Communauté et relations sociales
Nicola Cavalli - Oscar Ricci - Elisabetta Risi (sous la direction de)
M@gm@ vol.4 n.1 Janvier-Mars 2006
ETNOGRAFIA MEDIATA: COMUNITÀ VIRTUALI E RICERCA ETNOGRAFICA
Elisabetta Risi
elisabetta.risi@unimib.it
Ha studiato all’università IULM
di Milano dove si è laureata a pieni voti in Relazioni Pubbliche.
Ha svolto presso la stessa Università attività di ricerca,
applicando metodologie qualitative nell’ambito di alcuni progetti
dell’Istituto di Comunicazione. E’ attualmente iscritta all’ultimo
anno di dottorato di ricerca sulla qualità della vita nella
società dell’informazione presso l’Università degli Studi
di Milano Bicocca e si sta occupando di studiare il complesso
rapporto tra anziani e new media.
1.
Introduzione
L'etnografia è tradizionalmente impiegata nell'antropologia
culturale, ma viene utilizzata anche nelle altre scienze sociali
per produrre “descrizioni dettagliate della concreta esperienza
di vita entro una particolare cultura, delle regole e dei
modelli sociali che la costituiscono” (Hammersley, Atkinson,
1983). Per condurre una ricerca etnografica, gli studiosi
vivono con le persone del gruppo sociale oggetto di rilevazione,
osservando e cercando di comprendere la loro visione del mondo,
le loro credenze e valori. Questo tipo di ricerca permette
di descrivere il comportamento abituale dei soggetti e dà
la possibilità all’etnografo, che generalmente vive in un’altra
società, di osservare ciò di cui essi non hanno consapevolezza.
La potenzialità di questo approccio di ricerca è quella di
non ridurre la complessità dell’oggetto di indagine, ma di
giungere a quella che Geertz (1973) chiama “thik description”.
L’etnografia quindi prevede di utilizzare la combinazione
di una pluralità di metodi di ricerca quali l’osservazione
diretta, interviste e raccolte di documenti. Lo scorso secolo,
etnografi come Malinowski (1966) hanno rivoluzionato il concetto
di etnografia - in antropologia -, spiegando che la comprensione
delle comunità e della loro cultura era possibile solo attraverso
un’immersione duratura sul campo oggetto di studio (piuttosto
che dalla propria scrivania).
In questo articolo si cercherà di rispondere alla domanda
su come sia possibile adattare l’approccio entografico allo
studio delle forme di aggregazione che si sviluppano in Internet
attraverso la Computer Mediated-Communication (CMC), e quali
implicazioni metodologiche questo comporta. L’ obiettivo è
quindi l’analisi dell’ormai copiosa letteratura relativa a
quella che abbiamo chiamato un’etnografia mediata, per riferirci
alle tecniche qualitative di osservazione delle comunità che
nascono e si sviluppano in Rete.
Dopo aver affrontato il dibattito sullo statuto ontologico
delle cosiddette comunità virtuali, si analizzeranno i contributi
più significativi e recenti della letteratura, evidenziando
le più importanti questioni relative le issue metodologiche
di cui tener conto nella conduzione di uno studio etnografico
online.
2. Il dibattito sulle comunità virtuali
L’influenza del libro di Rheingold (1994), uno dei pionieri
degli studi sulle comunità virtuali, nel quale la rete era
dipinta come luogo di socialità, creatività e scambio disinteressato,
prospettando un ritorno ad una certa forma di comunità originaria
(simile al concetto di Gemeinschaft di Tönnies, 1963), diede
il via ad un ampio e complesso dibattito. Con la diffusione
dei media elettronici, alcuni studiosi hanno visto un ritorno
ad una socialità di tipo comunitario, una sorta di retribalizzazione
del moderno. Ci si riferisce in particolare ai lavori di McLuhan
(1999), secondo cui “l’uomo è trasformato in tribù dai media
elettrici” e del francese Maffesolì (1988), che parla di un
mondo immaginale dove i media sono tra i componenti che aiutano
a comporre le reti tribali dove le persone costruirebbero
la loro identità.
