
ha osservato Bateson, costruiscono una cibernetica del Self.
In questo breve saggio si connette ciò che è accaduto nel
Seicento - a partire dagli studi di Yates, Max Weber, Bercovich,
Paden e lo stesso Foucault - a ciò che sta accadendo ora nell’ambito
della salute mentale. Il puritanesimo, questa tecnologia del
Self che guarisce e purifica, e lo psico-farmaco, come intervento
chimico puritano. Si propone poi un’esperienza teatrale di
recupero dei frammenti immaginari sparsi nell’orizzonte schizofrenico
o affogati nei fumi dell’alcol: l’esperienza dei Gruppi Isadora
Duncan.
Nella dimensione concettuale
e terapeutica della psicologia analitica il lavoro con le
immagini si pone come una sorte di spartiacque che caratterizza
la specificità e l’identità della clinica junghiana, terreno
di incontro col mondo delle psicosi, avvicinandosi al mondo
dei deliri e delle allucinazioni come aspetti fenomenologici
dove la dimensione personale si interseca con quella archetipica
e il senso della propria esistenza ha potuto trovare un contenitore
forse unicamente attraverso la voce dei deliri e delle immagini
patologizzanti. In tal senso, le immagini accompagnano lungo
il viaggio della vita, albergano nei ricordi delle storie
prive di fiducia e di amore e possono condurre alla follia
oppure rappresentare una ancora di salvezza in un mare tempestoso
su una nave senza nocchiero. L'immaginazione è quindi da intendersi
come attività creatrice, forza propulsiva che spinge e conduce
l'individuo a mettersi in gioco e a valorizzare la dimensione
interna non solo come portatrice di aspetti distruttivi e
mostruosi, ma anche come possibilità di immaginare e non fantasticare
la possibilità che ci possa essere uno spazio per la trasformazione
del proprio passato in una storia riscritta in un altro modo,
con un altro significato che sia quello dell'unione e non
della frantumazione schizofrenica.
L’educazione interiore non è
soltanto un percorso ascetico e spirituale, ma quale pratica
di contemplazione, meditazione e autoriflessione, costituisce,
laicamente, un programma che uomini e donne hanno sempre intrapreso
e perseguito al fine di sviluppare le potenzialità del pensiero
introspettivo, per poi ampliare l’acume intellettivo, giungendo
ad un contatto più stretto, ad un rapporto più viscerale e
sentito con il proprio sé e creare, plasmare, un io più emancipato,
maggiormente predisposto alle interrelazioni, sviluppando
rapporti profondi e proficui con le persone. Attraverso l’esplorazione
di un’autobiografia, ogni individuo che intraprende il percorso
di conoscenza del proprio sé giunge a recuperare una maggiore
attenzione per la dimensione affettiva di moti emozionali
latenti e ad arricchire l’immaginazione creativa.
RICONQUISTA
MITOPOETICA DEL SENSO DELLA CONDIZIONE UMANA
Ognuno è invitato a soffermarsi
sui miti che conosce, a cercarne altri, lasciarsi interrogare
e abbandonarsi alla ricerca di risposte, fiducioso che proprio
nella ricerca può emergere la “mappa” più confacente al suo
mondo interiore. Quello che ho esposto è il risultato - parziale
e non definitivo - della mia riflessione, che propongo come
esempio e come contributo per un confronto, convinto che ognuno
nasconda in sé tracce di una verità che lentamente si va costruendo.
Già questa convinzione darebbe un grosso contributo alla unità
del nostro mondo interiore, il quale, nel suo rapporto con
la realtà esterna può scoprire ciò che lo caratterizza; una
conoscenza di sé che risponde alla domanda fondamentale che
ogni uomo si fa. Solo da qui può iniziare quella valorizzazione
di sé e degli altri che ci porta a vivere la libertà come
espressione autentica di sé in cui il “modello” del proprio
mondo interiore trova una risonanza nel mondo esteriore.
A partire dalla difficile nozione
di “follia”, è necessario dirigersi verso l’esclusione di
cui questa malattia si è fatta oggetto nel sistema occidentale
moderno. Un’ulteriore argomentazione della malattia mentale
si è fatta largo grazie a pensatori contemporanei, la rinascita
di altre cosmovisioni e di vecchie filosofie. In tal modo
i deliri mistici, paranoici, schizofrenici possono essere
studiati da un lato come rotture di limiti, dall'altro come
una messa in relazione del corpo con lo spirito. Tra i due,
il linguaggio opera una caratteristica d'unione, linguaggio
che, nei pazienti, indica una creatività, la poesia. Se questa
poesia permette un'uscita, un'esplosione dei limiti dalla
realtà verso regioni sconosciute, forse si può vedere la follia
come uno squilibrio rispetto al mondo, all'universo stesso,
squilibrio che può essere trattato responsabilizzando l'uomo,
pensandolo, mettendolo in dubbio. Da questo punto di vista,
la pazzia ri-sorge come qualcosa di positivo, come uno dei
temi che ci rimetterà di fronte al mondo, ponendo alla nostra
portata altre ontologie.
