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M@gm@ vol.4 n.2 Avril-Juin 2006
PER UN TEORIA OPERATIVA DELLA TRASLAZIONE SOCIALE: il caso del progetto dell’Età Libera a Trieste, analisi di un’impasse
Augusto Debernardi
augusto.debernardi@tiscali.it
Sociologo (laureato all'Università
degli Studi di Trento); fino al 1971 collabora con l'ARIP
di Parigi (Association pour l’ intervention psycosociologique),
è assistente all’Istituto di Psicologia Sociale e di Psicologia
del Lavoro dell’Università degli Studi di Torino, componente
in qualità di sociologo al Segretariato per la Psichiatria
della Provincia di Cuneo, consulente del Centro di Orientamento
Scolastico e Professionale di Cuneo dove tra l’altro ha lavorato
alla taratura degli strumenti testistici; consulente per la
P.O.A. per l'Istituto Psico Medico Pedagogico di Latte di
Ventimiglia; dal 1971 è stato componente dell’équipe del Prof.
Franco Basaglia all’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Trieste;
diplomato all’INSERM di Pargi in epidemiologia Psichiatrica;
coordinatore dell’équipe sociopsicologica dell’Alloggio Popolare
Gaspare Gozzi di Trieste; componente dell’équipe O.M.S. per
la psichiatria; collaboratore Unità Operativa dell’istituto
di Psicologia del CNR per la prevenzione malattie mentali
ed autore di parecchie pubblicazioni; editor del Centro Studi
per la salute Mentale, Collaborating Center W.H.O.; fondatore
dell’U.O. per l’epidemiolgia psichiatrica ed autore di numerose
ricerche e valutazioni; specializzato in statistica sanitaria
e programmazione sanitaria; esperto nel settore della cooperazione
nel campo della salute mentale nella Repubblica di Argentina
e del Cile; Coordinatore Sevizi Sociale presso l’ASS Isontina;
direttore servizi minori Comune di Trieste; Collaboratore
dell’Associazione Oltre le Frontiere per le questioni dell’immigrazione;
collaboratore della CARITAS della diocesi di Gorizia per la
questione del manicomio di Nis (Serbia); Direttore di Area
Provincia di Trieste; Presidente dell’ITIS (Istituto Triestino
per Interventi Sociali); componete dello staff del direttore
generale ASS Triestina; Presidente Co.Ri. (Consorzio per la
riabilitazione); animatore dell’associazionismo in temi culturali
e dell’integrazione europea.
Per condividere esperienze occorre riuscire a superare le
staticità ed i pre-giudizi che ci si è portati avanti fin
dai tempi dell’infanzia; occorre avere una mente in grado
di accettare aperture e scambi, un mind set elaborato e disponibile
che purtroppo cozza e friziona con le forme di partecipazione
che di solito ci si rappresenta. Nella modernità le forme
di partecipazione rivestono caratteri che sono strumentali.
Inoltre esse sono radicate nel bisogno di condividere esperienze
ma pretendono di stare al riparo da condivisioni di senso
delle esperienze stesse e conseguentemente senza ricadute
in termini di legami intersoggettivi e di coesione sociale.
Il progetto redatto fin dal 1999 per la Provincia di Trieste
aveva il titolo dell’Età Libera. Richiamava il testo di Cicerone
[1] che affermava che alle
persone anziane non venivano più richieste dalla società i
lavori e le opere proprio per lo statuto derivante dalle molte
primavere vissute, ponendole nell’età libera. Ma, così facendo,
si apre la porta anche alla loro emarginazione. Il progetto
prevedeva allora di attivare questo mondo sempre più maggioritario
per costruire forme di invecchiamento pro-positivo ed al servizio
di altri, specie di coloro che per varie ragione accedono
alle strutture protette. Portare in quei posti animazione
significa ridurre le forme di contenzione oltre che aprire
le strutture stesse ed i vari mind set, anche dei familiari,
alla partecipazione ed agli ascolti. Ma anche produrre tout
court, cultura e senso. Insomma, l’obiettivo del progetto
erano migliori condizioni di espressione per le persone in
età libera che diventavano i suoi legittimatori. Non dovevano
essere di certo i portatori di “sfiga” a dare il senso al
tutto. Se questi fossero stati determinanti avrebbero costituito
di nuovo la base dell’ideologia statalista dell’assistenza
ed il suo presunto ammodernamento senza innovazione. Le persone
in stato di bisogno non erano ovviamente escluse, anzi, con
la loro presenza e partecipazione avrebbero potuto liberarsi
da certe condizioni di necessità più o meno estrema e dalla
solitudine provocata dall’anomia nei rapporti. Un progetto
che, nella sua estrinsecazione operativa, avrebbe dovuto produrre
socialità solidale, con l’associazionismo sociale, appunto.
