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M@gm@ vol.4 n.2 Avril-Juin 2006
L'ORGANIZZAZIONE NEVROTICA
Giovanni Carlini
giocarlini@yahoo.it
Laurea in Economia, Scienze Politiche,
Scienze Strategiche; Insegna marketing e internazionalizzazione
delle PMI; Collabora con 2 studi (Padova e Milano) di cui
cura la clientela ed in consulenza per Marketing direttamente
presso le aziende; (2005) corrispondente estero dagli Stati
Uniti per contro di 2 case editrici e 7 testate; (dal 2004)
pubblicista per argomentazioni di sociologia dei consumi e
di marketing; (dal 2003) Direttore di Marketing in un’azienda
nel Nord-Est; (2001/2003) docente per i corsi di marketing
internazionale e materie aziendali come organizzazione del
lavoro e diritto del lavoro, presso scuole della Regione Lombardia
a favore di imprenditori e dirigenti aziendali; (2000/2001)
responsabile di marketing per una Spa di Milano attiva nell'area
informatica in pieno start-up; (1999) Direttore amm.vo finanziario
e responsabile di marketing per una piccola azienda metalmeccanica
di Novara; (1997) Direttore Generale per una società d’import
export di prodotti vari.
Anche
le organizzazioni si ammalano. I disturbi sono i più vari
e riproducono fedelmente le comuni patologie individuali quali
ossessività, depressione ed anche nevrosi e paranoia. I guai
cominciano ad avere anche un risvolto economico, quando il
vuoto decisionale si traduce in mancato fatturato. Accade
senza farci caso, che nella gestione del lavoro quotidiano,
si svolgano funzioni impiegando più tempo, rispetto la “norma”,
e questo costituisce un danno, ma le cause non sono pigrizia,
bensì solo confusione organizzata. Infatti, quando la patologia
organizzativa colpisce gli stili di leadership della proprietà
aziendale, tutto si ferma, e l’impresa perde l’attitudine
di dialogare con il mercato. E non finisce qui: se l’incertezza
(di cui raramente si è completamente consci) colpisce il management,
il “contagio” si diffonde a tutti gli stadi e livelli dell’organizzazione
aziendale. Che fare? Ma poi, quanto qui descritto vale anche
per il comparto dell’impiego pubblico?
Quando un problema di ansietà personale si estende anche all’organizzazione
lavorativa? Un evento di questa portata, molto più diffuso
di quanto si possa credere, non è mai un avvenimento che accade
da un giorno per l’altro. Spesso è il risultato di un processo
sotterraneo, protratto per anni, a cui molti hanno partecipato
più o meno consapevolmente. In questo modo, il disagio prima
individuale, diviene parte integrante ed elemento distintivo
della cultura organizzativa. Gli studi sul comportamento organizzativo
di Kets de Vries Manfred e Miller Danny, del resto relativamente
recenti e pubblicati nel 1984, che costituiscono il punto
di partenza per questo studio, vengono qui ricordati per “andare
oltre”. Il tentativo di ricerca, del tutto sperimentale qui
condotto, punta a calare l’analisi nell’effettiva dinamica
lavorativa, specie italiana, considerando sia il settore del
pubblico impiego che quello privato. C’è da constatare nella
prassi della consulenza aziendale, quanto l’organizzazione
“malata” sia profondamente diversa a seconda del settore d’impiego
(pubblico o privato) in cui viene analizzata. L’elemento capace
di fare la differenza risiede nella diversa capacità del management
di gestire la struttura.
Al netto di tutte le più recenti innovazioni introdotte nella
pubblica amministrazione (PA), e tutte in senso “privatistico”,
resta il fatto che il funzionario, come l’impiegato e quindi
il dirigente pubblico siano strutturalmente e caratterialmente
distanti, da quello dell’azienda privata. Chi è meglio e chi
peggio? Non esiste un confronto credibile. Propongo, di seguito,
una breve riflessione per chiudere subito un errore di comparazione
tendenzialmente viziato. Com’è possibile stabilire la produttività
di una stazione Carabinieri, in un centro abitato, seppur
remoto o anche di una grande città? E’ sufficiente questo
esempio per far emergere mondi diversi, chiamati a ruoli altrettanto
diversi, senza con questo giustificare sprechi o sovrapposizioni.