La narrazione poetica, nella
sua esposizione tematica e stilistica e nell'interrogazione
che ad essa è sottesa, è l'esigenza di collegamento e rivisitazione
continua di uno spirito storico e di un vissuto di tradizioni
spirituali millenarie. Tale esigenza di poesia, come armonia,
lirismo della vita, è la stessa richiesta che sente la persona
che viene a trovarsi nel disagio, nella rottura e nella conflittualità
degli affetti, nella mancanza di una integrazione sociale,
nella necessità accompagnata da timore. In queste occasioni
si ha perdita di salute mentale, di bellezza psichica e spirituale.
L’attività poetica è un modo di ridare armonia alle umane
sofferenze, alle distorsioni del linguaggio, alla sua manipolazione
e mistificazione, alla prevaricazione-induzione alla passività.
La poesia, quando è vera poesia, e non produzione spuria di
parole assemblate, sublima il linguaggio e la comunicazione;
i concetti assumono nuovo valore nella relazione con il privato
che ne vuole essere coinvolto per scelta e sensibilità; dunque,
la parola poetica richiede attenzione, concentrazione, riflessione:
una proiezione ed una introspezione, un trovarsi nella scrittura,
nel sentirsi uniti in un appagamento, in una ricerca di come
si vuol essere vicino agli altri, con il polso, il sangue
ed i muscoli.
Orazio Maria Valastro
La società che è in grado di accogliere consapevolmente l’immaginario che la muove è una società in buona salute, capace di affrancarsi da un pensiero ecumenico insofferente ai regimi dell’immagine. Praticare l’immaginario, non limitandosi ad un’attività di disincanto o demistificazione nei confronti dei miti che fondano la nostra società, equivale piuttosto a liberare la tensione dinamica degli antagonismi delle immagini, autorizzandoci a riconquistare l’alterità delle costellazioni immaginarie, riequilibrando tramite il dinamismo delle strutture delle immagini le nostre dimensioni biologiche, psichiche e sociali, riconquistando la speranza insita nella funzione fantastica nel cogliere e migliorare la condizione delle donne e degli uomini rinnovando la nostra visione del mondo. L’esistenza d’equilibri psichici sociali, plurali e differenti, presuppone l’immaginazione simbolica come dinamismo prospettico, fattore d’equilibrio psicologico e sociale che c’interroga sulla salute a partire da un’antropologia simbolica, nel tentativo di riequilibrare la visione di noi stessi, la nostra relazione agli altri e al mondo, sostenendo una maggiore comprensione di quella molteplice complessità, differenziata e politeista, capace di mettere in forma un universo sistemico, stimolando la tolleranza e riabilitando la nozione d’equilibrio.
Augusto Debernardi
Io partirei (il condizionale la dice lunga) da un’affermazione di Franco Basaglia “io sono uno psichiatra, non un antipsichiatra”. Questa affermazione la dice ancor più lunga, anzi lunghissima … perché rimette al centro ciò che riconosce: il potere. Riconoscere il potere che ‘ci’ viene attribuito, usarlo per dichiarare o denunciare il nostro non sapere (non so cosa sia la follia, diceva Basaglia) e per dire invece che riconosco il ‘malato’ ed i suoi bisogni, i suoi diritti, vuol dire assumere tutte le contraddizioni esistenti. Se non si parte da una centralità (sociale, praticamente sociale, la società concreta) o meglio da un baricentro (sempre sociale) concreto la quaestio “cosa è o sia la salute mentale o il suo opposto” diventa un esercizio di emissione di fiati, suoni, grafie.
