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    M@gm@ vol.3 n.4 Ottobre-Dicembre 2005

    CENNI DI PSICOLOGIA AZIENDALE: L'ANSIA



    Giovanni Carlini

    giocarlini@yahoo.it
    Laurea in Economia, Scienze Politiche, Scienze Strategiche; Insegna marketing e internazionalizzazione delle PMI; Collabora con 2 studi (Padova e Milano) di cui cura la clientela ed in consulenza per Marketing direttamente presso le aziende; (2005) corrispondente estero dagli Stati Uniti per contro di 2 case editrici e 7 testate; (dal 2004) pubblicista per argomentazioni di sociologia dei consumi e di marketing; (dal 2003) Direttore di Marketing in un’azienda nel Nord-Est; (2001/2003) docente per i corsi di marketing internazionale e materie aziendali come organizzazione del lavoro e diritto del lavoro, presso scuole della Regione Lombardia a favore di imprenditori e dirigenti aziendali; (2000/2001) responsabile di marketing per una Spa di Milano attiva nell'area informatica in pieno start-up; (1999) Direttore amm.vo finanziario e responsabile di marketing per una piccola azienda metalmeccanica di Novara; (1997) Direttore Generale per una società d’import export di prodotti vari.

    La maggior parte delle persone, in particolare al lavoro, ma spesso anche nella vita personale, utilizza l’ansia per affrontare i problemi. La logica vorrebbe che ad una problematica o ai tanti che si accalcano all’attenzione del soggetto, si dovesse utilizzare il pensiero, ovvero il ragionamento logico, ma di fatto, questo atteggiamento è limitato al 12-15% dei casi. Una consolidata ricerca, in questo campo, sia statunitense che europea, conferma che tutti i soggetti fanno ampio uso dell’ansia per affrontare ogni livello di difficoltà (ce la farò? … cosa mi diranno … e se ho dimenticato quel particolare … sono vestita bene? ... risulterò simpatico? ... avrò fortuna? …). Le stesse persone su 100 sollecitazioni, mediamente per 85 rispondono con atteggiamenti ansiogeni ed i restanti 15 riescono ad assumere toni più meditati. Quindi, è errato pensare che ci siano su 100 persone, 15 logiche e 85 ansiogene, l’alternarsi ansia-meditazione, appartiene a tutti i soggetti esaminati essendo così facile estendere all’intera umanità questo modo di comportarsi.

    BOX - 1: i diversi tipi di ansia

    Ansia di base

    Meccanismi di difesa tipici adottati in condizioni di disagio (si finge di guardare in viso l'interlocutore), è quella che provano tutte le persone in ogni condizione. Il suo controllo avviene solo grazie a volontà e ragionamento, inquadrando la vicenda e risolvendola.

    Ansia confusionale

    Particolarmente diffusa, non serve più solo ad affrontare il problema, ma si spinge oltre, ipotizzando soluzioni e strategie comportamentali. Il desiderio di poter immaginare e quasi vedere le più opzioni, che uno scenario comporta (sarò assunto? A che paga? Quanto e come farò carriera, dove sarà la mia sede, troverò compagnia, come sarà, cosa vorrà? …) spinge la persona ad assumere diversi atteggiamenti, per cui ad ogni contesto c’è un certo versante della personalità, valorizzato a differenza di altri. In famiglia si tende ad essere completi nei propri atteggiamenti, al lavoro misurati, con gli amici affascinanti, da soli, nella personale solitudine, propositivi o spesso angosciati ed assillanti. Quindi, la confusione da ansia è un eccesso di elaborazione della vicenda, che produce a sua volta livelli più alti di “ansia”.