L’emergere e il diffondersi di Internet come mezzo di comunicazione
è stato quindi accompagnato dalle discussioni rigurdanti la
possibile nascita di “nuovi” modelli di interazione sociale.
Castells (2002, trad.it p.7) ha dedicato alla contemporanea
network society una trilogia di saggi, osserva come la comunità
“…si basa su valori e sulla relativa stabilità delle sue componenti.
Una comunità si definisce mediante i suoi confini. Le reti
invece sono prive di confini.” Il concetto di cyberspazio,
come un mondo multidimensionale generato dal computer ed in
cui il soggetto può esperire una realtà virtuale, è stato
sviluppato venti anni fa da Gibson (1984), un autore di fantascienza.
Il lato mitico della cibernetica e l’immagine di un mondo
privo di fisicità ha rappresentato per molti studiosi il pericolo
che le comunicazioni elettroniche diventassero un fattore
di isolamento, qualora la gente si abituasse a vivere una
vita sociale virtuale. La letteratura, fondata su studi di
ricercatori accademici di qualche anno fa, ha quindi rivolto
molta attenzione agli scambi sociali basati su identità false
e giochi di ruolo (cfr. Turkle, 1987; Reihgold, 1994).
L’identità in Rete è inevitabilmente caratterizzata dalla
non-corporeità: le comunità virtuali sono da considerarsi,
secondo alcuni autori, delle comunità “rarefatte”, proprio
perché chi naviga in rete deve passare dalla materialità e
dalle emozioni che attraversano il mondo reale, alle interazioni
prevalentemente effettuate attraverso dei testi, la cosiddetta
Computer-Mediated Communication. Tuttavia, immaginare che
una tecnologia, che facilita e aumenta i processi di comunicazione
in maniera impensabile prima della rivoluzione digitale, riduca
nello stesso tempo il contatto umano, sarebbe una contraddizione,
nonché un grave limite; nuove forme di comunicazione stanno
cambiando la natura di quel contatto oppure si stanno aggiungendo
ad esso.
Non è corretto rifiutare la nostra “vita sullo schermo”, ma
non lo è neppure il considerarla come una vita alternativa
(Turkle, 1997). Nei computer collegati in rete, le persone
hanno rapporti dipendenti dalle rappresentazioni online che
ciascuno dà di se stesso, tuttavia -conclude la Turkle nel
suo noto libro sull’identità nell’era di Internet- il concetto
di reale non sparisce, poiché quegli stessi soggetti sono
vincolati dai desideri, dalle sofferenze e dalla mortalità
dei propri sé fisici.
Buona parte del dibattito sulle comunità virtuali, fino alla
fine degli anni ’90, è stato condizionato secondo Castells
(2001) da tre limiti. In primo luogo, esso ha preceduto di
gran lunga l’ampia diffusione attuale di Internet, costruendo
le proprie affermazioni su un immaginario collettivo costruito
dalla pubblicistica internazionale o sulle osservazioni di
poche esperienze dei primi utilizzatori di questo medium;
secondo limite è quello che il dibattito è andato avanti in
assenza di un corpo sostanziale di ricerca empirica affidabile
sugli effettivi usi di Internet; infine, il dibattito è stato
costruito intorno a questioni piuttosto fuorvianti, come la
contrapposizione ideologica tra l’armoniosa comunità locale
e l’esistenza alienata di solitari nettadini (abitanti della
rete).
Anche se le critiche allo statuto ontologico delle comunità
virtuali sono state utili ad evidenziare alcune istanze importanti,
i suddetti limiti dovrebbero essere oggi superati. E’ necessario
riuscire a valutare i modelli di socialità che nascono in
rete, almeno nelle società sviluppate, adattando opportunamente
le metodologie di ricerca per giungere a risultati empirici
validi.