Gli autorevoli studiosi, citati solo per i più famosi, che
hanno analizzato la devianza nei processi organizzativi, non
si sono ancora addentrati in un taglio di ricerca che possa
capire quanto e come incida il fenomeno nel pubblico impiego
ed in quello aziendale-privato. Le note qui proposte, del
resto molto sintetiche, si pongono appena l’obiettivo di lanciare
una riflessione, tutta in divenire ed oggetto di ulteriori
e più autorevoli interventi, per tentare di dare un nome alla
patologia organizzativa, nella sua forma applicata a seconda
del tipo di contratto di lavoro.
Il punto di partenza della ricerca considera la devianza organizzativa
direttamente influenzata dal contenitore caratteriale che
la genera. In definitiva, a composizioni caratteriali diverse
corrispondono sia forme organizzative specifiche che eventuali
patologie connesse. Di conseguenza, la diagnostica occorrente
per la gestione della problematica dovrà essere studiata a
seconda del tessuto umano che effettivamente si rincontra
in quell’ambiente e non in altri. La conclusione è che non
si ritiene possibile impiegare strumenti conoscitivi e di
analisi comuni fra i due “habitat” lavorativi. Serve quindi
una scienza della devianza organizzativa pubblica, diversa
da quella applicabile al contesto aziendale e privato. Ovviamente,
a questa affermazione di principio seguono campi di ricerca
comune incidenti sulla personalità umana in genere ed influenzati
dai diversi periodi storici. Ciò non toglie la necessità di
enucleare due distinte discipline o metodiche di analisi.
Attenzione alla dissonanza cognitiva: un dato comune tra la
struttura privata e quella pubblica.
Questa teoria presuppone che ci sia sempre un divario (appunto
dissonanza) tra ciò che una persona vorrebbe e quello che
è. Questo tipo di vuoto (condizione chiara in tutti, ma mantenuta
segreta) produce un disagio psicologico che si vorrebbe rimuovere,
ma che resta ingestibile. La tendenza a chiudere il gap tra
le 2 posizioni, (dove effettivamente ci si trova e la posizione
che si crede di ricoprire) comporta delle conseguenze:
a) La preferenza è per quelle argomentazioni che riducono
la dissonanza cognitiva, anche se sono lontane dal vero. Con
questa “strategia” consolatoria ed il perseguimento di atteggiamenti
auto consolatori, o di auto inganno, il soggetto ricerca quella
forma di comunicazione “desiderata” considerandola più persuasiva;
b) Ma ciò che è peggio, per chi affetto da dissonanza cognitiva
è il decidere, operare ed agire come se ci si trovasse effettivamente
a ricoprire la posizione che s’immagina di possedere. Ad esempio,
trovarsi, per modo di dire, a quota 30 è un fatto. Ma il nostro
“uomo” ritiene, dopo aver sofferto e lavorato a fondo per
la realizzazione di un suo progetto, e dopo anni di sacrifici,
di essere e meritare quota 100. Sa esattamente di non esserci
e conosce il divario tra la posizione reale e quella che immagina
di occupare, ma nonostante ciò, si atteggia, si muove, parla,
decide, come se fosse effettivamente il titolare di quota
100! Di conseguenza verifica i ritorni di soddisfazione, in
base a quota 100 e si intristisce o esalta, sempre in riferimento
alla posizione “virtualmente detenuta”. In pratica si tratta
di un inizio di sdoppiamento che avrà, attraverso un percorso
ansiogeno, la sua degradazione.
Quota 100 | |
Quota 30 |
Figura 1: il meccanismo con cui opera la
dissonanza cognitiva. Si vive a “quota 30”, ma si decide illudendosi
di trovarsi a “quota 100”, per i cui risultati si gioisce,
si soffre e si progetta a sua volta.
Un atteggiamento di questo tipo è molto comune. Tipico del
malato, che invece di sottoporsi ad esami clinici, si auto
convince che la sua malattia non è grave. Come gestire un
fenomeno così diffuso? Il difficile non è entrare in una patologia
e curarla, ma capirla e poterla governare. Chi ha l’autorità
riconosciuta di andare da un amministratore delegato e dirgli
che forse sogna ad occhi aperti, oltre la creatività imprenditoriale,
assumendo più le vesti di un pericolo per l’impresa che un
innovatore? Comunque sia è sempre la comunicazione “attesa”,
quella che l’interlocutore attende, da usare quale codice
di trasmissione per punti di vista diversi. Un pò come la
carota per l’asino al fine di condurlo dove si vorrebbe. Se
il soggetto è effettivamente compresso a livello di lucidità
del pensiero, seguirà il percorso indicato, se al contrario
mantiene stabilità di visuali, sarà lui a condurre il dialogo.