Gli strumenti della cultura, nel senso più ampio e più eclettico
possibile, dovevano essere gli utensili operativi del “fare
solidale” e del “fare emancipativo-liberatorio”.
In fondo od inoltre, la prefigurazione di una maniera di “buon
invecchiamento” era assolutamente in linea con le tendenze
che si registrano nelle persone anziane: maggiore predisposizione
al volontariato specie per coloro che sono in possesso di
titoli di studi. Ma la tendenza sta ormai diventando di prassi
anche per le persone con scolarità inferiore. Modalità operativa
avrebbe dovuto essere uno stabile adibito a sedi di varie
associazioni che aderivano al progetto e caratterizzato dalla
presenza di sale polifunzionali per le varie attività ed azioni
collettive. Sulle ali ovest ed est del territorio provinciale
avrebbero dovuto sorgere delle sedi intermedie. Le dotazioni
create ad hoc di natura informatica avrebbero dovuto consentire
la diffusione in rete degli artefatti, riuscendo così a raggiungere
anche i bar delle periferie che avessero aderito. In questo
modo si sarebbe potuto portare anche nei posti considerati
di secondo ordine - mentre invece sono luoghi di grande aggregazione
potenziale e reale - come appunto i bar e le osterie delle
periferie, la “cultura” prodotta dagli attori collettivi e
cioè le associazioni. Non nascondo che nella mente “diabolica”
del progettista, cioè la mia, la gestione dell’insieme avrebbe
potuto essere affidata con successo al C.S.V. (centro servizi
volontariato della regione Friuli Venezia Giulia) che proprio
negli anni immediatamente successivi all’ideazione stava (finalmente)
nascendo e che rappresentava e rappresenta “l’associazione
delle associazioni”: un modello di sintesi dell’Associazionismo
Sociale [2].
Nell’attesa che tutto il discorso diventasse davvero discorso
sociale ed iniziasse i primi passi concreti nel regno della
fisicità dell’edilizia, il progetto dell’Età Libera incominciò
mettendo in campo momenti di aggregazione virtuale attraverso
la messa a punto di un portale telematico dedicato all’Associazionismo
Sociale. Si idearono anche i primi centri di aggregazione
per aree tematiche (enti, parrocchie, associazioni per la
cultura, per lo sport, per la religione, per l’assistenza)
che, se stimolati, avrebbero dovuto svolgere il ruolo di capofila
delle azioni future attraverso le “dotazioni” informatiche
prima e gli interventi poi. Dotazioni allora non chiuse su
se stesse, non privatizzate o tesaurizzate o burocratizzate
dal pubblico, ma aperte all’Altro, all’uso concreto. Il controllo
era demandato all’Assessore competente nel momento della domanda
di adesione nella quale si illustravano anche le finalità
complessive e gli “oneri” sociali verso il target anziani.
Il progetto informatico, decisamente innovativo [3],
trovava il suo controllo in un apposito comitato a preminenza
pubblica cioè di rappresentanti - assessori - della provincia.