Lo spazio delle comunità virtuali è stato anche descritto
come un non-luogo, usando un noto concetto di Augè: un luogo
di passaggio, privo di tempo e di memoria, nel senso che non
è riconoscibile attraverso le temporalità di coloro che vi
transitano (Fabietti U., in Carbone P., Ferri P., 2000). Questa
interpretazione però non è pienamente condivisibile dopo un’attenta
osservazione empirica: le comunità virtuali sono infatti un
luogo, in cui i soggetti interagiscono lasciando una traccia
di sé e della propria identità attraverso le parole digitate
all’interno di uno spazio. Molti gruppi e forum di discussione
mantengono ad esempio, per un certo periodo di tempo, gli
archivi dei messaggi “postati”.
Ferri (2000) propone l’ipotesi secondo cui queste forme di
socialità online potrebbero essere adottate come un modello
di analisi delle pratiche comunitarie delle società postmoderne.
La strutturale caratteristica della fragilità può quindi essere
interpretata, non come un limite delle comunità virtuali,
ma come un tratto profondo della società contemporanea. Concetti
propri della cosiddetta filosofia post-moderna, come la mutevolezza
delle relazioni comunitarie, la relatività dei significati,
la mancanza di un sé unitario (multiplo, ma coerente), sembrano
incarnarsi nelle forme identitarie e comunitarie possibili
coi nuovi media. Una delle conseguenze dell’attuale ipermodernità
è infatti, secondo Giddens (1994), proprio la tendenza alla
disaggregazione, all’indebolimento dei legami, allo sradicamento
dai luoghi, un processo riassumibile nel termine disembedding.
Si è lungi quindi dal rappresentare le comunità virtuali come
contrapposte a una società reificata (Gemeinschaft versus
Gesellschaft di Tonnies), bensì come nuovi luoghi di interazione
e produzione di significato, ove diviene possibile la costruzione
cooperativa di un sapere comune e un nuovo livello di condivisione
di esperienze, fra un gruppo di pari egualmente co-autori.
[1]
Il concetto di comunità virtuali proposto dai primi studiosi
di Internet ha quindi provocato un rilevante misunderstanding:
il termine “comunità”, con tutte le sue potenti connotazioni,
ha stimolato infatti la discussione in diverse discipline.
Esso però aveva anche un grande pregio: voleva richiamare
l’attenzione sui nuovi supporti tecnologici per la socialità
che, pur essendo differenti ed essendosi aggiunti alla precedenti
e rilevanti forme di interazione, sono sempre più diffusi
nelle società occidentali. Al di là dei toni entusiastici,
quello che va riconosciuto alla definizione di Rheingold (1994)
di comunità virtuale, è l’accento sul coinvolgimento, la condivisione,
anche emotiva, e sulla costruzione collaborativa del processo
esperienziale che la partecipazione in questi luoghi comporta
(Di Fraia, 2004).
3. Ricerca etnografica e comunità virtuali
Il primo passo di una ricerca è quello di rispondere alla
fondamentale questione metodologica, di tutte le indagini
sociali, che Bourdieu (1993) descrive come “la costruzione
dell’oggetto”, ossia la definizione di ciò che si vuole studiare.
Fino a qualche anno fa, la maggior parte dell’ingente quantità
di lavori che si sono occupati di comunità virtuali, lo hanno
fatto considerando queste forme di interazione, soprattutto
come dibattuto oggetto di studio, piuttosto che come ambienti
per lo stesso (crf. Reihgold, 1994; Turkle, 1997; Baym, 1998).
Con la diffusione dell’uso di Internet e delle comunità che
nascono e si sviluppano in Rete, si è aperta la strada all’approfondimento
sui metodi di ricerca, opportunamente adattati, per analizzare
tutto ciò che concerne, in un’accezione allargata, le diverse
forme di comunità online (chat, forums, BBSs, newsgroup).
Un passo rilevante è stato quindi quello di superare la questione
circa la bontà o meno delle interazioni online, e di considerare
Internet un luogo di ricerca sempre più “abitato”, nel quale
studiare alcune dinamiche sociali contemporanee.