    I comportamenti tipici prodotti da stati di ansia confusionale sono:
    - auto-invidia e desistenza (come sono bravo! Oppure: ma sempre a me!);
    - resistenza al cambiamento (ai miei tempi! Nell’incapacità o non voglia di adeguarsi, ci si rifugia in successi precedentemente ottenuti, che restano così il punto di confronto costante nell’analisi dei nuovi problemi, senza capire che spesso gli scenari, le persone, e la vicenda sono radicalmente diversi richiedendo soluzioni nuove);
    - autoritarismo e chiusura culturale (qui comando io!), serve a stabilire un ordine che è stato perduto, ma la cui riaffermazione non è strumentale per la risoluzione del disordine, bensì alla capacità del soggetto di riuscire a contenere le variabili del problema, governandolo. E’ palese che questa “soluzione”, imposta anche ad altri, sia un palliativo incapace di modificare i contorni della vicenda, anche se la ricerca di un’ “unicità di comando”, tra più persone, resta un fattore di ordine spesso risolutivo. Il punto è che l’Autorità, quella reale, dovrebbe essere riconosciuta anziché scippata dall’attenzione e volontà altrui;
    - acriticità al contesto di appartenenza (ma com'è bello stare qui con voi ... come siete bravi, complimenti, senza di voi non potrei fare nulla), ovviamente non si crede a quanto si dice, ma esprime comunque il riconoscimento del soggetto che così può delegare, risparmiandosi l’onere della decisione, tutto quanto concerne l’organizzazione di qualcosa: una gita, una festa, un evento, una presentazione;
    - negazione della molteplicità interna (sono tutto d'un pezzo! … ditemi dov’è il problema che lo distruggo io, con me tutto si risolve, abbiate fiducia! Il tempo mi darà ragione, questa azienda l’ho fondata io e - … intercalare del genere “per dindirindina” - riusciremo anche questa volta!), in tal contesto, la reazione ansiogena è all’opposto della precedente che lascia delegare tutto agli altri. Qui c’è il mito di “superman”, che predispone la carica emotiva necessaria alla risoluzione del problema. Spesso si va in over-capacity, letteralmente sbarcando sulla vicenda “per farla a pezzettini” quando un’oculata analisi consentirebbe una migliore riuscita, con impiego ridotto di energie, mezzi e tempi a metà. Rispetto alla fase del “qui comando io”, la negazione della molteplicità interna gode del riconoscimento di autorità dal gruppo in cui si opera ma, purtroppo, non consegna agli altri diritto di intervento o di parola, perché la concentrazione del capo è tale da aver chiuso i collegamenti con l’esterno;
    - narcisismo e ipertrofia egoica (Dio come sono bello!), la paura del confronto è totale. In questo caso si è incapaci di verificare il proprio stato di pensiero e capacità con gli altri, chiudendo ogni livello di analisi allo stadio estetico, offerto agli altri in pegno e prezzo di un presunto vuoto interno. Il riconoscimento di essere vuoti, in realtà è solo paura a dire la propria idea sui fatti della vita, tale timore, che nasce dai trascorsi scolastici, laddove si sia stati troppo spesso censurati (zitto che non capisci niente … sei il solito fannullone … tanto anche se studi-studi non capisci nulla … ma tu a che servi?) da chi è stato incaricato dell’educazione della persona, non svuota il carattere, ma ne inibisce la presentazione agli altri del proprio pensiero creativo. Per sostenere questo grave scompenso tra quanto si sente di essere ed il non saper esprimere, il ricorso all’estetica è risolutivo. Molto gioca su questo atteggiamento, l’uso spregiudicato della moda, particolarmente quella femminile, intesa come contenuti, ridotti alla sola estetica, sostitutivi delle idee, valori e concetti. Con questo tipo di ansia ipertrofica, serve un intervento possibilmente esterno, perché le energie della sola persona non sono più idonee a padroneggiare la personale vicenda. E’ anche vero che, volendo, un forte carattere potrebbe gestire, maturando nel tempo, stadi di vita inciampati sui legacci dell’ansia, ma il controllo su di sé richiederebbe alti spessori di cultura autocritica non comuni.