Cinque tipi di disfunzione
In genere ci sono cinque tipi, piuttosto comuni di stili nevrotici
ben identificabili: paranoide, ossessivo, isterico, depressivo
e schizoide. Ognuno di questi casi ha le sue specifiche caratteristiche,
le condizioni scatenanti e quindi annessi pericoli. Nell’elencazione
che segue, al termine di una descrizione generale, seguono
“tracce di ricerca” per singola patologia, caratterizzanti
l’ambito pubblico o quello privato o anche la sovrapposizione
di entrambi gli ambiti organizzativi.
L’organizzazione paranoide ( la più diffusa)
Le caratteristiche: La diffidenza del vertice
verso i dipendenti si traduce in un’enfasi sui sistemi di
informazione e controllo dell’organizzazione. Tutto assume
una palese esagerazione nella sovrapposizione di budget, definizione
dei centri di costo, di profitto, procedure di contabilità
industriale ed altri metodi di monitoraggio per verificare
il funzionamento interno dei reparti. Non che questa dinamica
non sia da perseguire, ma ora tende ad essere fine a se stessa
e non si traduce mai in effettivo controllo della spesa e
sua riduzione. La direzione resta guardinga e sospettosa verso
le maestranze ed in questo coinvolge i quadri intermedi, i
quali per giustificare ogni decisione, producono “chilogrammi”
di carte e documenti. Altra caratteristica di questa situazione
è l’accentramento del potere nelle mani di chi progetta e
gestisce i sistemi informativi e di controllo. Coloro che
si sentono minacciati spesso ricorrono ai subalterni per sapere
cosa accade “dietro le quinte”, ma poi riservano solo a se
stessi ogni minino livello decisionale. Si fa ampio uso di
comitati di pianificazione e coordinamento, riunioni di vendita,
assemblee con i responsabili regionali e così via. Ma le decisioni
comunque, sono già prese!
Quando accade: In seguito ad un’improvvisa
crisi; a volte si verifica che un mercato subisca una brusca
contrazione o stagnazione, oppure che un nuovo, potente ed
inaspettato concorrente invada il proprio spazio o che una
legislazione imponga condizioni operative sfavorevoli. Il
danno causato da questi eventi, incide sulla lucidità della
proprietà, che si rifugia così nella megalomania del controllo
su tutto e tutti, anche ricorrendo ai sistemi informativi.
Pericoli: Distorsione della realtà dovuta
alla preoccupazione di conferma dei sospetti, perdita della
capacità di azione spontanea a causa di atteggiamenti troppo
difensivi.
In ambito privato: L’organizzazione paranoide
è favorita nelle strutture aziendali padronali a scarso ricambio
di management o sua completa assenza. Molte imprese, gestite
dalla “famiglia”, e con questo il pensiero corre anche a Spa
di un certo rilievo, concentrano tutte le diverse funzioni
in un clan tra familiari ed affini che tende a proteggersi
senza innovare. La soluzione sarebbe aprire il management
ai professionisti.
In ambito pubblico: Per i diversi livelli
gerarchici con cui è congeniata una struttura pubblica, l’organizzazione
paranoide non è, in genere, riscontrabile in questo comparto.
L’organizzazione ossessiva
Le caratteristiche: Perfezionismo (inteso
come preoccupazione dei dettagli specie se insignificanti)
e insistenza sugli altri affinché si conformino al modo di
fare “aziendale”, tipico di un solo soggetto e non della comunità
che vive nell’impresa. Le relazioni sono interpretate in forme
di dominio. Assenza di spontaneità ed incapacità alla rilassatezza
e normalità di relazioni tra persone. La fretta e l’esubero
cronico e non occasionale di lavoro contraddistinguono questa
forma di organizzazione.
Quando accade: Allorché si decide di non
essere più alla mercè degli avvenimenti e si vuole a tutti
i costi governare gli scenari.
Pericoli: Introversione, indecisione e procrastinazione.
Tendenza ad evitare i problemi per non commettere errori.
Incapacità di allontanarsi dalle attività programmate facendo
troppo affidamento su norme e regolamenti. Difficoltà nello
scorgere il quadro d’insieme. La “tradizione” permea l’azienda,
al punto che le strategie non servono più. Le “cose” sono
programmate in modo tale che le disfunzioni burocratiche e
la rigidità, sono ordinaria amministrazione. Le iniziative
si esauriscono ed i quadri sono scontenti perché non hanno
alcuna influenza.