Utilizzare le comunità virtuali come ambienti di ricerca significa
imbattersi in alcuni interrogativi, ai quali non vi è risposta
unanime. Come sottolinea la Baym (2000), il termine di “etnografia
della rete” è stato spesso utilizzato in riferimento a ricerche
che poco avevano a che fare con i requisiti che comporta uno
studio etnografico, il primo dei quali è l’effettiva immersione
del ricercatore nel contesto di fruizione e la permanenza
“sul campo” per un periodo sufficientemente lungo, in modo
da cogliere la “prospettiva del nativo” riguardo a questioni
di ordine comunicativo e socio-culturale, che gli sono proprie.
Analizzare gli “spazi” virtuali permessi da questo medium
presenta diverse difficoltà dovute alla complessità, alla
diffusione e alla non materialità fisica di questi luoghi:
le comunità create online sono infatti ambienti fondati sulla
CMC e sulle interazioni performative tra i membri che utilizzano
un medesimo software.
Nel descrivere la vita online, Markham (1998) spiega cosa
dovrebbe comprendere l’etnografia delle comunità virtuali:
“text of people who constitute these social spaces. This medium
offers unique ways of expressing the self and constructing
social reality. The process of building relationships and
social structures, though, is thoroughly dialogic: online
cultures exist because interact with each other through writing
over time.”(p.210)
L’etnografia applicata alle relazioni su Internet, basando
sulla concreta pratica di immersione nel contesto sociale,
cerca di descrivere la storia e la natura delle comunità virtuali,
analizzando lo spazio costruito dagli individui, i loro discorsi
e le loro pratiche (Valastro, 2002). Ma qual è il contesto
di riferimento di una comunità virtuale? Partendo dalla risposta
a questa domanda, andremo ad analizzare le problematiche metodologiche
secondo noi più rilevanti per la conduzione di uno studio
etnografico online.
3.1 Un contesto multi-sited
A seconda di ciò che è considerato compreso nel contesto di
ricerca, l’uso della tecnica dell’osservazione, peculiare
dell’etnografia, per studiare le comunità virtuali, può essere
applicata limitatamente al contesto online delle interazioni,
oppure anche al contesto offline in cui sono immersi gli individui
che partecipano alle interazioni in Rete.
Da un lato, gli studiosi possono considerare il mondo online
come un’estensione del mondo fisico (reale): l’attore sociale
comunica quotidianamente in diversi contesti, ad esempio famigliari,
lavorativi, ludici. I contesti online sono un altro possibile
ambiente dove gli attori interagiscono, attraverso la CMC,
ma “nessuno vive solamente nel cyberspazio” (Kendall, 1999).
Inoltre, quando si accede in una comunità virtuale, non solo
si è legati inscindibilmente ai propri Sé fisici (pensiamo
ad esempio come un dolore fisico oppure un segnale percepito
da uno dei nostri cinque sensi può distogliere la nostra attenzione
dall’interazione online ed essere causa di interruzione),
ma i significati trasmessi attraverso la CMC, sono legati
a linguaggio, esperienze e valori propri di ogni soggetto,
che sono costruiti nella vita quotidiana e reale.
Dall’altro lato, il cyberspazio può essere concepito come
come campo saparato dal mondo reale: come uno “spazio là,
che va oltre i limiti degli ambienti fisici” (Fernback, 1999).
Alcune delle comunità che nascono online sono, infatti, create
volontariamente sulla base degli interessi comuni e mostrano
possedere un proprio sistema di norme e valori, un peculiare
senso di indentità e caratteristiche proprie.
Anche la Hine (2000) sottolinea la distinzione tra i due suddetti
approcci: un conto infatti è studiare Internet e gli ambienti
interattivi come una cultura a sé stante e rivolgere quindi
l’attenzione alle dinamiche che avvengono online, come spazi
circoscrivibili e isolabili; un altro è invece considerare
questo medium interattivo come un artefatto culturale socialmente
prodotto, tenendo quindi in considerazione anche le pratiche
che vanno oltre i confini dello spazio virtuale.