Barbara Lucini
Il presente articolo si era proposto e spera di averlo raggiunto l’obiettivo di presentare nel modo più chiaro possibile, come è cambiata la situazione sociale, politica ed istituzionale in Italia nell’ultimo ventennio, in riferimento all’area della salute mentale ed alle persone che presentano disturbi mentali. E’ innegabile che essa sia un’area di sicuro fascino ed interesse perché, nonostante le molte ricerche medico - biologiche - psicologiche - sociologiche effettuate in questo ambito, i disturbi mentali rimangono tuttora avvolti da un alone di mistero. Questo da un lato porta le persone a sottovalutare il problema della salute mentale, a volerlo nascondere perché non si sa come affrontarlo, come gestirlo, come viverlo. Dall’altro lato l’area della salute mentale pone in essere molte sfide agli operatori ed a tutti i soggetti della comunità, che a vario titolo sono coinvolti. E’ il cambiamento di cultura, il vero motore dei mutamenti radicali, epocali, innovativi: a mio avviso e dalla prima esperienza vissuta ho potuto notare che andrebbe promossa e diffusa una cultura, (non tanto o non solo specifica della salute mentale e non solo fra gli operatori istituzionali) della partecipazione, della promozione e dell’empowerment delle persone che presentano disturbi mentali.
Isabelle Deliège
Il contesto nel quale oggi intervengono i professionisti della salute mentale è sempre più segnato da pratiche di collaborazione che si sviluppano al di là delle frontiere di un’istituzione, è quello che si chiama "lavoro di rete". Il modello di rete è stato costruito in opposizione a quello dell’istituzione; questi due modelli di lavoro si differenziano tanto nel loro rapporto col sapere che nella loro relazione con le norme ed il controllo. Quest’articolo situa l’emergere del concetto di rete nelle politiche pubbliche in Belgio. Il lavoro di rete nella pratica solleva inoltre una serie di difficoltà e di questioni come la coabitazione di logiche istituzionali e reticolari, la ripartizione della responsabilità e delle modalità di prese di decisioni, l’interesse della formalizzazione (o meno) delle procedure, la responsabilizzazione dell’utente dei servizi di salute mentale e l’articolazione dei saperi: delle questioni che oggi pone il contesto d’intervento nell’ambito della salute mentale.
Pietro Barbetta
Dipendenze e psicosi. Servizi per le dipendenze e psichiatria. Delirium indotto da sostanze e delirio schizofrenico. Si tratta di due modi diversi di uscire dal seminato, di deragliare. Di due preoccupazioni diverse per i servizi della salute mentale. Di due concezioni diverse per affrontare le questioni filosofiche. Cartesio introduce per primo questa partizione distinguendo il sogno dalla follia, poi Nietszche riprende la questione sottolineando le differenze tra chi delira e chi il delirio se lo deve procurare. Dall’altra parte c’è il mondo della tecnologia dispiegata, dell’organizzazione socio sanitaria razionale. Chi ha analizzato questi argomenti con maggiore lucidità nella seconda metà del Novecento sono certamente autori che non hanno fatto parte, se non in modo marginale e critico, di questo mondo: Gregory Bateson, Gilles Deleuze, Michel Foucault. D’altro canto non possiamo ricondurre semplicisticamente, come a volte è stato fatto, tutta questa fenomenologia della mente moderna alla sola opera filosofica. Cartesio non basta, né forse ne è la principale fonte. Perché una mentalità fortemente improntata al metodo razionale prenda il sopravvento sono necessarie pratiche sociali che impregnano il quotidiano e che, come ha osservato Bateson, costruiscono una cibernetica del Self. In questo breve saggio si connette ciò che è accaduto nel Seicento - a partire dagli studi di Yates, Max Weber, Bercovich, Paden e lo stesso Foucault - a ciò che sta accadendo ora nell’ambito della salute mentale. Il puritanesimo, questa tecnologia del Self che guarisce e purifica, e lo psico-farmaco, come intervento chimico puritano. Si propone poi un’esperienza teatrale di recupero dei frammenti immaginari sparsi nell’orizzonte schizofrenico o affogati nei fumi dell’alcol: l’esperienza dei Gruppi Isadora Duncan.
Ferdinando Testa
Nella dimensione concettuale e terapeutica della psicologia analitica il lavoro con le immagini si pone come una sorte di spartiacque che caratterizza la specificità e l’identità della clinica junghiana, terreno di incontro col mondo delle psicosi, avvicinandosi al mondo dei deliri e delle allucinazioni come aspetti fenomenologici dove la dimensione personale si interseca con quella archetipica e il senso della propria esistenza ha potuto trovare un contenitore forse unicamente attraverso la voce dei deliri e delle immagini patologizzanti. In tal senso, le immagini accompagnano lungo il viaggio della vita, albergano nei ricordi delle storie prive di fiducia e di amore e possono condurre alla follia oppure rappresentare una ancora di salvezza in un mare tempestoso su una nave senza nocchiero. L'immaginazione è quindi da intendersi come attività creatrice, forza propulsiva che spinge e conduce l'individuo a mettersi in gioco e a valorizzare la dimensione interna non solo come portatrice di aspetti distruttivi e mostruosi, ma anche come possibilità di immaginare e non fantasticare la possibilità che ci possa essere uno spazio per la trasformazione del proprio passato in una storia riscritta in un altro modo, con un altro significato che sia quello dell'unione e non della frantumazione schizofrenica.
