Contributi su aree tematiche differenti
M@gm@ vol.4 n.2 Aprile-Giugno 2006
QUALCHE RIFLESSIONE SULL’INFLUENZA AVIARIA
(Traduzione Marina Brancato)
Michel Maffesoli
michel.maffesoli@univ-paris5.fr
Insegna Sociologia all'Università
René Descartes, Paris5-Sorbonne; Direttore del CEAQ (Centro
di Studi sull'Attuale e il Quotidiano, Paris V) e della rivista
Sociétés; Presidente dei Centri europei di Ricerca sull'Immaginario
(GRECO CRI), Francia.
«Il
viaggiatore che ha visto molti paesi e popoli e molteplici
continenti, a chi gli chiedeva quale qualità egli avesse ritrovato
ovunque negli uomini, rispondeva: hanno una propensione alla
pigrizia. Nessuno penserebbe che rispondesse con più giustizia
e ragione: sono tutti impauriti. Si nascondono dietro i costumi
e le opinioni. »
(Nietzsche, Schopenhauer éducateur)
Nel mite totalitarismo che stende il suo velo melenso su delle
masse inquiete, si sa che i diversi tecnocrati rinsaldano
il loro potere alimentando il timore. Ciò che non è molto
complicato, tanto il timore dell'ombra, il timore della sua
ombra lavora tutto su ciascuno. Se si deve caratterizzare
l'epoca, è perfetto il termine di codardia generalizzata che
viene immediatamente allo spirito.
È noto che il virus dell’influenza aviaria non può contagiare
l’uomo che da un contatto diretto e prolungato. Per esempio,
bere l’acqua di una palude infettata da escrementi di uccelli
contaminati o fornicare con un pollo afflitto da questo male.
Ugualmente, il pericolo di pandemia non potrebbe arrivare
che da congiunzione con l’influenza umana. Così, i virologi
considerano che sarebbero necessarie centinaia di persone
infettate per avere un pericolo reale d’infezione generale.
Come si vede, il rischio è grande! Ma non è questo il problema.
È sufficiente, per noi tecnocrati, che l’immaginario dell’insicurezza
sia lì. Essi vi trovano una ragione d’essere. Possono, sapientemente,
giocare le utilità. Si sa che di qualsiasi tempo, è puntando
su un'angoscia diffusa che i diversi poteri hanno fatto accomodare
la loro legittimità.
In realtà ciò che è da prendere seriamente, sono le isterie
collettive. La caduta spettacolare del consumo di pollame
di qualsiasi tipo lo testimonia. Ricordiamoci anche che non
è lontano il tempo dove lo stesso sospetto incombeva sulla
carne bovina!
Bando agli scherzi! Attualizziamo l’apologo. Così l'emozione
causata dal doppio scandalo che colpirà il CNRS non manca
di suscitare inquietudini e interrogativi. Naturalmente in
termini di epidemiologia. Preoccupazioni quanto alla salute
mentale dell’ambiente sociologico capace di far petizioni
mescolando, senza accigliarsi, la gallina ed il bue, la parità
e il problema di una nomina considerata come provocatrice.
Preoccupazioni sulla semplice moralità di questo “ambiente”.
Del miscuglio, può, infatti, essere questione tanto è eteroclito
l'elenco dei petizionari. Inventare alla Prévert: qualche
raro professore di magistrale rango, ma di “serie B”, di studenti
idiotizzati da questi stessi professori, una “simpatizzante
delle scienze sociali”, l’inevitabile “cittadino del mondo”,
un “amico razionalista” e ugualmente un “pilota di linea”
(caspita!). Un ortofonista, qualche massaggiatore kinesiterapeuta,
si può anche scovarci un osteopata. C’è, inoltre, una farmacista
(che, suppongo, pensa così di poter vendere le sue pozioni
in caso di pandemia). Non orsetti lavatori, no, ma si sono
anche visti due sociologi belgi che additano con il naso!
Senza dimenticare, certo, la folta schiera delle femministe.
Tra loro, un movimento detto “Giovani donne”. Toh, e le vecchie?
Io che sono prossimo alla pensione, m’inquieto per loro. Rassicuriamoci,
nel giro della lista si può sentire l’odore di una delle mie
colleghe che non è della prima freschezza, né fisica, né intellettuale.
Uffa! Quelle della mia età si rassicurano. Dunque delle donne
che protestano, a giusto titolo, contro la parte congruente
accordata alle donne nel nuovo Consiglio di Amministrazione
del CNRS. Ma che firmando, non s’imbarazzino né per gli scrupoli
né per la semplice onestà intellettuale quanto alla pratica
dell’amalgama, di odiosa memoria, operata tra questo fatto,
criticabile e la stigmatizzazione di un sociologo, il cui
solo (?) difetto sarebbe stato di aver fornicato, nella sala
Louis Liard, con un “pollo” contaminato. Rischiando così di
aver infettato le centinaia di persone presenti! Si presta
soltanto ai ricchi.
Non parlo degli innumerevoli scienziati (vi si trova anche
un “astronomo in pensione”!) che sono, evidentemente, ben
collocati per giudicare della “scientificità” di questa o
quella tendenza sociologica! Che si dirà se i sociologi si
azzardassero a dire la verità in astrofisica?
Ma a tutto questo bel mondo ricordiamo in cosa abbia ragione
(a meno che il loro atteggiamento non mi dia ragione).
1) Innanzi tutto ciò sottolinea che l’isteria è un fenomeno
che caratterizza la nascente postmodernità. Tutti gli affollamenti
contemporanei: musicali, sportivi, religiosi, e secondo l’esempio
presente, intellettuali, ben mostrano che è il “ventre” che
è sollecitato. L’emozionale prevale. Il cervello è subordinato.
Per dirla in breve: affollamenti, sconvolgimenti.