In ambito privato: L’organizzazione ossessiva
è la tipica patologia di transito da una struttura familiare
a manageriale.
In ambito pubblico: L’ossessione improduttiva,
vuota e fine a se stessa, è il cancro che logora una buona
parte delle strutture di Stato, avulse ad ogni forma di produttività,
restano ancorate al “regolamento” quale unico termine di paragone
per verificare la giustezza o meno della prassi in essere.
L’innovazione, in questo caso, è misurabile solo e soltanto
nei limiti dell’applicazione, in genere sterile, della norma
codificata.
L’organizzazione isterica
Le caratteristiche: Eccessiva espressività
delle emozioni, con costanti richiami per attrarre l’attenzione.
Preoccupazioni narcisistiche, manifestate con forti desideri
d’azione e di eccitamento oscillando tra idealizzazione e
svalutazione degli altri.
Quando accade: Quando si vuole richiamare
l’attenzione del mercato con attività di diverso genere spesso
non coordinate.
Pericoli: Superficialità, impressionabilità,
rischio di operare in modo immaginario. Le azioni sono spesso
motivate da impressioni, quindi reazioni eccessive ad eventi
minori. Le maestranze tendono a sentirsi usate o sfruttate.
Le strategie si fanno incoerenti con un’alta componente di
rischio, la quale fa sì che le risorse vengano largamente
sprecate. Ci sono problemi nel controllo di operazioni a vasto
raggio e nel recupero di redditività. Sono avviate pericolose,
quanto imprudenti, politiche di espansione. Ruolo inadeguato
dei manager.
In ambito privato: L’organizzazione isterica
è il prezzo da pagare quando l’impresa sta “spiccando” il
volo “creando” nuovi collegamenti con il bisogno espresso
dal mercato. Le grandi accelerazioni capaci di sviluppare
successi incredibili come memorabili, richiedono una fase
“isterica” o istrionica per mezzo della quale è possibile
allungare il raggio di azione delle visioni aziendali strategiche.
In ambito pubblico: L’estro creativo (ed
isterico) è prassi nei piani altolocati della politica o dell’alta
dirigenza pubblica. A differenza dell’ambito privato, in questo
contesto la “capacità di produrre pensiero” non è una fase
di transito, ma lo stile corrente dell’organizzazione che
così tende a sganciarsi dalla periferia creando fratture stabili
e non più colmabili. Resta il fatto che l’area innovativa,
capace di modificare i regolamenti si colloca nel seno dell’organizzazione
isterica centrale.
L’organizzazione depressiva
Le caratteristiche: Sensi di colpa, inutilità,
inadeguatezza; impotenza e disperazione con affermazioni del
tipo: “contro i cinesi non c’è nulla da fare”. Essendo alla
mercè degli eventi, c’è una ridotta capacità di pensiero a
cui segue perdita di interesse e motivazione.
Quando accade: Quando non si capisce più
il mercato e non si sa dialogare con le sue componenti. Quindi
declino del mercato e debole posizione competitiva, causata
da una scarsa linea di prodotti. Manager incapaci ed inattivi.
Pericoli: prospettive eccessivamente pessimistiche,
difficoltà di concentrazione e realizzazione di una qualsiasi
strategia. Stagnazione organizzativa.
In ambito privato: E’ la fase iniziale del
passaggio generazionale quando tutto è incerto a partire del
cuore e dalla mente dei nuovi e giovani protagonisti.
In ambito pubblico: Avviene nelle strutture
periferiche della PA quando cercano un dialogo con quella
centrale che si trova in piena crisi isterica ed istrionica.
La mancata connessione tra parti della stessa organizzazione,
che dovrebbero dialogare, ma restano di fatto “assenti” produce,
in quella lontana dal centro, una sorta di rassegnazione e
sindrome da solitudine depressiva.
L’organizzazione schizoide
Le caratteristiche: Distacco, mancanza di
coinvolgimento, tendenza a rinchiudersi. Sensazione di estraniazione
e quindi assenza da lodi/critiche. Freddezza e privazioni
di ogni contatto umano significante. Mancanza di leadership.
I leader schizoidi, vedono il mondo come un luogo infelice,
popolato da individui indegni di fiducia.