Laura Tussi
L’educazione interiore non è soltanto un percorso ascetico e spirituale, ma quale pratica di contemplazione, meditazione e autoriflessione, costituisce, laicamente, un programma che uomini e donne hanno sempre intrapreso e perseguito al fine di sviluppare le potenzialità del pensiero introspettivo, per poi ampliare l’acume intellettivo, giungendo ad un contatto più stretto, ad un rapporto più viscerale e sentito con il proprio sé e creare, plasmare, un io più emancipato, maggiormente predisposto alle interrelazioni, sviluppando rapporti profondi e proficui con le persone. Attraverso l’esplorazione di un’autobiografia, ogni individuo che intraprende il percorso di conoscenza del proprio sé giunge a recuperare una maggiore attenzione per la dimensione affettiva di moti emozionali latenti e ad arricchire l’immaginazione creativa.
Antonio Zulato
Ognuno è invitato a soffermarsi sui miti che conosce, a cercarne altri, lasciarsi interrogare e abbandonarsi alla ricerca di risposte, fiducioso che proprio nella ricerca può emergere la “mappa” più confacente al suo mondo interiore. Quello che ho esposto è il risultato - parziale e non definitivo - della mia riflessione, che propongo come esempio e come contributo per un confronto, convinto che ognuno nasconda in sé tracce di una verità che lentamente si va costruendo. Già questa convinzione darebbe un grosso contributo alla unità del nostro mondo interiore, il quale, nel suo rapporto con la realtà esterna può scoprire ciò che lo caratterizza; una conoscenza di sé che risponde alla domanda fondamentale che ogni uomo si fa. Solo da qui può iniziare quella valorizzazione di sé e degli altri che ci porta a vivere la libertà come espressione autentica di sé in cui il “modello” del proprio mondo interiore trova una risonanza nel mondo esteriore.
Mabel Franzone
A partire dalla difficile nozione di “follia”, è necessario dirigersi verso l’esclusione di cui questa malattia si è fatta oggetto nel sistema occidentale moderno. Un’ulteriore argomentazione della malattia mentale si è fatta largo grazie a pensatori contemporanei, la rinascita di altre cosmovisioni e di vecchie filosofie. In tal modo i deliri mistici, paranoici, schizofrenici possono essere studiati da un lato come rotture di limiti, dall'altro come una messa in relazione del corpo con lo spirito. Tra i due, il linguaggio opera una caratteristica d'unione, linguaggio che, nei pazienti, indica una creatività, la poesia. Se questa poesia permette un'uscita, un'esplosione dei limiti dalla realtà verso regioni sconosciute, forse si può vedere la follia come uno squilibrio rispetto al mondo, all'universo stesso, squilibrio che può essere trattato responsabilizzando l'uomo, pensandolo, mettendolo in dubbio. Da questo punto di vista, la pazzia ri-sorge come qualcosa di positivo, come uno dei temi che ci rimetterà di fronte al mondo, ponendo alla nostra portata altre ontologie.
Ettore Mosciano
La narrazione poetica, nella sua esposizione tematica e stilistica e nell'interrogazione che ad essa è sottesa, è l'esigenza di collegamento e rivisitazione continua di uno spirito storico e di un vissuto di tradizioni spirituali millenarie. Tale esigenza di poesia, come armonia, lirismo della vita, è la stessa richiesta che sente la persona che viene a trovarsi nel disagio, nella rottura e nella conflittualità degli affetti, nella mancanza di una integrazione sociale, nella necessità accompagnata da timore. In queste occasioni si ha perdita di salute mentale, di bellezza psichica e spirituale. L’attività poetica è un modo di ridare armonia alle umane sofferenze, alle distorsioni del linguaggio, alla sua manipolazione e mistificazione, alla prevaricazione-induzione alla passività. La poesia, quando è vera poesia, e non produzione spuria di parole assemblate, sublima il linguaggio e la comunicazione; i concetti assumono nuovo valore nella relazione con il privato che ne vuole essere coinvolto per scelta e sensibilità; dunque, la parola poetica richiede attenzione, concentrazione, riflessione: una proiezione ed una introspezione, un trovarsi nella scrittura, nel sentirsi uniti in un appagamento, in una ricerca di come si vuol essere vicino agli altri, con il polso, il sangue ed i muscoli.