Fusione, effusione, confusione, diffusione. Ecco le parole
maestre che caratterizzano le nostre società. È necessario
in termini di epidemiologia interpretare tutti i fenomeni
sociali. Non pensate che si possa, legittimamente, applicarli
al prurito delle petizioni? Certamente, anche gli (pseudo)
intellettuali non sfuggono allo spirito del tempo [1].
2) Parimenti, restando nell’ordine della “viralità”, è interessante
osservare che da sempre le diverse contrazioni (morali, intellettuali,
scientifiche) testimoniano un battaglia di retroguardia. In
termini di logica, è la riconoscenza a contrario che è stata
contaminata da idee combattute. Sant’Agostino ci aveva da
tempo informato: boni de sui diffusi. Qualunque cosa si fa,
cospirazione del silenzio, o subdoli attacchi, ciò che è pertinente,
in termini scientifici, può soltanto diffondersi.
Infine, come lo indica il senso comune, si ha forse il torto
di aver avuto ragione troppo presto. Ma nello stesso tempo
la storia delle idee mostra, a piacere, che l’anomico oggi
è il canonico di domani.
Ecco il paradosso. Pur avendone timore, queste petizioni vivono
di ciò che li angoscia. Isteria, contagio, influenza di maledette
idee. Si sa, il timore è la conseguenza di un desiderio respinto.
Ma si sa anche che c'è angoscia dinanzi a questo desiderio
non riconosciuto. Di qui pigrizia mentale, horror novi, viltà
intellettuale davanti a tesi nuove, che si useranno, di nascosto,
per manipolare. Forse un giorno avrò il tempo per analizzare
questa strana miseria nell’ambiente sociologico francese.
Poiché, alla base, eccetto alcuni belgi di cui si è parlato,
si tratta proprio di un deleterio ambiente esagonale. Molto
spesso essendo sollecitato all'estero (Europa, Americhe, Asia),
ascolto, da diverse parti, lamenti, sulla decadenza di ciò
che fu il gran pensiero francese. Nostalgia di quel tempo
in cui si veniva a Parigi per fare la propria tesi, accostarsi
alle idee in gestazione, partecipare a veri dibattiti di fondo.
Ci sono soltanto i Giochi Olimpici che ci sono rifiutati.
Non si accorda più credito ad una intelligentsia francese
che passa il suo tempo a battibeccare come una banda di mascalzoni.
Povera vecchia Francia! Non ha ancora del petrolio, e non
ha neanche più idee.
Ahimé, noi non siamo che una piccola “manciata” i cui libri
sono tradotti, siamo invitati a dare conferenze, a fare valutazioni
o ad aprire i colloqui internazionali. E ciò perché l’energia
intellettuale, la libido sciendi, si perde nelle paludi di
subalterne dispute. Si, tutto ciò è indecoroso! E di conseguenza
chi cicala nei bassi corsi, chi petiziona, chi lincia, chi
stigmatizza a tutto spiano. E altre graziosità della stessa
specie. Ma così facendo si perde il proprio tempo. L’energia
collettiva che si investe in questi combattimenti incerti.
Le ragioni nobili (così difendere la scienza) che mascherano
male i pretesti di basso livello. E’ in uno di questi momenti
che il razionalismo diventa dogmatico e si inverte in "entropia
negativa della conoscenza".
È questa ipocrisia virtuosa che occorre scoprire. Poiché sono
i concetti astratti e generali (Verità, Scienza) che fondano
il conformismo intellettuale di questi bei cuori corazzati
dalle loro certezze e dalla loro arroganza. Quelli stessi
che Charles Fourier qualificava come "contrabbandieri scientifici
che sanno assumere il tono accademico, passaporto degli errori
e della giocoleria”.
Occorre essere lucidi. Quando non è più sicuro di se stesso
un determinato gruppo organizza pratiche di esorcismo e favorisce
atteggiamenti convulsivi. Di conseguenza incantesimi ed altre
angosce collettive prendono il sopravvento, in sostituzione
di una ragione sana oggettiva. Paradosso tanto più forte,
che in nome della Ragione che si insedia si può, legittimamente,
chiamare razionalismo morboso. Non è così che bisogna, sociologicamente,
comprendere il torbido gioco di questi apprendisti stregoni.
Intendono difendere la scienza, per definizione analitica,
facendo appello al metodo più indegno, quello dell'amalgama,
cioè di una confusione.
Certamente, occorre molto per fare un mondo. Ma quando si
permette a ciò che è, lo si suppone, un'associazione sado-masochista
("liens-socio.com"), il monopolio di decretare ciò che deve
essere il lavoro lento del pensiero, si è in piena confusione
delle sensazioni. È frequente rievocare, al giorno d'oggi,
la perdita di riferimenti. Gli scapestrati sociologi che organizzano
la caccia alle streghe partecipano, senza alcun dubbio, alla
perversione della ricerca. Sono loro che screditano, con i
loro sporchi piccoli giochi, le nostre scienze umane. E questo
bisogna denunciarlo con forza.
Occorrerebbe avere la verve di un Pareto per scrivere sul
"mito virtuoso" un trattato di letteratura immorale a proposito
di ciò che si pubblica, in questi tempi, per quanto riguarda
questa nomina incongrua al Consiglio d'amministrazione del
C.N.R.S. O anche la piuma di un Bernanos che fustiga il Grande
timore dei benpensanti. Ma di cosa si tratta esattamente?
Avendo fatto sostenere una tesi sull'astrologia da un’astrologa
conosciuta, sarei invalidato a vita! Non mi rammarico affatto
di questa protezione.
Presieduta da uno scienziato, rispettato a livello internazionale,
S. Moscovici, è stato oggetto di una relazione conseguente
dove le critiche, a volte dure, non mancano. Poiché eccetto
uno o due sociologi che hanno, per ragioni che dirò presto,
fatto un'indagine unicamente a carico, chi fra quelli che
lanciano grida di ossifraga ha letto questa relazione? Chi
ha letto questa tesi? Chi, semplicemente, si ricorda del suo
argomento? E cioè, l'ambivalenza dei media rispetto all'astrologia.