I centri di aggregazione, uno per settore tematico, erano
cioè primi inter pares. Un corso di formazione per la gestione
e la messa a punto dei siti web specifici per ogni associazione,
raggruppati in un ampio portale dal nome accattivante come
“triesteincontra”, era il primissimo passo per una conoscenza
e per stipulare in maniera “botton up” un patto operazionale
che si sarebbe avviato con un contratto scritto nel momento
della concessione in uso di un p.c. con stampante e collegato
alla rete (momento che a tutt’ora non è mai stato operativo,
purtroppo, e per quello che se ne sa ancora oggi i p.c. che
avrebbero dovuto essere distribuiti giacciono in qualche magazzino)
[4].
L’età libera avanzava, dunque, come un progetto esattamente
diverso dalle forme di partecipazione che di solito ci si
immagina chiuse perché pongono al riparo l’autorità e l’istituzione
(cioè l’apriori istituito). Addirittura a partire dalle dotazioni
aperte (il luogo e/o le sedi sarebbero venute dopo e certo
non si era così sprovveduti dal pensarle prive di percorsi
irti di salite e di buche più o meno profonde). L’obiettivo
della prima fase, si capirà, era allora la creazione della
rete, di un network attraverso lo strumento informatico.
Il punto nodale era però la forma di partecipazione che era
ancorata nel mind set istituzionale improntato alla distanza,
al non coinvolgimento pratico, alla non contaminazione. Il
baricentro di questo mind set non poteva che essere quello
della partecipazione strumentale ma riservata ad agenzie forti
e non certo agli outsider del sistema come possono essere
le varie associazioni. Come spesso si dirà! Ma per certe strade
che la politica sa ben percorrere, nonostante si espongano
in bella evidenza dei segnali di “pericolo ignoranza”, si
sente poi attribuire ad altri, coloro che si danno da fare
con la traslazione, di fare politica e non tecnica. Di solito
questi gruppi appartengono all’istituito forte, alle istituzioni
forti come quelle della sanità. Accusando costoro di fare
politica (di invadere cioè domini altrui e di essere strumentali
e strumentalizzatori) non ci si rende conto del doppio traslativo
della politica e della tecnica (ormai sinonimo di quasi verità
assoluta, ahimè!) che quelle istituzioni e quei gruppi agiscono.
Per loro la traslazione, anche senza saperlo bene, é qualche
cosa di più della realizzazione di obiettivi aziendali nel
campo della salute. E’ difesa ed espansione del proprio dominio
e potere ma è anche risposta sociale. Però non è male rammentare
che è sempre stato così in quel dominio della sanità e, come
diceva Luison, vale la pena ricordare che “se un medico fa
due tabelle è geniale; se un sociologo dà un’aspirina va sotto
processo”! Tuttavia oggi con la riduzione della politica all’apparire,
con l’affidarsi della politica ad altri poteri (giudiziario,
contabile) perché non è più in grado di far fronte alla dinamica
inclusione/esclusione o conflitto/negoziazione, [5]
è evidente che qualsiasi istituzione dotata di un po’ di abilità
riesce a fare qualche cosa, anzi di più. La politica ovvero
lo stato non riesce assolutamente a governare il cambiamento
epocale della storia che vede la fine dell’economia industriale
fordista e l’assoluta incapacità di qualsiasi stato a controllare
minimamente le transazioni finanziarie che, alla velocità
della luce, spostano ogni 24 ore un montante pari a più del
debito pubblico italiano. Una globalizzazione capitalistica
di portata storica, nella quale chi fino a ieri si diceva
“resistente” in realtà oggi è assai funzionale al trend. Ma
rientriamo nell’analisi del progetto età libera, anche se
il punto sul macro contesto non è irrilevante.
Nell’ambito del lavoro sociale si spiega proprio con questi
riferimenti di caratterizzazione riscontrata ed anche teorizzata
(traslazione) perché le logiche indotte dalle scelte degli
attori di governement pubblico schiacciano di norma le organizzazioni
del volontariato e l’Associazionismo Sociale sui versanti
della residualità o delle cosiddetta omologazione al mercato
rispetto alle politiche sociali e culturali - che anche se
non espresse esistono eccome - delle istituzioni pubbliche.