Nella letteratura odierna questi due approcci sono ritenuti
complementari e la critica metodologica auspica da più parti
(Hine, 2000; Mann & Stewart, 2000) di considerare entrambi
gli aspetti, sebbene non sia semplice. L’idea di field come
campo di ricerca chiuso e definito è sbiadita anche nell’approccio
etnografico “tradizionale” a fronte della complessità delle
relazioni e interazioni tra i diversi gruppi sociali e l’influenza
delle istanze delle globalizzazione in molte culture (soprattutto
conseguenze della pervasività delle comunicazioni mediali
e delle migrazioni).
Similmente, anche il campo online delle comunità virtuali
oggetto di studio non può essere circoscritto solo alle relazioni
via CMC, ma deve estendersi verso quei luoghi e momenti di
interazione che si rivelano significativi per comprendere
la complessità del gruppo sociale che si sta osservando. L’etnografia
di una comunità virtuale, basata solamente su una ricerca
online, fornisce informazioni su soggetti fisicamente distanti
dal ricercatore, ma non non può essere l’unica fonte di raccolta
dei dati, poiché permetterebbe di ottenere solo una descrizione
parziale e non una “overflowing description” (Geertz, 1973).
“In research conducted in single-site, that is to say from
the researchers office computer, it might be more appropriate
to dispense with the term ethnography and talk about conversation
analysis, text analysis or discourse analysis” (Wittel, 2000).
Pertanto, gli studiosi dovrebbero indirizzarsi verso una multi-sites
ethnography (Marcus, 1995, in Di Fraia, 2004), indagando quindi
i contesti d’uso e di accesso a Internet come artefatto culturale
(scuole, posti di lavoro, Internet cafè etc.). Ma la crescita
delle interazioni mediate e la complessità delle influenze
tra comunità online e offline, allarga maggiormente il contesto
di riferimento oltre i contesti di fruizione: l’osservazione
etnografica dovrebbe quindi comprendere tutti quegli ambienti
e i soggetti che si rivelano significativi per la comprensione
e la descrizione di quella che è la comunità secondo la percezione
dei membri stessi; è per questo che Hine (2000) parla di mobile
ethnography.
3.2 Confini e reti
Da quanto esposto nel paragrafo precendente si può notare
come ci siano profondi cambiamenti tra lo studio etnografico
di comunità localizzate in uno spazio fisico e lo studio delle
cosiddette comunità virtuali, che interagiscono attraverso
la CMC in uno spazio senza confini. Di conseguenza, le frontiere
del field non dovrebbero essere definite a monte della ricerca,
bensì dovrebbero essere esplorate nel corso dell’etnografia,
attraverso un costante processo di ridefinizione. Le prospettive
di ricerca, secondo Hine (2000), vanno indirizzate verso un’idea
di campo maggiormente legata alle nozioni di flusso e di connettività.
La sfida dell’etnografia delle comunità virtuali è proprio
quella di eplorare la negoziazione dei confini, la costruzione
delle connessioni e dei legami, anche quelli tra online e
offline. Come sostiene Howard (2002), la nozione di campo
deve essere adattata a ciò che sono le peculiarità della rete:
il ricercatore deve analizzare ciò che emerge come comunità
percepita e selezionare quei nodi che ne compongono la struttura
reticolare.
Questo studioso ha proposto un’interessante etichetta terminologica,
a cui corrisponde un particolare adattamento dell’approccio
entrografico per lo studio delle complesse forme di organizzazioni
possibili attraverso i new media: la network ethnography.
Essa consiste in un metodo che combina l’etnografia online
alla social network analysis, con l’obiettivo di cercare di
comprendere sia la cultura e le dinamiche sociali di un gruppo
complesso, sia le sue strutture organizzative, delle sue reti
e gerarchie di potere. [2]
Negli ultimi anni si è infatti iniziato a parlare di comunità
(virtuali e non) anche come network sociali. Secondo questa
prospettiva, viene ridimensionata la componente culturale
delle comunità, dando invece più rilievo al loro ruolo di
relazione e supporto per i soggetti. A livello metodologico,
il significato acquisito dalle connessioni tra i membri, comporterebbe
un adattamento nell’approccio etnografico: “a thik description
of a network has to illustrate and illuminate the nodes, links,
and flows” (Wittel, 2000).