Nello stesso tempo, la loro attrazione e la loro repulsione.
Chi ha notato che le pagine che è frequente appuntare, pagine
sulle "prove della natura scientifica" dell'astrologia, sono
situate in allegato? Impaginate in numeri romani, e costituiscono,
pertanto, un fuori testo. Il materiale, accanto ai segni dello
zodiaco, ed altre futilità della stessa natura, che costituiscono
il modo operativo di questo approccio simbolico dell'umano.
E mi era sembrato utile proporlo "in allegato", per la comprensione
dell'insieme.
Ma è questo il problema? Tutto ciò l’ho detto più volte. Ma
non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
È inutile voler spiegare un rituale d'esclusione, poiché è
un modo per un determinato gruppo, che non comprende più quale
sia la sua ragion d’essere, di inventarsi, fantasmaticamente,
un'esistenza. Anziché produrre un pensiero per il tempo presente
ci si inventa una causa da difendere: la scienza è minacciata,
la ragione è messa male, la sociologia è in pericolo. Sotto
il colpevole. Occorre un capro espiatorio. La caccia è aperta.
Don Chisciotte, cavaliere delle crociate inutili, ha i mulini
a vento che può!
Ma cosa è che si nasconde dietro queste belle sensazioni ed
altre magniloquenti forme legittime? Polizia del pensiero?
Godimento della vecchia pratica inquisitoria? I sapienti patentati
si sentono minacciati? Perché i cani da guardia ringhiano?
È istruttivo notare, a tal riguardo, che fra i "primi firmatari"
della petizione richiedente la mia messa al bando a causa
d’infamia, vi è il sociologo C. Baudelot. Come abitudinario
difensore dei dogmi consumati, aveva già firmato in prima
pagina quello che a suo tempo chiamavamo il "giornale di tutti
i poteri", ho detto Le Monde, un articolo tuonante che aveva
inaugurato, e giustificato (poiché questo giornale è "di riferimento")
una campagna contro l’irrazionalismo che rappresentavo.
Poiché si parla di irrazionalismo, ricordiamo che, in occasione
di una riunione all’Anfiteatro Durkheim, dove si intendeva
firmare la mia sentenza di morte professionale (il "Berufsverboten”
nazista ha vita lunga!) e, dove, mi auto-invitavo, io gli
feci osservare che mi sembravano diversamente più nocive le
pagine che egli aveva scritto nella “Scuola capitalista in
Francia" (Edizioni Maspero, 1973) dove giustificava la spedizione,
in campi di riabilitazione, di intellettuali non conformi
e, certamente, che non andavano nel senso della storia. Campi
di sinistra memoria dove numerosi vi lasciarono la pelle.
In questa riunione (una farsa e non un dramma!) precisavo
che non bastava perorare l'irresponsabilità dell'intellettuale.
Il saggio deve essere attento a non mettere il coltello nella
mano degli assassini. I diversi campi di sterminio (staliniani,
nazisti, cinesi, cambogiani) del XX secolo non possono che
incitarli alla prudenza. Virtù cardinale del vero pensiero.
È per farmi tacere su questo punto molto delicato? Alcuni
giorni più tardi, ricevevo una lettera di Baudelot, dove riconosceva
di non aver letto la tesi accusata (e questo è un vero scandalo
intellettuale, poiché ne aveva appena fatto la critica!) e
dove mi garantiva che la sua intenzione era "di non più intervenire
e di indurre i miei colleghi a fare altrettanto" (lettera
del 21-05-01). Era tempo infatti!
Ma bisogna ricordare ciò che Boris Souvarine diceva degli
staliniani pentiti: non è cambiando di marciapiede che una
puttana cessa di essere una puttana. In altre parole, il lupo
perde il pelo ma non il vizio. E, eterno maestro di scuola,
custode della purezza stavolta scientifica, lo vediamo ritornare,
a capo di una cricca che pratica questa tecnica di amalgama
che si sperava disperso con la caduta del muro di Berlino.
Contro chi i petizionari insorgono?
1) Al Consiglio d'amministrazione del C.N.R.S, essendovi le
donne sotto rappresentate non c'è parità. Chi non firmerebbe
contro di ciò?
2) E del resto, il sig. Maffesoli, di triste memoria (cfr.
più sopra) vi è citato. (Forse è un invito a farmi subire
la sorte di Abélard, e così contribuire a restaurare la parità
suddetta?)
L’astuzia è grossa. Ma l'intelligenza è certamente mal distribuita
in "ambiente" sociologico, e numerosi sono quelle e quelli
che, per inerzia, opportunismo o, semplicemente sciocchezza,
firmeranno tale petizione. Ma tutto questo, C. Baudelot, ed
i suoi ipocriti stati di cuore donchisciotteschi, è di poca
importanza. Vediamo ciò che ne è di alcuni di questi Sancho
Pancha che, sui loro muli scarni, lo accompagnano nelle paludi
fangose della delazione.
La scienza e la ragione, lo si è visto, gli funge da pretesto,
da garanzia o semplicemente da visualizzazione. Nel loro progressismo
minchione, un po’ disusato, considerano che la proiezione
della ricerca si elabora a partire dall'accumulo di verità
immutabili. E colpiti dalla malattia dei pappagalli (ecco
si parla ancora di uccelli! Si potrebbe anche invocare le
"Nuvole" di Aristofane. Ma questo passo non gli fa troppo
onore), dunque di questa affezione chiamata psittacismo, ripetono,
perpetuamente, le stesse analisi convenute, o le plagiano
senza ben capirle, non comprendendole, le idee che altri hanno
proposto.