Il progetto “età libera” orientava invece l’azione e le organizzazioni
concordanti ed aderenti verso la ricerca di pratiche sociali
(si chiamava addirittura “per una nuova pratica di comunità”).
Tutto ciò significa strutturare norme, culture, significati
condivisi e prodotti collettivamente, capaci di declinare
localmente in maniera diffusa il principio della “sussidiarietà
orizzontale” (previsto dalla legge quadro 328/200 tanto declamata,
forse più a sx che a dx!). L’ottica è quella vera e propria
della governance se si vuole o, meglio, del potere messo al
servizio e che mette al servizio mezzi e risorse in conto
capitale (in prima battuta) per additare target importanti
o prioritari per il bene del bene comune.
La diffusione del ‘progetto o del prodotto’ (sociale) avviene
tuttavia con i processi di persuasione che iniziano od originano
dal momento autoritativo. Ci vuole cioè un’autorità.
Nel caso specifico di Trieste essa è stata agita dalla giunta
uscente della Provincia che nel primissimo momento ha messo
in moto la potenzialità riuscendo addirittura ad avere delle
specifiche norme regionali che finanziavano il progetto. I
finanziamenti sarebbero serviti per “ristrutturare” (non comperare)
stabili già di proprietà dell’ente per adibirli alle azioni
programmate e per ospitare le dotazioni che si pensavano necessarie
ed utili. L’acquisto dello stabile avvenne ad opera della
Provincia di Trieste con l’accensione di un apposito mutuo.
Fu scelto uno stabile significativo, sulle rive, fronte mare.
Decisamente interessante per il progetto e per le potenzialità
che permetteva. Ma va detto che nella delibera di acquisizione
le motivazioni orientavano la funzione anche per necessità
scolastiche. Infatti c’era anche la disponibilità di un altro
stabile, già di proprietà, completamente inutilizzato ed abbandonato
(molti anni addietro aveva ospitato l’archivio di stato) ed
anche questo collocato nel centro della città, vicino al canale
detto di Ponte Rosso. Ma torniamo al nuovo acquisto edilizio.
Lo stabile apparteneva alla Compagnia Portuale, schiacciata
da debiti elevati. La cessione all’ente pubblico fu un’azione
politica importante ma aprì la porta a conflittualità elevatissime.
Infatti in quello stabile trova la sua “aitia” (fondamento)
anche un teatro importante, il “Miela”, gestito dalla Cooperativa
Buonaventura, che permette espressività, dietro normali compensi,
anche alle avanguardie ed ai gruppi più diversi. Facile immaginare
le tensioni allorquando la nuova amministrazione di centro
destra s’insediò, forse galvanizzata dal successo elettorale
a livello nazionale e regionale che era avvenuto non molto
tempo prima, iniziò non solo a pensare ma a dire un allontanamento
del teatro! Ma lasciamo stare la cronaca pseudo-politica.
Basti ricordare che fin dal 2002 chi scrive coniò un celèuma,
ossia quella cantilena della ciurma delle navi a remi, che
recitava “… Miela si … Miela no … Miela si …. Miela no …”
ad indicare l’indeterminatezza complessiva, l’empasse dell’azione
politica e sociale.
Il punto è che così facendo, anzi non facendo, la spinta propulsiva
da parte dell’autorità è venuta meno andando a collocarsi
fatalmente nell’alveo della contingenza attuale che è quella
dello scontro e della contrapposizione bipolare “dx contra
sx” che genera una continua campagna elettorale. Nel gioco
che si determina le opposizioni sembrano godere di un simpatico
vantaggio anche se, nel caso dell’età libera, non sembrerebbe
assurdo ipotizzare una insana alleanza bipartisan caratterizzata
dalla contrarietà [6].