Quando accade: Se l’azienda si presenta come
una successione di feudi indipendenti ove ogni quadro o dirigente
crea il “suo” habitat. In questo modo lo scollamento del tessuto
organizzativo interno, impedisce le comunicazioni trasversali-funzionali.
L’informazione è usata più come strumento di potere che come
mezzo di lavoro.
Pericoli: Strategia fragile con obiettivi
decisi per compromessi. Vuoti di leadership e quindi clima
di sospetto, che ostacola la collaborazione.
In ambito privato: Si tratta della patologia
da grande impresa dove si perde il senso finale dell’essere
impresa.
In ambito pubblico: Siamo nei diversi piani
dei ministeri; un ibrido non politico e non operativo. Il
tatticismo è “arte” in una visione kafkiana da burocrazia
che si autoriproduce in assenza di produzione.
Conclusioni
Scorrendo diversi casi e differenti momenti storici, si può
affermare che ogni azienda può riconoscersi parzialmente in
ognuna delle cinque esemplificazioni. Ciò non vale per l’ambito
pubblico che resta diversamente compartimentato tra centro-periferia
e organo direttivo e di comando con quelli operativi ed esecutivi.
Risulta necessario, ai fini della ricerca sopra esposta, analizzare
i costi che l’azienda o l’organizzazione assume (involontariamente)
adottando uno di questi profili caratteriali. In ambito privato,
quindi, si ha la seguente dinamica:
Patologia | causa di perdita nell'utile | probabile perdita in percentuale sull’utile |
Paranoide | atteggiamenti difensivi per occasioni mancate | tra il 3 e il 5% |
Ossessiva | troppa burocrazia e poca azione | fino al 7% |
Isterica | superficialità | 10% (circa) |
Depressiva | assenza di strategia | 15% (circa) |
Schizoide | semi blocco aziendale | 15-20% - assenza dal mercato |
Mentre nel settore pubblico queste
conseguenze:
Patologia | comportamenti conseguenti | probabile perdita di efficacia e contatti |
Paranoide | atteggiamenti difensivi | la PA si difende chiudendosi a riccio senza produrre soluzioni |
Ossessiva | troppa burocrazia e poca azione | perdita del contatto con i problemi dell’utenza |
Isterica | superficialità | una PA che non decide o si perde nel vano |
Depressiva | assenza di strategia | una PA indirizzabile e corruttinbile |
Schizoide | semi blocco aziendale | una PA con tante idee e si limita a progettarle |
La chiave di lettura nel mancato servizio reso dalla PA all’utenza,
ne pone in discussione il senso ed apre alla privatizzazione
e riduzione del comparto pubblico, come “peso” complessivo
sulla società.
Nella massa di mancate azioni o di troppe cose fatte, ma non
produttive, l’organizzazione nevrotica è anche quella che
produce mobbing, come anche dei turn over molto elevati con
frequenti assunzioni a tempo determinato e repentine conclusioni
del rapporto di lavoro, quindi maltrattamenti, per lo più
morali, ai danni dei dipendenti di sesso femminile.
Insomma l’organizzazione nevrotica è una società che perde
occasioni, lavoro, occupati, idee, cultura e quindi quote
crescenti di fatturato.
Si può guarire? Certo! Basta essere consci della patologia
in essere e ricorrere a degli specialisti, come anche dei
consulenti in risorse umane, capaci di trovare delle soluzioni,
per parare le ripetitive perdite di fatturato, che, obiettivamente
non si vedono dall’interno della struttura malata, perché
si tratta di ricchezza, che si sarebbe potuta avere, ma è
andata perduta a parità di impegno devoluto.
BIBLIOGRAFIA
Lo studio qui presentato prende spunto da“L’organizzazione
nevrotica” di Manfred F.R. Kets De Vries e Danny Miller pubblicato
nel 1992. Il presente lavoro si arricchisce, nel corso dell’analisi,
di percorsi originali scaturenti da una ricerca comparata
tra gli stili organizzativi negli Stati Uniti ed in Italia,
condotti dall’estensore di questo studio negli ultimi 25 anni.
I testi a riferimento sono, oltre a quanto citato:
Auteri E., Management delle Risorse Umane, Guerini e Associati,
Milano, 1998.
Boldizzoni & Manzolini, Creare valore con le risorse umane,
Guerini e Associati, Milano, 2001.
Powel W. & DiMaggio P.J., Il neoistituzionalismo nell’analisi
organizzativa, Ed. Comunità Milano, 2000.
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