Sarebbe ora di uscire dall'esagono geografico e mentale! Rendersi
conto che il vero passo scientifico è "progressivo". In tal
modo voglio affermare che è una continuazione di scossoni,
rotture, e punti di fuga. In breve saper perdere su di sé
gli argomenti che non si osano affrontare. Audacia del pensiero.
O come sostiene Michel Foucault, un esperto in materia, il
"coraggio delle conoscenze clandestine che sopportano la maledizione".
Eh sì, miei buoni "macellai", è questa la scienza. Non il
suo dogma sicuro, ma la capacità di attuare intuizioni urtando
le certezze stabilite e, dunque, non avendo timore dei pericoli
che si incorrono. Avere questo "sguardo sociologo" (Simmel)
capace di integrare la vitalità esuberante di un mondo in
gestazione. Il pensiero d’alto mare è un'avventura. Non è
senza rischi. E poiché qui siamo nella sociologia medica pensiamo
a questo famoso aforisma del vecchio Ippocrate: Méga dé méros
tès technés. “E’ una grande parte dell'arte il saper esplorare".
Fra le tesi che ho fatto sostenere, vi furono, in un periodo
in cui non era di moda, quelle sull'omosessualità. Mi ricordo
come dei miei colleghi accusandomi "di fare entrare i froci
alla Sorbona!" O anche alcuni studenti di Lione che venivano
a fare il loro DEA, sotto la mia direzione, sul "minitel rosa".
Non avevano trovato nessuno tra i "Calystes" di Lione che
accettasse l’argomento. Potrei elencare inventariare, a caso,
il lungo elenco degli oggetti maledetti, impensabili, che
ora fanno parte della banalità. Talvolta anche dell'ultimo"chic"
teorico (anomico/canonico).
Pensare il legame sociale che emerge, comprendere la socializzazione
nascente. Prendere sul serio la profonda mutazione sociale.
Ecco ciò che fin dal 1979 ho proposto di fare a partire dalla
"duplicità" nell'ambito individuale, come inizio di un cambiamento
di paradigma. Lo stesso a proposito del tribalismo e delle
reti che induce (1987), dove mostravo il passaggio dall'individuo
alla persona plurale; dall'identità stabile alle identificazioni
multiple. Allo stesso modo sull'importanza delle emozioni
condivise e delle passioni comuni. Senza parlare del gioco
delle apparenze nell'elaborazione della vecchia metafora di
"corpo sociale".
Mi fermo qui! Ma si riesce a trovare questa pluralizzazione
della persona, l'importanza del quotidiano, la frammentazione
della società, le nuove forme di "socialità", nella penna
di miei dispregiatori. Numerosi fanno la propria pacchia universitaria
su queste problematiche. L’industria della falsificazione.
Plagiando. In ogni caso denaturandoli. Una specie di "Canada
Dry" del pensiero teorico. Ciò che dà delle compilazioni dove
non c'è né essenza, né arguzio, né stimolo! Colpevoli di accanita
concussione, si capisce perché hanno interesse ad eliminarmi.
Fra i "primi firmatari", uno dei miei ex studenti, avendo
venduto il suo cuore per un piatto di lenticchie, tenta così
di far dimenticare ciò che non aveva visto a suo tempo: "io
sono un irrazionalista incerto". Ho appreso dai miei maestri
(Gilbert Durand, Edgar Morin, Julien Freund, Pierre Sansot,
Jean Duvignaud, Serge Moscovici) che in qualsiasi cosa, ma
nel pensiero in particolare, non c'è onore che nella fedeltà.
Ciò che è certo, è che non è molto degno "fare le scarpe"
a qualcuno. Questo come si chiama? Non è del banditismo. No.
Piuttosto una pratica benigna, la truffa del malavitoso del
sobborgo. Di un piccolo borsaiolo di quartiere. In un certo
senso un’inciviltà intellettuale. Ma ecco, come occorre nasconderlo,
si assumono comportamenti da "virtuoso", da difensore della
scienza. Ho qualche ricordo delle mie bontà. Non è che procedevano
così i sicofanti nell'antica Grecia? Si faceva il processo
a qualcuno. Dichiarandolo di indegnità pubblica, per poter
impadronirsi, legittimamente, dei suoi beni. Impostori costanti,
plagiari assidui, specialisti nell'arte del plagio, sanno
svaligiare dolcemente. Né visto, né conosciuto. Della grande
arte?
Sicofanti, delatori, ecco la conseguenza di una società di
sorveglianza. Quella dove il rischio zero è promosso ad ideale
di vita (sociale, politico, scientifico). I rituali di esclusione
sono la conseguenza logica di queste tecniche, istituzioni,
ordini da "maresciallo" che hanno il compito di controllare,
misurare, correggere gli "anormali". Ecco i "dispositivi disciplinari"
che denunciano di fatto il timore del contagio. Denunciatevi
reciprocamente. Ecco il credo di una società paranoica e malvagia!
E si fanno petizioni contro chi ha osato far sostenere una
tesi sull'astrologia, contro un altro colpevole di molestia
sessuale. Ecco costumi tribali che non vogliono riconoscersi
come tali. L’emotività e la turpitudine vi hanno la loro parte
anche se li fregiano di morbidi nomi quali Ragione e Scienza.
Ma a che pro provare a sostenere, quando la sola argomentazione
che è utilizzata dai nostri "scienziati" è quella famosa del
"calderone" di cui Freud ha ben mostrato il meccanismo: io
ti ho restituito il tuo calderone, era perforato, ma del resto
tu non me l'hai prestato! Ho provato a dimostrare tutto l'interesse
che c'era nello sviluppare, nelle nostre discipline, una conoscenza
ordinaria. Ho provato a dimostrare che occorreva arricchire
la ragione con il sensibile. Poiché, lontano dai diversi irrazionalismi
e razionalismi dogmatici, la razionalità aperta costituiva
il vero ritmo della vita. Quello che lontano dal modello patriarcale
alla verticalità rigida introduce un orizzontalità fraterna
dove la femminilità occupa un posto di privilegio.