    Ansia persecutoria

    L’elencazione sintetica dei tipi di ansia, si allarga alla patologia degenerativa del comportamento ansiogeno, che da questo stadio in poi, richiede un intervento specialistico spesso con uso farmacologico e tanti colloqui. La dolcezza di una passeggiata, mano nella mano, tra persone che si vogliono bene, non è più in grado di raggiungere e colloquiare con la mente alterata e spesso in una condizione di pre-malattia del soggetto in preda ad una degenerazione progressiva del suo comportamento.

    Le forme tipiche di questa forma ansiogena ormai patologica sono:
    - la negazione: (chi io? mai! … assolutamente come potete pensare di me una cosa del genere, non appartiene al mio stile e cultura! Quel certo atteggiamento io non lo tollererò mai e poi mai!), in questo caso il soggetto, non contento o soddisfatto della realtà obiettiva se ne crea un’altra segreta, pur mantenendo il controllo di entrambe le posizioni. E’ il caso tipico degli appassionati da chat;
    - idealizzazione (positiva come negativa) gli esempi sono: mi va tutto bene come mai accaduto, oppure al contrario: che schifo, non ottengo mai quanto cerco e mi va sempre male! L’estremizzazione sul va tutto bene o tutto male, nasconde l’incapacità di sapersi collocare in un punto tra minimo-massimo. In realtà il paziente soffre di egocentrismo e ritiene che il mondo non possa proseguire senza la sua personale considerazione e dato che risulta impegnativo porre in accordo tutto il pianeta con se stessi, ogni visuale assume toni sempre drammatici. Gli umori sono così vissuti alle loro estremità superlative: magnifico-schifoso;
    - proiezione ed introiezione (a te va bene, mentre per me sempre schifo), il dramma umano personale dell’ansiogeno qui si consuma nell’identificare sempre gli altri come motore della propria condizione. In questa logica, sono altri soggetti che hanno il potere di esaltare o, come troppo spesso, abbattere i sogni e desideri. Il Capo è la chiave, solitamente in negativo, della mancata carriera. Mentre nella formula narcisistica precedentemente osservata, all’altro si offre la propria immagine, e quindi resta acceso un dialogo tra dare-avere. Qui il confronto interattivo è cessato, il colpevole di tutte le sfortune identificato, e monta la sofferenza. Da questo profondo disagio, normalmente astioso, nascono conseguenze diverse che possono essere il bisogno di far del male o agli altri o a se stessi, ma per questo si rinvia al box esplicativo 2;
    - scissione (che bello vivere alla giornata, ... ma non ti fare pensieri, … prendila come va), l’inutilità di un confronto fiero con la realtà, conduce in questo caso al lasciarsi andare, senza decidere, in una sorta di giudizio del tempo che nulla conclude, ma rinvia indefinitivamente una certa decisione da prendere e che mai sarà assunta. La patologia ansiolitica qui descritta non assume più i contorni dello scontro con il mondo ma della sua completa separazione. Non si lotta più, si tira a campare giorno dopo giorno.

    Ansia depressiva

    L’ultimo gradino della scala ansiogena, oltre il quale, il comportamento assume caratteri definitivamente devianti e quindi malati. I caratteri di questo stadio sono:
    - controllo ossessivo/onnipotente (che nessuno sposti nulla!), il terrore di perdere il controllo, del resto già fuori dall’ambito dell’effettiva portata del paziente, spinge a fermarsi sui particolari più minuziosi ed inutili che compongono la giornata e l’impegno del soggetto. A volte per trovare una tregua da questa schiavitù si usano dosi massicce di alcool, oppure si pulisce la casa lanciando impegnative campagne di rinnovo degli armadi e ricerca ossessiva dello sporco da eliminare, ci si lava le mani costantemente e si soffre per l’ipotetica aggressione da microbi. Infine anche il sesso e le sue devianze hanno motivo per placare questa sofferenza senza ovviamente risolvere nulla;
    - ipervalutazione positiva (tutto quello che faccio è bello e perfetto!), la depressione è spesso anche esaltazione. Le punte più acute di suggestione da propria supposta potenza, celano una fragilità assoluta. Il sadico, il maniaco, ma lo stesso ubriaco non riconoscono il loro stato ritenendosi sempre spettatori e registi di un film che non tocca la loro personalità;
    - difese maniacali (disprezzo, trionfo, dominio), il depresso è preda, suo malgrado, ad alterazioni comportamentali nella stessa giornata.