La Provincia, nei fatti, con i suoi amministratori ha impedito
ogni diffusione. Ha dato il via a scelte nemmeno piccole e
piuttosto costose (implementazione informatica delle dotazioni)
ma molto importanti. Però esse avevano (ed hanno) necessità
di una coerenza di senso. Probabilmente non se ne è colta
la significatività e il senso scambiando il tutto per una
semplice operazione commerciale (partecipazione strumentale,
assai cara agli apparenti naif della dx) che - ma non è chiaro
a chi scrive l’interpretazione più corretta - avrebbe potuto
diventare concorrenziale con altre scelte non ancora proprio
chiarite e poco dichiarate, oppure con altre agenzie che forse
qualche pensierino sul cotè informatico del progetto l’avevano
fatto. Ma così facendo, in ogni caso, non si agiva nemmeno
il ruolo dell’interconnessore per un possibile allargamento
di menti e risorse o di alleanze.
La non comprensione (direi voluta) del senso ha impedito che
si determinasse la reale diffusione. Si pensi, tanto per fare
un esempio, che quando il dirigente incontrava le associazioni
per i corsi di formazione agli strumenti informatici del software
ideato, veniva accusato di invadere il dominio dell’assessore
che però evitava di intervenire o di prendere l’iniziativa.
Interessante comunque che c’erano già centoquaranta associazioni
che partecipavano al portale ed ai corsi e che molte di esse
attendevano le dotazioni hardware per mettersi a disposizione
del target individuato. Ci si avvicinava a poter contare su
un numero davvero elevato di sportelli usufruibili in orari
concordati anche da persone anziane non necessariamente aderenti
alla associazione specifica. Col solito e stupido giochetto
“questa è politica e non tecnica!” l’operatività diventava
impossibile, non aveva conseguenze concrete.
Ma cosa si sarebbe dovuto fare? Attingere ed utilizzare la
traslazione.
La traslazione è l’aggregazione partecipativa e dice che un’idea,
una innovazione è assunta perché viene passata da attore ad
attore tramite “agenti di traslazione” che si implicano in
quanto “prime mover” cioè portatori di un proprio interesse
ad impegnarsi in operazioni innovative. Alla base di tutto
ciò vi è la nozione di traslazione intesa come progetto e
sforzo di costituire una relazione di scambio fra due e più
attori individuali e/o collettivi. Il successo è in funzione
della capacità di mobilitare e stabilizzare un network.
Il processo di traslazione aggregativa non costituisce solo
la “rete” ma anche l’identità di coloro che ne sono coinvolti.
E’ indubbiamente un esercizio di potere che si basa su “interessi”
e sulla capacità di suscitare interesse attraverso passaggi
articolati in:
1. Problematizzazione, cioè quando un attore assume la responsabilità
ed il potere di riattivare o introdurre modificazioni nelle
relazioni esistenti cercando di definire la natura dei problemi
e degli altri allo scopo di proporsi o consolidarsi come punto
di passaggio rispetto a questioni sociali, assistenziali,
economiche, di cultura;
2. Cointeressamento che prevede un potenziale regime di scambio
che configura il vantaggio che ogni elemento otterrà in cambio
della sua adesione al network;
3. Partecipazione che implica qualche forma di negoziazione
e procede sempre per passi successivi e richiede di sopportare
vissuti di tradimento, di incomprensione, di trasformazione
e di capacità/abilità a lasciarsi implicare;
4. Mobilitazione, ossia il momento delle sinergie a supporto
delle azioni messe in atto in modo “proattivo”. La mobilitazione
deve essere politica e fisica. Politica vuol dire conferire
un ruolo e identità riconoscibile ad un attore che può essere
spostato nei luoghi in cui è necessaria la mediazione (ciò
che in realtà si è impedito per dare spazio - si fa per dire
- all’assessore). Quella fisica è data dall’avere un luogo
od anche una dotazione capace di permettere il riconoscimento
del processo e della pratica (di comunità).