Ma occorre prendersi la briga di spiegare tutto ciò? Quando
si sa che la sola argomentazione propria ai rituali di esclusione
è ciò che mi ha indicato un collega amico: "non hai l'odore
della muta". Quella dei mediocri in ogni caso!
La leggenda dorata racconta la storia di certi eretici ai
quali si tagliava la lingua fino alla radice, affinché non
potessero più parlare. Ciò non gli impediva di proclamare
ciò che dovevano dire. Ecco ciò che ho fatto da tempo, ecco
ciò che continuerò a fare con quei, numerosi, miei colleghi
che hanno saputo conservare la ragione. In pratica giudicare
caso per caso, analizzare, sfumare, comprendere. La nobiltà
dello spirito in un certo senso. È da questi che ci si attende
qualche nuova risorsa per pensare la vita nel proprio sviluppo.
Dimentichiamo i creduloni che firmano, per darsi l'impressione
di esistere, tutte le petizioni che passano a portata delle
proprie penne febbrili. Dimentichiamo i poveri studenti che
sono "debitori", e devono, per spirito di clan, seguire i
loro professori. E’ ormai da molto tempo che parlo di tribalismo.
Sottolineando che fosse per il meglio o per il peggio! Essi
ne sono un buon esempio.
Ma vergogna a quelli che, scaltramente, hanno seminato il
disordine per il più grande male delle nostre discipline!
Resi ciechi dal risentimento, o da semplice gelosia, hanno
sostituito il legittimo e, a volte, il duro dibattito con
l'anatema dell’essenza inquisitoria. Ciò è particolarmente
indegno. Come ho indicato, proiettano il loro inconscio sado-masochista
su tutta la nostra disciplina. Dubito che fare appello a questi
valori umanisti che sono l’autocoscienza, o l'amore proprio
serva a qualcosa. In ogni caso la loro coscienza non deve
essere serena, preferisco essere al mio piuttosto che al loro
posto, e dire in latino le sensazioni, o piuttosto gli stati
fisici che suggeriscono queste pratiche di petizioni:
Evomenda et cacanda.
Mi accorgo spiacevolmente che mi sono allontanato dal mio
argomento: la famosa influenza aviaria. Vi ritorno dunque.
Poiché, sebbene il pericolo del virus H5N1 resti per lo meno
ipotetico, si evoca la possibilità di installare negli aeroporti
dei rivelatori di febbre. Speriamo che i truffatori, plagiari
ed altri rivelatori di cui si è parlato (e che sapranno ben
riconoscersi), e che sotto la maschera dello zelo intempestivo
di difesa della scienza vogliono dominare, dogmaticamente,
la sociologia, non installino una tale tecnologia alle porte
della Sorbona. Così potrò continuare ad esercitare la nostra
comune vocazione: insegnare con passione, consigliare con
cura, dirigere con discernimento. E soprattutto scrivere.
Per illuminare, il più possibile, questa bella "hommerie"
che, secondo Montaigne, si è ricevuta in condivisione.
Così facendo si può sperare che riprenda forza e resistenza
il meraviglioso ideale degli umanisti del Rinascimento. Sine
irae et odio. Senza rabbia né odio, lottare contro tutti i
dogmatismi, tutte le intolleranze ed altre idee convenute.
ALLEGATI
Maresciallo eccoci!
L'intolleranza guadagna terreno, e lo spirito inquisitorio
sembra avere bei giorni dinanzi a noi. E ciò, com’è sempre
il caso in materia, in nome del bene, del giusto, della verità.
Giunto da un paese dove il maccarthysmo aveva causato dei
disastri, il "politicamente corretto", ora, ha contaminato,
in Francia, molti settori. Nulla sfugge alla sua influenza
deleteria. Non è fino al "pensiero" francese che ci si occupa
di mettersi al passo. E tuttavia, durante alcuni decenni,
la sua influenza internazionale era stata reale. Esercitava
un'attrazione innegabile. E ciò, precisamente, perché era
audace, quanto ai suoi argomenti, le sue analisi, i suoi metodi.
Non è più così. Il conformismo spia. E ci si può chiedere
se non è per questo che, come un incantesimo magico, si insiste
tanto sulla supposta "eccezione francese". Il presidente Bush
che lancia la crociata contro il male rappresenta il simbolo
che trionfa su una polizia del pensiero che, così, segue tutto
e tutti coloro che non pensano correttamente. E proclamando
"siamo americani", un giornale famoso della sera, bollettino
parrocchiale di una misera intelligentsia diseredata, non
ha fatto altro che accendere la miccia: occorre rientrare
nella fila e calzare gli scarponi di tutti i piccoli pensieri.
Ma se il suono della tromba fa stranamente dei seguaci dove
ci si aspettava meno, non potrà soddisfare gli spiriti più
aperti.
È tempo di ribellarsi! Non come lo mostra così bene Alfred
Schütz, come un Don Chisciotte chiusi nell'illusione di un
mondo frantumato, considerato "scientifico". Ma aprendosi
ad una realtà più vasta, quella della surrealità sociale.
Certamente non occorre lanciare sfide inutili, occorre invece
rassegnarsi a liberare quelli che ci scagliano i conformisti
di qualsiasi razza che vogliono decretare ciò che deve essere
il mondo e come occorre analizzarlo.
Questi piccoli "bush", lì per lì, concentrano le proprie basse
opere purificatrici in questi luoghi sudici che sono le commissioni
multiple presunte a controllare (amministrare) la ricerca
e l'insegnamento. Non rispettando, di solito, neppure i criteri
"oggettivi" che si sono dati per legittimare i loro giudizi,
si occupano soprattutto di vendicarsi. Sì, semplicemente vendetta!
Meccanismo ben noto, che consiste nel proiettare sull’altro
l’incomprensibile, lo straniero, l'ombra che ci tormenta.