Una prima circoscrizione della comunità e del contesto di
riferimento su cui svolgere la ricerca è sicuramente utile,
ma deve essere eseguita con la consapevolezza che le relazioni
in rete sono dinamiche e potenzialmente infinite e che i limiti
del campo etnografico dovranno essere ridiscussi durante le
fasi di studio. Secondo Hine (2000), l’interruzione dell’osservazione
etnografica diviene quindi una decisione soprattutto pragmatica
(legata al tempo o all’ingenuità del ricercatore).
3.3 La negoziazione dell’accesso e l’osservazione
Nell’etnografia “tradizionale” una delle scelte da compiere
è quella relativa al tipo di osservazione. Essa, infatti,
può essere coperta, se l’etnografo partecipa alla vita della
comunità in incognito, non rivelando la propria identità e
i propri scopi, al fine di ridurre al minimo la reattività
dei soggetti. Oppure può essere un’osservazione scoperta e
partecipante, in cui il ricercatore rivela identità e finalità
della ricerca. In questo caso l’accesso sul campo avviene
generalmente attraverso il cosiddetto mediatore il quale,
essendo una persona che conosce e gode della fiducia della
popolazione oggetto di studio, è in grado di presentare l’etnografo.
Negli ambienti online, l’etnografo risulta ampiamente facilitato
rispetto all’accesso fisico sul campo; sia grazie ai vantaggi
spazio-temporali connessi alla CMC, sia perché, salvo le aree
protette da una password di accesso, il ricercatore può facilmente
accedere alle conversazioni online delle comunità, che spesso
i siti Internet lasciano pubblicate per un certo periodo di
tempo. L’osservazione può limitarsi ad essere non partecipante:
in questo caso il ricercatore agisce come un semplice lurker[3]
che, se non sorgono proteste verbali da parte dei membri del
gruppo, può osservare il comportamento le interazioni che
hanno luogo.
La tecnica dell’osservazione inizialmente coperta di una comunità,
senza avere ancora chiaro in mente delle idee precise sul
tipo di comportamento dei soggetti partecipanti, risulta molto
utile al ricercatore per iniziare a comprendere alcune dinamiche
comunitarie, norme, significati e valori condivisi dei membri
(in particolare per gli studi etnografici sulle culture non
famigliari). L’osservazione può invece essere immediatamente
partecipante nel caso di culture già famigliari al ricercatore,
oppure può diventare partecipante una volta che lo studioso
abbia avuto modo di apprendere il linguaggio e le norme che
regolano la comunità ed abbia eventualmente sviluppato delle
ipotesi conoscitive.
In molte ricerche etnografiche condotte in comunità virtuali,
la presenza del ricercatore alle interazioni viene accettata,
anche perché i membri si sentono in qualche modo “protetti”
dal grado di anonimato che consente la CMC. [4]
Non sempre però il ricercatore è bene accetto come attore
partecipante alla dicussione, soprattutto in quelle comunità
virtuali che raggruppano le cosiddette sub-culture, le quali
difendono con forza la propria identità: i membri possono
rifiutare la ricerca ed invitare il ricercatore a ritirarsi
dalla comunità (Paccagnella, 1997).
Inoltre, l’accesso alla comunità virtuale non è sempre “totale”:
gli studiosi che hanno maggiore competenza con le navigazioni
in Internet hanno sicuramente notato che esistono delle cosiddette
hidden areas (Mann & Stewart, 2000). Alcuni software utilizzati
per le chat, i newsgroups e forum di discussione, permettono
infatti la creazione di aree pubbliche, dove possono facilmente
accedere i membri abituali ed i newcomers, e di aree private,
che i frequentatori regolari della comunità “costruiscono”,
permettendo l’accesso solo ad alcuni membri. Solamente attraverso
un’osservazione di entrambi gli ambienti il ricercatore ha
la possibilità di afferrare la complessità delle interazioni
comunitarie; tuttavia, negoziare l’accesso alle aree private
non è sempre facile.
Un primo passo per ottenere l’accesso è quello di un’immersione
duratura dello studioso nella comunità virtuale e una costruzione
di fiducia reciproca nei confronti dei membri della stessa.