Esattamente ciò che la cosiddetta Provincia ha impedito di
fatto. La miopia ha regnato sovrana. Eppure la Provincia,
a modo suo, in una maniera che si presta a critiche istituzionali
si dava da fare nel senso dell’assistenzialismo. Mi riferisco
al progetto del “pane e la rosa” (pasti a domicilio per gli
anziani nei periodi delle festività). Ma questa azione, a
ben guardare, sembra dire che il dirimpettaio cioè il ‘Comune’
non sa fare abbastanza visto e considerato che a questo ente
appartiene l’esclusiva competenza assistenziale. Si dice che
“il pane e la rosa” sia complementare, un compimento, un qualche
cosa in più. Ma gira e rigira vuol dire che chi ha il compito
diretto non ce la fa. La cosa curiosa - ma non tanto - è quella
che non si è deciso di dare più risorse all’attore principe
per definizione, cioè il Comune, ma si è scelta una complementarietà
con parte attiva ed iperattiva di un altro ente pubblico.
Dopo un primo anno di stenti ora questo progetto assai pubblicizzato
ha successo. Un successo garantito dallo spazio della “anomia”
burocratica in cui si va ad operare, rispetto al “concorrente”,
pardon il complemento. E’ notorio che la burocratizzazione
dell’ente che fornisce assistenza è notevole e pesante. Un
po’ per difesa da abusi di domanda e di faciloneria. Cosa
che è più agevole evitare da chi gioca di rimessa. Una cosa
curiosa è anche il silenzio del definito complementato: cane
non mangia cane, si potrebbe dire. Si sentirà complementato!
Insomma, un progetto innovativo, capace anche di andare a
toccare i cosiddetti equilibri sociali, concretamente non
riesce a decollare pur a fronte di finanziamenti importanti.
Perché? Perché la traslazione necessaria non riesce ad essere
agita.
Come sempre, senza un’ideologia di ricambio, sembra che l’istituzione
non sappia affatto muoversi perdendo anche un’occasione. Nel
caso specifico riportato, cioè dei pasti a domicilio da parte
provinciale con l’attivazione diretta della C.R.I., l’ideologia
della domiciliarità si coniuga con l’assistenzialismo. Meno
con la pratica di comunità, che mira a rendere partecipi ed
attori i cittadini stessi. La traslazione resta appannaggio
della azienda sanitaria territoriale con il suo attivismo
di pratica comunitaria contaminando, o cercando di farlo,
i distretti in cui trovare proprio degli attori come prime
mover. In un’epoca in cui i diritti sono affievoliti e specie
nel campo sanitario ed assistenziale sono diventati vieppiù
interessi legittimi, sarà fondamentale discutere se le azioni
di traslazione da parte di una agenzia statutariamente demandata
a dare risposte in primissima se non unica istanza siano davvero
una difesa dell’esistente ed appaiano allora appartenenti
al filone del “resistere”. Oppure siano l’opposto, l’assecondamento
del declino e della contrazione voluta e determinata dei servizi
sanitari, e non solo quelli, in funzione dello sviluppo dell’attuale
società non propriamente a misura di uomo.
NOTE
1] Cato maior de senectute.
Nel "Cato maior", si finge che Catone il censore appunto,
giunto in venerabile età, esalti alla presenza di Lelio e
di Scipione Emiliano, attraverso numerosi esempi, la saggezza
e i beni spirituali della vecchiaia: l’operosità non interrotta,
l’integrità delle forze e dello spirito, i godimenti spirituali
non certo inferiori a quelli dei sensi, la contemplazione
serena della morte. In particolare, per quanto attiene all’età
libera, dice “I vecchi sono deboli, non hanno forze: ma neppure
si pretende che siano forti; ecco perché, per legge e per
consuetudine, alla nostra età noi andiamo esenti - siamo liberi
- da quegli obblighi che non si potrebbero sostenere senza
vigoria fisica. Così non siamo costretti a fare non solo quello
che non possiamo, ma anche quello che potremmo fare”.