Senza parlare della psicologia, ricordiamoci di Pareto e dei
meccanismi di razionalizzazione o di legittimazione che servono
a giustificare il risentimento di cui sono composti. Poiché,
oltre ad un'elezione pericolosa, su cosa si basa la loro legittimità?
Le loro opere? Certamente, esiste per alcuni di loro, che
operano con onestà e generosità di spirito. Ma per la maggioranza
di questi “commissari”, è inesistente. Di conseguenza, questi
"pop artisti" della sociologia trovano il loro"quarto d'ora
di celebrità" come possono. E provano a farsi un nome stigmatizzando,
eliminando tutto ciò che sfugge ai loro piccoli conti di commercianti.
Disqualificazione spesso provvisoria del resto, poiché la
forza è constatare la quantità di termini, di riferimenti,
di nozioni, che a loro tempo avevano stigmatizzato, ritornano,
senza che citino mai le loro fonti, alcuni anni più tardi,
dalle proprie penne o quelle dei loro fidati: nonché la fioritura
attuale dei riferimenti alle "reti", alla sensazione d'appartenenza,
alle tribù; alle emozioni comuni nonché di quelli che si sono
interessati alle pratiche omosessuali, quando sono diventate"movimenti
sociali" che possono riportare molto in termini di notorietà,
dopo aver urlato allo scandalo delle prime ricerche sulla
omosocialità. Lungo potrebbe essere l'elenco di ciò che si
potrebbe nominare, a scelta, un "seguire incosciente" o un
pompaggio grezzo. "Cattolici di sinistra" riciclati, staliniani
nostalgici dei campi di riabilitazione, ex gauchisti in crisi
di rispettabilità, hanno ottenuto con arrivismo e manovre,
il posto al quale aspiravano: quella dei notai sazi di conoscenza,
che diventano così i protagonisti di ciò che Georges Bataille
chiamava il piccolo mondo della "volgarità istruita". Per
riprendere l'espressione weberiana, di piccoli ingranaggi
burocratici, essi conoscono perfettamente l'arte dell'assassinio
anonimo, e lo praticano con delizia, beneficiandone.
Poco importa, di conseguenza, la "libido sciendi" in atto
in ogni riflessione. L’hanno barattata con una "libido dominandi",
dall'efficacia istantaneamente più vantaggiosa. Nell’immediatezza
delle loro misere pratiche vergognose, questi libidinosi frustrati
non vedono neppure l'aspetto irrisorio della loro"reazione".
Poiché sono dei reazionari. Occupandosi di arginare le falle,
sono completamente incoscienti della viva forza del vero pensiero.
Pensiero selvaggio ed anomico, che rischia di essere il pensiero
canonico di domani. Il vento folle della scoperta non si lascia,
mai, avviluppare nelle piccole certezze o evidenze scientifiche
del momento. Tutti i creatori hanno affrontato i fulmini dell’establishment.
Affermando il tabù di alcuni argomenti, metodi, sensibilità
teoriche, i burocrati universitari vogliono creare per ambizione
un "ordine" corporativista, gerarchizzato, legittimando gli
argomenti teorici ed i metodi per abbordarli. Avendo timore
dell'ignoto, in un certo senso "maresciallizzano". Ma, non
dobbiamo essere sempre obnubilati da ciò che G. Tarde chiamava
le vecchie "sociomachie" mitologiche, questo combattimento
perpetuo delle forze del bene contro quelle del male, i buoni
contro i cattivi argomenti di tesi, i buoni "metodi contro
quelli cattivi" … Non dobbiamo più discriminare, a priori,
quegli studenti che pensiamo possano fare una tesi [2].
L'ho detto, un tale atteggiamento reazionario non è più in
linea con la sensibilità dei giovani ricercatori che, a volte
pagandone il prezzo, non accettano più gli editti imperanti.
Il crollo delle torri falliche di New York ne è il simbolo,
il potere verticale non è più ciò che era. E voler "professionalizzare"
la sociologia, cioè farla rientrare in un ordine mercantile,
è un obiettivo (un fantasma del potere) datato che subirà
la stessa sorte.
In modo diffuso, si sente un'esigenza del pensiero che non
accetta più recinzioni concettuali a priori, né tanto meno
esclusioni scolastiche. E la caccia alle streghe che conducono
i "commissari", esperti ed altri apprendisti burocrati, se
traduce bene lo stato d'animo arrogante di una casta al potere,
non potrà nulla contro il frangente del relativismo teorico
i cui indizi sono una moltitudine. Questo relativismo, nel
suo senso simmeliano, è l'eco, per quanto concerne la scoperta
intellettuale, del policulturalismo ambientale: la messa in
relazione di modi di essere, di forme di pensare, di gusti
sessuali, culturali, luoghi di culto che non si riconoscono
più in una "reductio ad unum" del fantasma totalitario dell'epoca
moderna.
Al potere patriarcale verticale, risponde la potenza dei dibattiti
orizzontali. Ed Internet ci aiuta, gli argomenti anomici situano
l'accento sui diversi aspetti del quotidiano, sulle molteplici
tribù urbane, le "cyberattitudini” ed altre forme del dionisiaco
diffuso, che non potranno più, durevolmente, essere represse.
Semplicemente perché corrispondono alla socialità postmoderna.
Il pluralismo dei metodi, delle intuizioni, degli argomenti,
la trasversalità degli approcci, tutto ciò ribadisce la pluralità
dei vissuti sociali. Tutto ciò richiede audacia teorica, delle
ipotesi e delle analisi rischiose. Ecco ciò che rappresenta
la condizione necessaria per essere "l'intellettuale organico"
del proprio tempo. Inoltre tutto ciò, forse, impone, come
Descartes lo aveva proposto all'inizio della modernità, di
fare "tabula rasa" dei dogmi "scientifici", delle credenze
ed altre doxa accademiche.