“Etnographers working in cyberspace must develop a sense about
truthfulness and candour of their informants, just as etnographers
of the nonvirtual must”(Fernback, 1999 in Mann & Stewart,
2000).
E’ importante a questo punto ricordare un rischio presente
tanto negli studi etnografici faccia a faccia, quanto in quelli
condotti negli ambienti mediati dal computer, ossia quello
di going native: dopo aver trascorso un periodo abbastanza
lungo ad interagire con i membri della comunità, il ricercatore
deve stare infatti attento a non adottare il punto di vista
dei propri informatori. Bisogna quindi sapere mantenere, anche
nell’osservazione partecipante delle comunità online, un giusto
equilibrio tra coinvolgimento ed esperienza dell’alterità.
3.4 Identità e privacy
Come abbiamo visto, un approccio etnografico allo studio delle
comunità che si sviluppano in Internet, mette in luce alcune
problematiche metodologiche, rafforzando lo spessore di alcune
regole e consuetudini etnografiche e stimolando l’adattamento
di altre a questi particoli oggetti di ricerca (adaptive ethnography,
Hine, 2000). Altre due importanti questioni a cui l’etnografo
deve far fronte sono quelle relative all’identità dei partecipanti
alle comunità virtuali e quelle riguardanti la natura etica
del suo agire in Rete.
Un’osservazione etnografica che avvene in un contesto in cui
ricercatore ed informatori non si trovano compresenti fisicamente
getta dei dubbi sulla validità dei dati dichiarati dai membri
dei gruppi online [5]. Anche negli studi
etnografici tradizionali i soggetti potrebbero dichiarare
il falso, ma solo entro certi limiti: le caratteristiche ascritte,
la comunicazione non verbale o certi comportamenti sono difficili
da simulare.
E’ stato sfatato il mito delle identità virtuali come fuga
dalla realtà, ma come abbiamo accennato, si rafforza invece
l’idea che le costruzioni identitarie in Rete non siano qualcosa
di rigidamente separato dalla vita di tutti i giorni. L’identità
online è costruita dalla somma di messaggi formulati quasi
esclusivamente in una lingua scritta, ma in un contesto conversativo
che si struttura in una modalità ibrida, recuperando iconograficamente
alcuni aspetti dell’oralità. E’ evidente la funzione performativa
e “posizionale” di molti atti linguistici, che servono a collocare
socialmente se stessi rispetto agli altri nell’ambiente che
comprende la comunità virtuale: l’identità “enunciativa” inizia
a costruirsi con la scelta del nickname, il primo strumento
di presenza in rete, un modo per essere riconosciuti. La modifica
di caratteristiche fisico-corporee non verificabili in Rete,
dipende dalla semplice enunciazione degli stessi. Ciò che
però riguarda gli aspetti intellettuali, emozionali o spirituali,
implica altresì un’esibizione dimostrativa poco simulabile,
se non nel breve termine, poiché verificabile dagli altri
membri della comunità. Partecipare ad una interazione online
presentandosi con caratteristiche non proprie, non è tanto
un’operazione menzognera, quanto quindi un’operazione inutile.
Alcuni studi hanno inoltre dimostrato che le identità virtuali
sono spesso coerenti con quelle reali (Baym N., 2002); inoltre,
condurre un’etnografia di una comunità online, significa osservare
e partecipare per un periodo di tempo abbastanza lungo e questo
permetterebbe al ricercatore di “imparare ad interpretare
l’identità performativa dei partecipanti, così come gli altri
partecipanti fanno” (Kendall, 1999).
Secondo la Hine (2000) esistono diversi gradi di autenticità
delle dichiarazioni e comunque “the question remains then
whether interactions in electronic space should be viewed
ad authentic, since the ethnographer cannot readily confirm
details thet informants tell them about thei offline selves.”