2] Associazionismo sociale:
modalità di assunzione delle forme sociali a seconda degli
‘attori’ considerati;
FORME SOCIALI | COMUNITA’ | MERCATO | STATO | ASSOCIAZIONISMO SOCIALE |
Principi che caratterizzano gli scambi |
Reciprocità | Contrattazione | Redistribuzione | Solidarietà |
Rapporti fra i partecipanti |
Interdipendenza | Indipendenza | Dipendenza | Interdipendenza strategica o Alleanza |
Logica di funzionamento |
Solidarietà spontanea | Competizione diffusa | Controllo gerarchico | Consenso organizzato |
Mezzi di funzionamento | Sentimenti | Denaro | Potere | Mix dei tre con ispirazione movementista o da statu nascenti |
Finalità | Soddisfazione identitaria | Massimizzazione del profitto | Minimizzazione dei rischi | Costruzione del sociale (come luogo delle opportunità) |
Procedure | Riconoscimento dell’altro come appartenente o condivisone dello stato di bisogno | Monetizzazione della domanda e dell’offerta | Burocratizzazione e regolamentazione | Reti accorciate e face to face |
3]
So per certo che i progettisti/realizzatori prospettavano
l’introduzione della banda larga perché i dati potessero essere
trasmessi con più attendibilità e molteplicità di informazioni.
4] Va anche detto che con
la messa a punto di un portale si dava inizio ad uno studio/intervento,
sempre pilotato dalla Provincia con l’apposito comitato, per
creare qualche cosa di nuovo con una dotazione informatica
innovativa e potente per soddisfare tutte le esigenze della
“comunità virtuale”. Infatti la partecipazione può anche avvenire
attraverso la produzione di conoscenza fra discorso e pratica.
Il web rappresenta ciò che si chiama “l’orizzonte sociale”
ma anche lo strumento capace a creare forme di educazione
e di formazione che possono potenziare la solidarietà. Il
punto concettuale è quello della “comunità di pratica” in
cui si può stimolare l’aumento di conoscenze ma anche di quel
senso di identità solidaristica con apprendimenti collaborativi
in vista di target definiti. Questi - nel ns. caso l’età libera
- diventano cioè una sorta di “situatività” (stuated cognition)
che non implica necessariamente una dimensione di co-presenza
fisica all’interno di un contesto fisico ovvero in uno spazio
istituzionale definito da mura e porte, perché le capacità
di partecipazione sono supportate dalla possibilità di trascendere
i vincoli contingenti permettendo di proiettare la propria
esperienza (anche solo quella sensoriale e percettiva) verso
livelli più ampi di organizzazione sociale. Se poi si condividono
pratiche ed attività nella quotidianità (anche di tipo informativo,
virtuale e di interessi) si attiva il primo - e forse il più
importante motore o marchingegno - per la produzione di conoscenza
e di “best practice”. La partecipazione caratterizzata da
traiettorie di progressivo coinvolgimento e responsabilizzazione
può anche sorgere nella comunità virtuale perché i temi sensibili
come identità e relazioni possono essere incentivati a partire
da una esplorazione discorsiva e riflessiva per aiutarsi a
crescere, a vivere, a vivere meglio aumentando la qualità
della vita. Obiettivo implicito ed esplicito di ogni forma
di associazionismo sociale. Ma anche questi aspetti, assai
legati alla messa a punto di hardware omogenei (come le dotazioni
di p.c. etc.) e più ancora di software, sono stati fraintesi,
diciamo così, dal mind set politico e lasciati in regime di
asfissia.
5] Le quote progressivamente
ridotte del saggio di profitto, benché sempre di segno positivo,
non permettono più di agire la partecipazione strumentale
perché non si hanno più denari a disposizione per tacitare
quella o quell’altra categoria. E in certi contesti molto
up date alla parola welfare si risponde con un’altra parola
con punto interrogativo “cosa?”. Per non dire del workfare.
6] Fa piacer da una lato
leggere ogni tanto la cronaca di qualche performance di rete
fra associazione per informare gli ‘anziani’ delle opportunità
che offrono gli enti collocatisi in rete con il patrocinio
del comune. Ma il tanto suscita anche l’inevitabile commento
“si sarebbe già potuto realizzare e con maggiore incisività”.
Però ancora una volta si dimostra quanto sia difficile scostarsi
dalla ideologia dell’assistenzialismo evitando di trasformare
davvero il target in risorsa.
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