L'inquisizione ha fatto il suo tempo. E, nello stile dell'Almanacco
Vermot, ricordiamo che le vere credenze non sono, dopo tutto,
che delle fosse (false) scettiche. Vendicandosi in modo anonimo,
applicando la legge immorale della rappresaglia, in breve,
rifiutando il dibattito, e promulgando i loro editti sulla
buona scienza contro il male circostante, i proprietari della
"scienza francese" si screditano agli occhi della Comunità
internazionale, si danno dell’importanza, e soprattutto, portano
un cattivo colpo alla conoscenza sociale che affermano di
difendere. Ribellione, ho detto, contro questi burocrati e
la loro ipocrisia. E ciò può essere realizzato riconoscendoli
per ciò che sono: curati, neri o rossi, mal spretati e che
traspongono i loro sogni o incubi di un tempo in un luogo
dove dovrebbe regnare la libertà laica di pensiero; dei totalitari
avidi di potere, anche insignificanti, e non avendo alcuno
stato d'animo per imporlo. Per smascherarli, basta ricordarsi
del proverbio popolare: non è perché una puttana cambia di
marciapiede che cessa di essere puttana.
Elogio della conoscenza ordinaria
Si vogliono dimenticare gli eccessi verbali, gli insulti e
l'approssimazione teorica che si accosta più ad un regolamento
di conti che ad un vero dibattito, per attenersi a un solo
elemento conseguente dal punto di vista di Baudelot ed Establet
(Le Monde del 18 aprile), ciò che chiamano "il culto del vissuto",
ciò che, da parte mia, preferirei chiamare la ricerca del
vivente.
È certamente in questo quadro generale che occorre situare
la tesi di Germane Hanselmann (detta Elizabeth Teissier) "sull'ambivalenza
della fascinazione - rifiuto dell'astrologia", che ho diretto
e che fu sostenuta il 7 aprile all'università Parigi V, dinanzi
ad una giuria presieduta da Serge Moscovici.
Le diverse tappe del "controllo" universitario sono state
oggetto di una grandissima attenzione. Ci si può rammaricare
- mi rammarico personalmente - della pubblicità mediatica
e mondana intorno a questa discussione della tesi. Un titolo
di dottore in questa o quella materia non garantisce affatto
ciò che può essere detto o essere fatto al di fuori dalla
disciplina. Ma non possiamo scegliere i candidati rispetto
alle loro intenzioni. O allora (potrebbe essere interessante),
occorrerebbe allargare il dibattito e riflettere in cosa la
ricerca scientifica consolida o meno la tecnocrazia militare-industriale,
la confusione del pianeta o la ripartizione disuguale delle
ricchezze.
In compenso, per ritornarne alla tesi in questione, come fu
il caso di altre tesi sul fenomeno della credenza, coloro
che prenderanno la briga di informarsi sul contenuto (tesi
e relazione) vedranno che la sfida sociale ed epistemologica
(analizzare le forme di credenze nell'astrologia) è importante.
In tale prospettiva, analizzare il vivente non è affatto l'indice
di un'abdicazione dello spirito, bensì l'opposto. Poiché non
è stato detto, la mia singolarità (che tanto in Francia quanto
all'estero non lascia indifferenti) da un quarto di secolo
consiste nell'insistere sulla necessità di pensare razionalmente
ciò che è considerato come "non razionale". Scoprire la sua
efficacia sociale. E per quel poco di cultura sociologica
che si possieda, sappiamo il ruolo che occupa la non logica,
la passione, l'immaginario in ciò che Peter Berger e Thomas
Luckmann chiamano la "costruzione sociale" della realtà. Anche
Durkheim, che inviava a trattare i "fatti sociali come cose",
ha insistito a varie riprese sull'importanza delle rappresentazioni,
qualunque cosa si possa pensare di queste. Riprendendo come
titolo uno dei suoi libri l'espressione di Bergson "la fabbrica
degli dei", Moscovici ha ben mostrato come tutte le grandi
opere sociologiche (Simmel, Weber ...) si scontrarono contro
tale problema: la credenza è una realtà, decide del pensiero.
L'astrologia è una di queste credenze ed analizzarla sociologicamente
non consiste certamente nel darle uno statuto scientifico.
Stabilire un'equivalenza tra la "mia" sociologia e l'astrologia
è un amalgama di cui si poteva pensare superata la pratica.
Ma può essere necessario purgarsi dalle proprie convinzioni
per meglio comprendere l'evoluzione delle nostre società?
In ogni caso, è quello che da tempo, cerco di fare, ed è anche
quello che provo ad insegnare ai miei studenti. Ciò non manca
di irritare i miei detrattori. Ma mi sembra che sia un buon
modo di analizzare ciò che è e non ciò che si gradirebbe che
sia.
Infatti, la "logica del dovere essere" (Weber), fonte di qualsiasi
moralismo, è il peggiore dei consulenti. Conduce dritto alla
polizia del pensiero, di cui si conoscono i misfatti. La logica
inquisitoria non è lontana, quando ci si erge in qualità di
giudice di ciò che deve essere pensato e come si deve pensare.
Certo, è possibile accantonare la sociologia da riprodurre,
continuamente, sulla base di una filosofia sociale ereditata
del secolo scorso, dei dibattiti di scuole che interessano
solo queste ultime. È istruttivo osservare l’impotenza provata
rispetto alle liti fra cappelle nell’ambito sociologico. Lì
è la vera "auto-derisione"che non è connessa con la realtà
sociale.
Più rischioso è un pensiero, non dirò singolare, ma tipico,
cioè à dire che intuisca le idee-forza di una data epoca,
occupandosi di farne emergere i "caratteri essenziali" (Durkheim).
Fra queste, all'opposto di una strutturazione razionale della
società, l'emergenza di un immaginario delle "tribù" in tutti
i settori del sociale. O ancora la trasfigurazione della politica,
che più adeguatamente permette di osservare l'astensione stupefacente
e l'importante fenomeno del non-iscritto che esprime la saturazione
del meccanismo di rappresentazione (filosofico, politico e
sociale) sul quale si fonda la parte principale delle analisi
sociologiche.