    Figura 1: differenza del comportamento, nella stessa persona, tra atteggiamenti logici e ansiolitici ogni 100 problemi affrontati

    Da una descrizione così fitta sorge una domanda: ma cos’è la psicologia? Una definizione pratica nasce del problema fondamentale dello psicologo: perché quella persona si comporta in quel certo modo. Assodato che ogni soggetto umano è fatto di mente e comportamento, la psicologia collega quell’atteggiamento ad un tipo di comportamento e non altri. Ma non basta. L’utilizzo di conoscenze psicologiche nel lavoro comporta anche il chiedersi quali aspetti servono alla nostra mente, per meglio convivere con gli altri e gli obiettivi aziendali. E’ sicuramente necessario costruire un ambiente che “serva alla mente”. Luci fioche, ambienti malsani, bagni non curati, urla, litigi, scarso ascolto delle istanze dei collaboratori, orari pesanti, assenza di novità e momenti di ritrovo collettivo, non utilizzo di riti aziendali, sono tratti che producono disamore dall’ambiente e quindi scarsa propensione alla qualità della resa lavorativa.

    Il responsabile dell’azienda, (quello vero) è sempre abbozzolato nei legami relazionali della “sua gente” che sa ascoltare, esaltare, contenere e guidare. La comunicazione aziendale diviene a questo punto, arte relazionale, perché rispetta i principi base che sono, non ultimo, l’uso del decentramento per alzare la soddisfazione delle persone. Ancora e prima di decentrare, il Capo dovrà scegliere il modello e la direzione, proprio come senso di marcia della relazione interna, che potrebbe essere a ruota (2 “x” incrociate ed il Direttore al centro), a Y, oppure catena ed infine, la più pagante, a cerchio. Scelto il tipo di relazione nel gruppo, e concessa l’autonomia ai dipendenti, conoscendo l’animo umano, il Direttore del personale o comunque l’Imprenditore attivo in azienda, può trasformare il fattore umano in risorsa.

    BOX 2: il bisogno di fare del male

    Per reazione, il bisogno di “male” da fare o subire, costituisce una reazione pagante, necessaria all’equilibrio interno, tra quanto dato e ricevuto, però, questo atteggiamento assume aspetti molto diversi a seconda che sia un uomo o una donna a svilupparli. In linea di massima, l’uomo fa del male agli altri, quando la donna tende ad introitare dolore, procurandosi “del male” a se stessa. Va quindi distinta la sensibilità dei soggetti per capirne e prevederne gli atteggiamenti.

    Conclusioni

    L’impegnativa descrizione dei diversi livelli di ansia qui esposta, serve ed evidenziare quanto sia facile degenerare da uno stadio all’altro, sino a porsi in condizioni di malattia vera e propria. L’ansia è uno scivolo verso la patologia deviante della mente. La cura risiede solo nell’aiutarsi e farsi accompagnare da seri livelli di amicizia e socialità, utilizzando il cervello più che il cuore. E’ indubbio che leggendo i diversi caratteri di ogni forma di ansia, ogni attento lettore si possa ritrovare in un passaggio o nell’altro. Sicuramente l’occasione di un comportamento non è sintomo di un atteggiamento da correggere che può essere trascurato, al contrario, la sistematicità di azioni rientranti negli schemi indicati, richiede certamente un’ introspezione approfondita.


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    M@gm@ ISSN 1721-9809
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