L’ultimo punto chiave da prendere in considerazione riguarda
invece la possibilità di celare, da parte del ricercatore,
la propria identità nei casi di osservazione coperta e le
questioni etiche che questo atto comporta. Ma le perplessità
di natura etica riguardando però anche la possibilità di utilizzare
le interazioni osservate ai fini di ricerca, anche quando
l’etnografo si è presentato come tale ai partecipanti della
comunità virtuale. Esistono infatti dubbi circa la violazione
della privacy dei soggetti interagenti.
Alcuni suggerimenti di orientamento etico sono stati esposti
da Sharf (1999) a seguito della sua osservazione, prima coperta
e poi partecipante, in un forum di malati di tumore. Egli
suggerisce innanzitutto di verificare se lo scopo della ricerca
non sia in conflitto o possa nuocere con quello della comunità;
dopo aver osservato il gruppo e aver individuato degli obiettivi
conoscitivi, è importante presentarsi e dichiarare le finalità
dello studio, chiedendo il consenso dei partecipanti quando
si ha la necessità di citare le loro dichiarazioni nel rapporto
di ricerca.
Il problema della privacy è comunque ancora irrisolto in quanto
non è ancora chiaro se le conversazioni che avvengono in forum,
chat, e newsgroups aperti a tutti siano da considerarsi come
spazi pubblici oppure di natura privata.
4. Conclusione
Per condurre una ricerca etnografica in una comunità virtuale
è importante riflettere sulle implicazioni che comporta l’utilizzo
di un metodo di ricerca in un ambiente creato attraverso comunicazione
mediata dal computer.
Fin dalla loro comparsa in Internet, le comunità nate e sviluppate
online, hanno fatto sorgere alcuni dibattuti interrogativi,
che, superate le utopie iniziali, hanno messo in risalto alcune
delle loro importanti caratteristiche.
Queste peculiarità hanno costituito una premessa rilevante
per lo studioso impegnato ad adattare metodologie e tecniche
di ricerca per l’analisi di questi ambienti virtuali.
Nel presente contributo, abbiamo voluto riflettere sulle principali
implicazioni metodologiche che comporta un’etnografia online.
In particolare abbiamo osservato che svaniscano i confini
del field e come invece il contesto sia da considerare multi-situato,
rendendo necessaria un’etnografia mobile, sia online che offline.
Inoltre, le comunità virtuali assumono sempre più la forma
di reti: nasce quindi l’esigenza di studiare i legami e i
nodi di quella che è la comunità, così come è percepita dai
membri stessi che la compongono.
Abbiamo inoltre eplorato come sia possibile condurre un’osservazione
sia nascosta (tramite il lurking), che partecipante, ponendo
l’attenzione sulla negoziazione dell’accesso.
Infine abbiamo sottolineato le delicate questioni relative
all’identità e alla privacy dei partecipanti ad un gruppo
virtuale.
E’ importante sottolineare, che molte delle questioni analizzate
rimangono tutt’oggi aperte ed è forse anche per queste istanze
in fase di definizione che una tecnologia della comunicazione
come Internet è da molti considerata e denominata ancora una
“nuova” tecnologia.
NOTE
1] Questo è un processo che
stimola la comparsa di particolari strutture, definite come
intelligenza collettiva (Levy, 1997) e intelligenza connettiva,
da essa derivata, (DeKerckhove, 1993), generate dalla rete
delle menti dei soggetti, che partecipano e danno forma alla
comunità stessa.
2] Questo metodo supera la
dicotomia tra approccio qualitativo e quantitativo, proponendo
un campionamento attraverso la social network analysis dei
membri della comunità ed un’osservazione etnografica dei deiversi
nodi.
3] Dal verbo to lurk, rimanere
nascosco, il lurker è una figura molto diffusa in rete e rappresenta
colui che entra in una chat, un forum o un newsgroup, limitandosi
a leggere i messaggi e le conversazioni online, ma senza parteciparvi.
4] Ne sono esempi il blasonato
studio della Baym (1997) su un Newgroup di fans di una soap
opera, di cui anch’essa faceva parte, della Turkle (1995)
e di Correll (1995).
5] Esistono infatti delle
comunità create proprio come “giochi di simulazione” (i cosiddetti
MUD), in cui l’identità dei membri è volutamente messa in
gioco.
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