E che dire della "prossemia" (scuola di Palo Alto), o del
ritorno del "nomadismo" sotto le sue diverse modulazioni (emozionali,
ideologiche, professionali)? Si tratta di "interpretazione
gratuita" o di "analisi spontanea" come mi si rimprovera?
Poco importa, poiché empiricamente ciò ha permesso e permette
di dare un quadro analitico coerente alle ricerche sulle tendenze
profonde delle nostre società. Si potrebbe elaborare un elenco
molto lungo degli studi fatti in Francia, in Brasile, in Corea,
sulla musica techno, le effervescenze sportive, religiose,
il minitel, la facilità di utilizzo su Internet, le tribù
omosessuali ed altre manifestazioni del legame sociale che
non si basano più su un contratto razionale, ma su una sensazione
d'appartenenza più emozionale.
L'astrologia è una di queste "follie". Accanto alla veggenza,
al marabuttismo urbano e ai diversi sincretismi religiosi,
è sufficiente che lì perché sia, infatti, suscettibile di
una "conoscenza razionale". Non di un razionalismo astratto
avente la risposta tutta pronta prima ancora di porre la questione
ma di ciò che ho chiamato una "ragione sensibile", utile a
situare il ruolo degli affetti, delle interazioni e della
soggettività, presenti allo stesso tempo presso gli attori
sociali e il sociologo che ne fa la descrizione.
Sebbene in Francia siamo in ritardo di una guerra, i dibattiti
metodologici di punta nella sociologia internazionale insistono
sul ruolo dell'implicazione, dell'osservazione partecipante,
della "tipicalità" di ogni cosa che relativizza l’oggettivismo
superato di cui si può difficilmente farne l'unico criterio
scientifico. Se la sociologia è in pericolo, non è per le
sue audacie e per i suoi "outsiders", bensì per un conformismo
di pensiero che la rende spenta e noiosa al desiderio. Considero
che il timore dello sconosciuto e dello straniero è ciò che
ugualmente consolida la derisione nella quale si inizia a
tenere questa disciplina. Chiudere i catenacci delle nostre
università avendo timore del vivente genera, certamente, una
follia ossessionale, quella di questo razionalismo morboso
che ha timore della sua ombra e dunque la proietta all'esterno
su tematiche vietate e su ricercatori pericolosi.
Una ragione aperta all'immaginario, al ludico, all'onirico
sociale è differentemente più ricca in ciò che sa integrare
omeopaticamente, quell’ombra che al tempo stesso ci costituisce.
Ecco il vero problema epistemologico posto da questa tesi.
Ecco il rischio che ho corso da due decenni accettando argomenti
di tesi rifiutati altrove. Ovviamente, ho sempre assunto ed
assumo interamente questo rischio.
Al di là dell'autore della tesi in questione, per cui la questione
non si pone, si può sperare che le minacce appena attenuate
nel testo di Baudelot ed Establet non fungeranno da pretesto,
nel segreto delle commissioni, "per liquidare" candidati il
cui solo torto sarà stato quello di studiare, con rigore,
argomenti considerati tabù. Fra i vari modi di accostarsi
ai fatti sociali, non essendo alcuno esclusivo, partire dal
quotidiano, dal banale, dell'immaginario, ci permette di restare
radicati, senza un a priori normativo o giudicativo, in ciò
che è l'esistenza di tutti. Anche se ciò sembra paradossale:
una conoscenza ordinaria.
Ci si può chiedere, peraltro, se pur non essendo tracotante,
arrogante, moralista, avendo in breve una conoscenza assoluta
e, nel suo senso etimologico, completamente astratta, cioè
rifiutando di analizzare ciò che è, che una certa sociologia
dogmatica prepara il letto alle diverse forme di fanatismo
che, in modo selvaggio, rischiano di proliferare? La questione
merita di essere posta e discussa, possibilmente in maniera
serena.
NOTE
1] Vi faccio una confidenza:
nella mia vita non ho firmato che due petizioni. Una per la
salvaguardia del camembert, quando Bruxelles voleva legiferare
in materia. L’altra per protestare contro la minaccia d’interdizione
del “Minitel rosa”.
2] La Francia è uno dei rari
paesi in cui si esercita un controllo triplo per l'assunzione
degli insegnanti del superiore: quello della giuria di tesi,
che fino allora, deontologicamente, non era messa in discussione
dai pari. Quello del CNU "iscritto" in un elenco d'idoneità,
normalmente in funzione di criteri oggettivi: una tesi e la
sua menzione; le pubblicazioni; l'esperienza pedagogica. Quindi
quello delle commissioni locali che scelgono candidati, su
cartelle e colloqui. Normalmente, se questi tre livelli dovessero
esistere, ciascuno dovrebbe controllare altro rispetto al
precedente: la giuria controlla la tesi; la CNU controlla
i titoli (ma non la tesi), le pubblicazioni (ne controlla
eventualmente il supporto, secondo i criteri stabiliti, ma
non lo sfondo dell'articolo o del libro), l'esperienza pedagogica
(a quando il controllo del contenuto del corso o perché non
allora, il parere degli studenti?). Quanto alla commissione
locale, sceglie fra i diversi candidati idonei, quello che
conviene meglio al profilo del posto. Se ogni grado "fà qualunque
cosa", perché non eliminare la superflua CNU, e lasciare le
commissioni attingere dal vivaio dei dottori, sulla base dei
loro dossier. Dopo tutto, sono sempre dei professori che compongono
le giurie di tesi, la CNU e le commissioni. Moltiplicare i
livelli favorisce il controllo di tutti su tutti, o piuttosto
del piccolo clan di quelli che "sono in tutte le commissioni"
su tutti gli altri.
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